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della propria lingua materna non può prescindere dal prevederli insieme; e un progetto di espansione delle capacità lessicali deve perseguire ampiezza e profondità in modo da innescare un circuito virtuoso capace di generare per autoapprendimento un incremento continuo»171.

3.2) COME SI COSTRUISCE L’APPRENDIMENTO

Esistono due modelli principali di apprendimento: il comportamentismo (o behaviorismo172) secondo il quale “imparare” significa “associare” e il cognitivismo per il quale l’apprendimento consiste nello sviluppo di sistemi di elaborazione delle informazioni. I modelli cognitivi studiano l’attività mentale in termini di operazioni nell’elaborazione delle informazioni e dei processi risultanti da tali operazioni. Fra questi modelli possiamo inserire anche i modelli costruttivisti.

Secondo i modelli cognitivisti (e costruttivisti) l’apprendimento dipende interamente dall’attività cognitiva del soggetto e ogni situazione, fatto, evento, oggetto, può essere oggetto di apprendimento. L’attività cognitiva si basa sulle conoscenze di cui il soggetto dispone e alla fine di ogni situazione di apprendimento il soggetto avrà modificato le sue conoscenze e di conseguenza anche la propria modalità di svolgere attività mentali. Ogni situazione di

171 Ibidem, pag.38: «Un piano di insegnamento/apprendimento del lessico deve concorrere ad agevolare la conservazione delle conoscenze lessicali nella memoria a lungo termine favorendo l’acquisizione di quegli elementi di qualità che facilitano i meccanismi di rappresentazione, immagazzinaggio e accesso al lessico. Tra i molti elementi che entrano in un piano di alfabetizzazione lessicale particolare attenzione è riservata agli aspetti in grado di rinforzare i meccanismi acquisizioni già esistenti: si favoriscono i rapporti di senso per specificare per differenza e confronto il significato e le accezioni delle parole; si lavora sulla configurazione sintattica e le collocazioni per dare il senso delle solidarietà sintagmatiche; si attiva il riconoscimento e la produzione degli affissi, sia prefissi sia suffissi, e dei confissi (elementi come biblio-, crono-, fono- ecc.) per generare le regole di funzionamento di derivazione e composizione: tutti gli elementi che fanno assieme quantità e qualità della conoscenza lessicale e potenziale di sviluppo per un apprendimento che sappia autogenerarsi di continuo per le necessitò della parole e della lingua».

172 Oltre al behaviorismo, c’è da segnalare un’altra teoria meno radicale, ma ugualmente “riduzionista”: il funzionalismo. Anziché i comportamenti, gli stati mentali sono ridotti a stati funzionali più complessi dei singoli schemi stimolo-risposta tipici del comportamentismo. All’interno del funzionalismo è possibile riconoscere più momenti, il primo è stato principalmente espresso da William James in The principale of Psychology (1890) e da John Dewey in The new Psychology (1884) ed è legato alla tradizione del pragmatismo americano in una prospettiva evoluzionista: le funzioni mentali sono attività globali non scomponibili, processi dinamici di carattere strumentale utili all’adattamento.

Accanto a questo funzionalismo classico tardo-ottocentesco, c’è il funzionalismo computazionale proposto negli anni Sessanta-Settanta del Novecento dal filosofo e matematico Hilary Whitehall Putnam. In questo caso le funzioni, anziché delle reazioni adottive sono considerate come di programmi: la mente è paragonata a un computer (o meglio alla sua forma più semplice, la macchina di Turing) e gli uomini ad automi probabilistici. Sia il comportamentismo e del funzionalismo sono da considerarsi teorie superate: il primo non rende conto degli stati mentali non accompagnati dal comportamento; il secondo non spiega la natura degli stati funzionali soggettivi e degli stati “intenzionali” (come le credenze e i desideri).

apprendimento pone il soggetto davanti a un problema che non è in grado di risolvere se non utilizzando le informazioni di cui dispone e trasformarle in conoscenze. Questo avviene attraverso quello che si definisce un conflitto cognitivo che pone il soggetto a cambiare o riorganizzare le proprie conoscenze, a volte addirittura ad abbandonarle, ma comunque sempre a costruirne di nuove.

In particolare a scuola, queste situazioni di apprendimento prevedono anche che ci sia interazione fra diversi soggetti di pari livello (gli alunni) e/o con diverso grado di conoscenza (alunno/insegnante) attraverso il confronto, il dibattito, la produzione di ipotesi, l’esplorazione e la verifica delle possibilità, l’elaborazione e la costruzione di una nuova conoscenza.

Il nostro punto di partenza è che ogni situazione di apprendimento, oltre al contenuto specifico di quella singola esperienza di apprendimento ha in sé una componente aggiuntiva legata all’imparare nuove nozioni: quella linguistica. Con ciascun nuovo contenuto si acquisiscono nuovi termini e alle questioni lessicali si aggiungono anche questioni sintattiche e più in generale grammaticali da non sottovalutare.

A scuola, è anche importante fare specifiche distinzioni tra il linguaggio orale e il linguaggio scritto, e, all’interno del linguaggio orale, anche tra il linguaggio interiore e il linguaggio esteriore destinato alla comunicazione, la situazione linguistica che accompagna l’azione e il linguaggio evocativo per raccontare gli avvenimenti nella loro assenza. Per tutte queste capacità linguistiche la lettura risulta essere fondamentale. Anzi, di più, molto spesso i bambini utilizzano le formule ricorrenti nei libri per bambini (“C’era una volta…”, “In un paese lontano lontano…”) per la costruzione della propria comunicazione, in particolare quelle dove si utilizza la funzione evocativa del linguaggio173.

L’appropriazione attiva del linguaggio orale e lo sviluppo delle competenze connesse a questa capacità, dunque, è decisiva per qualunque forma di apprendimento. Ecco perché l’apprendimento della lingua prima e della lettura e scrittura poi (anche laddove ci si trovi a imparare una lingua straniera) costituiscono la matrice fondamentale di ogni apprendimento.

173 La questione delle funzioni del linguaggio verbale è al centro del dibattito culturale sin dall’antichità. Il tema è affrontato nell’Encomio di Elena di Gorgia, e nel De interpretazione di Aristotele in cui si distinguono la semantica (designativa), genericamente significativa di qualche cosa, la apofantica (enunciativa) che produce enunciati veri o falsi. Questa bipartizione si ripresenta più volte nella storia delle dottrine linguistiche (funzione denotava, descrittiva comunicativa, prosastica da un lato e funzione connotativa, emotiva, espressiva o poetica dall’altro)… Anche laddove non si tratta più di una semplice bipartizione, come per esempio in K. Bühler che distingueva tra funzione rappresentativa (incentrata sul referente), espressiva (che mette in primo piano l’emittente), appellativa (incentrata sul suscitare reazioni nel ricevente); o in R, Jakobson che distingueva 6 funzioni emotiva (incentrata sull’emittente), contava (che vuole suscitare reazioni nel ricevente), referenziale (relativa alla rappresentazione e comunicazione di un qualunque contenuto), poetica (legata alle caratteristiche formali del messaggio), fatica (relativa al controllo della corretta trasmissione del messaggio), metalinguistica (relativa alla struttura del messaggio stesso).