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C APITOLO SECONDO

3. CRONACA E ROMANZO

Nel capitolo precedente abbiamo messo in rilievo come la storiografia volgare, trattando specialmente di tempi molto remoti, tenda ad alimentare il potenziale romanzesco delle fonti latine. Il pubblico per cui l’opera volgare era concepita e destinata, ricoprì di certo un ruolo importante in tale processo. Infatti, rispetto all’erudito lettore di trattati latini di formazione ecclesiastica, il pubblico laico delle corti doveva essere in qualche modo avvicinato alla materia dagli autori, i quali, quasi seguendo il monito lucreziano, si servono del « mellis dulci flauoque liquore » in opere che appaiono in una veste formale certamente più gradevole e allettante.62 E questo è tanto più vero per quella materia mitica che già di per sé porta un alto

60 F

RANCINE MORA LEBRUN, cit., p. 205.

61 C

ATHERINE CROIZY-NAQUET, Thèbes, Troie et Carthage. Poétique de la ville dans le roman antique au XIIe siècle, Paris, Champion, 1994, p. 14.

62

L’importanza dell’intrattenere il pubblico con un racconto che sia non solo interessante ma anche piacevole, finalizzato al deduit, è esplicitamente affermata da Benoît, che nel prologo del Roman de Troie dice di essersi cimentato nell’impresa di traduzione delle cronache latine di Darete e Ditti affinché « cil qui n’entendent pas la letre / se puissent deduire el romanz » ( vv. 38-39 ) intendendo con il termine romanz usato in modo deliberatamente ambiguo sia l’uso della lingua volgare, sia un particolare genere letterario scritto in tale lingua, il romanzo, appunto. O ancora ai versi 711- 714 : « Les uevres que ci sont nomees / sont el Livre si recontees / qu’a tote rien iert a plaisir, / e mout les fera buen oïr » [ I fatti che sono qui menzionati, / sono raccontati nel libro in modo tale / che ogni cosa provocherà piacere / e saranno ascoltati volentieri ]. Come sottolinea Penny Sullivan : « the translator has a duty to entertain his public. Two factors influence the entertainment value of his work: the choice of subjecr-matter and the manner of its presentation. The clerk has to choose a topic worthy of the attention of a courtly audience, one which holds out a promise of both novelty and grandeur. Then he must see to it that his French version of the story is enjoyable to listen to ». PENNY SULLIVAN,«Translation and Adaptation in the Roman de Troie », The Spirit of the Court: Selected

contenuto di ‘meraviglioso’ e che quindi agevolmente si presta a eventuali sviluppi romanzeschi. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che nella prospettiva degli autori si trova la consapevolezza di comporre comunque un’opera storiografica, di svolgere cioè il compito che allo storico pertiene: rammentare il passato.

Il fatto che uno stesso autore si potesse dedicare senza imbarazzi ad opere che ai nostri occhi appaiono segnate da un diverso livello di ‘storicità’, non trovando nessun contrasto tra queste e l’integrità del suo profilo culturale, ci è testimoniato dall’esempio del già citato Wace e da quello Benoît de Sainte-Maure. Entrambi questi autori si muovono con disinvoltura sul doppio binario del roman e della chronica dinastica normanna. Questa distinzione, dobbiamo ammetterlo, è per lo più frutto di classificazioni e schemi che si applicano alla letteratura per esignenze di semplificazione, più che rispondere a un reale radicamento nell’ottica dei litterati del Medio Evo. Come è stato messo in evidenza da Emmanuèle Baumgartner:

«pour des raisons d’ordre pédagogique peut-être, plus sûrement par paresse intellectuelle, la critique littéraire tend à établir, au sein des textes en langue vernaculaire, une ligne de démarcation assez nette entre les premières manifestations du récit de fiction, les romans antiques, et celles de l’historiographie anglo-normande, l’Estoire des Engleis de Gaimar, le Roman de Brut et le Roman de Rou de Wace ou la Chronique des Ducs de Normandie de Benoît. Ces écrivains ont pourtant en commun la pratique de la “translatio” et l’exploitation concertée de cette langue littéraire neuve qu’est alors le “roman”. Leurs récits, qu’il s’agisse de la geste de Priam et de Troie, de celle de Brut et de ses descendants ou de l’histoire des ducs de Normandie ( des futurs rois de l’Angleterre normande ), témoignent d’une même ambition: remembrer par l’écriture et à partir essentiellement de sources écrites, des livres, le passé mythique, ancien ou plus récent de la Grande-Bretagne ».63

In effetti, per riprendere le parole di Giuseppina Brunetti,64 « il romanzo […] va al battesimo della storia […] con una camicia non immacolata, anzi, con complicità dichiarate: il romanzo medievale è infatti originariamente e generalmente in versi, come la poesia, ed è in continuità stringente con quella stessa voce/scrittura che ricorda e tramanda, con la materia che è appannaggio precipuo delle chansons de geste, della historia. Historia, historia fabularis, fabula, inventio: categorie feconde - a partire dall’indagine sul giudizio depositato nella normativa retorica coeva - per avviarsi a comprendere una realtà di scrittura che è realtà di paradosso, costitutivamente ibrida e insieme proposta complessa che scaturisce, dalla Proceedings of the Fourth Congress of the International Courtly Literature Society ( Toronto 1983 ), Cambridge, Brewer, 1985, p. 358.

63 E

MMANUÉLE BAUMGARTNER, «Escrire, disent-ils. A propos de Wace et deBenoit de Sainte- Maure», De l’histoire de Troie au livre du Graal. Le temps, le récit (XIIe – XIIIe siècles), Orléans, Paradigme, 1994. p. 15.

64 G

IUSEPPINA BRUNETTI, «Introduzione», Francofonia: studi e ricerche sulle letterature di lingua francese, 2003, XXIII, n. 45, p. 11.

presunzione, dalla ricostruzione, nella letteratura, della realtà ». In effetti bisogna ricordare, come fa Alberto Vàrvaro,65 che la storiografia è a tutti gli effetti un genere letterario, nel quale ogni tentativo di definizione si basa sulla delimitazione dei due àmbiti, che oggi appare evidente (history vs fiction) ma che forse non è stata né costante né sempre chiara. Nei secoli passati, prima dell’avvento di una precisa coscienza storica, la storia non è separata da un confine netto rispetto alla leggenda: la letteratura, storica o no, veritiera o (a nostro giudizio) di immaginazione, ci permette di conoscere tutto ciò che è avvenuto nei tempi passati, e che può essere opportunamente invocato a esempio o paragone. In sostanza nella visione simbolica che il Medio Evo conserva della realtà, che rimanda costantemente a un piano trascendentale o comunque a un significato ‘altro’ i personaggi del passato contano sopratitto non per il loro grado di verisimiglianza, non ci si pone affatto il problema, ma per il ‘significato’ e il valore che rivestivano, figure portratici di un significato esemplare.66 È dunque senza imbarazzo che un cronista francese, Philippe de Commynes, ancora nel tardo XV secolo può paragonare con assoluta naturalezza i preparativi fatti nel 1475 da Edoardo IV d’Inghilterra per invadere la Francia con quelli del suo predecessore « le roy Artus»,67 dunque commisurare fatti e protagonisti delle vicende contemporanee con modelli antichi, storici o letterarî che fossero è pratica costante e questo avviene ancora alle soglie del’500 è tanto più vero dunque per il XII secolo. Quindi tra la relatà storico-politica e il racconto si instaura un rapporto assai diverso da quello che a noi pare oggi ovvio. Resta in ogni caso lecito chiedersi qunto un clerc del XII secolo mostri la medesima attitudine nella trattazione di eventi che si trovano distesi su un arco temporale così vasto, che spazia dall’impresa degli Argonatuti sino al regno di Enrico II. L’Antichità, lontana nel tempo e nello spazio, che troviamo nei racconti di ambientazione orientale di Troia, di Tebe e di Cartagine, non solo, in ragione della sua stessa lontananza, poteva lasciare un più ampio margine di libertà di scrittura , ma poneva anche agli autori singolari problemi di ‘armonizzazione’ con una realtà così lontana e diversa quale era quella in cui operavano. Oltrettutto il mondo antico abbracciava valori radicalmente

65

ALBERTO VÀRVARO, «“Noi leggevamo un giorno per diletto”: esperienza letteraria ed esperienza storica nel Medioevo», Identità linguistiche e letterarie nell’Europa romanza, Roma, Salerno, 2004, pp. 256-257.

66 Lo stesso Dante, mescola tra le anime che si incontrano nella Commedia, personaggi della Firenze duecentesca

e comunale a eroi ed eroine della letteratura antica e cavalleresca tutti portatori di un significato che trancende l’esistenza (reale o immaginaria, ai nostri occhi) del singolo. E con la medesima prospettiva vanno letti i cicli figurativi, diffusi nella decorazione parietale tardo-gotica con i cosidetti Nove Prodi (Ettore, Alessandro Magno, Giulio Cesare, Giosuè, Davide, Giuda Maccabeo, Artú, Carlomagno, Goffredo di Buglione) e con le Nove Eroine (Delfile, Sinope, Ippolita, Semiramide, Etiope, Lampeto, Tamiri, Teuca, Pentesilea), celeberrimi quelli quatrocenteschi del castello della Manta presso Saluzzo, che mescolano personaggi storici e letterarî in chiave didattico-esemplare naturalmente in funzione del presente.

67 A

LBERTO VÀRVARO, «“Noi leggevamo un giorno per diletto”, cit., p. 256. «Car onques roy d’Angleterre, depuis le roy Artus, n’amena tant de gens pour ung coup déçà la mer» [Mai re d’Inghilterra, dopo re Artù, menò in una sola volta tanta gente attraverso il mare].

diversi da quelli che ai chierici erano familiari, primo tra tutti la religione pagana; « au romancier médieval se posent aussi les délicates questions de la morale, de l’idéologie, de la religion […] Comment trouver des compromis entre mythologie et dogme chrétien, entre héros antique soumis à la volonté des dieux et chevalier médiéval chrétien usant de son libre arbitre, entre société réglée sur des lois anciennes et société féodale? » si chiede Bernard Ribémont;68 non dimentichiamo che nel XII secolo la questione della fede è di primo piano. È del resto la stagione delle crociate, riassunta nel celebre verso della Chanson de Roland « li paien unt tort et chrestien unt dreit ». Tale questione non si poneva in riferimento alla tradizione delle leggende celtiche che appaiono maggiormente ‘vicine’ alle coscienze degli uomini del XII secolo. Esse erano già state fatte materia di racconti di giullari e cantastorie ed erano oltrettuto legate da una più stetta contiguità temporale e territoriale con la realtà normanna essendo di ambientazione nordica. I loro personaggi, non più esotici guerrieri pagani, condividevano inoltre religione e valori vicini a quelli del pubblico ed erano protagonisti di azioni che non richiedevano dunque un ‘filtro’ per adattarle o armonizzarle a una sensibilità diversa. Allo stesso modo, i fatti dinastici tramandati dagli Annali, che si caratterizzano per la stringente sequenza degli accadimenti, narrati «en ordre continuaument», come dice Benoît de Sainte-Maure sono inquadrati un’impalcatura rigida, che lascia posco spazio alla manipolazione della fantasia.

3.1. Mestre Wace e Benoît de Sainte-Maure

Wace fu incaricato da Enrico II nel 1160 di redigere il Roman de Rou o Geste des Normans.69 Come abbiamo visto, il precedente Roman de Brut, narrando la fase più antica del potere laico

68

BERNARD RIBÉMONT, Qui des sept arz set rien entendre... Études sur le Roman de Thèbes, Orléans, Paradigme, 2002, p. 5. Lo studioso, nell’Introduzione al volume, sottolinea come: « Pour tous les auteurs de romans antiques, s’est posée la question de la culture antique et païenne face à la culture chrétienne. Question difficile pour celui qui entend traduire et adapter une source qui regorge de scènes, d’images, de personnages ressortissant à la mythologie. D’un côté, les auteurs anciens jouissent d’un prestige presque absolu. En outre, l’ensegneiment d’Augustin, le Pére le plus lu de la Chrétienté occidentale, indique bien qu’il faut utiliser le savoir des anciens dans le parcours menant à la science et à la sagesse chrétiennes. D’un autre côté, certaines données mythologiques sont difficilement acceptables. Le clerc médiéval est donc souvent placé devant un dilemme, ayant à choisir entre traduction, suppression ou compromis ».

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WACE, Roman de Rou ( ed. Holden ), I, vv. 1-7 « Mil chent et soisante anz ot de temp et d’espace / puiz que Dex en la Vierge descendi par sa grace, / quant un clerc de Caen, qui out nom Mestre Vace, / s’entremist de l’estoire de Rou et de s’estrasce, qui conquist / Normendie, qui qu’en poist ne qui place, / contre l’orgueil de France, qui encor les menasce, / que nostre roi Henri la congnoissë et sace ». [ Trascorse un intervallo di tempo di millecentosessanta anni / dopo che Dio si incarnò nella Vergine per sua grazia, / quando un chierico di Caen, che si chiamava Maestro Wace, / si dedicò a raccontare la storia di Rollone e della sua genia, il quale conquistò / la Normandia, narrando come agì / contro l’orgoglio della Francia, che ancora li minaccia / affinché il nostro re Enrico apprenda e conosca questi fatti ].

in Inghilterra, preludeva di per sé all’impegno successivo affrontato dall’autore nel Rou. Il Roman de Rou ci è giunto in una forma mutila e piuttosto travagliata. Il romanzo è tramandato da quattro testimoni di cui solo uno contiene tutte le quattro porzioni di testo da cui è costituito il romanzo, si tratta di un volume seicentesco conservato presso la Bibliothèque nationale di Parigi con segnatura Duchesne 79 (D). Queste sono le quattro parti che vanno a comporre il testo di Wace nella forma in cui si presenta a noi: Abbiamo una prima sezione ( Première Partie ) di 751 versi in distici di ottosillabi a rima baciata che comprende il prologo ( v. 1-94 ), l’origine dei Normanni e le imprese del loro capo, il pirata Hasting (v. 95-751). A questa segue una seconda sezione (Seconde Partie) di 4424 alessandrini in lasse monorime di lunghezza differente, con cambio di rubrica ad ogni cambiamento di duca, in cui si narrano le imprese del primo duca di Normandia Rollone ( Rou ) (v. 1-13131), di suo figlio Guglielmo Lungaspada (v. 1314-2016) e del nipote Riccardo I (v. 2017-4424) fino all’epoca del trattato di Jeufosse nell’anno 965.mUna terza sezione, che comprende 315 alessandrini ancora distribuiti in lasse rimate ripercorre a ritroso la storia della casata normanna a partire dall’ultimo discendente Enrico II fino a risalire al capostipite Rollone. Questa branche è nota come Chronique ascendante des ducs de Normandie. La quarta sezione, (Trosième Partie, posta in Appendice all’edizione Holden) infine, di nuovo scritta in couplets d’octosyllabes à rime plates, consta di 11.502 versi. In questa viene ripreso il prologo della prima sezione con ampliamenti e modifiche (v. 1-184), segue la storia dei duchi normanni dal punto in cui si concludeva la Seconde Partie in alessendrandrini con il racconto del matrimonio di Riccardo I con di Emma, sorella di Ugo Capeto, delle nuove nozze del duca, alla morte di questa, con Gunnor da cui avrà cinque figli e tre figlie, fino ad arrivare alla battaglia di Tinchebray dell’anno 1106.

Varie sono le ipotesi sui rapporti tra le diverse sezioni, così variegate, dell’opera. Una parte della critica ritiene che la Chronique ascendante sia frutto di un’interpolazione. Questa branche potrebbe essere stata scritta nel 1174 come si deduce dai riferimenti alla rivolta dei figli di Enrico II e all’assedio di Rouen da parte dei Francesi, fatti che che risalgono appunto a quell’anno, tuttavia l’omaggio a Enrico e a Eleonora d’Aquitania posto in apertura, celebrando le nozze della coppia reale ( 1152 ) retrodaterebbe la composizione ai primi anni di regno del Plantageneto. Probabilmente un anonimo rimaneggiatore riutilizzò, per l’omaggio ai sovrani, una precedente dedica perduta di Wace riadattandola in alessandrini in un momento in cui l’autore normanno era stato forse destituito dall’incarico di storico. La prima sezione in ottosillabi, anch’essa forse frutto di un rimaneggiamento, conserva un prologo che è la versione abbreviata di quello che apre la quarta branche, la parte ritenuta

generalmente autentica del Roman. I due prologhi differiscono per il numero e l’ordine dei versi: ai 142 ottosillabi del secondo corrisponondono i 122 del primo. Tuttavia la versione ‘lunga’ appare caratterizzata da una disposizione più organica e coerente della materia.

Alcuni critici sostengono invece che lo stato eterogeneo del testo non sia frutto di interpolazioni ma rispecchi le diverse fasi redazionali dell’opera che impegnò l’autore per ben quattrordici anni. Wace avrebbe dunque iniziato a scrivere l’opera nel 1160. A partire da questa data avrebbe lavorato alla parte in alessandrini ( Seconde Partie ) conclusa prima della parte in ottosillabi più lunga ( Trosième Partie ) del 1170. la parte in ottosillabi breve ( Première Partie ) è collocabile tra il 1160 è l’abbandono del lavoro per il passaggio di consegne a Benoît, mentre la Chronique Ascendante può ascriversi al periodo precedente l’autunno del 1173. La tradizione manoscritta sembra consegnarci dunque non un testo sancito da una stesura unica da parte dell’autore ma, al contrario, i materiali semi-elaborati di un’opera ancora in fieri. 70

Gli avvenimenti storici che forniscono la materia del poema si estendono dunque nell’arco di più di due secoli, dalla fondazione del ducato fino alla bataglia di Tinchebray nel 1066 tra Roberto II Cortacoscia ed Enrico I Beauclerc re d’Inghilterra.

La geste voil de Rou et des Normanz conter, lors faiz et lor proësce doi je bien recorder. Les boisdies de France ne font mie a celer, tot tens voudrent Franchoiz Normanz desheriter et tout tens se penerent d’euls vaincre et d’els grever […]

Es estoires peut on et es livres trover

qu’onques Francheiz ne voudrent as Normans foi porter, ne por fiance faire ne pur sainz jurer;

nepoureuc bien lez seullent lez Normanz refrener, non pas par traïson mez par granz cops donner.71

[ Voglio raccontare le gesta dei Normanni e di Rollone, / le loro prodezze e le loro imprese io devo ben ricordare. / Le malefatte della Francia non si devono tenere nascoste, / da sempre i Francesi vollero sottrarre ai Normanni le loro terre / e sempre si sforzarono di vincerli e di affliggerli / […] si può trovare nei racconti e nei libri / che mai i Francesi vollero mostrarsi leali con i Normanni / né dando la loro parola

70 Cfr. R

ETO R.BEZZOLA, Les origines et la formation de la littérature courtoise en occident, III, Slatkine – Champion, Genève-Paris, 1984, pp. 175-182; GIOIA PARADISI, Le passioni della storia, scrittura e memoria nell’opera di Wace, Roma, Bagatto, 2002, pp. 289-307.

71

né giurando. / Tuttavia i Normanni li seppero ben contrastare, / non con sotterfugi ma battendosi valorosamente ]

Wace indossò con convizione l’abito dello storico ufficiale della dinastia utilizzando testi di comprovata autorevolezza e affidabilità. Il periodo su cui si concentra la cronaca infatti, lo stesso che vide la nascita e lo sviluppo del genere storiografico in Normandia, si distingueva per la presenza di una vasta documentazione che l’autore del Brut poteva avere a sua disposizione. Tuttavia tali fonti si distribuivano in un modo molto diverso. Non c’è infatti comune misura tra la parte cronologicamente più recente su cui si possedevano numerose testimonianze legate intimamente da rapporti multipli e talvolta inestricabili e l’epoca oscura e povera di documenti in cui si situavano le imprese semi-leggendarie di Rollone e dei suoi uomini.72 È dunque necessario insistere, in proposito, sul carattere ambivalente del Roman de Rou e sulla diversità delle fonti che l’autore aveva a disposizione.

Essendo un volgarizzamento, quindi essenzialmente una materia di seconda mano, il poema trae la materia fondamentale da cronache anteriori, la maggior parte delle quali si sono conservate sino ai giorni nostri. Le pricipali fonte della riscrittura di Wace, soprattutto per il racconto dei fatti precedenti al regno di Guglielmo il Conquistatore, sono i Gesta Normannorum Ducum. Questi erano stati scritti circa un secolo prima, alla metà dell’XI secolo, nel monastero normanno di Jumièges dal monaco Guglielmo, il quale vi aveva raccolto, in quattro libri, le vicende di Hastings, Rollone, Guglielmo Lungaspada e Riccardo I, terminando con la morte di quest’ultimo nel 996. Accanto ai Gesta Wace tenne presente anche una fonte più antica, che era già stata rielaborata a sua volta dal monaco di Jumièges nella prima parte della sua opera, si tratta del De moribus et actis primorum Normanniae ducum di Dudone di San Quintino: opera in quattro libri composta negli anni tra il 996 e il 1015 su commissione dello stesso duca Riccardo II. A queste due si aggiunge anche la riscrittura che dei Gesta fece lo storico Orderico Vitale nella sua Histoire de Normandie, che Wace tenne presente per colmare le lacune delle sue fonti principali. È infatti possibile considerare il Rou come un’adattazione fedele e talvolta letterale della tradizione trasmessa da

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