LE DIMENSIONI DELL'AFFETTIVITA'
3.4 La tutela della famiglia e della coppia
L’ordinamento penitenziario, nel rispetto dei principi e dei diritti
costituzionalmente garantiti, assegna grande rilevanza al
mantenimento delle relazioni familiari.
La famiglia infatti, è considerata come risorsa nel percorso di
reinserimento sociale del reo, al punto che il rapporto con la famiglia è
uno degli elementi del trattamento individuati dall’art. 15 O.P.68
Il problema della tutela della vita familiare introduce una serie di
delicate problematiche riguardo al difficile equilibrio tra l’esigenza
punitiva dello Stato e la garanzia dei diritti fondamentali della
persona; a questo delicato equilibrio fanno riferimento le Regole
penitenziarie europee quando, all’art. 64, stabiliscono che “…la
detenzione, comportando la privazione della libertà, è punizione in
quanto tale.
La condizione della detenzione e i regimi di detenzione non devono,
quindi, aggravare la sofferenza inerente ad essa, salvo come
circostanza accidentale giustificata dalla necessità dell’isolamento o
dalle esigenze della disciplina”.
Le relazioni familiari sono considerate, poi, un elemento essenziale
anche nel successivo art. 65, lettera c) dove si legge che “…ogni
sforzo deve essere fatto per assicurarsi che i regimi degli istituti siano
regolati e gestiti in maniera da mantenere e rafforzare i legami dei
detenuti con i membri della loro famiglia e con la comunità esterna, al
fine di proteggere gli interessi dei detenuti e delle loro famiglie”.
La problematica relativa al rapporto tra detenzione e famiglia non
68 Brunetti Carlo, Pedagogia penitenziaria, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006 pag. 278
interessa solamente gli aspetti privativi riguardanti il soggetto recluso,
ma produce i suoi effetti anche nei confronti dei familiari del
medesimo69.
La detenzione rappresenta un evento fortemente traumatico per gli
individui che ne vengono coinvolti; al detenuto, infatti, non è dato di
decidere con chi coltivare rapporti e gli affetti rimangono
drammaticamente fuori da ogni possibilità di scelta.
La solitudine, la lontananza e, quindi, l’impossibilità di avere continui
e regolari contatti con i propri cari sono spesso la causa di un crollo
psicofisico, di cui risente tutta la famiglia, con la conseguenza di una
inevitabile frantumazione del rapporto emotivo-sentimentale.
L’individuo è costretto ad abbandonare il suo lavoro, la sua abitazione,
gli affetti, ovvero tutti quegli elementi che costituivano il suo progetto
di vita, per questo il carcere può rappresentare una seria “minaccia per
gli scopi di vita dell’individuo, per il suo sistema difensivo, per la sua
autostima ed il suo senso di sicurezza”70, una minaccia che nel tempo si concretizza in una progressiva disorganizzazione della personalità.
Alla luce di tali premesse i colloqui con i familiari finiscono per
rivestire un ruolo di grande importanza, perché costituiscono gli unici
momenti in cui i detenuti riescono a riportare in vita i propri legami
sociali e il proprio passato.71
69 Sono stati infatti definiti ''vittime dimenticate'', J. Matthews, Forgotten victims.
How prison affects the family, Nacro, London 1983
70 Santoro Emilio, Carcere e società liberale, 1997 71 Brunetti C., op. cit pag. 299
Con l’ingresso in carcere, le possibilità di coltivare e far crescere le
relazioni affettive diventano sempre minori, giungendo, spesso, ad una
forma di privazione che contiene in sé la sospensione dei rapporti
umani e delle relazioni personali; i legami affettivi, quindi, possono
definirsi dilazionati nel tempo e nello spazio e le relazioni vissute in
senso negativo: come mancanza o perdita, lasciando, in coloro che
vivono tale situazione, emozioni a volte difficili da gestire.
Queste relazioni, frequentemente, però, si rivelano in bilico poiché
sono costituite da bisogni insoddisfatti, mancanza di affetto e di gesti
di intimità; se consideriamo il fatto che un rapporto di coppia è
composto da una parte affettiva e da una parte corporea e sessuale,
possiamo notare che in carcere non è possibile vivere entrambe le
sfumature.
Un ulteriore fattore di rischio per la coppia, poi, risulta essere il
tempo: ad una maggior durata della pena spesso corrisponde un
affievolimento del legame, che può sfociare anche in un
allontanamento definitivo.
I legami esistenti prima dell’ingresso in carcere, che avevano resistito
al trauma causato già dalla commissione del reato, possono logorarsi o
spezzarsi durante la reclusione a causa della distanza sia fisica sia
ideale che divide il detenuto dal partner o dai suoi figli.
Per questi motivi, spesso, durante il periodo della carcerazione, si può
di solitudine; è chiaro, quindi, che ad essere punita, sul fronte
dell’affettività, non è solo la persona reclusa, ma anche tutta la sua
famiglia o tutte quelle persone con le quali il detenuto aveva una
relazione affettiva prima dell’ingresso nell’istituto penitenziario.
La Costituzione italiana afferma che il detenuto, tramite la pena, deve
essere rieducato e ri-socializzato, ma ciò diventa assai complicato se
lo si priva della possibilità di vivere le relazioni affettive che fanno
parte della sua identità.
Accade spesso che i familiari vengano idealizzati durante la
detenzione, tanto che al momento dell’uscita capita sovente che il
detenuto si trovi di fronte persone che sembrano essere degli estranei,
sia che venga percepito come un estraneo anch'esso che irrompe nella
vita familiare destabilizzando quell’equilibrio che si era creato dopo la
sua partenza.
Si può evidenziare quindi come incontri frequenti e intimi con le
persone con le quali vi è un legame affettivo abbiano un ruolo
insostituibile nel difficile percorso di recupero del reo: da qui
l’esigenza di avvicinare, per quanto possibile, il recluso al mondo
esterno e, in particolare, a quello dei suoi affetti.72
Consentire la affettività in carcere (come del resto già avviene in altri
Paesi europei, vedasi l'esempio esemplare del carcere norvegese di
Halden, definito dal ''Time'' come il ''carcere più umano del mondo'',
comprensivo di locali adibiti agli incontri tra detenuti e familiari,
arredati come se fossero una vera e propria abitazione)73, permetterebbe di agevolare il reinserimento sociale attraverso la
valorizzazione dei legami personali e, nel contempo, attenuerebbe la
solitudine che accompagna i detenuti durante il periodo di espiazione
della pena.74
In Italia, si ha invece l’impressione che, se nella società dei ‘liberi’ la
sessualità viene esibita e strumentalizzata al fine di depotenziarne la
carica creativa e liberatrice, in carcere essa è direttamente taciuta e
controllata.
Gli operatori sono infatti chiamati a non tenere conto di questo
aspetto, almeno finché non divenga un problema per l’ordine
penitenziario.
Per la maggioranza dei membri della classe politica e per gran parte
l’opinione pubblica, poi, la questione neppure si pone.
Il carcere viene considerato una sorta di luogo metaforico, un buco
nero nel quale deve finire chi viola la legge; persino nella letteratura
sociologica e giuridica il tema della sessualità dei detenuti e delle
detenute è stato quasi completamente tralasciato. 75
La negazione della sessualità però, non può considerarsi come un
effetto trascurabile della reclusione; si tratta piuttosto di una punizione
73 Sappino Luca, Affettività in carcere, in cantiere una legge, da L'Espresso, 03 Novembre 2015
74 Brunetti C., op. cit. pag. 308
aggiuntiva particolarmente afflittiva, tanto che si potrebbe ipotizzare
che rientri in una definizione ampia del concetto di “trattamento
degradante”.76
Come ha ricordato Adriano Sofri, la privazione della sessualità non è
una semplice “privazione-vuoto”; è piuttosto una “distorsione” che
porta con sé dolore e malattia.77
Nella castità forzata vi è una violenza istituzionale che nessuna legge
ha formalmente autorizzato e le testimonianze dei detenuti e delle
detenute sono cariche di sofferenza: l’astinenza forzata e il carattere
unisessuale del carcere sono descritti come una vera e propria “tortura
mentale”. 78
L’impossibilità di mantenere relazioni con l’altro sesso fa infatti
nascere la paura di perdere non soltanto i legami affettivi istaurati
prima dell’ingresso in carcere, ma anche la propria capacità emotiva e
persino la propria identità sessuata.
Molti detenuti dichiarano un’apatia sessuale e sentimentale che
sembra essere il correlativo della più generale afflizione che il corpo
incarcerato è costretto a subire: dalla progressiva deprivazione
sensoriale alla fissazione su alcune funzioni corporee, come quella
digerente, fino al rifiuto di se stessi e della vita. 79
76 Cassese A, Umano-Disumano. Commissariati e prigioni nell'Europa di oggi, Laterza 1994, pag. 63
77 Ceraudo F., Sofri A, op.cit, pag. 96
78 Toch H., Men in crisis.Human breakdowns in prison, Chicago 1975, pag. 186 79 Morelli F, Il sesso in carcere, quello che non si dice...e non si fa, in Associazione
L'altra faccia della medaglia riguarda invece le donne detenute, verso
le quali una diffusa e consolidata visione sessista sostiene che la
negazione della loro sessualità sia meno problematica rispetto ai
maschi; niente di più falso.
La repressione sessuale nelle carceri femminili è particolarmente
sentita, poiché essa è limitata all’impossibilità di intrattenere rapporti
sessuali con uomini; la definizione e la gestione della sessualità, del
rapporto fra questa e l’identità di genere, il controllo della
riproduzione sono piuttosto da considerarsi per le donne come “le
matrici dell’assoggettamento di sé all’altro”.80
L’immagine tipica della donna deviante è quella della prostituta: la
donna incarcerata è, prima di tutto, una “cattiva madre”, una “cattiva
moglie” e una “cattiva figlia” che il carcere deve rieducare, perché si
adegui al ruolo assegnatole all’interno della famiglia.
Nell’ambiente unisessuale del carcere, la donna ‘che non è riuscita ad
adempiere il proprio ruolo di moglie e di madre’ è spesso ricondotta
proprio a questo ruolo dalle stesse attività trattamentali.
In questo contesto, l’incapacità di svolgere le funzioni materne o,
peggio ancora, la negazione della possibilità di divenire madre sono
un grande motivo di preoccupazione per le detenute. 81
Nelle carceri italiane in sostanza, ll diritto a non soffrire pene
80 Pitch T., There but for fortune...Le donne e il controllo sociale, in Pitch T.,
Diritto e rovescio. Studi sulle donne e il controllo sociale, Esi,Napoli 1987, pag.9
81 Campelli E, Donne in carcere. Ricerca sulla detenzione femminile in Italia, Feltrinelli Milano 1992, pag 192
aggiuntive alla privazione della libertà, sancito dalla legislazione
nazionale e internazionale, è del tutto ignorato.
Essere detenuti e detenute infatti, significa vedere gravemente limitate
le proprie relazioni interpersonali e la possibilità stessa di esprimere le
proprie emozioni.82