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Il quadro normativo appena analizzato presenta diverse incongruenze

rispetto alla normativa costituzionale.

Ad essere violato è, innanzitutto, il principio di legalità della pena,

sancito all’art. 25, comma 2, Cost..

La condanna penale infatti, comporta necessariamente una limitazione

sia della libertà personale, sia quelle altre posizioni soggettive di

libertà strettamente correlate alla condizione detentiva.

La domanda che ci si potrebbe porre è quindi se, tra gli effetti afflittivi

collaterali della sanzione detentiva, rientri legittimamente anche la

compressione del diritto alla sessualità del detenuto.

La risposta pare ovviamente affermativa, ma solo nella misura

imposta dalle esigenze di sicurezza; al di fuori di queste “la

limitazione acquisterebbe unicamente un valore afflittivo

supplementare rispetto alla privazione della libertà personale, non

compatibile” con la Carta costituzionale42.

Questo è quanto accade per tutti i detenuti, ristretti o internati, perché

il loro diritto alla sessualità non è semplicemente circoscritto, semmai

integralmente negato, e quando la prevalenza di uno degli interessi in

gioco comporta il totale sacrificio dell’altro, siamo certamente fuori

dalla logica di un corretto bilanciamento costituzionale.

La stessa linea argomentativa conduce a individuare una ulteriore

soppressione della libertà personale del detenuto, intesa nel senso più

stretto e autentico di libera disponibilità del proprio corpo ex art. 13,

comma 1, Cost..

Secondo una giurisprudenza costituzionale consolidata, “chi si trova

in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua libertà

personale, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in

quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua

personalità individuale”, e questo residuo è esercitabile

compatibilmente con le limitazioni che lo stato di detenzione

necessariamente comporta.43

Quanto affermato, potrebbe valere per il diritto al godimento sessuale

del proprio corpo, che quindi potrebbe trovare soddisfazione

all’interno di appositi spazi carcerari secondo modalità compatibili

con le esigenze di sicurezza proprie dello stato detentivo.

Con la negazione del diritto alla sessualità dietro le sbarre si mette

inoltre a rischio anche la finalità rieducativa cui tutte le pene “devono

tendere”, secondo quanto prescritto nell’art. 27, comma 3, Cost..

Nell’affermare ciò, la norma costituzionale detta direttive vincolanti

per l’organizzazione e l’azione delle istituzioni penitenziarie che,

viceversa, l’astinenza sessuale coatta elude; essa, infatti, ostacola il

mantenimento di quelle relazioni familiari insostituibili nel difficile

percorso di recupero del reo ed essenziali per il suo futuro

reinserimento sociale.

Escludendo il rapporto sessuale con il partner, la sanzione rischia così

di produrre una sterilizzazione affettiva e relazionale che colpisce non

solo il detenuto, condannato così ad una ingiustificata solitudine causa

di depressioni psicofisiche gravi; ma anche i suoi familiari, vittime

dimenticate la cui sfera affettiva inevitabilmente si comprime in

ragione di una condanna per un reato che non hanno mai commesso.

Ancora, risulta violato anche l’art. 32, commi 1 e 2, Cost., posto a

garanzia del diritto alla salute, sia individuale che collettiva.

Per quanto attiene al primo profilo, con ''stato di salute'' non si intende

solo una mera assenza di malattia, bensì uno stato complessivo di

benessere fisico e di equilibrio psichico.

Quanto al profilo dell’interesse della collettività, è sufficiente il

richiamo al recente parere del Comitato Nazionale di Bioetica

(approvato, all’unanimità, il 27 settembre 2013)44 per la dimostrazione di come e perché la tutela della salute negli istituti penitenziari si

ripercuota sulla salute dell’intera comunità. Ciò è particolarmente

vero, nel caso di specie, se solo si pone mente agli effetti collaterali

dell’astinenza sessuale cui è costretto il detenuto.

Favorendo il ricorso a pratiche omosessuali, indotte o addirittura

coercite, la repressione delle pulsioni sessuali è responsabile di una

intensificazione dei rapporti a rischio, che incrementa in maniera

44 http://presidenza.governo.it/bioetica/pdf/4La%20salute%20dentro%20le %20mura.pdf

significativa la diffusione di malattie infettive sessualmente

trasmissibili.

Da qui deriva una situazione paradossale, ovvero che il carcere “fa

ammalare anche chi è in buona salute. Non a caso la prigione è l’unico

luogo in cui si apre una cartella clinica a una persona sana, che non è

malata, ma che probabilmente lo diventerà”45

Ultima, non certo per importanza, è la lesione al principio della

dignità personale del detenuto.

Al riguardo, la Consulta ha definito il diritto alla sessualità, corollario

dell'affettività, come “uno degli essenziali modi di espressione della

persona umana [...] che va ricompreso tra le posizioni soggettive

direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti

inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost. impone di

garantire” .46

Una volta che si è attribuito al diritto alla vita sessuale un valore

costitutivo della dignità di ogni persona, certamente non può essere

negato al soggetto detenuto in ragione della sua condizione di

cattività, compatibile con l’esercizio di quel diritto.

Certamente, modalità del sesso immaginato e solitario, come pure

dell’omosessualità, rientrano tra le espressioni legittime della propria

sessualità, ma solo alla condizione che siano il frutto di una libera

45 Castellano L, Stasio D., Diritti e castighi, storie di umanità cancellata in

carcere , 2009

scelta; se invece, sono il risultato di un consenso rassegnato alla

situazione detentiva, il ricorso a determinate pratiche assume tutt’altro

significato: quello di un avvilimento del detenuto e del degrado della

sua dignità personale.47

Guardando poi all'altra faccia dell'affettività, ovvero quella del

rapporto con altri familiari ed in particolare i figli minori, la nostra

Carta costituzionale prende in considerazione specifici diritti

inviolabili e valori fondamentali; anzitutto il primato della persona

sancito all'art. 2, per il quale l'essere umano essendo insieme spirito e

corpo assume un ruolo primario in ogni ordine sociale, e per questo i

soggetti pubblici e privati devono consentirgli di raggiungere la piena

realizzazione come persona, a ciò si collega il fatto che lo Stato è

tenuto a rispettare la dignità umana e i diritti inviolabili, nonostante la

detenzione del soggetto.48

Analizzando ancora l'art.2, si evidenzia il principio di solidarietà nei

rapporti con familiari e conviventi; la solidarietà infatti è alla base di

ogni rapporto umano e per questo si ritiene che la potestà punitiva

verso il recluso vada esercitata in modo da permettere ai familiari e ai

conviventi di mantenere e coltivare i rapporti.

Questo principio quindi deve costituire un solido punto di riferimento

per il detenuto, anche in un momento successivo alla scarcerazione, al

47 Pugiotto A., La ''castrazione''della sessualità del detenuto come problema di

legalità costituzionale in Ristretti Orizzonti

fine di innescare nel soggetto un processo autocritico di quanto

commesso.49

Da ricordare infine, il combinato disposto dagli artt. 29 30 e 31 dai

quali si desume l'interesse dell'ordinamento per i componenti della

famiglia e per i figli, affermando che la detenzione deve incidere il

meno possibile sul ménage familiare, facilitando incontri e colloqui,

riducendo altresì gravi traumi e scompensi, specie sui figli minori.50

49 Mastropasqua G., op.cit., pagg. 29-30 50 Mastropasqua G., op. cit, pagg. 35-38

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