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L’ABILITÀ DI SCRITTURA IN LINGUA SECONDA In questo capitolo si definisce l’abilità di scrittura in L2, se ne

1. A LCUNE DEFINIZION

Inizialmente, è utile precisare che in questo studio non si affronta il tema dell’acquisizione del sistema scrittorio, dell’alfabetizzazione in senso stretto, bensì, più specificamente, quello dell’abilità di produrre testi in L2, ovvero dello sviluppo della literacy in adulti stranieri. Si tratta, quindi, dell’acquisizione della competenza testuale nella varietà diamesica scritta – così come è stata discussa nel secondo

capitolo – in un’altra lingua e, più in particolare, con attenzione ai dati di interesse a livello pragmatico. Si passa, dunque, a definire l’ambito all’interno del quale ci si muove e l’oggetto della riflessione.

La lingua seconda. Il contesto di osservazione di questo lavoro, come verrà

meglio illustrato nel capitolo successivo, vede studenti americani anglofoni di livello avanzato che frequentano un master in italianistica a Firenze per un intero anno accademico, durante il quale sono anche chiamati a seguire alcuni corsi presso l’ateneo fiorentino, e che porteranno a termine il percorso con la redazione di una tesi. Dunque, si può parlare di apprendimento guidato pluridisciplinare (cioè di lingua e non) in un ambiente di L2 in cui la lingua di studio è quella delle interazioni quotidiane1. Così, secondo Freddi (2002 [1994]: 3)

Lingua seconda (L2), una lingua diversa dalla materna che viene appresa anche

frequentando dei corsi, ma all’interno dell’ambiente in cui essa è strumento di interazione quotidiana e di vita: l’aggettivo numerale “seconda” ha qui un valore non cronologico, ma socio-psicolinguistico. Esempi possono essere quello degli immigrati che imparano l’italiano in Italia o quello degli studenti italiani che vanno a imparare l’inglese in Inghilterra. In tali condizioni la nuova lingua, rilanciata dall’ambiente, dalla strada, dalla radio, dalla televisione, dai negozianti, dagli amici e dai colleghi conosce un’elevata funzionalità comunicativa e pragmatica nonché un costante e diffuso feed-back.

Definizioni più recenti (Diadori et al. 2009) distinguono ulteriormente tra L2 e

italiano lingua di contatto, definizione che viene preferita nella descrizione di

categorie di apprendenti che realizzano un progetto di vita a lungo termine nel paese di cui imparano la lingua, dunque gli immigrati o i loro figli nati in Italia.

Per L2 intendiamo tutte le lingue che sono apprese dopo la L1, quale che sia la loro successione e l’estensione della relativa competenza […] è possibile allargare i suoi confini includendo tutte quelle situazioni in cui l’italiano non ha nettamente i caratteri della L2, e può anche essere L1 o comunque lingua dominante nella sfera cognitiva del soggetto: si tratta dei casi in cui, nell’individuo, l’italiano convive strettamente con le altre lingue, rispetto alle quali stabilisce un’identità di contatto (Vedovelli, 2002: 143).

1

È evidente che questa affermazione sia da prendere in senso molto generale, dato che non è difficile immaginare quanto possano essere distanti la lingua per lo studio (e per i compiti scritti) e la lingua del quotidiano.

Nondimeno, sembra utile sottolineare due aspetti. Il primo consiste nel distinguere comunque la condizione di apprendimento in un luogo in cui si parla normalmente una data lingua rispetto a quella realizzata nel proprio paese d’origine (lingua straniera, LS), perché sono diverse le modalità e i processi attivati; infatti, in quest’ultima l’input è limitato al contributo dell’insegnante, non sempre madrelingua, e dei materiali didattici. Si potrebbe obiettare che la diffusione e l’evoluzione delle tecnologie – in primis il computer con la connessione internet, ma anche il video, la televisione satellitare, ecc. – hanno colmato il divario tra le due sponde, tuttavia resta l’assenza dell’immersione in una lingua-cultura. Dunque, ancora con le parole di Giovanni Freddi (2002 [1994]: 3)

Lingua straniera (Ls), una lingua diversa dalla materna-nazionale che viene studiata

e appresa mediante applicazione consapevole nella scuola o in speciali corsi di lingue. In queste situazioni il solo input linguistico è quello assicurato dall’insegnante e dai materiali registrati disponibili, mentre la funzione comunicativa risulta ridotta a interazioni scolastiche circoscritte e artificiali. Quanto al feed-back, è ancora solo quello dell’insegnante.

Il secondo aspetto è dato dal fatto che non si è in grado di stabilire a priori se la residenza in Italia sarà a lungo termine o meno, dato che spesso anche per studenti di

passaggio si aprono opportunità non considerate inizialmente, come un lavoro o un

rapporto personale, e che la L2 potrebbe trasformarsi in una situazione di contatto.

Le abilità linguistiche. Secondo Balboni (1998: 11-16), le abilità possono

essere interlinguistiche, quando si ricorre a due lingue (le varie forme di traduzione; il prendere appunti, ascoltando in italiano e scrivendo in un’altra lingua; il riassumere, facendo una sintesi in un’altra lingua di un libro letto in italiano; ecc.) e

intralinguistiche, quando si ricorre a una sola lingua. Queste ultime si dividono in

abilità primarie (in cui si svolge una sola azione), come ascoltare, leggere – ricettive – e parlare, scrivere – produttive –, e abilità integrate (in cui si svolgono almeno due azioni), come dialogare, riassumere, parafrasare, prendere appunti, scrivere sotto

L’abilità di scrittura. Dunque, scrivere è un’abilità intralinguistica primaria

produttiva, mediante la quale, ancora con Balboni (1998), l’allievo si abitua a

• considerare la comunicazione come sistema, un reticolo di rapporti concatenati; • confrontarsi con il testo e non con la singola frase;

• riflettere sulle regole proprie di un dato genere comunicativo; • svolgere l’attività secondo ritmi che gli sono propri.

Riprendendo brevemente quanto già esposto nel primo e nel secondo capitolo, si ricordi che la lingua parlata e la lingua scritta, si realizzano in situazioni comunicative diverse e, per questo, manifestano diverse regole di esecuzione. Il parlato colloquiale pervade la quotidianità e, per la sua natura di immediatezza, si avvale di registri medi e di un relativamente scarso livello di coesione e coerenza a cui – tra le altre cose – vengono in aiuto il ricorso ai deittici e i richiami al contesto, le richieste di chiarimento da parte dell’interlocutore, le autocorrezioni, la prosodia e la mimica facciale. In tali circostanze – secondo costruzioni che, come si è notato, qualificano l’oralità – prevalgono la struttura paratattica caratterizzata da giustapposizione di elementi coordinati, le esitazioni, le false partenze e gli ordini marcati, dovuti in genere all’esigenza di vivacità del discorso o al bisogno di

rimediare ad avvii incerti. Diversamente è da considerare il parlato espositivo,

ufficiale o accademico, poiché è pronunciato in condizioni fortemente sorvegliate e ha spesso i tratti dello scritto per essere letto.

La lingua scritta, invece, sia perché può essere prodotta in fasi sufficientemente lunghe sia per il carattere di permanenza, consente e richiede al tempo stesso una progettazione accurata. Questa si basa sulla possibilità di servirsi di strumenti di consultazione, di leggere più volte e correggere la produzione, al fine di eliminare le imprecisioni e le ambiguità interpretative, e sulla predilezione – almeno in italiano – per i registri più sorvegliati e l’andamento ipotattico. Chi scrive riflette maggiormente sulle regole della lingua rispetto a chi parla e ciò assume particolare rilievo quando si tratti di apprendenti stranieri.

Infine, vale la pena rammentare che, sebbene in qualche modo la pratica della scrittura sia divenuta più rara negli scambi comunicativi quotidiani, la sua frequenza si è consolidata in molti contesti – magari al confine tra oralità e scrittura, come nel caso delle chat o dei messaggi di posta elettronica informale – che non sembrano essere sensibili al fatto che il parlante sia straniero o nativo.

Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue2. Con questo titolo (in inglese, Common European Framework of References for Languages) si identifica il documento nato in seno alla Language Policy Division del Consiglio d’Europa per l’integrazione linguistica dei paesi appartenenti alla Comunità, e destinato a chi si occupa di politica linguistica o a chi opera nel campo della formazione linguistica. Dopo gli esordi del Progetto Lingue Moderne (1981) che definì il così detto livello soglia come livello minimo di capacità linguistiche necessarie “per accrescere la propria conoscenza e comprensione del paese straniero” (J.A. van Eck, 1979: 57 in Galli de’ Paratesi, 1981: 14), la creazione del QCER introduce l’idea di un approccio orientato all’azione secondo il quale la lingua è uno strumento per fare qualcosa all’interno di un contesto sociale e i parlanti sono attori sociali, evidenziando il nesso tra l’apprendimento di una lingua e quello della cultura della comunità in cui è parlata. Così, viene affermato un modello di uso linguistico, che si fonda sul concetto di agire linguistico e su una prospettiva pragmatica, a cui si potrebbero assegnare come riferimenti teorici sul piano della filosofia del linguaggio “[…] la lezione filosofica di Wittgenstein, con il suo richiamo al significato come uso entro i giochi linguistici contestualmente determinati. […] le suggestioni della visione pragmatica del linguaggio, fondata sulla teoria degli atti linguistici3” (Vedovelli, 2002: 39), mentre dal punto di vista glottodidattico si rimanda alle “distinzioni fra use e usage4 operate da Widdowson (1978), nelle categorie semantico-grammaticali e in quelle della funzione comunicativa elaborate da Wilkins” (Maggini, 2004: 14-15). Inoltre, non è di minore importanza anche il fatto

2

Le citazioni riportate in tutto il capitolo sono tratte dal testo inglese del 2001 nella sua versione on- line reperibile (e scaricabile) all’indirizzo

http://www.coe.int/t/dg4/linguistic/source/Framework_EN.pdf .

3

che l’impianto di descrittori delle competenze offerto dal documento porti alla condivisione di criteri per la certificazione delle competenze, facilitando, così, l’omogeneità del lavoro di insegnanti, studenti e autori di materiali didattici. Infine, dal punto di vista dell’insegnamento dell’italiano a stranieri,

“Il Framework europeo permette di tenere costantemente in collegamento il piano teorico e quello applicativo-operativo, o meglio la dimensione dell’analisi teorica degli elementi costitutivi di un modello di glottodidattica di italiano L2 da un lato, e la dimensione in cui si collocano le politiche gestionali e di diffusione delle lingue dall’altro” (Vedovelli, 2002: 19).

2.

R

UOLO DELLA SCRITTURA NELL

INSEGNAMENTO DELLA