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Lacune e nuove proposte sulla legge n.91 del

4.1 Criticità della legge n.91 del 1992, tra integrazione e multiculturalismo

Prima di concentrarsi sulle possibili criticità della legge n.91 del 1992 e le diverse proposte di riforma che la riguardano, è opportuno soffermarsi su degli aspetti preliminari per orientare al meglio la prospettiva dell’analisi. Infatti è importante sottolineare come il tentativo del diritto sia, anche relativamente a questo tema, di adeguarsi a quello che è il naturale e continuo mutare di alcuni concetti. In tal senso le scelte che il legislatore compie sono spesso il frutto della presa di coscienza dei mutamenti già avvenuti su di un piano fenomenologico, costantemente in divenire, come quello della realtà che ci circonda. In questo caso è il concetto di cittadinanza ad essere posto al centro di una riflessione più ampia.

Come afferma Valerio Onida271: “D’altra parte è tramontata

l’era in cui l’assetto dei rapporti internazionali pareva ruotare attorno al principio nazionale, che identificando tendenzialmente Stato e nazione, cittadinanza e nazionalità, sembrava offrire un fondamento “naturale” alla distinzione fra

271 Onida V., Lo statuto costituzionale del non cittadino, Jovenne editore,

136 cittadini e stranieri (…). Siamo entrati in un’epoca in cui la

realtà della convivenza e del meticciato, all’interno dei confini di ciascuno Stato, fra persone e gruppi diversi per origine, cultura, spesso lingua e religione, impedisce ormai di considerare lo Stato stesso come genuina ed esclusiva espressione giuridica di un gruppo umano ben identificato per caratteri “pregiuridici”. I processi di autoidentificazione delle comunità esistenti in un territorio, e l’influenza dei vari comunitarismi, più o meno inclusivi o esclusivi, sfuggono largamente alle regole giuridiche (si pensi solo alla storia del nostro regionalismo). È sempre più difficile dunque giustificare differenze di trattamento o discriminazioni su basi

“naturalistiche” o “di fatto”.

Il riconoscimento di un nucleo di diritti inviolabili comuni a tutti gli esseri umani introduce un cuneo che rende sempre problematica e meno giustificabile anche la differenza cittadino/non cittadino. I diritti del cittadino sono oggi sempre più visti e trattati come diritti dell’uomo: in questo l’universalizzazione dei diritti nata con la fondazione dell’ONU e lo spazio sempre maggiore conquistato da Corti e giurisprudenze sovranazionali, che operano non in nome di uno Stato, ma in nome di carte dei diritti a loro volta sovranazionali, cambia radicalmente il panorama.”

In questo quadro di mutamenti sostanziali occorre quindi chiedersi se la cittadinanza sia ancora un concetto che stia alla base degli Stati contemporanei, oppure se sia indispensabile allargare le maglie della sua nozione, o ancora, appellarsi a nuove definizioni. Non è un caso che un po' in tutta Europa si siano ripensate le leggi in materia di cittadinanza nei recenti anni e che anche in Italia vi sia un dibattito aperto in merito. In tal senso è evidente che sia importante quantomeno porsi la domanda se gli strumenti forniti dalla legge attualmente in vigore sull’acquisto della cittadinanza siano sufficienti o meno per affrontare il fenomeno migratorio, anche soprattutto

137 nella direzione di un’integrazione di stranieri che portano con

sé mondi di culture diversissime dalla nostra.272

La sfida più complessa è proprio quella di far fronte in un Paese come il nostro, sempre più multiculturale, alla compresenza di diverse spinte. Il discrimine sta nella scelta che viene fatta rispetto alle varie esigenze presenti, anche se negli ultimi anni c’è stata la preponderanza dell’effetto di un’innegabile universalizzazione culturale figlia dei processi di globalizzazione. Tale processo però è stato spesso affrontato relativizzando le diverse culture stesse e producendo l’opposto del modello integrativo: talvolta separando in modo netto le alterità, talaltra con intenti assimilatori di una cultura sull’altra. Le diverse possibili impostazioni si riflettono inevitabilmente sul diritto: sia sul piano legislativo, sia su quello giurisprudenziale.273

La scelta tra un multiculturalismo che previlegi l’appartenenza di tipo individuale, piuttosto che la visione della preminenza dei diritti culturali e religiosi di matrice collettiva, è il grande dilemma contemporaneo. Siamo infatti di fronte a delle istanze che sembrano per certi versi contrapporsi: da una parte l’importanza della difesa di un’identità nazionale, dall’altra l’esigenza necessaria di interfacciarsi ad una realtà plurale. In tal senso gli approcci possono essere diversi: lo Stato può porsi di fronte a queste problematiche in una posizione di sostanziale neutralità, la quale può però portare ad inasprire il multiculturalismo più radicale; o al contrario lo Stato può scegliere una politica di intervento, con il rischio però di annullare forzatamente le differenze culturali che sono presenti. Ecco che l’approccio

272 Baraggia A., La cittadinanza “composita” in alcune esperienze europee.

Spunti di riflessione per il caso italiano”, Federalismi n. 18/2017, pag. 4.

138 preferibile sarebbe quello ispirato ad un modello

interculturale, dove lo Stato mantiene una posizione laica, ma ha come obiettivo l’integrazione reciproca fra le diverse minoranze e il Paese ospitante, con il quale però queste diverse culture devono condividere i valori fondanti.274

Di fronte al fenomeno del multiculturalismo inteso come la “convivenza di diverse culture in uno stesso spazio”275,

possiamo avere quindi approcci diversi: un approccio più cosmopolita che si basi sul riconoscimento reciproco del diritto di tutti e su una garanzia costituzionale “aperta”; identitario, che quindi ponga al centro la propria cultura e le affida un valore educativo-pedagogico; e infine un approccio di tipo misto, nel quale le culture si confrontino, si scontrino e si bilancino, ma sempre all’interno di un confine preciso dove vi è rispetto e tutela dei diritti di tutti.

Come afferma efficacemente Seyla Benhabib: “Le enclave multiculturali di tutte le grandi città del mondo esibiscono i volti nuovi di una cittadinanza non più fondata sull’adesione esclusiva a un territorio, a una storia e a una tradizione (…). La cittadinanza frammentata consente agli individui di sviluppare relazioni e legami di fedeltà multipli e trasversali rispetto ai confini nazionali, in contesti tanto internazionali, quanto transnazionali. Il cosmopolitismo, la visione del mondo intero come propria polis è ulteriormente alimentato da queste adesioni multiple e sovrapposte, che si consolidano attraverso diverse comunità linguistiche, etniche, religiose e nazionali. Queste reti producono una cittadinanza se, e solo se, sono sorrette da un coinvolgimento attivo e da un’effettiva adesione a istituzioni rappresentative pubblicamente

274 Santerini M., Da stranieri a cittadini, educazione interculturale e

mondo globale, Mondadori Università, Milano 2017 pag. 82.

275 Così la Voce “Multicultural”, in S. Wehmeier (ed.), Oxford Advanced

139 responsabili e trasparenti nei confronti della specifica

comunità che le autorizza ad agire in proprio nome. Le reti transnazionali prive di vincoli democratici possono alimentare il fondamentalismo, come anche il terrorismo.”276

Ecco quindi la grande sfida del nostro tempo e di questo dibattito. Vedremo che in tal senso, dalla proposta di riforma che è stata approvata alla camera277, la scuola sembrerebbe poter avere un ruolo decisivo proprio nella creazione di questa comunanza, della costruzione di un sistema di valori da condividere, di un’educazione civica come nucleo di una nuova idea della cittadinanza, dove lo ius culturae acquista una nuova centralità.

Sulla base di queste importanti premesse, ci spostiamo ora sul piano strettamente giuridico. In tal senso dall’analisi approfondita della legge n.91 del 1992, con particolare riguardo ai canali che essa predispone per l’acquisto della cittadinanza italiana da parte dei minori stranieri, emergono alcune criticità. In particolare gli aspetti che maggiormente colpiscono della sopra citata legge sono principalmente tre: quello riguardante l’assenza di un’operatività rilevante del criterio dello ius soli; quello che riguarda le modalità procedurali con le quali avviene la naturalizzazione ed infine quello concernente la trasmissione illimitata della cittadinanza iure sanguinis. 278

276 Benhabib S., I diritti degli altri, Stranieri, residenti, cittadini, Raffaello

Cortina Editore, Milano 2006, op. cit. pag. 140.

277 Il disegno di legge è il n. A.S. 2092, il quale contiene le proposte di

modifica alla legge del 5 Febbraio, la n. 91 del 1992 e che è già stato approvato dalla Camera dei deputati il 13 Ottobre 2015, ma che si trova ad oggi in una situazione di stasi al Senato della Repubblica.

278 Savino M., Quale cittadinanza per l’Italia?, Istituto di ricerche sulla

Pubblica Amministrazione, Napoli Rapporto 1/2014, Oltre lo Ius soli, La cittadinanza italiana in prospettiva comparata, pag. 5.

140 Poniamo ora l’attenzione al primo punto fortemente critico e

cioè all’assenza dello ius soli. Infatti i nati in Italia da genitori stranieri non acquistano automaticamente la cittadinanza italiana, ma possono accedervi tramite la procedura di naturalizzazione, al compimento della maggior età, facendone espressa richiesta entro un anno e soddisfando dei requisiti precisi, come abbiamo visto.

Tale assenza, crea un vuoto normativo “a due facce”: la prima è quella degli “stranieri in patria”, cioè di coloro che pur essendo nati e residenti in Italia sono stranieri a tutti gli effetti e l’altra è quella che riguarda i neo-maggiorenni, che in più del 35 % dei casi o non fanno la richiesta nei termini previsti per la procedura di naturalizzazione, o perché essa viene respinta poichè non risulta rispondente a tutti i rigidi criteri a discrezione della Pubblica Amministrazione. È evidente quindi come l’assenza dello ius soli nella nostra disciplina determini casi di “alienazione giuridica” rispetto a ragazzi che sono nati e cresciuti in Italia, ma che non sono italiani. 279

In tal senso è importante sottolineare sin d’ora che ci si riferisce ad una forma di ius soli di tipo “temperato”, posto che lo ius soli “puro” come lo troviamo negli Stati Uniti, dove il dettato costituzionale lo disciplina in maniera netta nel XIV emendamento risalente al 1868, crea altri tipi di criticità nella regolazione del fenomeno migratorio. È necessario invece guardare alla realtà di altri Paesi connotati da una forte immigrazione che hanno aderito ad uno ius soli temperato, come nel caso della Francia o per esempio nel Regno Unito dove chi nasce da genitori stranieri dei quali almeno uno sia regolarmente soggiornante, “legally settled”, acquista la cittadinanza del Paese.280 Tale modello sembra disincentivare

279 Ibidem.

141 l’immigrazione clandestina da un lato e contestualmente pare

riuscire a favorire l’integrazione delle seconde generazioni.281

L’altro aspetto difficoltoso riscontrabile nella legge n.91 del 1992 è sicuramente la procedura di naturalizzazione. Infatti oltre alle problematicità sul piano probatorio che riguardano l’onere di dimostrare una residenza “regolare e continuativa” sul territorio italiano, bisogna fare i conti con le lungaggini delle tempistiche riguardo alla concessione della cittadinanza. Si sono registrati nella prassi anche episodi in cui la Pubblica Amministrazione ha impiegato fino a sei anni prima di provvedere. Oltre a ciò ricordiamo come il requisito per lo straniero extracomunitario sia quello di aver risieduto 10 anni nel nostro paese, periodo che secondo il Consiglio d’Europa rispecchia il limite massimo prospettabile in questi casi.282

281 Qualora i genitori siano entrambi irregolarmente presenti sul territorio

britannico, si prevede una procedura di naturalizzazione per il minore, che richiede la residenza continuata del minore per i primi dieci anni di vita.

282 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla nazionalità, STCE n. 166,

Strasburgo, 6.XI.1997, di cui l’Italia è uno fra gli Stati firmatari. L’articolo 6 – Acquisition of nationality afferma:” 1 Each State Party shall provide in its internal law for its nationality to be acquired ex lege by the following persons: a. children one of whose parents possesses, at the time of the birth of these children, the nationality of that State Party, subject to any exceptions which may be provided for by its internal law as regards children born abroad. With respect to children whose parenthood is established by recognition, court order or similar procedures, each State Party may provide that the child acquires its nationality following the procedure determined by its internal law; b. foundlings found in its territory who would otherwise be stateless.

2 Each State Party shall provide in its internal law for its nationality to be acquired by children born on its territory who do not acquire at birth another nationality. Such nationality shall be granted: a.at birth ex lege; or b. subsequently, to children who remained stateless, upon an application being lodged with the appropriate authority, by or on behalf of the child concerned, in the manner prescribed by the internal law of the State Party. Such an application may be made subject to the lawful and habitual residence on its territory for a period not exceeding five years immediately preceding the lodging of the application.

3 Each State Party shall provide in its internal law for the possibility of naturalisation of persons lawfully and habitually resident on its territory. In establishing the conditions for naturalisation, it shall not provide for a

142 Se poi a tutto ciò aggiungiamo il forte carattere discrezionale

che caratterizza il provvedimento della concessione della cittadinanza su richiesta dell’interessato, ci rendiamo conto facilmente del perché i dati su questo canale, come accesso allo status civitatis, siano i meno rilevanti nel nostro paese e siano inferiori anche alle medie degli altri Paesi europei.283 Il

Ministero dell’Interno infatti deve sia constatare che vi sia la regolarità del requisito della residenza di 10 anni, ma ha anche il compito per esempio di valutare l’eventuale pericolosità sociale del soggetto destinatario del provvedimento.

È interessante notare come proprio intorno alla procedura di naturalizzazione, possano evidenziarsi due approcci molto diversi: quello tipico dei Paesi di common law o meglio anglo- americani, perché anche la Francia è vicina a questa impostazione, che vedono la concessione della cittadinanza come un “incentivo” da parte del legislatore verso chi abbia risieduto per un numero di anni in quel territorio. In particolare, Paesi come il Canada, l’Australia, il Regno Unito, prevedono un numero molto inferiore di anni e in generale la decisione amministrativa in ordine alla concessione della cittadinanza è vista con favor verso il richiedente. L’altro

period of residence exceeding ten years before the lodging of an application.

4 Each State Party shall facilitate in its internal law the acquisition of its nationality for the following persons:

a. spouses of its nationals;

b. children of one of its nationals, falling under the exception of Article 6, paragraph 1, sub-paragraph a;

c. children one of whose parents acquires or has acquired its nationality; d. children adopted by one of its nationals;

e. persons who were born on its territory and reside there lawfully and habitually;

f. persons who are lawfully and habitually resident on its territory for a period of time beginning before the age of 18, that period to be determined by the internal law of the State Party concerned;

g. stateless persons and recognised refugees lawfully and habitually resident on its territory.”

283 La decisione del Ministero dell’Interno è considerata un “atto di alta

amministrazione”, rispetto alla quale il giudice amministrativo può esercitare un sindacato molto debole.

143 approccio è quello più vicino ai Paesi di civil law, dove la

naturalizzazione ha il carattere di un “premio” che si ottiene alla fine di un percorso di integrazione che il legislatore intende maturato.284 Non solo in Italia, ma anche in Paesi

come la Spagna, l’Austria, la Germania, i tempi per ottenere la cittadinanza per concessione vanno dai dieci anni fino addirittura ai 30 in certi casi, l’Austria ne è un esempio. È quindi evidente che tale procedura non sia agevole, ma anzi tenti di preservare il più possibile quella che è l’identità nazionale, confezionando forse volutamente un iter complesso.

L’ultimo aspetto che desta particolare perplessità, è quello inerente alla trasmissione illimitata della cittadinanza iure sanguinis. L’attenzione della legge n.91 del 1992, nel solco della legge del 1912, era diretta verso la realtà degli emigrati italiani e dei loro discendenti.285 L’attuale disciplina in vigore permette di acquisire la cittadinanza italiana in virtù dell’esistenza di un avo italiano, se si dimostra che non vi siano interruzioni rispetto alla discendenza della nazionalità italiana. Tale previsione quindi non sembra dare alcun rilievo al legame effettivamente esistente tra il cittadino e il territorio, in termini socio-culturali. Per alcuni si può parlare di italiani “latenti” o “virtuali”, generati proprio da questa trasmissione illimitata della cittadinanza, completamente slegata dall’interazione con il nostro paese.286

284 Savino M., Quale cittadinanza per l’Italia?, Istituto di ricerche sulla

Pubblica Amministrazione, Napoli Rapporto 1/2014, Oltre lo Ius soli, La cittadinanza italiana in prospettiva comparata, pag. 10.

285 In un documento del 2002 pubblicato dalla Direzione centrale per i

diritti civili, la cittadinanza e le minoranze, instituita presso il Ministero dell’Interno, si legge che: “La legge attuale cerca di fornire una concreta risposta alle pressanti istanze provenienti dalle Comunità dei nostri connazionali residenti in Paesi esteri di vecchia emigrazione”.

286 Savino M., Quale cittadinanza per l’Italia?, Istituto di ricerche sulla

144 Il dato su cui converrebbe di riflettere è proprio quello che

deriva da questo potere illimitato dello ius sanguinis, il quale finisce inevitabilmente per svilire i connotati fortemente etnico-identitari che si vorrebbero in realtà tutelare favorendo l’assenza dello ius soli. Cosa si intenda per status civitatis, quando il diritto di voto spetta a chi non vive, né lavora, né paga i contributi nel nostro Paese e al contrario non spetta invece a chi vi appartiene in un senso socio-culturale, è quanto di più di legittimo venga da chiedersi.

Come afferma lo stesso Savino: “In un ordine globale caratterizzato da una accentuata mobilità, alcuni indici tradizionali di appartenenza diventano recessivi. Così è certamente per quelli- come la religione professata- che discriminano in relazione al godimento di diritti fondamentali. Ma lo è anche per quegli indici di tipo razziale o etnico (sangue o discendenza), perché lo Stato-Nazione è chiamato a ridefinire la propria identità tenendo conto del pluralismo di etnie e culture che deriva dai flussi migratori. L’evoluzione della disciplina della cittadinanza riflette, in breve, il progressivo assottigliamento degli aspetti identitari del concetto di nazione. Per converso assume un rilievo maggiore l’indice “neutro” rappresentato dall’attaccamento territoriale: la residenza(...) Il risultato è la convergenza verso una cittadinanza “leggera”: territoriale, ma con tratti identitari; non difficile da ottenere, ma con pochi diritti e ancor meno

cittadinanza italiana in prospettiva comparata, op. cit. pag. 7 : “ La conseguenza è che lo Stato italiano ha perso il controllo della sua popolazione. Lo ius sanguinis illimitato ha generato un abnorme numero di italiani virtuali. La stima delle persone che, pur non avendo mai vissuto in Italia, avrebbero diritto ad acquisirne la cittadinanza per discendenza si aggira intorno ai 70 milioni: ove tutti costoro esercitassero il diritto, la popolazione italiana sarebbe d’un colpo più che raddoppiata”.

145 obblighi, che differenzino i cittadini dagli stranieri

stabilmente residenti.”287

In tal senso se si guarda ai diritti sociali spettanti agli stranieri, ci accorgiamo di quanto si sia accorciata la “distanza” tra la cittadinanza e il godimento dei diritti, ecco perché forse la stessa andrebbe ripensata oltre le categorie classiche dello ius soli e ius sanguinis, ma piuttosto, ancorandola alla residenza e all’integrazione dell’individuo, il quale ha liberamente scelto dove muoversi e dove risiedere. Si fa riferimento quindi ad un’accezione “civica” della cittadinanza, costruita sull’adesione agli stessi valori, anche se da parte di diversi “ethnos”, i quali fanno però parte dello stesso “demos”.288

“Lo studio dei diritti sociali degli stranieri disvela un nuovo volto della cittadinanza, da presupposto di riconoscimento di quei diritti a fine ultimo di tale riconoscimento, quale massimo obiettivo di integrazione della persona nella società. La procedura di ottenimento della cittadinanza, potrebbe dunque, essere concepita come un processo di progressiva integrazione sul territorio: un’integrazione che avviene attraverso il riconoscimento di diritti, anche auspicabilmente di natura politica, al fine di superare la costante dissociazione- per quanto riguarda gli stranieri- tra obbligo tributario e rappresentanza politica. In altri termini guardando alla cittadinanza come a un percorso da costruire, essa potrebbe

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