• Non ci sono risultati.

Il «Crisfal»: un problema aperto e una nuova ipotesi di lettura

Così come è accaduto per le opere di Bernardim Ribeiro e per la

Consolação di Samuel Usque, vi è un altro testo in lingua portoghese che ha

condiviso lo stesso destino, uscendo dai torchi di Abraham Usque nel 1554. Si tratta delle Trovas de Crisfal, ecloga rinascimentale coeva e, in qualche modo, sorella della maggiore opera di Bernardim Ribeiro, Menina e Moça, con la quale sembra avere in comune diversi aspetti fino a oggi non indagati.

Gli studi critici su quest’opera hanno avuto molta fortuna fino agli anni cinquanta del secolo scorso – con sporadici casi di rinnovato interesse nei decenni successivi – e si sono concentrati preminentemente intorno alla confusione riguardo alla paternità del testo, problema che ancora oggi resta relegato nel dominio delle supposizioni per mancanza di certezze biografiche sul presunto autore. In questo panorama di accesi e significativi dibattiti vi è una grande lacuna che non finisce di sorprendere: l’assenza di qualsiasi considerazione, in termini problematici, circa le singolari circostanze di pubblicazione dell’opera, stampata in una tipografia di ebrei portoghesi esiliati in Italia, in un momento cruciale della storia del popolo ebraico e delle relazioni fra questo e il mondo cristiano iberico. Anche per quanto concerne le opere di Bernardim, la questione non ha destato interesse per molto tempo, finché nel 1977 Helder Macedo non ha puntato l’attenzione sul senso criptico di molti dei versi del poeta e soprattutto del testo di

Menina e Moça, nel quale ha inteso postulare una forte influenza del dualismo

gnostico francese e conseguentemente della Cabala di matrice iberica che da quello ebbe origine. Allo stesso modo, per l’ecloga in questione, è importante sottolineare un dato come punto di partenza e premessa centrale, ossia le singolari circostanze in cui si verificarono tali edizioni, ormai difficili da ignorare. Certamente non si può negare che il mistero intorno alla paternità di entrambe le opere sia suggestivo, giacché esistono scarsissime informazioni sulla vita e sull’identità del poeta conosciuto come Bernardim Ribeiro, così come non c’è alcun dato attendibile che indichi con forte probabilità chi sia l’autore delle

Trovas de Crisfal, rilegate congiuntamente alle opere di Bernardim. Tuttavia,

197

più chi scrisse il Crisfal, se Bernardim senza svelare la propria identità o il fidalgo Cristóvão Falcão de Sousa che compare nell’intestazione e riconosciuto da una certa critica, bensì se l’opera, chiunque ne sia l’autore, presenti o meno elementi testuali che consentano di ascriverla al filone criptogiudaico.

Come si è potuto rilevare nelle pagine precedenti, la tipografia Usque non costituiva una piccola bottega di artigiani che avevano rimediato una occupazione di fortuna per far fronte agli inconvenienti dell’esilio. Si trattava al contrario di un’arrischiata impresa perfettamente inserita nel progetto di conservazione e trasmissione della cultura originaria della grande comunità sefardita dispersa per l’Europa durante il Cinquecento. Ancora oggi non sono state analizzate in maniera esauriente le ripercussioni che l’attività di questa stamperia ebbe, per esempio, nel traffico clandestino di libri e persone, e nemmeno esiste una ricognizione completa delle innumerevoli opere che pubblicò. Di un fatto, tuttavia, non si può dubitare: l’intera attività della tipografia era profondamente legata alla vita della comunità ebraica307. L’organizzazione del «compito» era talmente dispendiosa e

l’obiettivo, in un certo modo, talmente determinato, che né i mecenati, né gli esecutori materiali potevano permettersi il lusso di sprecare tempo e denaro in progetti che non contribuissero al piano complessivo.

A testimonianza di quanto la critica sia stata leggera nel valutare le circostanze della pubblicazione, vi è l’edizione critica delle Trovas uscita nel 1943 dalla penna di Rodrigues Lapa. Il critico, che mirava sostanzialmente a confutare Delfim Guimarães nell’attribuzione dell’opera a Bernardim, parla in termini assai semplicistici dell’aspetto editoriale. Partendo dal dato di fatto secondo cui era uso all’epoca rilegare insieme opere di genere affine (come testimonia il filone dei

Cancioneiros, tipici della letteratura iberica tardo-medioevale e rinascimentale),

porta come prova dell’effettiva esistenza dell’autore Cristóvão Falcão de Sousa una sorta di vulgata popolare, secondo cui «toda a gente sabia que o Crisfal era de Cristóvão Falcão»:

«Já se sabia na época que Cristóvão Falcão tinha seguido no Crisfal o estilo de Bernardim e o tinha imitado nalguns passos. Nada pois mais natural do que reuni-los num mesmo volume. Contudo, os editores não estremaram devidamente as poesias miúdas dum e do outro, de modo que hoje se torna difícil, pelo que respeita a essas, dizer o que pertence a um e o que pertence ao outro. (...). A vacilação daquela rubrica da edição de Ferrara [si riferisce alla menzione al presunto autore] é

198

facilmente explicável pela circunstância de haver já uma edição, feita em Lisboa, (...), que não trazia nome de autor. »308.

Tuttavia, dato che «os editores» non erano certamente personaggi comuni, specie per l’opinione pubblica e le autorità portoghesi, e sapendo ciò che oggi si conosce, tale valutazione appare una fotografia eccessivamente ingenua delle ragioni che portarono sia alla rilegatura congiunta delle opere, sia ad alludere al nome dell’autore in modo tanto oscuro e ambiguo.

Procedendo per gradi, è opportuno innanzitutto puntualizzare i dati certi a disposizione relativi all’opera, ben illustrati nell’edizione critica pubblicata da António José Saraiva nel 1939309.

Una prima stampa, non rilegata, uscì con il titolo Trovas de Crisfal – Trovas de

um pastor per nome Crisfal, la cui datazione è stata fissata da Dona Carolina

Michaëlis fra il 1543 e il 1547. È doveroso rilevare che i versi erano già conosciuti in versione manoscritta. La prima vera e propria edizione fu realizzata a Ferrara nel 1554 dal tipografo ebreo esiliato Abraham Usque e rilegata insieme ad alcune ecloghe e al capolavoro di Bernardim Ribeiro, Menina e Moça310

. Per la menzione al presunto autore, presente solo nell’edizione ferrarese, furono scelte queste parole:

«a mui nomeada e agradável égloga chamada Crisfal, que dizem ser de Cristóvão Falcão, o que parece aludir o nome da mesma égloga»311.

Si trattò, di fatto, di una scelta arbitraria dell’editore che, fornendo e lasciando nel dubbio una traccia sull’autore, ebbe come effetto il radicamento delle incertezze e degli interrogativi. Se è vero, come afferma lo stesso Macedo, che

«uma obra literária nunca é apenas um somatório de temas e de tópicos, mas, através deles, é sempre uma tomada de posição do escritor perante o mundo»312

la costruzione del testo delle Trovas sembra riflettere perfettamente questa filosofia di fondo.

308 Rodrigues Lapa, Crisfal, Cristóvão Falcão, Lisboa, Sá da Costa, 1978, 3ª ed., pp. 9-10. Corsivo

dell’autore.

309

A. J. Saraiva, Égloga de Crisfal, Lisboa, Livraria Popular de Francisco Franco, 1939

310 Esiste anche una 3ª edizione, pubblicata a Lisbona nel 1619, comprensiva di una Segunda parte das Trovas do Sonho de Crisfal, apocrifa e di autore sconosciuto. Naturalmente tale edizione non tocca il periodo considerato in questo studio.

311 L’allusione al nome Cris-fal sembra nascere da un processo generalmente utilizzato dai cabalisti che

verrà illustrato più avanti. Corsivo mio.

199

Prendendo in considerazione la struttura generale, emerge come la narrazione dei

fatti che funsero da pretesto per la stesura dell’opera sia stata confinata nelle

prime 10 strofe, dove invece all’espressione del pensiero e dei sentimenti dell’autore, costruita in forma allegorica, furono destinate le restanti 94. Una sproporzione che induce a giudicare la vicenda amorosa dei due personaggi principali, Crisfal e Maria, un mero pretesto narrativo, rapidamente lasciato alle spalle. Viste in questa luce, appare sbrigativo leggere le Trovas solo come il racconto di una tragedia vissuta da due sventurati amanti e inquadrata nei canoni lirico-bucolici dell’epoca. La «posição do escritor perante o mundo» resterebbe priva di un qualsiasi riscontro. Vi è poi una considerazione di carattere spiccatamente testuale, formulata a proposito delle opere di Bernardim sia da Macedo, sia da Teixeira Rego nella sua argomentazione sull’identità ebraica del poeta313, e di nuovo appropriata al caso del Crisfal. Si tratta della totale assenza

nel testo di allusioni ai riti cristiani e ai nomi di Gesù o dei Santi, aspetto che non può essere casuale all’interno dei modelli rinascimentali portoghesi, per quanto liberi da maglie convenzionali.

Considerando tali spunti e volendo risolutamente proseguire l’analisi da essi suscitata, anche per il Crisfal la questione sollevata del suo «significato occulto» è difficilmente evitabile, così che l’approfondimento delle ragioni dell’opera, rispetto alle singolari congiunture in cui venne alla luce, possa procurare nuovi indizi anche per quanto concerne la questione autoriale. Come è successo per le opere di Bernardim, l’immensa confusione che regna sugli uomini risulterà forse, se non proprio dipanata, perlomeno arginata attraverso l’analisi degli elementi testuali, unici dati tangibili con cui sia possibile confrontarsi. Ciononostante, per quanto solo in parte, il punto di partenza implica inevitabilmente il problema della paternità dell’opera, in un procedimento analitico che si propone, nella quasi totale assenza di certezze, di fissare quegli elementi che potranno infine ritenersi

plausibili.

Nella duratura controversia riguardo all’autore, oggi sembra aver avuto miglior sorte la critica che ha attribuito l’opera al fidalgo Cristóvão Falcão de Sousa, figlio di una famiglia di antico lignaggio, ipotesi che si fonda sostanzialmente sulla corrispondenza tra il titolo – Crisfal – e la contrazione del nome proprio e di

200

Casata del presunto autore. Naturalmente tale presupposto escluderebbe a priori l’ipotesi di un Crisfal cripto-giudeo.

L’opera prende apparentemente spunto da un episodio di cronaca: in una lettera scritta durante la sua reclusione in carcere, il giovane Cristóvão Falcão de Sousa fece sapere di essere stato protagonista, ancora fanciullo, insieme a una ragazzetta adolescente, di un’infelice e romanzesca storia di amore, rapimento, matrimonio segreto e castigo. Della giovane coinvolta nel fatto non si conosce, oggi, l’identità: il nome utilizzato nella finzione letteraria, Maria, non appare nella lettera, unico documento reputato storicamente attendibile, ma solo nelle trovas ed è stato a partire da queste che si è pensato che la «pastora» potesse essere una tale Maria Brandão, fanciulla di nobili natali, figlia di João Brandão, primo Console del Portogallo ad Anversa314. Nella lettera si trovano unicamente informazioni

circa il destino della ragazza, rinchiusa per anni in un convento a scontare la propria colpa. Quanto a Cristóvão, secondo le cronache, fu arrestato per ordine di suo padre e imprigionato in carcere, punizione esemplare per il disonore che aveva riversato sulla famiglia circuendo un’adolescente e dimostrando una condotta immorale. Se l’autore delle trovas fosse realmente Cristóvão Falcão de Sousa, la nobiltà della sua famiglia e di quella di Maria Brandão, oggi considerati i due protagonisti del fatto di cronaca, renderebbe difficile classificare l’opera come cripto-giudaica. Per contro, nulla porta a escludere in maniera categorica che qualcun altro, estraneo alla vicenda reale, possa aver sfruttato lo stesso fatto di cronaca riferito nella lettera con uno scopo ben preciso, ossia trasmettere la propria personale «posição perante o mundo»315. Nel caso in cui l’autore sia quindi

un misterioso personaggio ancora senza identità, la sua imitatio dello stile e dei canoni bernardiniani, oltre a rispettare i dettami poetici dell’epoca, risponderebbe soprattutto all’esigenza di ricorrere all’ingegnoso espediente della mimesis, celando un preciso messaggio dietro la maschera di un’innocente poesia pastorale. Tuttavia, di nuovo, ciò che preliminarmente interessa non è stabilire se sia esistito o meno questo terzo possibile autore, quanto piuttosto sciogliere l’opera dai vincoli storico-biografici che l’hanno fino a oggi condizionata, con lo scopo di

314 Per quanto, se l’ipotesi fosse fondata, il nome di Anversa non potrebbe non rievocare i radicati legami

degli ebrei portoghesi con la città. Risulterebbe così non priva di fondamento la supposizione che la reale colpa, in questa vicenda shakespeariana, fosse l’amore fra una cristiana e un ebreo, preso a pretesto per un’opera di più ampio respiro e profondità escatologica.

315 Modificando un po’ l’affermazione di Rodrigues Lapa, non potrebbe dirsi che «toda a gente conhecia a história de Cristóvão Falcão»?