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1. Lo stile: fra cronaca e storia

Come per Vicenza ed altre città della ex Serenissima1, esiste anche per

Verona una messe notevole di cronache e memorie di età napoleonica, sti-

late da cronisti eterogenei quanto a provenienza sociale2.

Il manoscritto del de’ Medici3, autografo, fu donato nel 1869 alla Bi-

blioteca Civica di Verona da Giovan Battista Carlo Giuliari, assieme a una

gran copia di altre opere manoscritte ed a stampa4. Può essere che il Giu-

liari ne fosse venuto in possesso tramite il figlio di Girolamo, Lodovico Bassano, il quale, pressato dalle disavventure familiari e giudiziarie prece- dentemente descritte, poteva essere portato alla vendita del manoscritto, oltre che di altri beni5.

1 E. FRANZINA, Vicenza: storia di una città, Vicenza, Neri Pozza, 1980, p. 77-107; F. SENECA,

Appunti sul compendio storico di Giovanni Scola, “illuminato” vicentino, in Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, IV, Tra Illuminismo e Romanticismo, Tomo I, Firenze, Ol- schki, 1983, p. 57-58; E. REATO, Cronisti vicentini nell’età napoleonica (1796-1814), in “Ri-

cerche di storia sociale e religiosa”, 40, 1991, p. 173-194. Per Brescia, si veda L. FAVERZA-

NI, Sulle ruine del dispotismo. Diari, memorie, autobiografie a Brescia 1796-1799, Brescia,

Comune di Brescia, 1995.

2 Per un elenco sommario, cfr. O. PERINI, Storia di Verona, cit., vol. III, p. 579-586. Per un elenco più esauriente, pur se incompleto, cfr. G. BIADEGO, A. AVENA, Fonti della storia di

Verona nel periodo del Risorgimento, 1796-1870, Verona, 1906, p. 9-47.

3 Il titolo riportato in G. BIADEGO, A. AVENA(Fonti, cit., p. 11) e da G. BIADEGO(Catalogo

descrittivo dei manoscritti della Biblioteca Comunale, Verona, Civelli, 1892, p. 456), è il se-

guente: Storia di Verona dall’anno 1794 al 1800. Nel catalogo della Biblioteca Civica di Ve- rona, invece, l’opera è descritta col seguente titolo: Vicende sofferte dalla provincia vero-

nese nel finire del secolo XVIIIe nel cominciamento del XIX. Essendo quest’ultimo titolo estratto dalla prefazione dell’autore stesso, ad esso è andata la nostra preferenza. 4 B.C.Vr, inventario manoscritto, terminato il 4 maggio 1874, del Dono di Mons. G.B.C.

Giuliari, dove la cronaca è descritta al numero d’ordine 62. Per la donazione effettuata dal Giuliari, si veda G. BIADEGO, Storia della Biblioteca comunale di Verona, Verona, Franchi-

ni, 1892, p. 71.

Riguardo alla data di composizione, Biadego la situa all’inizio del seco- lo XIX, Leonella Gallas invece tra la fine del XVIIIe l’inizio del XIXsecolo6.

Il problema di individuare col maggior grado di approssimazione la data di stesura della cronaca non è questione indifferente, in quanto ci permet- te di valutare se realmente l’autore scriva sotto l’urgenza degli avvenimen- ti, o se invece il testo esprima sue personali convinzioni, pareri, antipatie, conoscenze, più meditati.

Nell’“avviso” che funge da introduzione, egli afferma che dapprima “sopra volanti cartaccie” andava annotando i fatti in modo conciso; in se- guito, poiché questi divenivano sempre più numerosi, “omai trascorso un anno senza che alcun raggio di tranquillità apparisca, rendendosi anzi più oscuro e turbinoso il cielo politico, trascrissi i già accaduti in più ordinata serie, e i nuovi che andavano seguendo tennero il medesimo ordito filo”.

Da ciò sembra evidente che, poiché la narrazione relativa agli anni 1794 e 1795 occupa due sole facciate, e la cronaca vera e propria inizia con l’al- lontanamento del conte di Lilla da Verona nell’aprile 1796, la stesura sia da collocare oltre un anno dopo tale data, attorno alla metà del 1797, nel periodo che comprende le Pasque veronesi ed il Trattato di Campoformio - periodo in cui, anche nel vicentino ad esempio, si ha un proliferare di

diari e memorie7. Occorre tuttavia aggiungere che, se Girolamo cominciò

a stendere la sua cronaca in maniera ampia ed ordinata attorno alla metà del 1797, come egli stesso ci fa intendere, il testo definitivo a noi giunto è sicuramente frutto di una revisione e riscrittura posteriori, che si possono datare attorno agli anni 1801-1802, o comunque posteriori al 1800: lo at-

testano vari cenni lasciati cadere durante la narrazione8. Risultano labili,

invece, gli indizi per una datazione più precisa ed esatta9.

LA CRONACA DI GIROLAMO DE’ MEDICI LXI

to, in data 11 gennaio 1856, per comunicargli la morte della “dilettissima” figlia Camilla, aggiungendo che era “un lungo corso di anni che le disgrazie nella mia famiglia si vanno avvicendando le une alle altre” (Lettera di Lodovico Bassano de’ Medici a G.B.C Giulia- ri, in B.C.Vr.,b. 569, fasc. Antonio Sparavieri).

6 G. BIADEGO, Catalogo descrittivo, cit., p. 456; L. GALLAS, Tendenze illuministiche ed espe-

rienze giacobine a Verona alla fine del Settecento, Verona, Ed. di Vita Veronese, 1970, p.

81, nota 355. Riporta la data “sec. XIX” anche il citato inventario del Dono Giuliari.

7 Subito dopo Campoformio, “cominciarono a diffondersi con sorprendente uniformità e sveltezza, il desiderio, l’intenzione e la voglia di fissare su carta avvenimenti sentiti come epocali, per consegnarne ai posteri, per quanto sbiadita e inadeguata, la memoria” (E. FRANZINA, Vicenza, cit., p. 94).

8 A p. 109 [41], riguardo alla battaglia di Arcole del 15-17 novembre 1796, dice che certi ufficiali austriaci, “co’ quali io ne parlai già dopo qualche anno”, ammisero d’essersi fatti comperare dall’oro francese; di un particolare, relativo alla battaglia di Rivoli del 14 gen- naio 1797, dice che gli è stato confermato da un ex soldato francese, “cui ne parlai dopo quattr’anni” (p. 140 [51]). Parlando, a p. 341 [127], del generale Brune, che alla fine di agosto 1797 aveva sostituito Augereau al comando delle truppe in Verona, dice che è “quello stesso che, dopo qualche anno, vedremmo generale in capo di un’armata france- se”. Il nostro, inoltre, dà a vedere di conoscere una serie di testi e documenti pubblicati negli anni 1798-1800, dei quali parleremo più avanti.

La seconda questione che merita approfondimento è relativa alle moti- vazioni, alle finalità, ai destinatari cui l’opera di Girolamo de’ Medici era rivolta. Come osserva Scarabello, il

tumultuoso corso degli eventi sollecita, anche nei territori della Repubblica, la stesura di diari, di memorie. La gente avverte di vivere un periodo eccezionale sia per quello che giornalmente le passa sotto gli occhi, sia per quello di cui sente raccontare, sia per le atmosfere premonitrici di radicali cambiamenti nelle quali si trova immersa10.

I cronisti dell’epoca, ed anche Girolamo, testimoni oculari degli avve-

LXII UNA “LODEVOLE MODERAZIONE” E UNA “ONOREVOLE CONDOTTA”

il 26 aprile 1802 (C. ZAGHI, L’Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno, Torino, Utet, 1986, p. 326-327), al quale pure dedica la nota 1 delle sue “annotazioni secrete”, ed il fat- to che a p. 352 [131] si riferisca a Giuseppe Giulio Ceroni ed a una sua partecipazione a una seduta della Sala di istruzione pubblica chiamandolo “un certo” Ceroni (segno che probabilmente non era ancora scoppiato l’affaire Ceroni degli inizi del 1803: su cui cfr. R. FASANARI, Il Risorgimento a Verona, 1797-1866, Verona, Banca Mutua Popolare, 1958, p. 64-71), fanno ritenere che la stesura sia avvenuta all’incirca nel 1801-1802. Tale data si ac- corderebbe con quella che si può desumere in base all’esame dell’indice. L’esame del fa- scicoletto di note, cucito in aggiunta al tomo secondo, in cui compare sul verso della co- pertina posteriore la data “Luglio 1800”, induce a pensare ad essa come data post quem, visto che il de’ Medici si era preparato i quaderni per la riscrittura dell’opera. Occorre in- vece non tenere in considerazione, per la datazione, la nota a margine di p. 8 [7] (“ora non esistono più in quel luogo che è devoluto al militare”) – riferita agli edifici dei padri Cap- puccini presso cui si trovava la dimora del conte di Lilla –, in quanto essa è di mano di- versa e di molto posteriore, come dimostra il fatto che la chiesa ed il convento in oggetto furono soppressi nel 1806, presi in consegna dal demanio nel 1810 e, affittati dapprima a privati, furono poi incorporati nelle caserme del genio pontieri (T. LENOTTI, Chiese e con-

venti scomparsi (a destra dell’Adige), Verona, Ed, di Vita Veronese, 1955, p. 53-54). Per

quanto riguarda Giuseppe Giulio Ceroni, in realtà egli era personaggio di spicco già dal maggio 1797: segretario del Comitato di polizia, presidente del Comitato di censura, membro e poi presidente della Sala di pubblica istruzione, ove tenne molteplici discorsi: A. LIBRALON, G.C. Ceroni commilitone del Foscolo e poeta delle campagne napoleoniche, in “Atti dell’Istituto Veneto di scienze lettere ed arti, Classe di scienze morali, lettere ed ar- ti”, CLI, 1992-1993, pp. 985-1034.

10 G. SCARABELLO, Gli ultimi giorni della Repubblica, in Storia della cultura veneta, 5/II, Il

Settecento, Vicenza, Neri Pozza, 1986, p. 494. Le più importanti cronache veronesi del

tempo (di Giacomo Martini, di Girolamo de’ Medici, di Valentino Alberti, di Antonio Maffei, di Ignazio Menin, il diario anonimo I morti) iniziano proprio con le vicende, epo- cali, del 1796-1797: cfr. Materiali e documenti per la storia di Verona, 1500-1800, in “Ar- chivio storico veronese”, I, 1878, p. 117-119. A conferma della consapevolezza della ecce-

zionalità dei tempi di Rivoluzione, per cui eventi solitamente diluiti nei secoli si erano concentrati in pochi anni, molti ex rivoluzionari ed ex deputati della Convenzione parigi- na ad esempio, pur consapevoli del loro fallimento, troveranno nel ricordo la loro più au- tentica virtù: ripercorrere tanta “straordinaria esperienza sul filo della memoria diventa un modo per tentare a posteriori di sviscerarne il senso, sfidando i troppo sommari giudi- zi del mondo restaurato” (S. LUZZATTO, Il Terrore ricordato. Memoria e tradizione dell’e-

sperienza rivoluzionaria, Torino, Einaudi, 2000, p. 7). Per una corposa recensione della ci-

tata edizione a stampa dell’opera di Valentino Alberti, e di quella di Ignazio Menin (Bre-

ve storico compendio della guerra d’Italia nell’anno 1796-1797, a cura di G. Battaglia, Ve-

rona, Biblioteca Civica, 1997), si veda: G.P. MARCHI, Due schede per il bicentenario, in

nimenti, sentono notizie anche controverse, sono soggetti alla propaganda “partigiana” dei gruppi contrapposti, ed avvertono il bisogno e la necessità di dare a questa congerie di “fatti” una successione ordinata, un filo logi- co, di dipanare tale matassa ingarbugliata, superandola in una costruzione razionale che permetta loro di giudicare e comprendere, al di là delle con- traddittorie, parziali e continuamente smentite informazioni che si poteva- no avere11.

Girolamo de’ Medici ha uno stile “incisivo, netto il periodare, e la nar-

razione non priva di forbitezza e buon gusto”12, pur se, talvolta, si ingar-

buglia in una esposizione oscura ed involuta. Egli alterna “alla visione ge- nerale dei fatti la rivelazione di precisi particolari di cronaca”13, e colla sua

esposizione – che non si contenta di annotare solo gli avvenimenti, ma ne ricerca le cause, le conseguenze, le connessioni, e poi li interpreta non di- sdegnando di esprimere il proprio giudizio – fa parte anch’egli di quella schiera di cronisti, testimoni ed interpreti del proprio tempo, i quali, pun- tando ad una “rielaborazione organica e unitaria degli avvenimenti regi- strati [...] fanno vacillare l’antico e incerto confine fra cronaca e storia”14.

Anche le “inserzioni personali” (cioè interventi in prima persona riferenti- si a fatti privati) sono comunque estremamente esigue, e non sono avulse dagli avvenimenti che egli sta descrivendo, ma servono ad illuminarli me- glio o ad evidenziare una propria auctoritas quale fonte primaria, non fi- nendo mai nell’autobiografico fine a se stesso15.

LA CRONACA DI GIROLAMO DE’ MEDICI LXIII

11 È il periodo in cui comincia ad avere notevole diffusione la pratica dei falsi storici e la fal- sificazione degli avvenimenti, ed in cui le forze in campo si pongono il problema della “propaganda”: così, ad esempio, i giornali reazionari descrivevano perdite continue e nu- merose dell’armata francese, sebbene poi non potessero evitare di descrivere anche le sue avanzate (R. DEFELICE, Introduzione a: I giornali giacobini italiani, a cura di R. De Feli-

ce, Milano, Feltrinelli, 1962, p. XXI-XXIII). 12 O. PERINI, Storia di Verona, cit., vol. III, p. 582.

13 R. FASANARI, Lamentatio civitatis Veronae, in “Studi storici veronesi”, III, 1951-1952, p.

107.

14 E. FRANZINA, Vicenza, cit., p. 97. Tale mutamento è parallelo a quello che si verifica in àm-

bito giornalistico dove, se ancora si pubblicano gazzette tradizionali, tuttavia “il tono or- mai è dato dai periodici che uniscono alla cronaca politica il commento redazionale, la di- scussione di temi generali, le notazioni di costume, la polemica, la satira” (C. CAPRA, Il

giornalismo nell’età rivoluzionaria e napoleonica, in V. CASTRONOVO, G. RICUPERATI, C. CAPRA, La stampa italiana dal cinquecento all’ottocento, Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 422).

15 Per considerazioni sulle varie forme “memorialistiche” (autobiografia, journal intime, dia- rio, cronaca, libri di famiglia), le loro diverse finalità e modalità, e anche la difficoltà spes- so di definirne una demarcazione netta, si vedano la prefazione di Emilio Franzina, e l’in- troduzione di Maurizio Zangarini, al citato: V. ALBERTI, Il diario dell’oste. Per il genere au- tobiografico, rimane fondamentale: P. LEJEUNE, Il patto autobiografico, Bologna, Il Muli-

no, 1986, soprattutto p. 11-50 per le questioni metodologiche e la categorizzazione del- l’autobiografia anche in relazione ai generi affini; si vedano pure Studies in autobiography, edited by J. Olney, New York, Oxford University Press, 1988, ed i saggi contenuti in:

Scritture di desiderio e di ricordo. Autobiografie, diari, memorie tra Settecento e Novecento,

Che poi tale razionalizzazione avesse anche fini pedagogici e scopi di esorcismo ideologico – il che è particolarmente valido per i cronisti politi- camente conservatori, che sono i più – è logico: Girolamo de’ Medici si di- mostra comunque abbastanza equilibrato, preoccupato di esibire quella che ritiene essere la forza degli argomenti e delle descrizioni, senza indul- gere troppo, come invece altri cronisti, nello strumento di dare all’ipoteti-

co lettore “particolari materialmente e moralmente raccapriccianti”16, di-

mostrandosi un moderato anche in questo.

Per quanto riguarda poi l’àmbito cui egli intendeva rivolgersi (i suoi

ipotetici lettori, com’egli li chiama), nell’avviso introduttivo17si premura-

va di qualificare la propria scrittura come atto privato, dichiarandosi alie- no da ogni desiderio di riconoscimento pubblico quale storico e da ogni

velleità di vedere stampata la propria opera18. D’altronde, aggiungeva, la

“severità e rigore della stampa”19avrebbero fatto perdere ogni merito al-

l’opera – merito che per lui stava proprio nella minuziosità del racconto e

nella sincerità espositiva20. Era bensì cosciente che la sua opera non era

una tradizionale cronaca ed accettava di considerarla una “storia” riguar- do al contenuto ed all’ordinamento cronologico dei fatti, ma soggiungeva che essa non era tale riguardo allo stile e, “molto più”, riguardo al con-

LXIV UNA “LODEVOLE MODERAZIONE” E UNA “ONOREVOLE CONDOTTA”

16 E. FRANZINA, Vicenza, cit.

17 Tutti i passi del manoscritto citati senza indicazione di pagina sono tratti dall’avviso in- troduttivo, le cui pagine non sono numerate (Vicende, Avviso [3-4]).

18 Non per sottolineare la facile equivalenza con la favoletta della volpe e l’uva, ma era pras- si comune che genealogie e memorie di storia patria non ottenessero “l’onore sospirato della pubblicazione” (E. FRANZINA, Vicenza, cit., p. 72).

19 Ad esempio, riguardo alla battaglia di Arcole in cui, secondo il nostro, gli Austriaci si sa- rebbero fatti comperare dall’oro francese, dice: “Per me li veggo assai chiari [i motivi del- la sconfitta austriaca] cheché ne diranno le storie o per tacere di che parlare non possono o per attribuire più agli uni che agli altri” (Vicende, p. 118 [44]).

Che la stampa fosse oggetto di interventi censori, anche pesanti, non è ovviamente in di- scussione. Proprio per quanto riguarda la cronachistica, tale Ezechia Bassan (o Bassani), cittadino ebreo proprietario di un negozio al ghetto, pubblicizza la stampa di una propria cronaca degli avvenimenti successi in Verona dal 16 aprile al luglio 1797, e si lusinga che “sarà tolerata essendo esatta e veritiera” (“L’amico degli uomini”, XXV, 4 agosto 1797, av- viso al pubblico). Probabilmente in seguito a intervento delle autorità, deve interrompere la stampa dell’opera. Il redattore del giornale lo rimprovera di come la vanità gli abbia of- fuscato la fantasia ed abbagliato la ragione ed il discernimento. E, sottolineata la mancan- za di qualità letterarie dell’opera, per la quale l’autore non aveva consultato alcun lettera- to, termina: “Ringraziate che siete stato in tempo d’impedirne il proseguimento [della stampa], e non vi rincresca se ad un vile interesse che ne avreste saputo ricavare da quel miserabile libretto, avete piuttosto salvata la vostra riputazione [di vero repubblicano] ed il vostro concetto” (“L’amico degli uomini”, XXVII, 11 agosto 1797: al cittadino Ezechia Bassan)

20 Tale minuziosità espositiva era anche figlia di quel gusto che gli almanacchi da una parte tendevano a soddisfare, dall’altra ad accrescere, per la vita cittadina nelle sue novità (M. BERENGO, Introduzione a: Giornali veneziani del Settecento, a cura di Marino Berengo, Milano, Feltrinelli, 1962, p. XXVII).

trollo esercitato sulla veridicità dei fatti narrati, che non sempre aveva po- tuto accertare21.

Non bisogna credere ciecamente a tali innumerevoli atti di modestia profferti troppo spontaneamente da Girolamo nell’introduzione – dal di- chiarato poco merito e valore dell’opera, alla dichiarata ma probabilmente falsa indifferenza, qualora “dai pochi lettori che ritrovar possono non ot- tengano facile condiscendenza”. È in azione qui quel sentimento, descrit- to da Franzina per i cronisti del Settecento, che può valere anche per un esponente della classe nobiliare che non sia letterato di professione e che aspiri ad ottenere l’approvazione almeno del proprio ambiente: un pren- dere le distanze dalla propria opera, un adottare un profilo basso, per non sfigurare in caso di insuccesso di critica, pur nella ristretta cerchia22.

A tali motivazioni, non va probabilmente disgiunta un’altra di carattere formale: la riproposizione, cioè, della classica formula retorica della “cap- tatio benevolentiae”, come fa pensare anche la citazione da Orazio il qua- le, riguardo a certe cattive poesie dette in pubblico – alle quali Girolamo equipara la sua opera, una volta che fosse “ristretta dalla severità e rigore della stampa” – diceva che servivano solo a “coprir le pentole di cucina”.

Al di là del fatto che la sua opera potesse o meno giungere alla stampa, egli era probabilmente interessato a farla conoscere, come testimonia ap- punto il suo riferirsi ad ipotetici lettori, “pochi”, e soprattutto come dimo- stra il fatto che i particolari su singole famiglie ed esponenti cittadini, la cui divulgazione poteva urtarne la suscettibilità, sono posti in un fascicoletto a parte di “annotazioni secrete”23.

LA CRONACA DI GIROLAMO DE’ MEDICI LXV

21 Rispetto alle dichiarazioni di un altro autore di memorie, il vicentino abate Dian, che de- finiva la sua opera una “semplice raccolta di notizie accadute nelli due secoli XVIIIe XIXe non una storia”, Franzina (Vicenza, cit., p. 106) dice che probabilmente mentiva. Altret- tanto, mente de’ Medici che, fatto atto di modestia storiografica, sente il bisogno meto- dologicamente corretto di aggiungere che, dove non aveva potuto effettuare precisi con- trolli sulla veridicità dei fatti narrati, “non trascurai di annotare a suo luogo”.

22 “Il timore di avere troppo osato si insinuava in qualcuno e lo induceva a premettere ai propri lavori annalistici avvertenze cautelative che mascheravano a stento il desiderio di non squalificarsi, e magari di acquistar credito e di venir lodati” (E. FRANZINA, Vicenza,

cit., p. 78). In un contesto diverso, sempre in àmbito nobiliare, vogliamo ricordare l’abi- tudine di un Giovanni Pindemonte, ad esempio, a fare rappresentare alcune sue tragedie firmate da un ”nom de plume”, come Luigi Millo, suo servitore: più che manifestazione di modestia, era pratica usuale quando l’autore apparteneva alla classe dirigente, al fine di salvaguardarne la suscettibilità in caso d’insuccesso: cfr. G. DUMAS, La fin de la Républi-

que de Venise: aspects et reflets littéraires, Paris, Presses Universitaires de France, 1964, p.

151-152.

23 Per un analogo problema relativo alla suscettibilità – o peggio – di chi viene fatto oggetto di descrizione, segnaliamo, ad esempio, che Francesco Bal, autore di una grossa opera au- tobiografica rimasta inedita fino ad anni recenti, nella lettera dedicatoria ai figli chiederà loro di leggere le sue memorie autobiografiche solo dopo la morte degli zii, in quanto “avendo dovuto dire la verità, si offenderebbero e potrebbero vendicarsi contro di voi” (Vita di Francesco Bal scritta da lui medesimo, cit., p. 39). Nella discussione sulla necessità

2. Il problema delle fonti

Prima di passare ad altre questioni, è opportuno sgomberare preventi- vamente il campo da un giudizio limitativo del valore dell’opera, in quan-