COMPLESSITÀ
di Filippo Barbano
J L orino è il luogo (si M . sente dire) ove può essere che un operaio voti liberale, ma non è possibile che un tifoso del «Toro» passi alla «Juve»: alienazione politica? rivalsa sportiva? Comunque, come suggeriva Max Weber, se non è necessario essere Cesare per intendere Cesare, non è neppure necessario essere torinesi per intendere Torino. Lo dimostra il penetrante saggio dell'amico e collega Bagnasco, che tuttavia ha con Torino una consuetudine non solo di questi recenti anni: con questo saggio egli si presenta ai Torinesi con il tatto discreto del cittadino ancora out, e la empatia del cittadino già in. Tra i lavori su Torino, questo di Bagnasco, interrompe, coll'arrivare degli anni '80, quella specie di epoché di giudizio su Torino che chi vi parla aveva occasione di notare, in un suo lavoro dei primi anni '80, con riferimento al contemporaneo saggio di Norberto Bobbio, che arrestava il suo discorso su Torino ai primi anni '50. Temporalità e spazio: fin dove arriva Torino? Bagnasco racconta Torino: il suo profilo inizia sui confini (anagrafici, demografici) ma, disegno espositivo da non lasciarsi sfuggire, termina sui confini (territoriali, culturali) con un input-output interpretativo che gioca abilmente sia le dimensioni spaziali che i tempi storici, sia i tempi brevi che le lunghe durate. Torino città locale, Torino città supernazionale. Una città autoreferenziale oltre misura, con un meccanismo troppo unico per una società relativamente limitata; e tuttavia una città che fa già virtualmente parte, non solo dal punto di vista territoriale di una megalopoli padana in formazione.
Mobilità di confini, dunque, e quindi relativamente di realtà territoriali (la grande Torino), demografiche, migratorie, morfologiche, in breve di composizione. Ma la rigidità, ciò che non è fluido, ciò che è poco elastico sono i rapporti tra la sua composizione e la forza che la ricompone, cioè la organizza come struttura economica e formazione sociale: la singolarità di Torino con il suo meccanismo unico, il suo tradizionale volto metallurgico, il suo look monocolore o grigio. Gli effetti (non più ormai inaspettati ancorché sempre ancora indesiderabili), le conseguenze delle rigidità cui sono costretti i rapporti tra la composizione e la ricomposizione sociale, tra base morfologica e
organizzazione, tra meccanismo unico e formazione sociale, sono appunto l'oggetto della diagnosi che si compie nel libro di Bagnasco. Diagnosi chiara: una forza produttiva che addensa dipendenze e segmentazioni da un lato, e una privazione di interazioni, una difficoltà di
comunicazione e di scambio dall'altro lato: quello della complessiva struttura e cultura di Torino. E quindi, forza produttiva e
demoralizzazione (nel senso durkheimiano della «densità morale» e/o socioculturale), ed anche demotivazione. Cicli di espansione e cicli di depressione, diastole e sistole del cuore di Torino, sulla lunga durata, come avevo occasione di dire nel saggio cui mi sono già riferito; cicli di sviluppo e cicli recessivi nel breve tempo, come nota Bagnasco rifacendosi ad una recente fonte.
Il suo libro, oltre che agile, bisogna dire che è anche abile: i suoi due punti alti (ma anche nuclei assai densi) sono rappresentati da due nessi. Il nesso fra organizzazione e mercato (cap. II) e il nesso, scaturente dal primo e da esso determinato, fra processi sociali e città come formazione sociale (capp. Ili e IV). L'ordito logico è: composizione-organizzazione-formazione: lo rilevo perché mi ha dato la chiave di lettura del Profilo,
ravvisandovi tra l'altro anche la tenuta di una mia antica idea di «struttura» sociale il cui enunciato era appunto: composizione-ricomposizione-interazione.
Sul primo nesso
(organizzazione e mercato) dovrei lasciare la parola agli esperti di economia e di sociologia della
organizzazione. Mi perito tuttavia di entrarvi, non solo perché non bisogna credere oltre misura agli specialismi, ma anche per ragioni che toccano, più che la oggettività, gli obbiettivi intenzionali della sociologia. L'intenzione non lascia dubbi: per svincolarsi dalla stretta della città
metallurgica, la cui immagine presso l'intelligenza e i torinesi ha sempre avuto le sue fonti più amate in pensieri come quelli di Piero Gobetti e Antonio Gramsci, l'amico Arnaldo investe seriamente ed anticipa le virtualità del mercato e rinvia alle sue potenzialità.
/ f / B on c'è bisogno di « j f c essere un esperto
economico, come io non sono, per legittimare con favore l'intervento di elementi più attivi di mercato sulla base di una città come Torino che cresca
con molteplici settori e scambi e che accolga la presenza di moderni sistemi familiari, politici ed economici di mercato, a partire non solo dalla sempre maggiore distributività delle nuove tecnologie, e dai relativi assetti di produzione e di servizio.
Non riesco tuttavia a vedere per Torino un mercato, sia pure penetrante in un terziario più sviluppato, che sia qualche cosa di più o di diverso dal necessario complemento infrastrutturale di una qualità del lavoro e della vita in una città sostanzialmente industriale e neotecnica. 11 nesso organizzazione-mercato andrebbe ulteriormente prospettato per Torino, ed analizzato nel senso di non ridurre ad una ottimizzante nuova «semplicità» i determinismi del mercato, e di non scambiare (come avviene spesso da parte di molti, che non sono però Bagnasco) le strategie individuali adattive con quel valore addizionale di organizzazione pluralistica che Torino richiede. So bene che Bagnasco ha in testa la realtà e non l'ideologia del mercato e non crede a taumaturgiche capacità di regolazione ed autoregolazione del mercato, credenza che oggi ha ripreso piede fortemente,
dimenticando lezioni del passato, come per esempio quella di un Karl Polanyi, un autore del resto che giustamente Bagnasco stima molto, come mi risulta anche dalle nostre conversazioni.
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erto, c'è qualcosa di È y nuovo anche a Torino
in fatto di strategie individuali e familiari. Assistiamo alla miracolistica appropriazione, da parte di alcuni ceti non certo di investitori abituali, di nuove pratiche di investimento: comportamenti economici nuovi rispetto a quelli tradizionali del risparmio postale e dei titoli di Stato. Avremo tra breve, probabilmente, anche uno sblocco del mercato delle abitazioni con nuove strategie adattive da parte di nuovi ceti... Come sociologi dovremmo saperne di più. Ma non sappiamo proprio nulla sulle mosse del capitale finanziario: mosse che stanno alla concentrazione come il mercato sta all'organizzazione (della finanza alta, privata, pubblica e locale). Schumpeter, ed anche Bell, proposero più volte, con la loro fede nella conoscenza, l'efficacia di una sociologia della finanza; ed in Italia 32
molti decenni fa abbiamo avuto fra gli economisti interessanti contributi di questo tipo. Ma visto che a conti fatti poco o nulla è accessibile ai sociologi da questo lato (come da molti altri di questa società, che a dirla «complessa» si rischia spesso di chiudere gli occhi) non vorrei che da sociologi dimezzati ci accontentassimo di studiare gli attori sociali che troviamo confezionati sul mercato! Dovremmo occuparci pure di quello speciale diffuso tipo di attori che nelle loro determinate e non casuali condizioni sono in pratica dei non-attori. Alludo non solo al mercato del lavoro e al fenomeno della disoccupazione. Bagnasco, se non ricordo male, parla di
«inoccupazione».
Un assai stimato economista del lavoro ha recentemente parlato, in un suo lavoro pubblicato anche in Italia, di «disoccupazione di massa». Interessante estensione di significato per una realtà che ad ogni modo non è più
certo quella dell'esercito industriale di riserva di cui scriveva Marx. Anche lo studioso cui mi riferivo poco fa conclude con un bilancio negativo circa le attuali analisi economiche ed econometriche e la loro capacità di spiegare il fenomeno della
disoccupazione di massa, che io preferisco, come già si fa, chiamare «non-lavoro»; ad effetto sociologico del quale, l'autore in parola ad un certo punto allude a conseguenze di labilità psichica e malessere psicosociale: si ripete insomma ciò che si è visto numerose volte, a partire dai singoli campi specializzati, che cioè l'economista rinvia al sociologo e il sociologo all'economista.
Torino, poi, non è la seconda ad avere anche quei problemi che derivano dalla crescita di quei non-attori che sono gli anziani e i non-nati. La sociologia dovrebbe avere pur sempre una speciale vocazione ad occuparsi di figure emergenti
s e diffuse, non solo per il ¡olloro peso statistico, e in Eqpatìcolare di quella figura di
JEattore-non attore prodotta sbdal non-lavoro, il cui ambito ¡u travalica la disoccupazione >31 tecnologica e lo stesso mimercato, e attiene alle oo.condizioni della creazione del El lavoro economicamente sn necessario, del tempo del El lavoro socialmente utile, ab della produttività e del senso Jbdel lavoro. Voglio dire ni insomma, che una sociologia se astratta dell'azione e »b.deU'attore sociale rischia io oggi di non capire situazioni
s e figure di non-attori iq prodotte da certe
«.contraddizioni: per esempio, ^ singolare per Torino, il >b deficit dì interazioni ^•spiegabile in termini di non-;E azione.
> ^ o aperto questi L scenari, non già per \ dire che il Profilo di
Torino datoci da 3 Bagnasco pur implicandoli, E appena vi allude o appena li ¡1 fa supporre; o per chiedere q pedantemente a Bagnasco un i) trattato di sociologia, q piuttosto che l'agile, utile ed d intelligente saggio che ci ha b dato. Guardo piuttosto alla b dicotomia: complesso-* semplice (la complessità u urbana ed insieme la * semplicità della struttura di 1 Torino come città dall'unico v volto) — dicotomia che r richiama appunto quegli ? scenari. Mi unisco a ì Bagnasco quando dice che r Torino ha una
0 organizzazione relativamente ;J troppo semplice rispetto alla 2 sua complessità sociale. Ma 1 richiamo anche il pericolo di ! leggere in Bagnasco una 1 forma di riduzionismo del 1 problema di Torino alle i virtualità del mercato, o I peggio un modo di 3 esorcizzare, a partire dalla 3 complessità, effetti di i separatezza fra non-attori i marginali e attori privilegiati 3 centrali.
) C'è di che considerare anche I la competitività
i internazionale, che spesso ì assesta al mercato e alla sua ) opinata autoregolazione colpi ) di coda per così dire ) dinosaurici, date le i dimensioni sempre maggiori ) dei contendenti in campo. E i c'è da temere la
> «flessibilità» tecnologica, non ! per se stessa naturalmente, i ma per il modo di gestione ) dell'innovazione tecnica ed i organizzativa, in vista di > ottimizzare nell'ambiente le i condizioni aziendali di ; sociodipendenza dal lavoro : umano, chiudendolo in una i nicchia ecotecnica, del resto i richiesta dall'azienda di oggi, i che esige soprattutto ' flessibilità, se non una : selettività pressoché i darwinistica.
Insomma, nel rapporto tra organizzazione e mercato, il primo dei due nessi a partire dai quali sto rileggendo Bagnasco, si può vedere questo risultato: che la semplicità del meccanismo organizzativo unico aumenta la complessità di Torino. Si tratta allora di vedere fino a che punto e come la complessità può essere ridotta dall'alternativa di mercato.
Era mia intenzione diffondermi, più che sul primo, sul secondo nesso: quello con il quale, nell'ordito logico del suo Profilo, Bagnasco dialettizza i processi sociali e la risultante formazione sociale, cioè Torino. Ma visto che il tempo ormai stringe mi limito ad alcune brevi riflessioni. Assai espressiva mi sembra, intanto, la sequenza dei processi: inclusione-adattamento-esclusione. A ben leggere tra le righe, e non solo tra di esse: i processi di inclusione, cioè subgiacenza di una classe lavoratrice operaia in dissolvimento, difformità di crescita di un terziario nuovo rispetto a quello tradizionale, ed i processi di esclusione, cioè devianza e sindrome da disadattamento, ad effetto della risultante formazione sociale di Torino, finiscono con il sommarsi e reciprocamente incrementarsi. D'altra parte, se non vogliamo, come mi pare non si debba, considerare i processi di adattamento come forma dì azione o di interazione innovativa ne deriva che, dagli effetti complessivi ed aggregati dei tre processi in parola: inclusione-esclusione-adattamento, la risultante formazione sociale torinese risulterebbe, oggi, non solo poco, ma ancora meno interattiva di ieri, quando, a proposito di Torino, si poteva usare la metafora delle «armonie
metallurgiche», ad esprimere la reciproca coesistenza conflittuale ma interattiva di industria e classe operaia.
^ M f uesta scarsa interazione, che si g traduce a Torino nelle
sue ben note difficoltà a varare iniziative e un disegno collettivo, è infine il leil motiv del Profilo offertoci dal libro di Bagnasco. Torino, però, può anche essere ciò che ci si aspetta da Torino, al di fuori di essa, al di là insomma delle colline di Superga e dei complessi del Lingotto. E cioè Torino può essere il vertice di un distretto neotecnico più ampio, un terziario più diversificato, un mercato più attivo in quanto
complementare alla qualità del lavoro e della vita di una città industriale, da sempre vista e riconosciuta come città positiva e scientifica, con un turismo attraente ma sempre di transito e mediato dalla caratterizzazione sopra indicata. Ciò che ci sì aspetta insomma da una Città con una modernità ed una intelligenza non artificiali e confortata da un ordinato assetto urbanistico. Perché l'assetto urbanistico è pur sempre il segno caratterizzante di una città come formazione sociale e materiale, il testo e la forma della sua cultura e della sua Koiné. Una prova che attende Torino. Il recente braccio di ferro sul Piano regolatore di Torino ha un che di ineffabile. Ma debbo dire di preferire la reale demiurgia degli architetti, parlo per quel poco di esperienza che ne faccio (cui si può opporre
professionalità e cultura) alla pretestuosità ed inefficacia politica.
Concordo allora con Bagnasco, quando con garbatezza e tatto suggerisce al termine del suo Profilo: «uscire da Torino», espressione che malauguratamente non è apparsa come titolo principale. Certo con meno tatto e garbatezza
quell'«uscire da Torino» io lo interpreto senza eufemismi come un invito: «Torino datti una smossa!».
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