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La co-creazione di valore nella Smart Factory: analisi della letteratura e opportunità di crescita

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Obiettivi. Il presente lavoro intende porre in evidenza gli impatti organizzativi e gestionali che la digitalizzazione

dei processi ha sulle imprese manifatturiere. In particolare, data l’attualità dell’argomento, s’intende divulgare l’approccio della “fabbrica intelligente” e stimolare le aziende ad adottare strumenti innovativi in grado di autonomizzare i propri processi produttivi. Inoltre, essendo l’argomento trattato soprattutto da un punto di vista ingegneristico, informatico e di progettazione industriale, l’obiettivo consiste nel fornire un contributo teorico agli studi manageriali e organizzativi. Questi ultimi si sono focalizzati sulle conseguenze che i Big Data hanno sul comportamento del consumatore, sulla relazione tra Big Data e modelli di business (Rialti et al., 2016), sulla relazione tra tecnologie ICT e risultati economici. Le innovazioni tecnologiche, infatti, conducono al miglioramento non solo delle prestazioni, dei processi logistici e di produzione, ma anche dei risultati economici in termini di redditività (Belvedere e Grando, 2016). Molti, invece, gli studi che si occupano della digitalizzazione attraverso le stampanti in 3D (Berman, 2012; Cautela et al., 2014; Pisano et al., 2014).

Metodologia. La metodologia utilizzata consiste nell’analisi dei contributi della letteratura nazionale e

internazionale e di documenti, report, atti di convegno, pubblicazioni di società di consulenza e siti internet, al fine di cercare di cogliere i cambiamenti e le opportunità di crescita derivanti dall’attualizzazione di politiche Industry 4.0.

Risultati. Vengono di seguito elencati alcuni dei più significativi concetti rilevati in letteratura.

Quando si parla di “co-creazione di valore”, s’intende un approccio di tipo collaborativo, che consente alle imprese e ai clienti di creare valore aggiunto attraverso l’interconnessione (Galvagno, 2014).

L’interazione, l’interdipendenza e lo scambio d’informazioni tempestive, anche a distanza, comportano per le imprese la necessità di dotarsi di sistemi innovativi per cogliere e soddisfare le esigenze, sempre più complesse, dei clienti (Aquilani et al., 2016). In effetti, i consumatori di oggi sono sempre più pretenziosi: nonostante abbiano la possibilità di scegliere tra una molteplicità di prodotti e di servizi, sembrano essere sempre inappagati. Per creare valore, mantenersi sul mercato, conservare la clientela, o addirittura incrementarla, è dunque necessario realizzare prodotti personalizzati (Prahalad, 2004).

Con riferimento al periodo attuale, quello della “digital transformation”, la co-creazione di valore avviene attraverso la gestione di un grande quantitativo di dati, i Big Data, in grado di interconnettere imprese e clienti da ogni parte del mondo. Lo sviluppo delle attività in ottica di cooperazione e l’utilizzo di una grande mole di dati rappresentano il driver primario del cambiamento inarrestabile che è in atto (Xie et al., 2016).

Le aziende devono modificare i loro modelli di business, investire nella formazione del personale, migliorare i processi interni, investire in strumenti e attività di gestione. Come risultato, il cambiamento del mercato di riferimento, non più standardizzato, ma diversificato (Caso e Massarotto, 2016): si realizzano prodotti personalizzati, il cui valore aggiunto consiste nell’intelligenza dei prodotti e dei servizi e nella capacità di creare relazioni lungo tutta la catena del valore, allo scopo di scambiare conoscenze e informazioni (Carrus, 2014).

Industry 4.0: i cambiamenti in atto con la quarta rivoluzione industriale

La gestione di un grande quantitativo di dati, l’utilizzo delle tecnologie digitali per connettere, innovare e governare l’intera catena del valore hanno dato avvio in Germania, nel 2011, al piano Industry 4.0, con l’obiettivo di adottare una strategia di digitalizzazione della manifattura e della logistica, mediante lo sviluppo di sistemi Cyber- fisici in grado di raccogliere grandi quantità di dati, e mettere in comunicazione tra loro le macchine, attraverso l’utilizzo dell’Internet of Things (National Accademy of Science and Engineering, 2015).

La rete è lo strumento con cui avviene la comunicazione tra realtà fisica e realtà virtuale: le macchine e i prodotti comunicano tra loro e le macchine sanno autonomamente cosa produrre (Cappellin et al., 2017).

Un programma Industry 4.0 si basa sui seguenti componenti:

1) fabbrica intelligente, in cui tutte le risorse si scambiano informazioni in maniera automatica e i processi di produzione (progettazione del prodotto e pianificazione della produzione) sono autonomi e indipendenti;

*

Ricercatore di Economia e gestione delle imprese - Università degli Studi di Bari Aldo Moro e-mail [email protected]

Dottorando di Ricerca in Economia e Management - Università degli Studi di Bari Aldo Moro

e-mail: [email protected]

Dottore di Ricerca in Gestione dei processi produttivi, innovazione e tecnologia - Università degli Studi di Bari Aldo Moro

2) attività di business, basate sull’integrazione dei sistemi di comunicazione tra fornitori, clienti, produttori, al fine di scambiare dati in tempo reale e ridurre fenomeni quali inquinamento, emissioni, materie prime utilizzate; 3) prodotti intelligenti, con sensori integrati e processori in grado di trasmettere informazioni;

4) clienti, che possono richiedere prodotti con qualsiasi funzione e cambiare l’ordine in qualsiasi momento del processo di produzione. I prodotti intelligenti forniscono attività di guida e supporto al cliente, durante il loro utilizzo (Qin et al., 2016).

Anche gli Stati Uniti d’America hanno dato avvio a un progetto del tipo Industry 4.0, con l’obiettivo di digitalizzare i processi produttivi. In tal senso, nel 2011, hanno lanciato il piano “Advanced Manufacturing Partnership” al fine di innovare la manifattura del Paese, incrementarne la produttività e ridurne i costi. Con maggior ritardo, la Francia, che ha lanciato il Programma “Alleanza per l’Industria del Futuro” per implementare il processo di digitalizzazione a sostegno dell’innovazione, così come, nel 2016, l’Italia, con l’approvazione del piano “Industria 4.0” (http://www.economyup.it).

L’Industria 4.0 è quindi “un nuovo modello economico per il mondo industriale” (Peressotti, 2016, 44), basato sull’evoluzione del paradigma della produzione, attraverso il cambiamento tecnologico e l’adozione della logica per processi. Molti studiosi definiscono tale cambiamento come quarta rivoluzione industriale.

Dalla prima rivoluzione industriale, risalente al diciottesimo secolo, con l’introduzione del telaio meccanico e l’utilizzo dell’energia a vapore, si è passati alla seconda rivoluzione industriale, nel ventesimo secolo, con le produzioni di massa e la catena di montaggio. La terza rivoluzione industriale, negli anni ‘70, ha portato la diffusione dei computer, dell’elettronica e delle tecnologie ICT per automatizzare i processi produttivi. La quarta rivoluzione, quella attuale, prevede la connessione tra sistemi fisici e digitali, l’utilizzo di macchine intelligenti, in grado di comunicare tra loro e con l’uomo (http://www.sviluppoeconomico.gov.it).

L’interazione tra uomo e macchina conduce alla creazione di prodotti innovativi: si pensi ad esempio “alle auto che guidano da sole, ai robot, ai drone, ai sistemi intelligenti impiegati in agricoltura” (Cappellin et al., 2017, 278). Industry 4.0 e nuova concezione della supply chain

Secondo uno studio condotto dalla famosa società di consulenza americana, la Boston Consulting Group, le tecnologie abilitanti dell’Industry 4.0 sono le seguenti:

Soluzioni di manifattura avanzata, ossia robot collaborativi, autonomi e programmabili, in grado di interagire tra loro e con le persone;

Realtà aumentata, cioè l’insieme di strumenti che consentono di aggiungere informazioni a quelle realmente percepibili;

Simulazioni, che consentono di ottimizzare prodotti e processi, minimizzando il numero di errori;

Integrazione verticale/orizzontale delle informazioni lungo tutta la catena del valore, dal fornitore al consumatore;

Cybersecurity, cioè l’esigenza di proteggere i sistemi informatici, garantendone la sicurezza in rete;

Big Data, ossia la raccolta e l’analisi di grandi quantità di dati per ottimizzare i prodotti e i processi produttivi; Cloud, ossia l’esigenza di condividere un grande quantitativo di dati aziendali;

Industrial Internet of Things, cioè l’insieme delle tecnologie e dei sensori che consentono la comunicazione tra mondo artificiale e persone, tra prodotti e processi produttivi (Rüßmann et al., 2015).

Non si tratta di progetti troppo avveniristici, poiché parte di queste tecnologie sono già da tempo in uso: si pensi alle stampanti 3D, alla tecnologia RFID o alla realtà aumentata. Il cambiamento in atto consiste nella capacità di far interagire i prodotti tra loro, realizzando un nuovo modello produttivo e dando origine a una nuova relazione tra clienti e fornitori.

Il mondo sta diventando sempre più “smart”: la fabbrica smart rappresenta una soluzione di produzione che fornisce processi flessibili, dinamici, agili e adattivi, grazie all’utilizzo dell’automazione, intesa come combinazione di risorse hardware e software che porta l’ottimizzazione della produzione e la riduzione degli sprechi (Radziwon et al., 2014). Nella fabbrica intelligente le macchine e i robot comunicano tra loro e sono in grado di prendere decisioni in autonomia, di auto-aggiornarsi, di auto-apprendere e di auto-adattarsi ai cambiamenti (National Accademy of Science and Engineering, 2013; Rüßmann et al., 2015).

I processi di produzione sono ottimizzati e le linee di produzione sono automatizzate, ciò comportando la riduzione degli errori e degli sprechi, dei costi di magazzino, di gestione e di movimentazione, nonchè il miglioramento della qualità e la riduzione del time to-market (Oesterreich et al., 2016). In questa maniera le attività di controllo e di manutenzione possono essere svolte anche a distanza (Lee et al., 2014).

Come risultato, la creazione di una catena del valore agile e intelligente (Schumacher et al., 2016).

Tradizionalmente la creazione di valore è stata considerata da un punto di vista finanziario (quando i ricavi sono superiori alle spese o al costo del capitale). Oggi, invece, la creazione del valore è determinata da assets intangibili come il miglioramento dei processi, l’innovazione, la conoscenza e gli investimenti in capitale umano (Tonelli et al., 2016).

La supply chain integrata consente di monitorare grandi quantità di dati in tempo reale, di tracciare lo stato e la posizione delle merci e di controllare da remoto l’intero processo di produzione. In questa maniera è possibile garantire la tracciabilità dei prodotti, introdurre nuovi sistemi di progettazione grazie alla realtà aumentata e ai

LA CO-CREAZIONE DI VALORE NELLA SMART FACTORY: ANALISI DELLA LETTERATURA E OPPORTUNITÀ DI CRESCITA

sistemi di modellazione in 3D, gestire a distanza gli asset della fabbrica e utilizzare nuovi sistemi d’intelligenza artificiale per la programmazione (Brettel et al., 2014).

Inoltre, il ricorso all’automazione comporta la necessità di dotarsi di personale competente e specializzato: alle attività tecnico-manuali, si preferiscono quelle di progettazione e di problem solving, per prevenire guasti e anomalie durante lo svolgimento del processo produttivo.

Altro elemento distintivo è la prospettiva di collaborazione con cui si opera, grazie alla quale è possibile la formazione di un’organizzazione dinamica (Radziwon et al., 2014): l’integrazione orizzontale, per facilitare la collaborazione tra società; l’integrazione verticale, per facilitare le relazioni all'interno dei sottosistemi della fabbrica; l’integrazione della catena del valore, per supportare le attività di progettazione, pianificazione e sviluppo del prodotto (Wang et al., 2016).

Di conseguenza, si ha la trasformazione dell’intera catena del valore, dalle attività di progettazione a quelle post-vendita, con conseguenze rilevanti sulla redditività e sull’efficienza del capitale investito. Secondo i primi studi condotti (tra cui quello della società Roland Berger), si dimostra come l’introduzione di un modello Industry 4.0 comporta un incremento della redditività, con una conseguente riduzione del capitale investito (Peressotti, 2016):

ROCE = profitability * IC

L’incremento di redditività deriva dall’elevato grado di personalizzazione dei prodotti e dall’aumento della flessibilità. La riduzione del capitale investito, invece, deriva dagli asset più flessibili, dalla riduzione dei tempi di attesa e dei fermi macchina, dalla riduzione degli scarti e dai flussi più scorrevoli (Blanchet et al., 2016).

Un sistema così complesso ma anche così evoluto e automatizzato, a fronte della riduzione delle tempistiche, della migliore gestione degli spazi, del completo soddisfacimento del cliente, della riduzione dei costi, dello snellimento della produzione, comporta la probabilità di subire attacchi informatici con conseguente perdita di dati o interruzione del processo di produzione, rendendosi perciò necessario innalzare il livello di sicurezza per garantire l’affidabilità dei flussi dei dati ed evitarne la dispersione.

Industry 4.0: realtà o illusione?

La definizione di piani applicativi dell’Industry 4.0 e di regolamentazioni ad hoc nei singoli Paesi, inducono a pensare che le imprese stessero realmente adoperandosi per applicare le politiche digitali ai loro processi produttivi.

Ma è possibile verificare se le PMI italiane stiano realmente realizzando progetti 4.0? È possibile misurare il livello di realizzazione della fabbrica digitale?

Con lo scopo di accrescere la competitività e la produttività del nostro Paese in una prospettiva internazionale, è stato di recente avviato il progetto “The European House Ambrosetti”, realizzato con la collaborazione di ABB Italia, società italiana leader nelle tecnologie per l’energia e l’automazione, Toyota Material Handling Europe e Unilever.

Questo prevede l’elaborazione di un apposito indicatore di attrattività, il Global Attractiveness Index (http://www.tecnoedizioni.com), per valutare il grado di attrattività del nostro Paese.

Tale indicatore viene calcolato considerando diversi aspetti, tra cui il grado di innovazione, di efficienza e dotazione di assets (http://www.industriaitaliana.it); l’Italia si colloca quattordicesima rispetto ad altri 143 Paesi.

L’obiettivo del progetto è quello di migliorare il posizionamento strategico dell’Italia e il grado di innovazione, stimolando le imprese a investire in progetti ad elevata digitalizzazione e puntando al potenziamento del sistema formativo. In tal senso è significativa l’adozione di strategie IoT e di Industry 4.0 per sostenere il livello di competitività delle imprese a livello mondiale (http://www.internet4things.it).

Il tessuto imprenditoriale italiano, conosciuto in tutto il mondo per la qualità del settore manifatturiero (l’Italia conta circa 400.000 imprese manifatturiere) deve necessariamente rafforzare il livello d’innovazione per assicurarsi una crescita sostenibile e di lungo periodo. L’implementazione di soluzioni tecnologiche e l’adozione di nuovi modelli produttivi, consentirebbero di migliorare la competitività e l’immagine delle imprese italiane in tutto il mondo, di attrarre nuovi investimenti e rafforzare il processo di crescita e di ricchezza.

La competitività e l’attrattività di un Paese dipendono dalla sua base industriale: per rimanere al passo con le grandi potenze internazionali è necessario implementare iniziative specifiche a supporto dell’integrazione digitale e dell’automazione industriale (The European House-Ambrosetti, 2016).

Considerando invece altri indicatori mondiali, l’Italia ottiene un punteggio molto basso rispetto agli altri Paesi. Un esempio è rappresentato dal Global Manufacturing Competitiveness Index, indicatore calcolato dalla società di consulenza Deloitte in collaborazione con U.S. Council on Competitiveness. Gli studi condotti riguardano gli anni 2010, 2013 e 2016, allo scopo di valutare come il comparto manifatturiero contribuisce al processo di crescita in ogni Paese. Secondo Deloitte, i driver della competitività del settore manifatturiero sono da individuare in tre elementi fondamentali:

la formazione di risorse altamente qualificate, per mantenere alti i livelli di produttività; l’innovazione digitale, per garantire elevati livelli di competitività;

la definizione di normative e regolamentazioni, per tutelare il trasferimento tecnologico e la proprietà intellettuale, nonché stabilire incentivi e agevolazioni a sostegno di chi effettui investimenti altamente tecnologici (https://www.deloitte.com) .

Dalla classifica sottostante, è possibile notare come la Germania e gli Stati Uniti ottengono un miglioramento del loro punteggio grazie all’attuazione delle politiche Industry 4.0 (in entrambi i Paesi l’adozione avviene nel 2011), a

differenza della Francia e dell’Italia che occupano posizioni molto basse, non avendo ancora attuato programmi di digitalizzazione. Nel 2010 la Francia ricopre il ventitresimo posto, mentre l’Italia il ventunesimo; nel 2013 la Francia ricopre il venticinquesimo e l’Italia il trentaduesimo posto e nel 2016 la Francia il ventunesimo e l’Italia il ventottesimo posto.

Fig. 1: Global Manufacturing Competitiveness Index per i primi dieci Paesi

Anno 2010 Anno 2013 Anno 2016

Posizione Paese Indicatore Posizione Paese Indicatore Posizione Paese Indicatore

1 Cina 100,00% 1 Cina 100,00% 1 Cina 100,00% 2 India 81,50% 2 Germania 79,80% 2 Stati Uniti 99,50% 3 Korea 67,90% 3 Stati Uniti 78,40% 3 Germania 93,90% 4 Stati Uniti 58,40% 4 India 76,50% 4 Giappone 80,40% 5 Brasile 54,10% 5 Korea 75,90% 5 Korea 76,70% 6 Giappone 51,10% 6 Taiwan 75,70% 6 Regno Unito 75,80% 7 Messico 48,40% 7 Canada 72,40% 7 Taiwan 72,90% 8 Germania 48,00% 8 Brasile 71,30% 8 Messico 69,50% 9 Singapore 46,90% 9 Singapore 66,40% 9 Canada 68,70% 10 Polonia 44,90% 10 Giappone 66,00% 10 Singapore 68,40%

Fonte: nostra elaborazione

Le variabili sopra indicate per il calcolo del Global Attractiveness Index e del Global Manufacturing Competitiveness Index (come ad esempio il grado d’innovazione di un Paese), portano a dedurre come le politiche d’industrializzazione contribuiscano a determinare sia il grado di competitività del settore manifatturiero che il grado di attrattività di un Paese. Lo si evince, per esempio, osservando in tabella la posizione della Germania, la quale nel 2010 otteneva una performance del 48%, mentre nel 2016, in seguito all’attuazione della polita Industry 4.0, introdotta nel 2011, migliora nettamente con un indicatore del 94%. È lecito dedurre, pertanto, che i Paesi con score elevati, sicuramente adottano comportamenti conformi ai piani di digitalizzazione.

Sarebbe però opportuno verificare l’effettiva realizzazione dei processi di digitalizzazione nelle singole imprese manifatturiere italiane, ciò al fine di comprendere quale sia il loro stato attuale, se stiano realmente realizzando programmi di questo tipo, per misurare la densità di smart factory nel nostro contesto nazionale.

Limiti della ricerca. Il presente lavoro, sebbene affronti una tematica di attualità nel nostro Paese, nell’Europa e

nel mondo, fornisce un contributo essenzialmente concettuale, risultato di una review della letteratura: l’assenza di un’analisi empirica è pertanto il principale limite della ricerca.

Implicazioni pratiche. Il lavoro contribuisce a migliorare la conoscenza del fenomeno e funge da guida per

quelle imprese che si trovano ad adottare nuovi modelli di business in un contesto innovativo e competitivo. Il lavoro fornisce spunti di riflessione per gestire al meglio la transizione dal vecchio al nuovo paradigma e costituisce la base di future ricerche finalizzate a esplorare se effettivamente le piccole e medie imprese italiane siano davvero pronte a recepire tale cambiamento, stiano applicando realmente una politica di Industria 4.0 e se esiste uno score in grado di fornire un risultato sintetico sul grado di digitalizzazione dei processi interni.

Originalità del lavoro. L’originalità del lavoro consiste nell’indagare un argomento emerso di recente nel nostro

Paese (dicembre 2016). Infatti, dall’analisi della letteratura emerge come siano pochi i contributi accademici in merito, e pertanto si è cercato di colmare in parte il gap, proponendo una revisione di report, ricerche, documenti, pubblicazioni, articoli, approfondimenti.

Altro elemento di novità di questo lavoro è rappresentato dal fatto che l’argomento in questione, finora trattato da un punto di vista ingegneristico e informatico, viene affrontato dal punto di vista dell’operations management.

La divulgazione di questi argomenti rappresenta un’opportunità di crescita non solo per la singola impresa, che può creare valore condiviso attraverso la digitalizzazione dei flussi produttivi, ma per l’intero Paese, che può attrarre maggiori investimenti e rafforzare il marchio del Made in Italy nel mondo.

Parole chiave: Industry 4.0; smart factory; digitalizzazione; manifattura digitale; integrazione; supply chain.

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