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L’ABILITÀ DI SCRITTURA IN LINGUA SECONDA In questo capitolo si definisce l’abilità di scrittura in L2, se ne

1. C ONTESTO DELL ’ OSSERVAZIONE

1.1. G LI STUDENTI AMERICANI IN I TALIA

I programmi di studio nordamericani sono presenti in molte località – più o meno decentrate – del nostro paese da alcuni decenni, benché si siano raggruppati inizialmente nelle aree fiorentina e romana, che continuano ad avere, ancora oggi, il favore di molte istituzioni. Come è stato precedentemente descritto in Merli (2004: 63-67) e in Merli e Quercioli (2003), tra queste si possono individuare due categorie principali, ovvero i programmi che costituiscono la sede italiana di un college o di un’università specifici e quelli che, come agenzie di promozione di studi all’estero, reclutano studenti da università diverse su tutto il territorio americano. Tale distinzione, sebbene non sia sempre agevole, data l’ampiezza e la varietà del fenomeno, è tuttavia assai importante, poiché – come si accennava nel sommario del capitolo – mette in evidenza anche alcune differenze significative in merito alla tipologia dell’offerta formativa e all’organizzazione del centro di studi nel nostro paese.

Riprendendo Merli (2004), in alcune sedi di college e università, il numero degli studenti è estremamente contenuto e selezionato e i giovani non vengono ammessi al programma di studi all’estero se non hanno precedentemente superato da tre a cinque semestri di italiano. Devono, inoltre, dimostrare di accettare una serie di condizioni che impegnano a frequentare tutti, o gran parte, degli insegnamenti in lingua italiana, a seguire alcuni corsi presso l’ateneo italiano della città in cui si trovano e ad essere sistemati in famiglia. Com’è evidente, la struttura stessa dell’organizzazione limita o addirittura nega l’uso dell’inglese negli scambi all’interno della sede, incoraggia attività esterne, accademiche e non – come gli incontri con studenti madrelingua – e spinge gli studenti in due direzioni: sul piano della socializzazione, a entrare autenticamente in contatto con la realtà locale a dispetto degli stereotipi; sul piano dell’autorealizzazione, a prendere un’ampia parte di responsabilità nel proprio successo scolastico.

Tuttavia, la maggior parte dei centri che accolgono gli studenti in Italia tendono, di solito, a ricreare una porzione di madrepatria all’estero in cui si è inclini a riproporre modelli organizzativi e logistici familiari e, soprattutto, l’uso esclusivo dell’inglese in tutti gli scambi. Coerentemente, solo di rado viene procurato

l’alloggio presso famiglie italiane, opzione che viene interpretata dai ragazzi come un vincolo alla propria libertà e alla (spesso neo-) condizione di adulti, ma si preferisce la sistemazione in appartamento con i compagni. In tal modo, si vanifica fin da subito la prima e più concreta opportunità, purtroppo non avvertita come tale, d’incontro con la lingua e la realtà italiane o con studenti di altre nazionalità. Di conseguenza, l’inclinazione a tenere separato l’aspetto educativo e accademico dall’autenticità del quotidiano riemerge anche nell’assenza evidente di collegamento interdisciplinare tra i corsi: quelli a base contenutistica (storia dell’arte italiana, letteratura italiana, cinema italiano, etc.), ancorché legati alla cultura italiana, vengono tenuti e studiati in inglese e avvertiti come prioritari, mentre il corso di lingua italiana – talvolta facoltativo o per l’ammissione al quale non si richiedono prerequisiti minimi di conoscenza della lingua – difficilmente riveste lo stesso status, con lampanti ricadute sul piano della motivazione e dei risultati.

Le istituzioni che sposano questa scelta gestiscono gruppi numerosi e sono frequentate da un’esigua percentuale di discenti di livello intermedio e avanzato. Tra questi, infatti, si segnalano spesso abilità ricettive discretamente sviluppate, ma ancora incerte abilità produttive e una competenza comunicativa non sempre efficace. Nondimeno, la constatazione di tale divario, anche se in misura minore, investe anche gli studenti di quei college in cui la lingua sia fortemente incoraggiata. Come suggerisce Balboni (1985: 166-172), il motivo sembra poter essere ricercato nell’impostazione dell’insegnamento-apprendimento delle lingue ricevuta nella scuola americana a cui non giovano:

• la mancata distinzione tra insegnamento delle lingue seconde e straniere; • una politica di investimenti decisamente insufficiente;

• l’enfasi posta da sempre sulla letteratura più che sulla lingua, a partire dall’ambito della lingua madre;

• la convinzione diffusa che basti studiare le regole e memorizzare liste di vocaboli per parlare una lingua.

Dati raccolti tramite questionario in alcuni programmi americani con sede a Firenze da Merli tra il 2001 e il 2003 e riportati in appendice a Merli (2003), riferiscono che poco più della metà degli studenti coinvolti nella ricerca aveva già frequentato corsi di lingua italiana in patria e che la quasi totalità di loro descriveva l’esperienza come prevalentemente grammaticale, con un libro in inglese e con un insegnante che parla inglese. I partecipanti dichiaravano, inoltre, nelle domande successive, che l’esperienza di apprendimento in patria differisce da quella in Italia per tipo di approccio e una decina, addirittura, specificava anche come “more concrete” lo studio e le tecniche di insegnamento negli Stati Uniti, con evidente valutazione di scarso apprezzamento per gli approcci induttivi improntati alla riflessione sulla lingua, a vantaggio di atteggiamenti più normativi ed economici in termini di tempo e di sforzo. A completare il quadro, però, il gruppo più consistente, nell’ambito della stessa ricerca-azione, era rappresentato da studenti di livello principiante ed elementare, talvolta alla prima esperienza nell’apprendimento di una qualsiasi lingua straniera, e che, senza l’occasione della vacanza-studio all’estero, non avrebbero mai intrapreso nemmeno lo studio dell’italiano.

In questi contesti, (come già in Merli, Quercioli, 2003), l’italiano – come si accennava – può essere facoltativo o al massimo ricoprire poche ore settimanali, talvolta collocate in fasce orarie inadeguate e nelle stesse aule utilizzate per le lezioni frontali delle altre discipline, aule che tuttavia sono quasi sempre dotate di sufficiente strumentazione glottotecnologica (audio-videoregistratore, più raramente un riproduttore DVD, disponibilità di un certo numero di postazioni Internet; il laboratorio linguistico è invece assente). In certi casi, si predilige un docente che sia in grado di integrare le lezioni con informazioni e spiegazioni in inglese, che adotti un sistema di valutazione prevalentemente oggettivo sulla scorta di test ed esami a scelta multipla, vero falso, abbinamento o modalità simili, e che, infine, si serva di un libro di testo creato appositamente per discenti angloamericani, sebbene molti programmi, ormai, si orientino verso testi di autori ed editori italiani. In queste situazioni, la scelta tende a ricadere su prodotti che potremmo definire moderati, i quali, pur non distinguendosi come avanguardia della ricerca glottodidattica, si sforzano, tuttavia, di muovere da un input (orale o scritto) e di guidare il discente all’induzione della regola che viene poi sistematizzata nella parte conclusiva

dell’unità. Nondimeno, sono ancora rinvenibili libri di testo di taglio tradizionale, in cui si dà risalto all’aspetto morfo-sintattico, proposto in modo normativo, esplicito e deduttivo, con dovizia di informazioni metalinguistiche e rari campioni di lingua autentica, tratti per lo più dal patrimonio letterario nazionale del secondo Novecento e che non tengono conto dell’ampia gamma di altre varietà del codice e tipologie testuali.

Ciò che emerge nel profilo della massa generale dei programmi americani in Italia, è la tendenza ad isolarsi dalla realtà circostante e a ricreare stili di vita e modelli operativi improntati alla propria cultura che si riflettono, poi, nell’approccio allo studio della lingua a tal punto che gli studenti non sono indirizzati a sfruttare l’occasione di trovarsi in Italia e a comprendere l’opportunità di abbracciare un’esperienza che annulli il divario che separa l’ambito della LS da quello della L2. Il sistema, anche in base ad una non trascurabile esigenza di marketing, talvolta è così manipolatorio che il docente stesso pensa di doversi adeguare passivamente a quelli che vengono indicati come modelli di insegnamento graditi e funzionali a certi contesti. L’aspetto economico, infatti, riveste un ruolo importante in molti programmi e non è estraneo all’impostazione accademica degli stessi, in quanto può indurre scelte che puntano più alla soddisfazione del cliente, che al conseguimento delle mete proprie dell’educazione linguistica: culturizzazione, socializzazione e autopromozione (Balboni, 1994: 32).

Parallelamente agli esempi appena riportati, si trovano, però, anche centri di studio sensibili, in misura diversa l’uno dall’altro, nel fornire agli studenti un’adeguata opportunità formativa e un contatto non stereotipico con la realtà italiana. Il Middlebury College a Firenze rappresenta, con ogni probabilità, l’esempio migliore tra le istituzioni universitarie americane con un programma di alto profilo accademico nel nostro paese ed è presso la sua sede italiana che si sono raccolti i dati di questa ricerca sulle caratteristiche della scrittura in italiano da parte di studenti americani.