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sociale delle relazioni industriali:

Nel documento Sisifo 9 (pagine 44-47)

SCHEDE

E PRESENTAZIONI

Per una storia

sociale delle relazioni

industriali:

Torino 1920-1970

ricerca a cura dell'Istituto Gramsci Piemontese e della Fondazione Vera Nocentini

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Vi è oggi uno scarto tra la percezione del luogo che il lavoro umano ha nel definire la convivenza sociale e le conoscenze che l'indagine storica ci ha consegnato, uno scarto che sembra particolarmente grave ed evidente quando occorre rappresentare e interpretare la vicenda della Torino moderna e della sua area. La nostra storia coincide largamente con le relazioni, i conflitti, le intese intercorsi fra lavoro industriale e capitale d'impresa e al loro interno. Tuttavia, essa è stata finora piuttosto allusa attraverso metafore politiche e riferimenti culturali che documentata e ripercorsa nel tentativo di ricercarne le proprietà e le specificità locali.

Quello che vogliamo proporre è di cominciare a scrivere questa storia utilizzando tutto l'ampio ventaglio oggi accessibile delle testimonianze e dei documenti mediante i quali è possibile ricostruire, su scala

quasi quotidiana, il sistema, o i sistemi, di relazione che hanno accompagnato e talvolta determinato i processi di crescita dell'apparato economico e produttivo. Ci pare questo il modo più appropriato per attribuire agli uomini il ruolo che essi hanno effettivamente svolto negli eventi economici e tecnici, senza dover ricorrere necessariamente a una storia estrinseca animata soltanto da grandi moventi ideali. L'Istituto Piemontese di Scienze Economiche e Sociali «A. Gramsci» e la

Fondazione «Vera Nocentini», che curano l'ordinamento dei fondi archivistici della CGIL e della CISL, si fanno promotori di una ricerca sulla storia delle relazioni industriali nell'area torinese. Di una ricerca, dunque, che dall'esame dei processi della contrattazione collettiva, sappia fare emergere i circuiti dello scambio sociale come sedi costitutive dell'identità dei soggetti 44

protagonisti dello sviluppo industriale urbano.

^ ^ L'arco di tempo che, grosso modo, pensiamo di prendere in considerazione è quello dei cinquant'anni compresi fra il 1920 e il 1970. Una periodizzazione atipica rispetto alla storiografia del movimento sindacale, ma forse la migliore per verificare se determinate continuità si diano

indipendentemente da grandi mutamenti nell'assetto politico e istituzionale. La conseguenza più palese del punto di vista che vogliamo adottare è il rilievo del periodo fascista come momento di espansione, sia pure sui generis, e di formalizzazione del sistema

negoziale, con un'eredità destinata a influire

sull'ordinamento successivo dei rapporti di lavoro. Allo stesso modo, scegliamo di considerare il «biennio rosso» più come uno snodo nell'evoluzione delle relazioni contrattuali e come il . risultato di una

modificazione nella composizione e negli atteggiamenti dell'universo operaio che come un dramma politico. Anche per gli anni del secondo dopoguerra, ciò che ci interessa non è tanto ridescrivere il risveglio del conflitto sociale passato attraverso prove difficili, quanto invece il complicato confronto fra la tendenza a utilizzare il potenziale operaio in una sfida

nazionale e il consolidamento di poteri e di regole di rappresentanza e di negoziazione shop floor. Il punto terminale della ricerca sarà costituito dalla svolta degli anni settanta, cioè dalla situazione che, a seconda dei punti di vista, viene giudicata come il momento di maggiore squilibrio fra il potere del lavoro organizzato e quello dell'impresa o la stagione per eccellenza delle conquiste operaie.

Non v'è dubbio che in una storia delle relazioni sindacali il conflitto, nelle sue forme e nei suoi motivi, ha un grande rilievo; tuttavia ci sembra più produttivo indagare ciò che si manifesta prima, dopo (e talora anche malgrado) il conflitto, vale a dire la condizione di consenso e di intesa che assicura necessariamente il reiterarsi del lavoro e il

funzionamento dell'impresa. Un lavoro di tale natura e respiro esige il supporto di fonti documentarie nuove e originali, diverse dalle fonti a stampa su cui si sono prevalentemente fondate le ricostruzioni del recente passato. Ciò è reso attualmente possibile non solo da una nuova sensibilità del movimento sindacale per la conservazione delle proprie carte e dall'opera di recupero sviluppata negli ultimi anni, a questo proposito, da istituzioni

culturali come l'Istituto Gramsci e la Fondazione Nocentini, ma probabilmente anche dalla stessa attenzione e disponibilità che il mondo industriale incomincia a dimostrare verso gli archivi d'impresa. Tutto ciò apre un campo a studi che finora sono stati inibiti anche dalla scarsa accessibilità delle fonti.

Per un lungo tratto del periodo in questione, inoltre, non va trascurato che si potrà fare ricorso alle testimonianze personali di numerosi protagonisti, tanto più eloquenti in quanto confrontabili con i dati provenienti dalla documentazione scritta. Quando si procederà a individuare i punti e i temi sui quali esercitare l'attenzione del lavoro storico, non saranno soltanto le esperienze propriamente industriali a essere fatte oggetto di studio, ma ci si soffermerà su mondi del lavoro e su protagonismi imprenditoriali non soltanto di tipo manifatturiero (dalle imprese municipalizzate ai servizi di credito).

Documenti e testimonianze ci porteranno sicuramente a sottolineare la qualità di casi aziendali, settoriali, territoriali, ma una storia sociale non può fare a meno di una cornice quantitativa, demografica, capace di offrire delle solide guìde-lines per la selezione dei casi.

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Se la nostra proposta di ricerca ha un'ambizione, essa consiste nel conferire senso e ordine a una lunga vicenda, di cui è

consuetudine presupporre la peculiarità. Ci domandiamo così se il territorio composito che incorpora i mondi della impresa e del lavoro abbia nel caso torinese una fisionomia tale da sfidare i cambiamenti

K> organizzativi, economici e apolitici. E se esistano e quali asiano i tratti distintivi che so autorizzano a parlare, non risolo evocativamente, di un i»«caso torinese» a confronto ih di altri rilevanti casi italiani a ed europei.

3 Crediamo che questo ni intendimento ci legittimi a m .inserire nel nostro

programma di ricerca l'analisi degli orientamenti io all'azione rappresentati da ip quadri di riferimento sculturali (tradizioni, forme va associative, atteggiamenti) e \x> anche alla loro riproduzione io attraverso i meccanismi informativi tipici di sistemi io organizzati. Si tratta di un f\percorso obbligato per

giungere alla ricostruzione di iw tipologie e di profili concreti >b degli attori principali della \i storia in questione. Solo a ra questa condizione lavoratori, iù imprenditori, managers

diventano figure riconoscibili i e non più categorie generiche ,b di una narrazione a tesi. Zy.Che c'è di vero dietro io all'opinione diffusa che gli io:operai professionali siano mstati il nerbo organizzativo te. della struttura del nvmovimento operaio? E il xiisistema di relazioni W-industriali Fiat ha davvero m una continuità di decenni e M.una autosufficienza stabile iivnell'area di Torino? Queste

sono due tra te molte domande possibili che sorreggono l'intenzionalità della ricerca.

Domandiamoci ancora: che consistenza e che peso ha avuto, a fianco del sistema di relazioni fra attori collettivi, l'esistenza di reti personalizzate e informali di rapporti fra lavoratori e impresa (non di rado emersa dalle esperienze di

sindacalismo autonomo)? Questo tipo di interrogativo testimonia del fatto che non ci si deve accontentare di descrizioni esclusivamente centrate sulla codificazione politica e quindi povera nel dare conto dei

comportamenti effettivi. Una domanda che acquista un senso più profondo se applicata a un'area e a una città che ha visto il succedersi di ondale migratorie a differente base regionale, tutte portatrici di modelli specifici di socialità. Un 'intenzione storiograf ica come quella cui abbiamo accennato ci sembra possedere un interesse civile per un duplice ordine di ragioni: da un lato, nel momento in cui le relazioni sindacali attraversano una crisi che induce molti a vivere la situazione odierna come cambiamento radicale, rottura col passato, crollo

delle certezze organizzative, non è male indicare delle continuità di lungo periodo che nel passato hanno valicato fasi altrettanto drammatiche di transizione. Dall'altro, è particolarmente significativo, proprio a Torino, mostrare come le energie del sindacato si siano dispiegate in un quadro culturale di adesione individuale e collettiva al fatto industriale, mentre in realtà il lavoro che il sindacato ha rappresentato ieri (e presumibilmente rappresenterà anche domani) — così come il lavoro che ¡'impresa ha organizzato ieri (e organizzerà domani) — non è, se non in parte o transitoriamente, quello di operai e impiegati la cui vita attiva si identifica col destino di un'industria, di un settore, di un'azienda.

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L'Istituto Gramsci e la Fondazione Nocentini, intendono sottoporre questo progetto di ricerca, che avrà tempi di esecuzione pluriennali, alle istituzioni locali e agli enti che sono interessati a sostenerne la realizzazione.

Nel contempo, si chiederà alla comunità scientifica un contributo di proposta e di ideazione che serva all'elaborazione di un programma circostanziato di lavoro.

A questo scopo, si procederà all'organizzazione di seminari di approfondimento fra studiosi di varie discipline storiche e sociali per definire e vagliare le ipotesi di ricerca. Né l'ambito de! confronto interdisciplinare si manterrà strettamente locale, dal momento che analoghi interessi a livello europeo costituiscono un indispensabile termine di paragone.

Un comitato scientifico, a cui parteciperanno anche rappresentanti del movimento sindacale e del mondo imprenditoriale, si incaricherà di seguire le fasi di ideazione e di esecuzione del progetto.

Le immagini di questo numero Riesce abbastanza difficile presentare, sia pur sommariamente, un quadro dell'attività di Jacques Tardi, autore della vastissima produzione già nella metà degli anni Settanta e di cui pubblichiamo alcuni blocchi

iconografici di lavori realizzati dal 1976 al 1981. «Parigi, 4 novembre 1911. Al Museo di storia naturale del Jardin des Plantes, alte 23,45...»: questo l'inizio della prima, straordinaria avventura di Adèle Blanc-Sec. In un crescendo di delitti, incontri con mostri (il pterodattilo), divinità assire

(il demone Pazuzu), pitecantropi e mummie a spasso per i boulevard l'eroina sfida scienziati folli, in concorrenza con il commissario Caponi. Non mancano accenni al naufragio del «Titanio»: il quarto episodio del ciclo si chiude con la mobilitazione generale per la guerra, con i borghesi che inneggiano all'imminente lezione che verrà data ai tedeschi, con la morte (provvisoria) dell'eroina.

Ci pare che ci siano abbastanza spunti del più classico dei feuilleton, con qualcosa in più. Ma il segno, le tavole tradiscono anche un amore per il décor, per la Parigi di fine secolo che, mi pare, va al di là delle trucide storie, delle denunce di poliziotti corrotti e di una società sull'orlo della Prima guerra mondiale. Tardi stesso afferma: «sono sempre stato un ammiratore di Sherlock Holmes, di Rouletabille e di questo genere di romanzi (...) strade scure, lampioni, fiacre che passano. E, naturalmente, per me una storia misteriosa, con trama poliziesca o fantastica è collocata

automaticamente in quell'epoca». Epoca in cui non si era «perduto 'il gusto per decorazione e per i bei materiali (...). Per fortuna le vie di Parigi conservano ancora oggi molto un aspetto di fine secolo»' Il ciclo delle Aventures extraordìnaires d'Adele Blanc-Sec è l'unico parzialmente pubblicato in Italia, dove non ha suscitato

un particolare interesse. Griffu, realizzato in collaborazione (per la sceneggiatura) con Jean Patrick Manchette, è del 1977/78. Il personaggio centrale è un investigatore, ma il quadro è ambientato nella Francia dei nostri giorni: politica, corruzione e una pericolosa inchiesta giudiziaria. La vicenda si svolge nella banlieu sui cui muri compaiono, come

anche in altri casi, le scritte, i manifesti delle elezioni del marzo 1978.

«Griffu non è il primo venuto, in questo mestiere. È un esperto di armi da fuoco e il commissario

Grassi è una sua vecchia conoscenza. Da giovane non ha forse fatto lavoro politico, ma ha certamente simpatizzato per l'estrema sinistra... ». Un salto netto dall'atmosfera inizio secolo e anche l'avvio di un discorso: quello dei personaggi con una vecchia storia di militanza politica alle spalle che incontrano i fantasmi di un passato evidentemente non così chiuso o definitivamente lontano per il personaggio e per l'autore. Ici Même è del 1978 e segna la collaborazione (sempre per la sceneggiatura, ma verrebbe da pensare non solo per questa) con Jean-Claud Foresi, l'autore di Barbarella. Lo spunto per questa «favola politica» è quanto mai strano e divertente: «Arthur Même è l'unico discendente di Joseph-François Dompleix, i cui discendenti ottennero dal re di Francia (nel 1784) il "privilegio supremo dell'indipendenza e della sovranità assoluta" sulle terre di Mornemont». Ma una serie di processi hanno portato alla lottizzazione del piccolo regno: restano solo i muri che delimitavano le terre. Ed è su questi muri che abita l'ultimo dei Dompleix (Arthur Même) che esige il diritto di passaggio ogni volta che qualcuno supera il confine della sua ex-proprietà... Una storia di vastissimo respiro, pubblicata su «À suivre»,

composta da 163 tavole. «Le Monde» si è sbilanciato a parlare di «atto di nascita del fumetto d'avanguardia»1, ma questa definizione è un po' buffa e forse fuori luogo. Resta la godibilità di una storia in cui si

intravedono accostamenti alle tematiche di Beckett e di Ionesco.

La Bascule à Chariot è il nome che veniva dato, talvolta, alla ghigliottina. Questa storia, realizzata nel 1979, ma ambientata all'inizio del secolo, riprende uno spunto già presente nel primo episodio di Adèle

Blanc-Sec in cui il tema della condanna a morte era soltanto accennato. Il segno è estremamente asciutto, le scene dell'esecuzione del condannato ricordano alcune incisioni di Félix Valloton. Lo stesso Tardi dichiara, nell'introduzione: «Non sappiamo se l'uomo è o no un assassino, perché se è colpevole ci sarà ancora una maggioranza di imbecilli, ai nostri giorni, che diranno:

"ha ucciso, uccidiamolo! " (...). E se è innocente: "troppo facile!". Si giustizia una persona che non ha fatto niente: la tesi è un po'

semplicistica. L'innocenza a confronto con la

mostruosità: troppo facile, non dimostra niente... Sono contro la condanna a morte, se non si fosse capito». «In quel 10 novembre 1956 una lettera di Abele Bendit convoca Nestor Burma alla Salpétriere. Ma nel

frattempo l'uomo è morto: è un vecchio anarchico che Burma conosceva ma che aveva perso di vista da trent'anni». Ancora una volta «il passato ritorna», mentre sui muri delle case, in una Parigi segnata dalla guerra d'Algeria, compare la scritta «FLN vaincra». La storia è un adattamento a fumetti di un testo di Léo Malet che, creando il personaggio di Nestor Burma, aveva iniziato il ciclo dei Nuovi misteri di Parigi in cui le vicende si svolgono, in ogni episodio, nell'ambito di un

arrondissement di Parigi. Con Bruillard au pont de Tolbiac, del 1981, è il 13° arrondissement degli anni Cinquanta che Tardi risuscita, adattando il testo di Malet, uno dei maestri del romanzo poliziesco francese.

Tardi compie quest'anno, quarant'anni. Ci aspettiamo, in futuro, molte altre storie affascinanti (e polemiche).

Gianfranco Torri

1 Daniel Riche, Jacques Tardi (intervista), in «Horizons du Fantastique», n° 34, 1975.

2 Jacques Goimard, «Le Monde», 28 dicembre 1979. Per una maggiore conoscenza della produzione di Jacques Tardi, vedere: Th. Groensteen,

Tardi, Magic Strip, 1980,

Belgio; e Jean Arrouye (BédésupJ, Jean-Claude Faur (Gari): A la rencontre de...

Jacques Tardi, Bédésup, 1982,

Bruxelles.

Errata Corrige:

L'articolo «Tracce di terziario avanzato nei programmi delle nuove amministrazioni», comparso nel n" 8 di «Sisilo» era di Dario Rei.

Ci scusiamo con l'autore e i lettori.

Nel documento Sisifo 9 (pagine 44-47)

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