• Non ci sono risultati.

LA SCRITTURA NELLA SOCIETÀ: TECNICA, VARIETÀ, ABILITÀ.

3. S CRITTURA COME ABILITÀ PER LA VITA

In realtà, così come era avvenuto con l’adozione della scrittura prima e la diffusione della stampa poi, quello che si va concretizzando è un nuova e più invalicabile barriera che separa coloro che sono in condizione di servirsi consapevolmente, criticamente, dei media tecnologici e di accedere, quindi, ad un livello superiore di informazione libera e potenzialmente democratica da coloro che, invece, rimangono spettatori passivi di una televisione maestra, non più di lingua ma di convergenze e atteggiamenti, di fronte ai messaggi della quale gli spettatori non sono sempre in grado di associare significati differenti. Tale divario è evidentemente subordinato alle condizioni sociali e al livello di istruzione delle persone e dei popoli e rappresenta l’indizio di una sempre più profonda disuguaglianza tra gli esseri umani: i membri degli strati più alti delle società ricche, avanzate, industrializzate, con una sola parola “occidentali”, vedranno crescere esponenzialmente le loro

opportunità in tutti i campi del sapere e delle professioni; gli altri vedranno cadere ogni speranza di modificare il loro destino, tagliati fuori dalla circolazione delle informazioni che creano sviluppo.

Nel 1861, circa l’80% degli italiani non era in condizione di “venire a contatto con l’uso scritto dell’italiano, ossia, […] , dell’italiano senz’altra specificazione” (De Mauro, 1979: 37). Nel nostro tempo, come si evince dai dati relativi al censimento ISTAT 2001 riportati nella tabella più in basso, sono ancora molti i cittadini italiani che, pur in larga parte alfabeti, rimangono privi di un titolo di studio (11%) e moltissimi quelli con la sola licenza elementare (25%), a fronte delle quote più contenute di coloro che abbiano conseguito il diploma di maturità (20%) e quello di laurea (6-7%).

Si nota che una parte consistente della popolazione si trova ai margini dell’analfabetismo o, comunque, di una condizione in cui, come si sottolineava in precedenza, manca la reale padronanza dell’abilità profonda di leggere e di scrivere, ovvero il letteratismo (literacy) che “non è definibile come una specifica competenza che una persona possiede o non possiede, ma è un insieme complesso di competenze/abilità, richieste nei diversi contesti in cui la vita adulta si realizza” (Gallina, 2006: 23). Il termine opposto, illetteratismo (illiteracy), dunque, descrive la situazione non solo di coloro che sono analfabeti in senso stretto, ma anche di quelli

che, pur sapendo leggere e scrivere, non sono in grado di servirsi di questi strumenti al di là della sola parola o della semplice frase e rimangono analfabeti funzionali.

L’indagine ALL (Adult Literacy and Life Skills), svolta su un campione di 6853 cittadini italiani tra i 16 e 65 anni sui temi del letteratismo e del rapporto tra istruzione e qualità della vita, si serve di strumenti di rilevazione che rimandano a quell’insieme di competenze/abilità, così distinto:

prose e document literacy: competenza alfabetica funzionale relativa alla comprensione di

testi in prosa e formati quali grafici e tabelle; capacità di utilizzare testi stampati e scritti necessari per interagire con efficacia nei contesti sociali di riferimento, raggiungere i propri obiettivi, migliorare le proprie conoscenze ed accrescere le proprie potenzialità;

numeracy: competenza matematica funzionale; capacità di utilizzare in modo efficace

strumenti matematici nei diversi contesti in cui se ne richiede l’applicazione (rappresentazioni dirette, simboli, formule, che modellizzano relazioni tra grandezze o variabili);

problem solving: capacità di analisi e soluzione di problemi; il problem solving rileva

l’attiva ragionativi in azione, il pensiero orientato al raggiungimento di uno scopo in una situazione in cui non esiste una procedura di soluzione precostituita (Gallina, 2006: 23).

Alcuni dati raccolti da ALL sulla fascia di età 16-25 anni, per esempio, evidenziano che la limitatezza delle competenze alfabetiche funzionali, percentualmente superiore a quella riscontrata in altri paesi europei, si ripercuote sull’occupabilità e sul grado di inclusione sociale della popolazione; allo stesso modo per le generazioni più anziane, si rileva una scarsa competenza alfabetica funzionale in cui le carenze dell’istruzione rappresentano un fattore importante, ma non determinante, se poi si trascura di istituire ambienti in cui si promuovono l’apprendimento e la formazione degli adulti ormai fuori dal circuito scolastico, motivando alla partecipazione anche, e soprattutto, coloro che hanno maggior bisogno (Gallina, 2006).

Per tornare, però, alle responsabilità della scuola, è utile segnalare che la gran parte, circa il 70%, degli analfabeti funzionali intervistati per l’indagine, ha dichiarato sia modesti titoli di studio nella famiglia d’origine sia un disagio in relazione all’apprendimento scolastico che ha inciso sullo sviluppo culturale di

queste persone e il dato “mostra come la limitata efficacia del sistema di istruzione italiano ad operare in forma compensativa, rispetto alla situazione di origine, sia ancora un elemento persistente” (Gallina, 2006: 35).

Il nesso tra formazione scolastica, abilità di lettura e difficoltà di rapportarsi con il testo scritto, infatti, è il segnale del diffuso illetteratismo di ritorno nelle società economicamente sviluppate, generato da un’inadeguata educazione linguistica, per lo più di impostazione retorico-letteraria (Baldi, Savoia, 2007: 172). L’impedimento all’emancipazione culturale e sociale mette in evidenza il disagio della scuola e in discussione la democraticità della stessa istituzione scolastica, che dovrebbe rivestire un ruolo cruciale nel creare le basi e le competenze dell’educazione linguistica, sia fornendo gli strumenti per interpretare un testo tramite principi pragmatici più sottili della semplice comprensione delle parole o delle frasi sia guidando i discenti ad appropriarsi del codice espressivo richiesto dall’ambito scolastico che, invece, è ancora così poco familiare a ampie fasce della popolazione. Come già rilevava Bernstein (2000 [1971]) riflettendo sulla struttura fondamentale della trasmissione culturale e sui cambiamenti al suo interno3, la scuola tende a privilegiare un modo di riportare quanto gli alunni hanno studiato o osservato che mette in condizioni di svantaggio coloro che parlano varietà non-standard e provengono da classi sociali più basse e poco scolarizzate, in cui lo stesso tessuto familiare non è di stimolo alla crescita culturale, così che si produce “l’effetto di confermare e perpetuare le differenze sociali alla base delle differenze linguistiche” (Savoia, Baldi, 2009: 36). Con i termini di “codice elaborato” e “codice ristretto”, Bernstein (2000 [1971]) vuole distinguere la rappresentazione di due diversi ordini di significati: significati universalistici, i primi, che rendono linguisticamente espliciti i principi e le operazioni per cui “il linguaggio è reso indipendente dalla struttura sociale che lo genera e assume una certa autonomia” (2000 [1971]: 240); significati particolaristici, i secondi, che manifestano, invece, un linguaggio implicito e in cui i codici espressivi “sono più legati ad una struttura sociale data ed hanno un potenziale ridotto di cambiamento nelle fondamenta” (2000 [1971]: 240). In altre parole, solo

3

“Non è soltanto il capitale, inteso in senso strettamente economico, che è soggetto ad appropriazione, manipolazione e sfruttamento, ma anche il capitale culturale nella forma dei sistemi simbolici attraverso cui l’uomo può estendere e mutare i confini della sua esperienza” (Bernstein, 2000 [1971]: 236).

una serie di capacità indispensabili per costruire la coesione e la coerenza della testualità, tra le quali l’esplicitazione, come si diceva appunto, i rimandi anaforici, la concatenazione di cause ed effetti o di diversi piani temporali, consentono di entrare in possesso di un codice elaborato e di rispondere adeguatamente alle richieste della scuola. Tali elementi sono tutti riportabili alle caratteristiche del linguaggio scritto che, come si è più volte sottolineato in questo capitolo in riferimento alle differenze tra culture a tradizione orale e culture che hanno adottato la scrittura, influenza il modo di organizzare il pensiero e le conoscenze.

Che scriviate o meno, una volta che si è funzionalmente alfabeti in una società alfabeta, si partecipa in effetti allo scambio di significati tramite la lingua scritta; e ciò ha un peso considerevole visto che i tipi di significati trasmessi nella scrittura tendono ad essere alquanto diversi dai tipi di significati trasmesse attraverso il parlato. (Halliday, 1992 [1985]: 80)

L’educazione linguistica è uno strumento di cui si sente oggi effettivamente bisogno, dato il carattere sempre più marcatamente plurilingue della società e della scuola italiane: il recupero della testualità, nella sua manifestazione scritta in senso ricettivo e produttivo, può rappresentare l’opportunità di intervenire con successo in contesti in cui siano presenti fenomeni di abilità differenziate – tra individui diversi dello stesso gruppo-classe o nel medesimo individuo –, dal momento che i processi cognitivi sottesi alla comprensione e all’elaborazione di un testo scritto sostengono lo sviluppo dell’interlingua di coloro che hanno come nativa una varietà diversa dall’italiano (lingue minoritarie, dialetti, varietà alloglotte e seconde) e introduce o rinforza le competenze per lo studio. Secondo Savoia e Baldi (2009: 186),

Il processo di apprendimento scolastico può ampliare l’esposizione linguistica del bambino, ad esempio in ambienti con lingua non standard, richiedendo l’acquisizione di una seconda lingua, con funzioni sociali diverse e comunque richiedendo il linguaggio scritto. Il punto è che spesso la scuola tende a trattare le differenze sociostilistiche legate all’uso orale, tradizionalmente viste come errori, in termini di categorie cognitive. In realtà, se ogni lingua è ugualmente formata sulla base della Grammatica Universale, gli ‘errori’ linguistici non possono essere interpretati come indizi di una formazione linguistica ancora parziale o di

grado inferiore poiché corrispondono semplicemente a una varietà linguistica diversa rispetto a quella della scuola, di tipo standard e basata sul modello scritto.

Cummins (1979) – occupandosi per lo più di apprendimento/insegnamento della L2 – distingue due livelli di competenza nell’acquisizione della lingua (e non solo da parte di parlanti provenienti da una varietà diversa da quella richiesta nel sistema scolastico di accoglienza) e definisce come competenza BICS (Basic

Interpersonal Comunicative Skills) il grado sufficiente ad interagire quotidianamente

su argomenti comuni e non impegnativi che si caratterizza per la qualità dell’accento e fluenza, sia in L1 sia in L2; mentre con CALP (Cognitive Academic Language

Proficiency) indica quella competenza soggiacente agli aspetti del successo

scolastico necessaria ad applicarsi ad attività cognitive d’ordine superiore4.

Allo stesso modo, l’approccio alla testualità delle microlingue – disciplinari e non – significa educare all’utilizzo di uno strumento di accesso a funzioni pragmatiche, come interpretare istruzioni, compilare questionari o moduli, e a ruoli sociali di tecnico-specialista per il quale la padronanza dello stile e della terminologia rappresentano pre-requisiti per l’accettazione nel gruppo: “Queste due funzioni rivestono un ruolo decisivo nei processi di costruzione dell’identità, cioè la culturizzazione, usata come strumento di riconoscimento socio-culturale, e la socializzazione come segno di appartenenza al gruppo” (Savoia, Baldi, 2006: 133).

Conseguentemente, una corretta educazione linguistica non può sottrarsi all’educazione ai media, giacché per esplorare un sito internet, come fonte di conoscenze, sono necessarie abilità di lettura e di comprensione complesse e sviluppate così come per un testo scritto tradizionale. Anzi, l’aspetto amichevole

4

“The acronyms BICS and CALP refer to a distinction introduced by Cummins (1979) between basic interpersonal communicative skills and cognitive academic language proficiency. The distinction was intended to draw attention to the very different time periods typically required by immigrant children to acquire conversational fluency in their second language as compared to grade-appropriate academic proficiency in that language. Conversational fluency is often acquired to a functional level within about two years of initial exposure to the second language whereas at least five years is usually required to catch up to native speakers in academic aspects of the second language (Collier, 1987; Klesmer, 1994; Cummins, 1981a). Failure to take account of the BICS/CALP (conversational /academic) distinction has resulted in discriminatory psychological assessment of bilingual students and premature exit from language support programs (e.g. bilingual education in the United States) into mainstream classes (Cummins, 1984)”.(Cummins, on-line).

dell’interfaccia nasconde insidie ben più pericolose che inducono a rinunciare coloro che non abbiano i mezzi linguistici e culturali per sostenere il compito, riducendo, di fatto, il ruolo di media democratico del computer e riproponendo il tasto dolente della difficoltà di accesso alla libera informazione. A tal proposito, si può aggiungere che la diffidenza con cui – in ambito scolastico – si è guardato in passato al computer e alle risorse della rete è stata suggerita dalla potenziale capacità di queste di delegittimare l’istituzione educativa grazie all’accesso diretto all’informazione: ne è prova il fatto che, anche in più recenti progetti di riforma della scuola, l’inserimento dell’informatica tra le materie ha evidenziato un’ottica più aziendalistica che educativa. Sembra, dunque, che anche per le nuove tecnologie valga il pensiero di Goody (2002 [2000]: 171), secondo il quale il libro sarebbe fondativo del potere, lo istituirebbe, al punto che

“la storia della scrittura è difficilmente scindibile da quella della censura, sia del tipo flagrante esercitato direttamente dagli organi di potere, sia del tipo più insidioso, l’autocensura”.

C

APITOLO

2

LA LINGUA SCRITTA IN RIFERIMENTO AI