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MBERTOM
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UFFAObiettivi. Collocandosi nella prospettiva del marketing 3.0 e dell’approccio alla co-creation, il lavoro intende
verificare l’utilizzo di testimonial, endorser e ambassador nei processi di innovazione e miglioramento del prodotto nel settore dello sport outdoor. Tali soggetti, in virtù della loro abilità ed esperienza, sono in grado di offrire un prezioso supporto alle aziende nel lancio, nello sviluppo e nel miglioramento dei prodotti. Inoltre, grazie alla loro notorietà e alla credibilità acquisita nelle rispettive comunità di pratica, consentono di rafforzare il legame con la marca e di incidere sulla sua caratterizzazione univoca.
Obiettivo generale della ricerca è stato quello di indagare la rilevanza della politica di endorsement/testimonial nell’ambito della comunicazione di marca, i criteri di scelta di endorser e testimonial e le condizioni del rapporto che li unisce al marchio. In particolare, si sono volute verificare le seguenti ipotesi:
1. l’utilizzo di testimonial ed endorser è una scelta consapevole dell’azienda finalizzata a generare fenomeni di associazione e trasferimento di immagine dall’atleta al proprio marchio;
2. gli atleti contribuiscono attivamente alle politiche di miglioramento e di innovazione del prodotto, nella logica della co-creazione mediante club of expert.
La ricerca prende avvio dalle chiavi di lettura proposte da Kotler et al. (2010) e illustrate nel loro Marketing 3.0. In coerenza con le esigenze emergenti dei consumatori e i mutamenti sociali, gli Autori hanno identificato tre nuovi approcci per la gestione del prodotto, del cliente e della marca: la co-creazione, intesa come la nuova pratica di gestione del prodotto; la communitization, intesa come la nuova disciplina di gestione dei processi di relazione con il cliente; la caratterizzazione univoca, intesa come nuova modalità di gestione del valore della marca.
Il modello logico del Marketing 3.0 si basa sull’assunto che i consumatori contemporanei non siano più individui isolati, inconsapevoli e passivi, bensì soggetti connessi, informati e attivi, che chiedono alle aziende un elevato grado di personalizzazione dell’esperienza di consumo (Prahalad e Ramaswamy, 2000 e 2004). Le aziende devono perciò rivedere il proprio comportamento strategico al fine di soddisfare quest’esigenza, non potendo agire in modo indipendente dai consumatori nel design e nello sviluppo dei prodotti, nella creazione dei messaggi pubblicitari e nella gestione dei canali di vendita (Sheth et al., 2000). Devono cioè comprendere che il tradizionale processo di scambio di beni e servizi è ormai stato soppiantato da una profonda esigenza di co-creazione, intesa come creazione congiunta di valore tra l’azienda e i consumatori (Prahalad e Ramaswamy, 2004). La nascita di questo nuovo approccio è stata indubbiamente favorita dallo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e dei social media, che hanno spinto le aziende a creare un collegamento interattivo con il mercato, a essere aperte e collaborative con i consumatori e altri stakeholder durante tutto il processo produttivo (Garrigos-Simon et al., 2012). I social media sono un potente strumento per implementare processi di co-creazione, ma anche per promuovere l’azienda, i suoi prodotti e i suoi marchi: tutte le iniziative di co-creazione dovrebbero avere una componente social, poiché essa faciliterebbe l’accesso a informazioni rilevanti e lo sviluppo di relazioni virtuali permanenti, favorendo un maggiore commitment dei consumatori e aumentando la loro fiducia nei confronti dell’azienda, sentendosi parte attiva nel processo decisionale (Garrigos-Simon et al., 2012; Rathore et al., 2016).
La co-creazione porta numerosi vantaggi sia alle aziende che ai consumatori: permette alle imprese di conoscere il punto di vista dei consumatori, le loro aspirazioni, i desideri, i comportamenti e le motivazioni e consente di identificare nuove idee per il design, la progettazione e la fabbricazione dei prodotti (Prahalad e Ramaswamy, 2004). Le imprese, inoltre, possono avere accesso a queste informazioni velocemente e a basso costo (Roser et al., 2013). Nella logica del Marketing 3.0, la co-creazione, combinandosi con i processi di communitization, consente di agire anche sulla forza distintiva della marca, nei termini della sua caratterizzazione univoca. In particolare, può dare un contributo significativo alla sua autenticità. I consumatori, dal canto loro, hanno la possibilità di rendere espliciti i propri bisogni e di suggerire prodotti, accorgimenti e funzioni sulla base delle proprie esigenze ed esperienze d’uso del prodotto.
Oltre ai consumatori, la co-creazione può coinvolgere anche altri stakeholder. Roser et al. (2014), infatti, la definiscono come un processo di collaborazione attiva, creativa e sociale nel quale gli stakeholder (dipendenti,
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Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli studi di Trento email: [email protected]
Ricercatore in Economia e Gestione delle Imprese - Università degli studi di Trento email: [email protected]
consumatori, ricercatori, partner e altri) divengono partecipanti attivi nel processo di innovazione, contribuendo allo sviluppo di nuovi prodotti e servizi. La tipologia di soggetti coinvolti dipende in primo luogo dagli obiettivi che l’azienda si pone di raggiungere attraverso la co-creazione, e dalle competenze richieste dalla natura del compito. In particolare, come evidenziato da Pater (2009), la co-creazione può avere origine anche grazie al coinvolgimento di un club of experts: tale scelta è appropriata nel caso in cui sia richiesto un elevato grado di competenza, e per questo gli esperti, individuabili attraverso un attento processo di selezione, devono avere requisiti specifici.
Il quadro metodologico della co-creazione attraverso club of experts, e gli effetti di tale politica sulla caratterizzazione univoca della marca, trovano un significativo caso di applicazione nel settore dell’outdoor mountaineering. Definendo lo sport outdoor come l’insieme delle attività o discipline che hanno come terreno di svolgimento non un ambiente artificiale progettato e costruito ad hoc (stadio, impianto, palestra, …), bensì la natura, nelle sue dimensioni terra, acqua ed aria, il mountaineering è inteso come l’insieme delle pratiche sportive/ricreative che si svolgono nell’ambiente montano (Pomfret, 2006). Tra le pratiche più diffuse, comprende l’alpinismo, l’escursionismo, la corsa in montagna, la mountain bike, lo sci alpinismo e fuori pista, il volo, il torrentismo, che trovano nella montagna un luogo elettivo di pratica. Dal punto di vista dei praticanti, si tratta di comunità caratterizzate da passione e coinvolgimento, alla ricerca di forti stimolazioni emozionali ed esperienziali, che, talvolta, possono giungere fino a dimensioni adrenaliniche (Johnston e Edwards, 1994; Faullant et al., 2011; Pomfret, 2012).
Dal punto di vista delle aspettative, i praticanti dell’outdoor mountaineering si caratterizzano da un lato per la forte esigenza in termini di sicurezza e prestazione del prodotto; dall’altro, per la marcata sensibilità all’innovazione, alla funzionalità e al design, essendo inoltre sensibili a fenomeni di moda e di integrazione tribale nelle comunità di appartenenza o di riferimento.
Come dimostrano numerose ricerche, condotte prevalentemente negli Stati Uniti, una delle tendenze più evidenti nel comparto dello sport consiste nel ricorso a testimonial ed endorser al fine di promuovere e rafforzare la credibilità dei marchi delle aziende produttrici. L’utilizzo di celebrità note al grande pubblico (o, in sport non di massa, riconosciute ed apprezzate tra gli appassionati), persegue l’associazione della marca con le qualità personali di attrattività, piacevolezza, reputazione e credibilità del testimonial (Atkin e Block, 1983), con l’obiettivo indiretto di generare credibilità e rassicurazione del consumatore riguardo alle performance del prodotto. La figura del testimonial può evolvere in quella di endorser, una persona nota al pubblico per i risultati conseguiti nel campo specifico del prodotto (Friedman e Friedman, 1979; McKracken, 1989) che si impegna contrattualmente ad assicurare ai consumatori la qualità del bene, dandone prova attraverso l’utilizzo diretto nella propria attività sportiva. L’endorser si obbliga a servirsi del prodotto fornito dall’endorsee in tutte le occasioni pubbliche, e concede la licenza di utilizzo della propria immagine in varie azioni di comunicazione (spot, partecipazione ad eventi, video promozionali, presenza sui social media, incontri con il pubblico). In cambio riceve un corrispettivo economico (o suscettibile di valutazione economica), a partire dalla fornitura del prodotto e del supporto allo svolgimento della propria attività. Per questa ragione, è essenziale la corrispondenza tra l’attività svolta dall’endorser, il genere merceologico e il posizionamento della marca.
All’endorser può inoltre essere richiesto un ruolo attivo nel processo di ideazione e progettazione del prodotto, con un apporto che può essere significativamente migliorativo sia per le competenze specifiche che egli è in grado di apportare, sia per l’utilizzo del prodotto medesimo in condizioni estreme rispetto al consumatore medio: questo, di fatto, distingue sostanzialmente l’endorser dal testimonial, qualificando il ruolo dell’endorser come fonte di conoscenza e di stimolo ai processi di innovazione, sviluppo e miglioramento del prodotto.
I ritorni dell’investimento in questa forma di comunicazione della marca devono essere valutati nel lungo periodo, considerato che i principali effetti attesi possono essere identificati nel guadagnare e mantenere l’attenzione dei clienti, aumentare la credibilità della marca, creare passa-parola positivo, aumentare la propensione all’acquisto, la fedeltà e la brand attitude. Quando la fama dell’endorser è molto alta all’interno di un gruppo di riferimento, infatti, si attiva un processo di meanings transfer, e la relazione che si viene a creare tra la marca e l’endorser diviene una sorta di brand alliance (Halonen-Knight e Hurmerinta, 2010) e di co-branding (Seno e Lukas, 2007).
Metodologia. La ricerca si focalizza sul comparto dell’outdoor-mountaineering. Esso può essere considerato un
ideale ambito di analisi delle strategie di celebrity endorsement. L’atleta che pratica ad alto livello uno (o più) sport outdoor, infatti, diviene il candidato ideale a supportare e celebrare i valori della marca, dimostrandone la capacità di soddisfare le aspettative più alte attraverso la realizzazione di un prodotto efficace anche in condizioni estreme. Inoltre, permette all’azienda di testare nuovi prodotti, soluzioni o materiali, disponendo di una fonte ineguagliabile di conoscenza per la modifica e il miglioramento della propria offerta, fino all’innovazione di prodotto. La ricerca sul campo ha coinvolto otto tra le più importanti aziende presenti sul mercato italiano (The North Face, Salomon, Patagonia, Mammut, La Sportiva, Salewa, Montura, Camp). Si tratta di aziende che, seppure diverse per dimensione, struttura ed estensione della gamma, presentano alcuni punti in comune. Innanzitutto, offrono un’ampia gamma di prodotti dedicati all’outdoor-mountaineering (abbigliamento, calzature, attrezzature, accessori), con la presenza di linee ad alte prestazioni, caratterizzate dal massimo livello di ricerca e innovazione. Sotto il profilo del mercato, operano in un contesto internazionale, con reti produttive e commerciali che possono essere definite globali.
La ricerca si è articolata in due fasi: una prima fase di tipo desk ha riguardato l’analisi di fonti e materiali aziendali, e ha consentito di ricostruire in generale l’approccio alla comunicazione dell’azienda, e, in particolare le modalità e la frequenza di utilizzo di testimonial, endorser e ambassador. La seconda, basata su interviste personali ai manager dell’area marketing delle aziende, ha consentito di esplorare il ruolo affidato ai professionisti dello sport nei processi di co-creazione e di valorizzazione dell’identità della marca, e di discutere dei principali risultati conseguiti.
ENDORSERS AS CLUB OF EXPERTS:IL RUOLO DEI PROFESSIONISTI DEL MOUNTAINEERING NEI PROCESSI DI CO-CREAZIONE
Risultati. I primi risultati dimostrano la centralità del coinvolgimento di testimonial, endorser e ambassador
tanto nelle politiche di valorizzazione della marca, quanto nelle politiche di co-creation. Sul piano della strategia di comunicazione, è emerso come le aziende analizzate dedichino grande attenzione alla politica di marca, anche attraverso il controllo diretto dei canali commerciali (reti di retail di proprietà o in franchising, flagship store, headquarters visitabili e con experiential shop all’interno). La notorietà e il riconoscimento del valore della marca presso le diverse comunità dei praticanti sono perseguite anche mediante l’intensa attività di organizzazione (o di supporto come sponsor) di eventi, manifestazioni, gare, spedizioni, esplorazioni.
Tutte le aziende intervistate si contraddistinguono per un utilizzo diffuso e continuo nel tempo di testimonial, endorser e ambassador, avvalendosi sia di vere e proprie celebrità internazionali, sia di atleti di rilevanza locale o nazionale, con un alto grado di notorietà e di riconoscimento da parte delle comunità praticanti. Le imprese concordano nel riconoscere la politica di endorsement come azione imprescindibile per l’attività di comunicazione e come attività che contribuisce positivamente ai risultati aziendali. Sebbene con intensità diversa, riconoscono come l’utilizzo degli ambassador abbia prodotto risultati positivi in termini di successo commerciale e di competitività, agendo sia sulla notorietà della marca, grazie alla presenza sui media classici e sui social, sia sulla credibilità delle promesse della marca e sulla fiducia dei clienti, sia, infine, contribuendo alla capacità di innovazione e di anticipazione dei concorrenti.
E’ emerso chiaramente il doppio ruolo degli endorser/ambassador: da un lato, il ruolo dell’atleta in quanto ambassador prevede il coinvolgimento in attività di comunicazione (dalla partecipazione ad eventi e manifestazioni sportive, alla comunicazione online con le community di riferimento), al punto che, in taluni casi, le capacità dell’atleta di comunicare con il pubblico attraverso strumenti online (social network, blog o siti web personali) rivestono un’importanza fondamentale, tanto da divenire anche oggetto di clausole contrattuali: ad esempio, il numero di follower che vanta l’atleta piuttosto che la frequenza con cui pubblica video online diventano elementi di valutazione per la scelta del possibile ambassador e la definizione del corrispettivo.
Dall’altro lato, nella logica della co-creazione del tipo club of expert, la collaborazione con gli atleti è ritenuta decisiva in fase di test di materiali e sperimentazione dei nuovi prodotti: l’atleta, in quanto primo fruitore dei prodotti di queste imprese, è interlocutore privilegiato per la scelta dei materiali e per la ricerca della massimizzazione delle performance, che può intendersi, ad esempio, nella ricerca della minimizzazione di pesi e volumi piuttosto che di punti di rottura di attrezzature, accessori, abbigliamento e calzature. Le aziende intervistate dichiarano che le competenze, le conoscenze e le idee dei propri ambassador sono molto rilevanti per lo sviluppo dei prodotti, molti dei quali nascono su espliciti suggerimenti degli atleti. Considerano inoltre indispensabile l’attività di test che viene effettuata prima del lancio definitivo sul mercato, beneficiando, in alcuni casi, della prova del prodotto in situazioni estreme (quali spedizioni alpinistiche o competizioni di ultra-trail running) che consentono di mettere alla prova il prodotto in condizioni ben più impegnative di quello che sarà il suo utilizzo comune. E’ infine espressamente riconosciuto che il livello di esperienza e di competenza degli atleti consente di ridurre i tempi di sperimentazione che precedono il lancio del prodotto sul mercato.
Limiti della ricerca. La ricerca ha un valore esplorativo, e, in questa fase, ha carattere qualitativo. Una fase
ulteriore già pianificata consisterà nell’intervistare un campione di testimonial, endorser e ambassador per verificare il loro coinvolgimento e la loro sensibilità al tema.
Implicazioni pratiche. I risultati consentono di ricavare alcune indicazioni operative in merito alle potenzialità
dell’utilizzo di testimonial, endorser e ambassador quali influencer nei processi di marketing dei prodotti in settori ad alto grado di coinvolgimento e di esperienza da parte dei clienti.
Originalità del lavoro. Il lavoro si riferisce ad un settore e ad una categoria merceologica che, nonostante la sua
rilevanza a livello sia nazionale che mondiale, ha avuto sino ad ora ridotta attenzione negli studi di marketing. Inoltre, permette di trarre considerazioni metodologiche riferite ai processi di co-creation e di caratterizzazione univoca di un brand per beni ad elevato coinvolgimento e di elevato valore unitario.
Parole chiave: testimonial; endorser; ambassador; co-creation; caratterizzazione univoca della marca; outdoor
mountaineering
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L’importanza del web 2.0 nel marketing della ristorazione:
il caso dei ristoranti di Pesaro e Urbino
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ORLANI**Introduzione. Con l’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), si assiste, in
ambito turistico, ad un forte mutamento dell’ambiente competitivo che ha portato all’ampliamento ed alla ridefinizione dei confini della tradizionale filiera turistica (Pencarelli, 2010; Pencarelli, Gregori, 2009; Buhalis e Law, 2008, Buhalis e Laws, 2001). Si delinea, così, un nuovo scenario caratterizzato, in particolare, dalla crescente importanza assunta dai nuovi attori turistici web based (Booking, Airbnb, Tripadvisor, Trivago, Uber, Flixbus, ecc.). Una trasformazione profonda che sta determinando, al contempo, significativi cambiamenti in termini di strategie e di politiche di marketing, anche e soprattutto per il comparto turistico tradizionale (Pencarelli et al., 2015; Middleton e Clarke, 2012). Le imprese turistiche (hotels, ristoranti, musei, ecc.) infatti, pur offrendo un servizio o un’esperienza off- line, si trovano oggi, per sopravvivere, a dover competere innanzitutto e soprattutto on-line, consapevoli del fatto che non essere visibili sul web equivale spesso a non esistere (Cioppi et al., 2016).
La recente letteratura (Khobzi, Teimourpour, 2014; Yang, Albers, 2013; Horster, Gottschalk, 2012; Inversini et al., 2010) descrive, inoltre, i clienti come soggetti attivi e come nuovi protagonisti di una filiera sempre più corta e disintermediata. Le tecniche di web marketing e di social media marketing diventano, quindi, attività necessarie per interagire con i clienti 2.0 e per permettere, a questi ultimi, di svolgere a pieno la loro funzione di co-creatori del servizio o dell’esperienza.
Di fronte a tale scenario di mutamento, emerso con evidenza e chiarezza nel comparto alberghiero (Pencarelli et Al., 2015), il presente contributo si pone come primo obiettivo quello di capire se e quanto questa dinamica possa essere estesa, in modo analogo, anche al comparto della ristorazione.
Contesto e letteratura di riferimento. Il web 2.0 (Leung et al., 2013; Munar e Jacobsen, 2013; Del Chiappa e
Dall’Aglio, 2012; Milano et al., 2011; Del Chiappa, 2011; Forlani, 2009; Miguéns et al., 2008, O’Reilly, 2007) sta modificando le modalità con cui le imprese alberghiere (Pencarelli et al., 2015; Leug et al., 2013; Aureli et al., 2013; Sigala, 2012; Hills e Cairncross, 2011; Lim et al., 2011) e ristorative (Yang, 2017; Zhang et al., 2017; Kim et al., 2016; Litvin et al., 2016; Kim et al., 2015; Salleh et al., 2015; Kang et al., 2014; Mellet, 2014; Okumus, 2014; Kwok e Yu, 2013; Lu, 2013; Needles e Thompson, 2013; Zhang et al., 2013; Jeong e Jang, 2011; Zhang et al., 2010; Wetzer et al., 2007; Susskind, 2002) si approcciano al mercato.
In particolare, Leug et al.(2013) sottolineano come i social media incidano su tutti gli attori della supply chain, sia a livello di domanda, che di offerta. Nell’ottica dell’offerta, se da un lato, la letteratura internazionale di tourism and hospitality studies sottolinea come i social media influenzino, soprattutto, le modalità di comunicazione e di distribuzione, dall’altro, un numero rilevante di autori (Bocconcelli et al., 2016; Berthon et al., 2012; Kim e Ko, 2012; Hanna et al., 2011; Michelidou et al., 2011; Xiang e Gretzel, 2010; Mangold e Faulds, 2009; Thackeray et al., 2008) ne evidenzia il ruolo critico nei processi di marketing information e di marketing strategico (Tuten, Solomon, 2014).