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La popolazione minorile straniera presente in Italia e i rapporti con l'acquisto della cittadinanza italiana, tra nuove istanze, profili giuridici lacunosi e dibattiti ancora aperti.

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza

La popolazione minorile straniera presente in Italia e i

rapporti con l’acquisto della cittadinanza italiana, tra nuove

istanze, profili giuridici lacunosi e dibattiti ancora aperti

Il candidato Il relatore

Anna Da San Biagio Gianluca Famiglietti

(2)

2 A mio padre e mia madre,

perché a loro, indistintamente e in modo complementare, devo tutto.

A mia madre, perché è sempre stata la Donna che vorrei essere.

A mio padre, perché è l’Uomo capace di aiutarmi nel diventarlo.

A mio padre, mia madre e mio fratello Pietro, che è un regalo inestimabile,

perché siamo sempre stati solo Noi.

A mia nonna, che si è portata via con sé il profumo del sabato pomeriggio.

Ai miei nonni, quelli che ho potuto vivere

e a quelli cui il tempo non mi ha concesso di farlo.

Alla mia casa,

alla fortuna di crescere in un posto unico,

sereno, vero, verde,

ricco di comunanza e di parentele forti,

di radici e di ali.

Ai miei zii e cugini che l’hanno vivacizzata, fonti di affetto costante e di stimoli sempre nuovi.

Agli educatori che ho incontrato, di ogni sorta, che mi abbiano più o meno ispirata, ai loro “no”

e a chi con me ha saputo avere la pazienza del grano.

Alla Costituzione.

Alla curiosità, alla conoscenza; alle cadute e allo sconforto, al senso di inadeguatezza e di responsabilità,

alla paura, alla crescita, alla generosità, al senso civico e di giustizia.

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3 Allo Sport,

appuntamento quotidiano della me bambina, istruzioni per l’uso della vita dapprima, rifugio sicuro poi sempre.

Incontro con il mio corpo, con i miei limiti

e con l’altruità;

tempo di gioco e di coesione a cui non vorrei rinunciare mai.

Alla musica,

alla poesia,

all’Amicizia, all’Amore; alla condivisione,

di qualunque forma e colore,

perché su di essa ho edificato i rapporti umani che mi circondano

che non hanno bisogno di essere qui elencati,

tanto non riuscirei con le parole a declinarne le sfumature

e le mie persone già sanno di essere parte di questo cuore.

A tutti voi dico grazie,

questo traguardo è fatto solo di riconoscenza,

perché se mi volgo indietro io vedo un viaggio sin qui meraviglioso

felice e colorato e sorprendente

e non posso smettere di percorrerlo arsa di gioia.

(4)

4 “Il cuore rallenta e la testa cammina

in un buio di giostre in disuso

qualche rom si è fermato italiano come un rame a imbrunire su un muro

saper leggere il libro del mondo

con parole cangianti e nessuna scrittura

nei sentieri costretti in un palmo di mano i segreti che fanno paura

finché un uomo ti incontra e non si riconosce e ogni terra si accende e si arrende la pace”

Fabrizio De Andrè

“Dici: è faticoso frequentare i bambini. Hai ragione.

Aggiungi: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, scendere, piegarsi, farsi piccoli. Ti sbagli.

Non è questo l’aspetto più faticoso.

È piuttosto il fatto di essere costretti ad elevarsi fino all’altezza dei loro sentimenti.

Di stiracchiarsi, allungarsi, sollevarsi sulle punte dei piedi.

Per non ferirli”

Janusz Korczac

(5)

5

Indice

Ringraziamenti_________________________________2

Introduzione: chi è il minore straniero?_____________7

CAPITOLO PRIMO

Inquadramento del minore

1.1 La condizione giuridica del minore nel nostro ordinamento_____________________________________19 1.2 Il minore nel diritto sovranazionale________________30

CAPITOLO SECONDO

Il minore straniero e l’accoglienza

2.1 L’accoglienza per il minore straniero___________42 2.2 Le novità in materia di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati________________________________54

CAPITOLO TERZO

I minori stranieri e la cittadinanza in Italia

3.1 La cittadinanza_____________________________65

3.2 La cittadinanza in Italia______________________87 3.3 I minori stranieri e l’acquisto della cittadinanza__112

(6)

6

CAPITOLO QUARTO

Lacune e nuove proposte sulla legge n. 91 del 1992

4.1 Criticità della legge n. 91 del 1992, tra integrazione e multiculturalismo_______________________________135 4.2 Le proposte di riforma______________________151 4.3 I minori Rom, Sinti e Caminanti______________176

CAPITOLO QUINTO

Sguardo in chiave comparativa: l’esempio

francese e quello tedesco

5.1 Due modelli europei a confronto: l’idea “volontaristica” tedesca e quella “assimilazionista” dell’esperienza francese__________________________194 5.2 La cittadinanza in Francia___________________208 5.3 La cittadinanza in Germania_________________220

Conclusioni_____________________________

237

(7)

7 INTRODUZIONE

Chi è il minore straniero?

Individuare la condizione giuridica del minore d’età straniero è un processo complesso che conviene scindere in due passaggi chiave, che ci permettano un’inquadratura più precisa, e cioè partire dalla constatazione che abbiamo di fronte un soggetto che vive due condizioni contestuali: quella di essere un individuo minore d’età e quella di essere straniero.1

Partendo dal primo piano di osservazione, individuare la condizione del minore nel nostro ordinamento impone una riflessione su come lo stesso si sia evoluto storicamente in ragione dei mutamenti culturali e sociali. L’attenzione verso il tema dei diritti minorili e del minore, come soggetto che non fosse solo titolare di diritti patrimoniali, si ha a partire dagli anni Sessanta, con il primo significativo manuale sul tema, che risale al 1965.2

È molto interessante osservare come l’impulso verso questo settore del diritto debba molto di più alla sensibile attività di alcuni magistrati, che negli anni Settanta, riconobbero per

1 Relazione presentata alla tavola rotonda su “I minori e il diritto: dialogo

con i giuristi” organizzata nell’ambito del progetto SCREAM (Supporting Children’s Rights through Education, the Arts and the Media). Passaglia Paolo, I minori nel diritto costituzionale, 2006.

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8 primi la rilevanza dei precetti costituzionali verso la tutela dei

soggetti in formazione, divenendo protagonisti di una sorta di “judge made law”, radice della storia del diritto minorile stessa 3 . Infatti la dottrina giuridica del tempo, in particolar

modo quella civilistica, privilegiando una concezione che potremmo definire patrimonialistica del diritto, non poteva che risultare meno attenta nei confronti di un soggetto come quello minore, dati i suoi più ovvi tenui interessi economici.

Il diritto, in questo senso, non faceva altro che riflettere quello che era l’approccio della società stessa nei confronti del ruolo di “bambino”, “ragazzo”, che in maniera pertinente Alfredo Carlo Moro giudicava “ambivalente” 4, proprio per la sua ambiguità che ha sempre avuto nel rapporto con l’adulto. La società ha frequentemente guardato al minore come un “bene in proprietà di qualcuno”5, il quale grazie ad un percorso

formativo e solo al fine di esso, veniva plasmato in un soggetto finito e capace di esigenze autonome. Moro sottolinea efficacemente come l’approccio verso l’infanzia sia sempre stato il risultato di un “desiderio-ripulsa, di attrazione-preoccupazione, di amore-timore”6. Una difficoltà, quella del

rapporto adulto-bambino, che si è tradotta in un’incapacità generale e anche culturale, di afferrare, nel tempo, il tema dei minori e di coglierne le diverse sfumature e le diverse esigenze.

Ci appare, in questo senso, interessante l’osservazione linguistica ed efficacissima, che Luigi Fadiga ci consegna, notando l’assenza nella nostra lingua di “una parola capace di individuare tutti i soggetti in età evolutiva, dalla nascita alla

3 Resta E., Sociologia del diritto, 1995.

4 Moro C. A., Manuale di diritto minorile, 2002 pag. 7.

5 Ibidem.

(9)

9 maggiore età”7, a differenza di quello che avviene, invece,

nella lingua inglese o in quella francese, dove troviamo termini come child o enfant; nella nostra lingua, infatti, vi sono una serie di termini utilizzabili, che non hanno però la stessa estensione e che comportano l’utilizzo del termine minore, il quale enfatizza sicuramente una condizione di incompiutezza o comunque di inferiorità rispetto a qualcos’altro o a qualcun’altro.

Gradualmente, però, il tema dell’infanzia e dell’età evolutiva, ha cominciato a conquistare un ruolo sempre più centrale, grazie soprattutto all’attenzione delle scienze umane, che hanno evidenziato l’importanza non solo della tutela del minore come soggetto debole, in divenire, ma anche e in particolar modo, la centralità dell’individuo in sé, come titolare di diritti e doveri in quanto tale, hic et nunc.

Proprio in questo senso il tema risente principalmente di due approcci molto diversi fra loro: quello che vede, e che storicamente ha visto sempre il minore come un soggetto debole, da tutelare e destinatario di un diritto volto esclusivamente alla sua protezione e quello, più recente, che guarda al minore come ad un soggetto già portatore di una sua personalità e verso il quale il diritto cerca di promuovere istanze di autodeterminazione. Esempi chiari dell’ordinamento che si pone in chiave protezionistica sono la disciplina sull’incapacità di agire declinata all’art. 2 c.c. 8,

7 Convegno “Cittadini si diventa. Famiglie, scuola, territori: ambiente di

apprendimento e di esercizio della cittadinanza”, lectio magistralis di Fadiga Luigi, Il bambino è un cittadino, minore età e diritti di cittadinanza, Bologna 12-13 Dicembre 2008.

8 Art. 2 c.c. La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo

anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un'età diversa. Sono salve le leggi speciali che stabiliscono un'età inferiore in materia di capacità a prestare il proprio

(10)

10 l’istituto dell’imputabilità penale9, oltre che e nondimeno,

l’idea permeante tutta la nostra Costituzione di un favor minoris10 in senso oggettivo.

Dall’altra parte, invece, e in questo senso, ha dato forte impulso la comunità internazionale, possiamo individuare nel diritto all’ascolto11, infatti, una delle conquiste più rilevanti

del minore-persona come soggetto attivo, protagonista della sua esistenza, come vedremo meglio nelle parti successive di questo lavoro.

Contestualmente alla diversità di questi due modi di relazionarsi con la figura del minore, si ha a che fare con le diverse sfumature dell’approccio verso il tema dello straniero, con tutto ciò che ne consegue. Tema che risente ovviamente delle scelte politiche e che ci ha visto negli ultimi anni passare “dall’Europa della speranza all’Europa della paura”12. Da

quello che era, nell’Ottobre del 1999 a Tampere, un documento dove il Consiglio Europeo si univa sui temi della

lavoro. In tal caso il minore è abilitato all'esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro.

9 Art. 85 c.p. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge

come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità d'intendere e di volere.

10 Tale principio indica la tutela preferenziale che la legge, allo scopo di

riequilibrare particolari posizioni di diseguaglianza tra situazioni soggettive e di sbilanciamento d’interessi, accorda in determinate circostanze ad uno invece che ad un altro soggetto; in questo caso si riferisce proprio a tutela del soggetto minore.

11 In particolare in questo senso art. 24, primo comma, della Carta

europea dei diritti fondamentali; Art. 12, par. 2, Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia; gli art. 3 e 6 della Convenzione europea sui diritti dei minori.

12 E. Rossi, F. Biondi Dal Monte e M. Vrenna, La governance

dell’immigrazione. Diritti, politiche e competenze, il Mulino 2013, op. cit.

così Giuliano Amato nella Prefazione pag. 9:” (..) siamo passati dall’Europa della speranza all’Europa della paura e tuttavia in questa stessa cornice hanno preso corpo miriadi di altre risposte subnazionali e locali – oltre a quelle che si sono fatte largo nelle sedi giurisprudenziali – che hanno resto il quadro molto più variegato”.

(11)

11 cooperazione e dell’integrazione, siamo poi giunti in meno di

dieci anni, al Patto sull’immigrazione, promosso dalla Francia nel 2008, che poneva invece al centro i temi della difesa dall’immigrazione clandestina, la promozione dei rimpatri e l’incentivazione di quella che viene definita l’immigrazione “circolare”.13 Questa inversione forte nella governance

dell’immigrazione a livello comunitario ha avuto ovviamente un impatto anche sulla legislazione italiana, se pensiamo alle note positive e di apertura della legge Turco-Napolitano del 1998, rispetto a quello che è stato poi l’approccio rivisto con la legge Bossi-Fini nel 2002 prima, e il “pacchetto sicurezza” del governo Berlusconi poi. Ciò si è verificato proprio in ragione, appunto, delle diverse correnti politiche che hanno attraversato il Paese e hanno diversamente inciso nell’affrontare il fenomeno sociale dell’immigrazione nel corso di questo ultimo ventennio.

Il testo unico sull’immigrazione (TUI) del 1998 rappresentava il primo vero intervento organico del legislatore in materia, poiché prima di questo c’erano stati solo interventi che riguardavano la condizione giuridica dello straniero da un punto di vista lavoristico o comunque strettamente emergenziale.14 Nel TUI si promuoveva un riconoscimento intenso dei diritti sociali per gli stranieri che risultavano essere regolarmente presenti sul nostro territorio, e una più rigida e rigorosa politica di ingresso e di controllo degli stranieri irregolari, anche se alla luce degli interventi successivi, si trattava sicuramente di un quadro normativo che guardava alla persona e non puramente allo straniero come strumento di utile manovalanza per il paese o clandestino pericoloso dal

13 Ivi, op. cit. pag. 10:” quella di chi viene per qualche anno, ma non si

insedia da noi e ritorna in patria”.

14 Ivi, pag. 61-68, si fa riferimento in questo senso alla legge n.943 del

1986 e al decreto legge n.416 del 1989 convertito nella legge “Martelli” il 28 Febbraio 1990, n.39.

(12)

12 quale proteggersi. Mi riferisco in questo senso alle politiche

fortemente repressive introdotte con la legge n.189 del 2002 (legge Bossi-Fini), la quale per esempio ha abolito la possibilità prevista all’art. 23 del TUI del così detto “sponsor”15 e ha inasprito lo strumento dell’espulsione, il

quale può essere disposto anche in pendenza di un procedimento penale a carico dello straniero, in presenza della richiesta del questore del nulla osta all’autorità giudiziaria. Sono state poi disposte ulteriori modifiche al TUI con un evidente esasperazione del regime repressivo nei confronti dell’immigrazione irregolare, operato con il decreto legge n.241 del 2004, ad esempio in caso di rientro dello straniero espulso16 o di permanenza illegale a seguito di ordine del questore “senza giustificato motivo”. Successivamente, poi, i provvedimenti facenti parti del così detto “pacchetto sicurezza” 17 hanno proseguito il percorso intrapreso nel 2002,

tra i quali non posso qui non citare simbolicamente l’introduzione dell’aggravante per i reati commessi dallo straniero illegalmente presente sul territorio, poi dichiarata incostituzionale con la celebre sentenza n. 249 del 2010. Tra

15 Ivi, op. cit. pag. 70 “la quale stabiliva che un cittadino italiano o uno

straniero regolarmente soggiornante potesse presentare alla questura della provincia di residenza richiesta nominativa per l’ingresso di un altro straniero, in relazione al quale egli si impegnava a garantire un alloggio e la copertura dei costi per il sostentamento e l’assistenza sanitaria. Detta previsione che costituiva un punto equilibrio ragionevole tra le distinte richiamate esigenze, è stata eliminata dalla legge n.189 del 2002, a riprova dello stesso legislatore di contrastare ogni possibile presenza in territorio italiano di stranieri non impegnati in un’attività lavorativa, nel timore di un’intensificazione del fenomeno per cui immigrati regolarmente presenti, già soggiornanti in Italia, possano consentire l’ingresso di altri soggetti, considerati, in quanto attualmente privi di un’occupazione, potenziali pericoli per l’ordine pubblico”.

16 Ivi, pag.73-74.

17 Decreto legge 23 Maggio 2008, n. 92, convertito in legge 24 Luglio 2008,

n. 125; disegno di legge approvato con l. n. 94 del 2009 il 15 Luglio; e i due decreti legislativi del 3 Ottobre 2008, n. 160 in materia di ricongiungimento familiare, e del 3 Ottobre 2008, n. 159 relativo al riconoscimento e alla revoca dello status di rifugiato.

(13)

13 le altre misure risulta significativo ricordare altresì il ritorno

allo strumento delle “ronde”.18

Non possiamo poi non considerare l’incidenza sul tema che ha avuto la modifica del titolo V della Costituzione, introdotta con la legge costituzionale n.3 del 2001, che ha inciso notevolmente sulla materia dell’immigrazione conseguentemente alla nuova ripartizione delle competenze legislative tra Stato e regioni da lei promosso. Suddetta legge, modificando l’art. 117 della Costituzione, ha stabilito che le “materie di diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea” e la materia “dell’immigrazione” siano competenza esclusiva dello Stato, mentre allo stesso articolo si afferma che tutte le materie non facenti parti dell’elenco appunto dedicato alla competenza esclusiva dello Stato o di quella concorrente, siano da considerarsi di competenza regionale. Ecco perché, alla luce di questi ultimi anni, si è registrato un importante protagonismo delle politiche regionali rispetto alla promozione di servizi sociali e di diritti proprio nei confronti degli stranieri. Si pensi, come vedremo meglio poi nel proseguo di questo lavoro, a quella che è stata la gestione e l’attività delle stesse nell’assistenza sociale e sanitaria e nell’istruzione. In questo senso si è registrata una prassi giurisprudenziale che ha lasciato ampi margini rispetto alla gestione dei diritti sociali in capo alle regioni, limitando piuttosto, le politiche di ingresso e alla circolazione più in generale alla competenza statale.19

18 Art. 3 commi 40 e ss.:” I sindaci, previa intesa con il prefetto, possono

avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale”.

19 Sentenza n. 300 del 2005 ha visto per la prima volta pronunciarsi la

Corte Costituzionale riguardo proprio alla intersecazione degli ambiti di competenza Stato-regioni, specie come in questo caso dove

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14 È un esempio virtuoso la legge regionale toscana

sull’immigrazione20, principalmente per quella che è la

“politica per l’immigrazione”21, volta quindi al tema

dell’integrazione degli stranieri nel nostro contesto sociale. È interessante qui richiamare il preambolo della legge regionale per l’importanza dei principi di cui si fa promotore e per l’approccio che disegna verso il tema dell’immigrazione, come incontro di un’altruità ricca, di una risorsa da tutelare, proteggere, integrare, che ci riporta a quell’ “Europa della speranza”, che cerca di farsi realtà in una comunità territoriale, senza idealismi impregnati solo di formule vuote:

“1. L’immigrazione di cittadini stranieri nel territorio regionale è un fenomeno costante e strutturale caratterizzante l’attuale fase storica e le prospettive future e inserito nel più ampio scenario nazionale ed internazionale; 2. La presenza dei cittadini stranieri contribuisce allo sviluppo economico e sociale dei nostri territori in considerazione innanzitutto di un riscontrato forte loro positivo inserimento nel mondo del lavoro anche in ambiti particolarmente delicati e rilevanti quali il lavoro domestico e di assistenza alla persona; 3. Di fronte alle tendenze indicate occorre promuovere un’azione della Regione da sviluppare nel rispetto delle competenze costituzionali senza invadere le funzioni in materia di immigrazione riservate allo Stato e tese invece a intervenire

legittimamente, come stabilito dalla Corte stessa, la regione promuoveva il coinvolgimento degli stranieri nella consulta regionale al fine di integrare gli stranieri da un punto di vista sociale e culturale.

20 Legge n. 29 del 2009, recante le “norme per l’accoglienza, l’integrazione

partecipe e la tutela dei cittadini stranieri nella regione Toscana”, legge che si sostituisce alla previgente l. n. 22 del 1990, come espressamente abrogata all’art. 6 comma 78.

21 Così A. Ruggeri e C. Salazar, “Ombre e nebbia nel riparto delle

competenze tra Stato e regioni in materia di emigrazione/immigrazione dopo la riforma del titolo”, Giuffrè 2004 p.337.

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15 negli ambiti di specifica competenza regionale attinenti alla

creazione delle migliori condizioni per un positivo sviluppo delle relazioni sociali nei territori ormai interessati in maniera globale e diffusa da una significativa e rilevante presenza straniera; 4. Occorre quindi favorire lo sviluppo di efficaci politiche territoriali nei diversi ambiti quali ad esempio l’istruzione, la sanità, il lavoro, l’accesso all’alloggio, inserite in una cornice comune, tese a favorire un processo di positiva integrazione partecipe dei cittadini stranieri nell’obiettivo della costruzione di una comunità plurale e coesa fondata sul contributo di persone di diversa lingua e provenienza e sul rispetto del principio costituzionale di uguaglianza; 5. È necessaria pertanto la creazione di un modello di “governance” che attraverso nuovi strumenti di programmazione basati su una attenta osservazione e analisi del fenomeno migratorio delinei un contesto avanzato per lo sviluppo dei programmi e delle azioni condotte dai diversi settori dell’amministrazione regionale e degli enti locali, in collaborazione con le organizzazioni statali e internazionali e in una relazione di forte integrazione con gli organismi sociali e del terzo settore; 6. In tale contesto essenziale rilievo rivestono la valorizzazione dell’associazionismo straniero e lo sviluppo di nuove modalità di rappresentanza e di partecipazione alla vita della comunità dei cittadini stranieri in particolare attraverso la qualificazione e la diffusione nel territorio dei consigli e delle consulte degli stranieri istituiti presso gli enti locali della Regione. 7. Gli interventi tesi a favorire l’integrazione partecipe dei cittadini stranieri devono essere innanzitutto finalizzati alla rimozione delle disuguaglianze sostanziali collegate a differenze di lingua e di cultura che ostacolano il godimento dei diritti, la concreta fruizione dei servizi territoriali e una piena e completa vita di relazione; 8. È necessario quindi favorire la diffusione della conoscenza della lingua italiana anche ai fini della

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16 promozione di una cittadinanza attiva per lo sviluppo di una

nuova società in un contesto di pacifica convivenza tra persone delle più varie origini e nazionalità; 9. Occorre inoltre agevolare l’accesso e la fruizione dei servizi territoriali da parte dei cittadini stranieri attraverso la qualificazione dei mediatori culturali, la formazione degli operatori pubblici e privati sui temi dell’intercultura e l’adeguamento in genere dei servizi a un’utenza pluriculturale; 10. Al fine di promuovere e garantire l’adeguatezza delle politiche di integrazione occorre peraltro considerare le differenze di provenienza, di radicamento, di competenze, di prospettive e aspirazioni di vita dei cittadini stranieri presenti nei nostri territori tali da richiedere interventi mirati e consapevoli da parte delle istituzioni e dei servizi territoriali; 11. Nella considerazione di tali differenze una particolare attenzione è rivolta agli stranieri presenti nel mondo dello studio e della ricerca in grado di fornire un qualificato contributo allo sviluppo dei nostri territori e dei paesi di origine nell’ambito di un processo di circolazione delle conoscenze tale da favorire una complessiva crescita economica e culturale della nostra civiltà; 12. Occorre inoltre considerare la crescente diffusa presenza straniera nel mondo delle imprese a testimonianza di un ormai avanzato processo di integrazione tale da richiedere una peculiare attenzione da parte delle istituzioni tesa a favorire, attraverso la promozione di appositi servizi di informazione e assistenza, positive condizioni di avvio e mantenimento da parte del cittadino straniero di attività economiche inserite in complessi contesti operativi e normativi; 13. Una peculiare attenzione è dedicata alla qualificazione e al rafforzamento delle reti dei servizi attivi nei territori e istituiti in favore delle fasce più deboli della popolazione straniera spinte da una migrazione “forzata” derivante da persecuzioni individuali in paesi ove sono negati i fondamentali diritti e le essenziali

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17 garanzie di libertà, da conflitti e profonde crisi interne alle

aree di provenienza, da fenomeni criminali quali la tratta degli esseri umani; 14. Attraverso la possibilità di accesso a servizi e prestazioni essenziali sociali e sanitarie tesi a salvaguardare la salute e l’esistenza della persona pur se priva di titolo di soggiorno, occorre promuovere il valore di una cittadinanza sociale riconosciuta all’uomo in quanto tale, a prescindere dalla sua condizione giuridica e dalla sua appartenenza a una determinata entità politica statuale; 15. Occorre infine considerare attentamente la complessiva debolezza della condizione dei cittadini stranieri nel loro insieme e occorre quindi promuovere il rafforzamento di una rete di punti informativi, con specifica competenza nelle materie relative ai titoli di soggiorno, integrata con i servizi di accesso polifunzionale ai servizi della pubblica amministrazione nonché di una rete di servizi di tutela per la

prevenzione e il contrasto dei comportamenti

discriminatori.”22

Per quanto riguarda il corpus normativo della legge, è centrale l’estensione delle prestazioni del welfare regionale nei confronti degli stranieri, che come sottolinea efficacemente Paolo Passaglia: “ Il punto è tanto importante da poter essere indicato come quello più qualificante dell’intera legge regionale, vuoi per lo spazio che nella medesima assume, vuoi per il suo essere, in ultima analisi, il fondamento su cui la società plurale può calarsi dall’empireo della teoria nella pratica concreta.”23 Cito qui, per attinenza al tema che

affronterò in questo lavoro, l’art. 6 comma 55, il quale afferma: “La Regione promuove interventi specifici a favore di cittadini stranieri vulnerabili, in particolare: a) promuove

22 Preambolo della legge regionale toscana n.29 del 2009.

23 Paolo Passaglia, La legge regionale Toscana sull’immigrazione: verso la

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18 intese finalizzate a favorire l’accesso al medico pediatra ai

minori non in regola con le norme sull’ingresso e il soggiorno; b) garantisce alle cittadine straniere la tutela della gravidanza e della maternità, promuovendo servizi socio sanitari nel rispetto delle differenze culturali; c) promuove per le cittadine straniere madri che risultino prive di una rete familiare di sostegno, l’accesso ad interventi di assistenza nella cura dei minori che possono consentire loro lo svolgimento dell’attività lavorativa; d) garantisce l’iscrizione al servizio sanitario regionale per i soggetti di cui all’articolo 2, comma 3, nella fase di ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di diniego del riconoscimento dei relativi “status”; e) garantisce l’iscrizione al servizio sanitario regionale al cittadino straniero in possesso del permesso di soggiorno per assistenza di minore, previsto dall’articolo 2, comma 6, del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5 (Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare). f) promuove e favorisce l’accesso dei cittadini stranieri disabili ai servizi socio sanitari previsti dalla normativa regionale.

Ai due commi successivi, il 56 e il 57, sempre all’art. 6, poi promuove l’integrazione dei minori stranieri non accompagnati, di cui parleremo, favorendone “la tutela dei diritti, nonché l’accesso al sistema integrato di interventi e servizi.”

Questa è, per sommi capi s’intende, la complessità della materia dell’immigrazione, in particolar modo riguardante i minori, che cercherò di indagare approfonditamente e nella maniera più esaustiva possibile, comprendendo la difficoltà del fenomeno e cercando di non ridurlo, semplificarlo, né di scivolare nella retorica più immediata.

(19)

19

CAPITOLO PRIMO

Inquadramento del minore

1.2 La condizione giuridica del minore nel nostro ordinamento

Procediamo nell’analisi della condizione giuridica del minore straniero, soffermandosi come detto in precedenza, su quella del minore.

Secondo l’ordinamento italiano, in base all’art. 2 cc24, minore

è la persona fisica che non ha ancora compiuto il diciottesimo anno di età. Il minore possiede capacità giuridica25, ma è privo della capacità di agire, che si acquista solo al compimento della maggiore età. Il minore potrà quindi validamente compiere solo gli atti espressamente previsti dalla legge, ne è un esempio l’art. 1, co. 622, della l. 27 dicembre 2006 n. 296, il quale dispone che l’età minima per l’accesso al lavoro sia di 16 anni, che rappresenta quindi un’eccezione, poichè in linea generale gli atti compiuti dal

24 Art. 2 c.c.:” La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo

anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti

per i quali non sia stabilita un'età diversa.

Sono salve le leggi speciali che stabiliscono un'età inferiore in materia di capacità a prestare il proprio lavoro. In tal caso il minore è abilitato all'esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro”.

25 Art. 1 c.c.: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita.

I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita”.

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20 minore sono invalidi26. Finché non raggiunge la maggiore età

il minore sarà pertanto soggetto alla responsabilità dei genitori27, salve ovviamente le eccezioni previste dalla legge

(basti pensare al regime del minore emancipato) o in mancanza dei genitori, di un tutore nominato dal giudice. Infatti, i genitori o il tutore eventualmente nominato, si occuperanno degli interessi e della cura del minore. Quella che ci consegna il nostro codice civile del 1942, è una fotografia di quella che era l’impostazione incentrata sulla funzione pubblicistica della potestà, in parte mitigata dalla riforma del diritto di famiglia del 197528 come possiamo vedere dall’art. 147 c.c., introdotto dalla riforma stessa29. È

grazie, però, alla Costituzione e alle fonti sovranazionali che questa impostazione verrà gradualmente ribaltata, ponendo

26 Ne sono un esempio gli art. 591 c.c. e art. 1425 c.c.

27 Art. 316 c.c.: “Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale

che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei (…)”.

28L. Strumendo e P. De Stefani, I diritti del bambino tra protezione e

garanzie. La ratifica della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei fanciulli, Quaderni 2004 n.6, Università degli studi di Padova cit. Gustavo

Sergio: “In Francia la riforma del Code Civil realizzata nel 1970 (l. n. 70-459) sostituisce il termine puissance, corrispondente all’antica potestas, con autoritè, derivante dal latino augere (“che fa crescere”), che sottolinea l’adesione spontanea che si realizza nell’interazione educativa tra genitore e figlio. Nello stesso senso è la modifica del 1979 del BGB tedesco. La parola gewalt (potere) è stata sostituita con sorge (cura) e nel secondo comma della disposizione si legge che nell’allevamento e nell’educazione del figlio i genitori prendono in considerazione la crescente capacità ed il crescente bisogno del figlio per quanto ciò sia opportuno un base al suo stato di sviluppo, dei problemi relativi alla sua cura e mirano al comune accordo”.

29 Ne è un importante esempio l’art. 147 c.c., come modificato

ulteriormente dall’art. 3 d.lgs. 28.12.2013, n. 154: “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis”.

(21)

21 realmente al centro il minore, ora soggetto di diritti, come

vedremo.

Lo statuto Albertino ignorava del tutto la posizione del minore e le sue particolari esigenze, mentre la nostra Carta fondamentale ha cercato di individuare, in modo più o meno diretto, alcune situazioni specifiche che lo riguardino. Non ha creato uno statuto organico di tutela del soggetto minore d’età, né ha scelto di inserire l’età come un fattore discriminante nell’elenco di cui all’art. 3 Cost, ma ha appunto promosso quel favor minoris di cui sopra, attraverso un quadro di diritti precisi che lo riguardano in diverso modo. Come afferma efficacemente Giuditta Matucci: “Così accanto a richiami più o meno diretti alla minore età quale condizione meritevole di protezione - si pensi all’utilizzo di termini quali ‘infanzia’, ‘gioventù’ (all’art.31 Cost.) e ‘bambino’ (art. 37, primo comma, Cost.) - prevalgono, tuttavia richiami indiretti: il minore non è identificato tanto come centro autonomo di imputazione (di diritti e di doveri), ma piuttosto, quale titolare di status che egli assume all’interno della comunità (e delle formazioni sociali di cui la comunità si compone). Per intendersi è ‘figlio’ all’interno della ‘famiglia’; è ‘alunno’ all’interno della scuola; è ‘inabile’ o ‘minorato’ a scuola e/o nell’ambiente di lavoro, ed è pure straniero, malato, indigente e così via.”30

Gli articoli costituzionali di riferimento per inquadrare la condizione giuridica del minore sono: l’art. 30, l’art. 31, l’art. 34, l’art. 35, l’art. 37, l’art. 38 e in modo indiretto potremmo dire, anche l’art. 48, con la sua previsione della maggiore età come fattore discriminante per la partecipazione al voto. Importante è il diritto soggettivo all’educazione del minore

30 Op. cit. Matucci G., Lo statuto costituzionale del minore d’età, Milano

(22)

22 che sancisce la costituzione31 e, in questo senso, l’art. 30 Cost.

rappresenta il fulcro della disciplina minorile nella sua dimensione di status filiationis32, attraverso la sua articolazione in quattro commi dedicata appunto al rapporto tra genitori e figli. Al primo comma troviamo una particolarità che merita attenzione ed è quella dell’inversione dei due termini “diritto” e “dovere”, i quali vengono usati in una formula rovesciata rispetto alla consuetudine, proprio per sottolineare come i genitori abbiano nei confronti dei figli un dovere prima ancora che un diritto a “mantenere, istruire ed educare i figli”; si tratta di un dovere che risulta essere la condizione dell’esistenza del diritto stesso, un dovere che supera ormai anche le maglie formali dell’esistenza di un rapporto coniugale fra i genitori, con il suo riferimento ai “figli nati fuori dal matrimonio” letto con un’interpretazione evolutiva insieme all’art. 29 primo comma.33

Infatti, non possiamo non sottolineare come nel tempo l’art. 30 Cost. abbia subito un’evoluzione giurisprudenziale e legislativa molto forte, passando dall’essere l’articolo per eccellenza dedicato ai rapporti di filiazione, a divenire quasi spogliato dei suoi effetti, sotto un dominio sempre più diffuso

31 Come sottolineò l’on. Moro in un celebre intervento: “Una costituzione

la quale, dopo aver affermato che ragion d’essere e criterio misura di ogni potere e attività sociale è l’uomo, omettesse di garantire il diritto al raggiungimento della libertà responsabile dell’uomo cosciente di sé e del mondo, sarebbe in contrasto con se stessa”.

32 Art. 30 Cost.: “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed

educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.

Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.

La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.

33 Passaglia P., “I minori nel diritto costituzionale”, op. cit.; L. 10 Dicembre

(23)

23 del principio del superiore o preminente interesse del

minore.34

L’art. 30 Cost. ha vissuto sicuramente fasi diverse: inizialmente è stato per lo più ignorato, in favore dell’attuazione delle disposizioni del Codice civile, seppur inferiori; successivamente è stato invece largamente impiegato, grazie all’interpretazione fatta alla luce degli art. 2 e 3 della Cost che ne hanno permesso una rilettura, ma che non ha comunque retto di fronte ai mutamenti profondi che ha vissuto la nostra società.35

Non era semplice per la norma costituzionale, anche per le contraddizioni di cui era il frutto, grazie ad un grande compromesso tra le anime più lontane presenti in assemblea costituente e su un tema così delicato, continuare ad essere al passo con i tempi attuali. Quella a cui stiamo assistendo è una “rivoluzione antropologica”36, e in questo senso mi permetto

qui di citare un autore che esula dal tracciato giuridico, ma che mi pare fornisca un utile spunto con l’idea che promuove, nella quale il bambino secondo lui, ad oggi viene ad essere il fine di un progetto intimo e profondamente voluto e scelto da parte dei genitori; il bambino che quindi “fa la famiglia”, non al contrario come accadeva prima del controllo sulla

34 Lamarque E., “Art. 30 Cost. commentario alla Costituzione”, Torino

2006.

35 Convegno annuale dell’associazione “Gruppo di Pisa”, relazione di

sintesi del gruppo di lavoro, Famiglia e filiazione, Catania, 7 8 Giugno 2013, fra gli altri Lamarque E.:” Il nostro articolo, lo ricordo, in modo contraddittorio da una parte sembra porre tutti i figli in una posizione di eguaglianza quanto ai diritti della famiglia legittima, ma mantiene anche, a monte, la distinzione terminologica tra figli nati fuori e dentro il matrimonio, che a mio parere di per sé è incompatibile con la prospettiva dell’assoluta eguaglianza; e ancora, dopo avere affermato il dovere e diritto di tutti i genitori nei confronti dei figli, contraddice questa affermazione affrettandosi a precisare, al quarto comma, che vaste categorie di genitori potranno continuare a godere di uno scudo legislativo che li esima da ogni responsabilità.”

(24)

24 procreazione stessa, quando appunto la famiglia come

istituzione socialmente faceva il bambino.37 L’autore sottolinea il rischio che è insito nel culto dell’infanzia che abbiamo costruito, esortandoci a slegare il bambino da questa idea retorica. In passato, infatti, è stato necessario soffermarsi sul tema dell’infanzia, che viveva nell’indifferenza, confinata come età indistinta da cui doveva emergere l’adulto, punto d’arrivo del riconoscimento sociale; ora serve forse liberarla dall’immaginario che gli adulti hanno costruito su di essa in nome della sua innocenza, della sua differenza. Tutto quello che sembrava essere stata una conquista, ad oggi, rischia di divenire una prigione dorata. Gauchet ci invita a riflettere su questa rivoluzione di prospettiva, dove il figlio è figlio di un desiderio e “è figlio dei loro genitori ad un livello senza precedenti, è l’emanazione del loro essere più intimo”, che determina sicuramente una crisi dell’istituto tradizionale familiare.

Sembra quindi non bastare la lettura evolutiva dell’art. 30 Cost. alla luce del principio personalista e del principio di eguaglianza, proprio perché appare superato nei valori che promuoveva, soprattutto nel suo terzo e quarto comma. Restano, però, tre cardini importanti: quello di cui sopra, della “dimensione funzionale” genitori-figli; quello dell’inviolabilità del diritto in capo al figlio e quello della “bigenitorialità” nel riferirsi ai “genitori”, di cui si può discuterne la natura più o meno forte.38

Si è accennato prima alla diffusione di quello che è il principio del superiore o preminente interesse del minore come criterio

37 Gauchet M., “Il figlio del desiderio, una rivoluzione antropologica”,

Milano 2009, p.9.

38 Convegno annuale dell’associazione “Gruppo di Pisa”, relazione di

sintesi del gruppo di lavoro, Famiglia e filiazione, Catania, 7-8 Giugno 2013, fra gli altri Lamarque E.

(25)

25 procedurale, come criterio interpretativo o integrativo rispetto

alle leggi e anche come parametro di costituzionalità, utilizzato dalla nostra Corte Costituzionale ormai in maniera consolidata, come principio che ricava dal combinato disposto degli art. 2,3, 30 e 31 della Cost. Le sentenze chiave in questo superamento dell’art. 30 Cost. e di apertura al principio del supremo o preminente interesse del minore sono in questo senso due: il “leading case”, come lo definisce Lamarque E., della sentenza n. 11 del 1981 sulla legge sull’adozione speciale del 196739, e la sentenza n. 7 del 2013, poiché qui la Corte utilizza, come norme interposte ex art. 117 Cost., due norme internazionali che sanciscono il criterio del superiore interesse del minore40, prima volta peraltro che la Corte giunge ad una declaratoria di illegittimità costituzionale utilizzando un parametro interposto che non sia la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.41

Il principio del supremo o preminente interesse del minore risulta però difficile da definire e da delimitare42 ed il rischio

è che tale principio venga riempito, appunto, di contenuti extra-normativi, che possano essere facilmente preda di relativismi culturali e anche di una certa “retorica dell’infanzia”43, in cui si può scivolare per giustificare scelte

39 Sent. n. 11 del 1981, “lo spostamento del centro di gravità dell’istituto

era imposto ancor prima sul piano superiore della normativa costituzionale, perché essa assume a valore primario la promozione del soggetto umano in formazione”.

40 Art. 3 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989 e l’art. 6

della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996.

41 Convegno annuale dell’associazione “Gruppo di Pisa”, relazione di

sintesi del gruppo di lavoro, Famiglia e filiazione, Catania, 7-8 Giugno 2013, fra gli altri Lamarque E.

42 In questo senso P. Ronfani, “L’interesse del minore nella cultura

giuridica e nella pratica”, in Cittadinanza dei bambini e costruzione sociale dell’infanzia, a cura di Maggioni C. e Baraldi C., Quattro Venti, 1997 p.254,

(26)

26 altrimenti più complesse da spiegare in ambito giuridico.

Proprio su questo tema la Lamarque evidenzia efficacemente come la traduzione dei ‘bests interests of the child’ in ‘superiore o preminente interesse del minore’, possa apparire fuorviante, resa com’è in questo modo, al singolare44, come se

si trattasse di un diritto “tiranno”, che domina qualsiasi bilanciamento con altri diritti.45 Anche guardando alle carte sovranazionali, l’autrice ci fa notare, sapientemente, come ci furono delle discussioni che portarono ,ad esempio, alla decisione di attenuare la paramountcy (intesa come ‘prevalenza’) ,così come era disposta nella Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, in semplice primacy46, proprio per impedire che i bisogni di un soggetto , in questo caso il minore, potessero godere un’egemonia assolutizzante rispetto a tutte le altre pretese eventualmente comparate.47 Ecco perché è intervenuta la stessa Corte Costituzionale, attraverso due sue recenti pronunce48, sottolineando come nella nostra Costituzione ci sia bisogno di un “continuo e vicendevole

43 Lamarque E., “Prima i bambini, il principio dei best interests of the child

nella prospettiva costituzionale”, Franco Angeli, Milano 2016, p. 23.

44 Ivi, op. cit. pag. 78: “best, è come noto il superlativo di good, buono.

Essa richiede quindi semplicemente che i “migliori” – e cioè i più significativi, i più importanti – tra i numerosi interessi/esigenze/bisogni del bambino siano tenuti in conto e garantiti da chi deve decidere. (…) L’espressione inglese best interests of the child, dunque, potrebbe essere resa in italiano con frasi come il massimo benessere per il bambino, oppure restando al superlativo relativo, il migliore interesse del minore o meglio il maggior benessere per il bambino”.

45 Ivi, pag.84.

46 “Consensus was reached to make the interests of the child only a

primary consideration in all actions”, si legge nella discussione intorno all’art. 3 della Convenzione Onu.

47 Lamarque E., “Prima i bambini, il principio dei best interests of the child

nella prospettiva costituzionale”, Franco Angeli, Milano 2016, op. cit. pag. 83: “ma a causa dell’imprecisa traduzione della stessa espressione best

interests of the child (…) nell’ordinamento italiano la paramountcy

sembra ineliminabile, perché è inglobata nell’espressione linguistica del ‘superiore ‘ o ‘preminente’ interesse del minore”.

(27)

27 bilanciamento tra i principi e i diritti fondamentali”, proprio

per scongiurare questo dominio ingiustificato.49 Infatti altrettanto sapientemente la Lamarque ci fa notare come la celebre sentenza del 1981 firmata da Leopoldo Elia, già ci consegnasse una “nozione autoctona” ed equilibrata del principio dei best interests e che ,anzi, lo precede, laddove nella sentenza si parla di una “posizione preferenziale della situazione soggettiva del minore”.

Proseguendo nell’analisi degli articoli costituzionali, troviamo l’art. 3150, dove attraverso una lettura del secondo

comma, in combinato disposto con il primo, la Costituzione evidenzia un impegno pragmatico rispetto alle affermazioni contenute agli articoli immediatamente precedenti. Infatti l’insufficienza dei mezzi economici di cui possono soffrire i genitori, non deve impedire loro di poter svolgere al meglio quel dovere-diritto di cui sopra ed ecco che, quindi, l’intervento dei pubblici poteri si rende necessario attraverso strumenti di sostegno economici e sociali.

Soffermandoci poi sull’art.3451, notiamo come esso si

sviluppi nella stessa logica di Stato sociale di cui all’art. 31

49 Op. cit. Corte Costituzionale: “(…) tutti i diritti fondamentali tutelati

nella costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate e in potenziale conflitto tra loro (…) “.

50 Art. 31 cost. “La Repubblica agevola con misure economiche e altre

provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.”

51 Art. 34 cost. “La scuola è aperta a tutti.

L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”

(28)

28 cost. Infatti il presupposto indefettibile dell’obbligo

dell’istruzione inferiore, diventa giustificabile grazie alla sua contestuale gratuità rispetto alla fruizione della scuola stessa “aperta a tutti”. È giusto in questa sede sottolineare come quando ci si riferisca alla gratuità, si intenda l’istruzione in senso stretto e non tutte le possibili spese che circondano la possibilità stessa della fruizione. 52

Infine, l’art. 37 Cost. 53 si sofferma sul tema del lavoro dove

nel primo comma affronta dapprima la condizione della donna lavoratrice, affermando l’esigenza di “consentirle l’adempimento della sua essenziale funzione familiare” e sempre nel primo comma, sottolineando come l’ordinamento debba assicurare a lei e al bambino “una speciale adeguata protezione”. Sono il secondo e terzo comma, dell’articolo in esame, a porre al centro dell’attenzione la condizione del minore come soggetto lavoratore. 54 Infatti troviamo proprio al secondo comma, un rinvio alla legge al fine di stabilire il “limite minimo di età per il lavoro salariato”, oltre il quale non è concesso impiegare un minore, considerando che si potrebbe pregiudicare in senso fisico e mentale lo sviluppo del ragazzo stesso ed è quindi fondamentale porre una tutela forte contro questa evenienza. Allo stesso modo, il terzo comma, guarda

52 Sent. n. 106 del 1968 “(...) La connessione tra l'obbligatorietà e gratuità

dell'istruzione va intesa con razionale valutazione dei due termini del binomio, che esclude ogni subordinazione del principio di obbligatorietà ad un concetto soverchiamente estensivo della gratuità.”

53 Art. 37 Cost. “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di

lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.”

54 Passaglia P., “I minori nel diritto costituzionale”, Relazione presentata

alla tavola rotonda su “I minori e il diritto: dialogo con i giuristi”, organizzata nell’ambito del progetto Scream (Supporting Children’s Rights through Educatione,the Arts and the Media) , Pisa 2006, pag.6.

(29)

29 al minore lavoratore come un soggetto che deve essere tutelato

nel suo status particolare, essendo più facilmente preda di possibili sfruttamenti, sottolineando anche l’aspetto salariale: “la Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.”

Come possiamo constatare da questa panoramica degli articoli più significativi che riguardano la sfera del minore, ci accorgiamo di come la stessa Costituzione si sia posta più che altro come strumento di tutela nei confronti di un soggetto debole. Il favor minoris, sopra menzionato, permea la Carta nell’ottica di una protezione del minore, collocato sempre in relazione ad altri soggetti e alla società stessa. Tutto ciò rapportato al momento storico, culturale e sociale della Costituente era sicuramente un’impostazione corretta e soddisfacente, potremmo anzi dire sicuramente lungimirante rispetto al sentire del tempo, fornendo la base su cui poi far approdare quelli che sono stati gli approcci successivi e diversi. È proprio questa la grandezza della nostra Carta fondamentale, la sua capacità di adeguarsi all’evoluzione sociale e ai mutamenti culturali che si verificano, senza mai perdere aderenza e vigore. 55

(30)

30 1.2 Il minore nel diritto sovranazionale

Dobbiamo adesso soffermarci su quella che è la normativa internazionale ed europea in materia di minori. Il problema della tutela dei minori in ambito internazionale, ha smesso di essere esclusiva competenza dei singoli stati grazie all’Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL), proprio in risposta alla drammaticità dello sfruttamento del lavoro minorile durante l’industrializzazione. Infatti nel 1919 l’OIL con le convenzioni n.5 e n.6 fissava l’età minima dei lavoratori minorenni nelle industrie a 14 anni quello notturno a 18 anni, seppur concedendo molte eccezioni, segnò l’inizio di un’attenzione giuridica alla condizione dei minori. L’Organizzazione stessa, ha proseguito poi negli anni contribuendo ad un’opera di importante sensibilizzazione sul tema del lavoro minorile, allargando sempre di più le maglie dei diritti e delle tutele da rivolgergli.56

Il primo significativo passo verso un riconoscimento dei diritti in tale materia si ebbe nel 1924 con la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, adottata a Ginevra, nel corso della quinta assemblea della Società delle Nazioni.57 In questa

Dichiarazione si affermava che “l’umanità ha il dovere di dare al fanciullo il meglio di sé”, la stessa conteneva cinque principi: “il fanciullo deve essere messo in grado di crescere in modo normale, fisicamente e spiritualmente; ha diritto di essere nutrito se ha fame, di essere curato se è malato, di

56 Saulle M. R., La Convenzione dei diritti del minore e l’ordinamento

italiano, Edizioni scientifiche italiane 1994, pag. 12-13.

57 Moro A. C., Manuale di diritto minorile (a cura di Luigi Fadiga), op. cit.,

(31)

31 essere aiutato se svantaggiato, di essere recuperato se

deviante; di essere accolto e soccorso se orfano o abbandonato; di essere il primo a ricevere soccorsi in situazioni di difficoltà e infine di essere protetto da qualsiasi forma di sfruttamento”.58 Si trattava però di una tutela passiva,

priva di obblighi nei confronti degli Stati, ma che segna comunque un primo passo fondamentale.

In questo excursus normativo, che cercherà di esser fatto qui di seguito, non si può non citare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, che seppur non riferita specificatamente alla condizione del bambino, fu il segno di una rivoluzione culturale, ancor prima che giuridica, che promosse la centralità della figura umana e dei suoi diritti e quindi anche dei minori in quanto individui appartenenti al genere umano.59

Dopo lo scioglimento della Società delle Nazioni e la nascita dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e del Fondo Internazionale delle Nazioni Unite per l'Infanzia (UNICEF), si fa strada sempre più il progetto di una Carta sui diritti dei bambini che integri la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, con lo scopo di dedicarsi ai loro precisi bisogni. Ecco che si ebbe la stesura e l'approvazione della Dichiarazione dei diritti del fanciullo da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, all'unanimità e senza astensioni, il 20 novembre 1959. Il documento in questione

58 Convenzione di Ginevra del 1924 sui diritti del fanciullo.

59 Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, cito fra gli altri: art.

3 "Ogni individuo ha diritto alla vita (…)";

art. 25: "Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a

garantire la salute ed il benessere proprio e della sua famiglia (…)"; art.

26: "Ogni individuo ha diritto all’istruzione"; art. 28: "Ogni individuo ha

diritto ad un ordine sociale ed internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati

(32)

32 manteneva i medesimi intenti previsti nella Dichiarazione di

Ginevra del 1924, ma stavolta chiedeva agli Stati sia di riconoscere i principi contenuti nella dichiarazione, sia di impegnarsi attivamente e in modo concreto nella loro applicazione.

La Dichiarazione era composta da un Preambolo, in cui si richiamavano la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e la Dichiarazione sui diritti del fanciullo del 192460, e da dieci princìpi.61 Tali principi includevano una serie di

diritti che non erano previsti nelle due Dichiarazioni richiamate nel preambolo stesso ed erano: il divieto di ammissione al lavoro per i minori che non avessero raggiunto un'età minima, il divieto di impiego dei bambini in attività produttive che potessero nuocere alla loro salute o ostacolarne lo sviluppo fisico o mentale e il diritto del minore disabile a ricevere cure speciali.62 Anche questa Dichiarazione non

60 Preambolo della Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959:”

(…)Considerato che il fanciullo, a causa della sua immaturità fisica e

intellettuale, ha bisogno di una particolare protezione e di cure speciali, compresa una adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita; Considerato che la necessità di tale particolare protezione è stata la Dichiarazione del 1924 sui diritti del fanciullo ed è stata riconosciuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo come anche negli statuti degli Istituti specializzati e delle Organizzazioni internazionali che si dedicano al benessere dell'infanzia (…)”.

61 Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, cito fra gli altri: Principio

primo: “Il fanciullo deve godere di tutti i diritti enunciati nella presente

Dichiarazione. Questi diritti debbono essere riconosciuti a tutti i fanciulli senza eccezione.

alcuna, e senza distinzione e discriminazione fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione o opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, le condizioni economiche, la nascita, o ogni altra condizione, sia che si riferisca al fanciullo stesso o alla sua famiglia.”

Principio secondo:”Il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione e godere di possibilità e facilitazioni, in base alla legge e ad altri provvedimenti, in modo da essere in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico intellettuale morale spirituale e sociale in condizioni di libertà e di dignità. Nell'adozione delle leggi rivolte a tal fine la considerazione determinante deve essere del fanciullo.”

Principio terzo: “Il fanciullo ha diritto, sin dalla nascita, a un nome e una

(33)

33 rappresentava uno strumento vincolante per gli Stati firmatari,

bensì una mera dichiarazione di principi; nonostante ciò essa godeva di una notevole autorevolezza e condivisione per il fatto di essere stata approvata all’unanimità. Inoltre presentava elementi di grande novità introducendo il concetto che anche il minore, al pari di qualsiasi altro essere umano, fosse un vero e proprio soggetto di diritti, riconoscendo il principio di non discriminazione e quello di un'adeguata tutela giuridica del bambino, sia prima che dopo la nascita, ed infine ribadendo il divieto di ogni forma di sfruttamento nei confronti dei minori, con l’auspicio di un’educazione dei bambini alla comprensione, alla pace e alla tolleranza.63

Proseguendo cronologicamente in questo tracciato dei diritti, dobbiamo ora dedicare la giusta attenzione a due importanti convenzioni, che insieme alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, formano quello che viene definito l’international “Bill of Human Rights”64 e cioè al Patto

62 Ivi, Principio nono: “Il fanciullo deve essere protetto contro ogni forma

di negligenza, di crudeltà o di sfruttamento. Egli non deve essere sottoposto a nessuna forma di tratta. Il fanciullo non deve essere inserito nell'attività produttiva prima di aver raggiunto un'età minima adatta. In nessun caso deve essere costretto o autorizzato ad assumere un’occupazione o un impiego che nuocciano alla sua salute o che ostacolino il suo sviluppo fisico, mentale, o morale.”

63 Ivi, Principio decimo: “Il fanciullo deve essere protetto contro le pratiche

che possono portare alla discriminazione razziale, alla discriminazione religiosa e ad ogni altra forma di discriminazione. Deve essere educato in uno spirito di comprensione, di tolleranza, di amicizia fra i popoli, di pace e di fratellanza universale, e nella consapevolezza che deve consacrare le sue energie e la sua intelligenza al servizio dei propri simili.”

64 Sito della Farnesina, ci si riferisce con questa espressione al nucleo duro

dei diritti umani internazionali. La scelta di elaborare due Patti anziché uno è frutto della divisione del mondo durante la Guerra Fredda. La priorità assegnata dagli occidentali ai diritti civili e politici, da un lato, e dai Paesi socialisti ai diritti economici e sociali, dall'altro, ha portato ad una divaricazione tra quelle che sono state descritte come “prima e seconda generazione dei diritti umani”.

A questi due Patti sono seguite nel corso degli anni altre importanti Convenzioni, spesso corredate da Protocolli facoltativi relativi ad aspetti specifici, su singole “categorie” di diritti: contro le discriminazioni razziali, e nei confronti delle donne, contro la tortura, sui diritti dei bambini, dei disabili, dei lavoratori migranti, sulle sparizioni forzate (…).

(34)

34 internazionale relativo ai diritti civili e politici e al Patto

internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, entrambi adottati nel 1966. 65

In questi Patti si affermano dei compiti precisi per gli Stati contraenti, anche con particolare riguardo alla condizione del minore. Scorrendo gli articoli si parla, ad esempio, di tutelare i minori responsabili di reati separandoli dagli adulti negli istituti di pena66, di tutelare i minori in caso di scioglimento del nucleo famigliare67, di adottare misure di protezione senza

alcuna discriminazione di razza, colore, sesso, lingua, religione, origine nazionale o sociale, censo o nascita; di tutelare il diritto al nome e alla nazionalità68, di proteggere la famiglia in quanto responsabile della cura ed educazione dei bambini69 e di tutelare il minore nel soddisfacimento delle essenziali condizioni di benessere e salute70.

Le carte sopracitate aggiungono ai tradizionali cataloghi dei diritti di libertà, quali la libertà personale, di domicilio, di corrispondenza, la libertà di circolazione e di soggiorno, la libertà di opinione, religiosa, di riunione, di associazione, di voto, la previsione della tutela di altre posizioni soggettive, che possono rientrare nella categoria dei diritti “sociali” come: il diritto alla vita, il diritto alla salute, il diritto all’istruzione, il diritto di formarsi una famiglia, il diritto al lavoro, il diritto

65 I patti sono stati resi esecutivi entrambi in Italia con la legge n.

881/1977.

66 Art. 10 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

67 Art. 23 par. 4.

68 Art. 24.

69 Art. 10.

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