• Non ci sono risultati.

I Romanzi Antichi del XII secolo e la scrittura della storia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "I Romanzi Antichi del XII secolo e la scrittura della storia"

Copied!
273
0
0

Testo completo

(1)

C

APITOLO PRIMO

LETTERATURA DIDATTICA E STORIOGRAFIA ALLA CORTE INGLESE DEL SECOLO XII

BOTH the Anglo-Saxons and the Normans seem to have been more interested in history than other people were, and after the Conquest Anglo-Norman writers turned their attention to the history of Britain and England. They exploited it for political purposes on a national scale, just as the royal and noble families exploites local traditions and invented ancestors for themselves for reasons of prestige ».1

Con queste parole la studiosa Dominica Legge poneva l’accento sulla singolare fortuna goduta dalla letteratura storiografica presso la corte inglese, in cui l’amore per la storia e la volontà di ricostruire il passato degli ancessurs trovarono un terreno di sviluppo particolarmente fertile. Al contempo, la medesima corte si mostrò versata nella coltivazione di una letteratura di stampo didattico-enciclopedico che, in latino prima e in volgare poi, diede vita, assieme alla storiografia, a quel particolare milieu culturale da cui traggono linfa i romanzi di materia antica.

1. LE CORTI E LE LETTERE

Charles Haskins, nel suo saggio sulla rinascita del XII secolo2 parla del « nuovo fervore storiografico », che caratterizza il secolo decimonono « indice di un’età nuova e ricca di fermenti »: « Il XII secolo è sotto molti punti di vista uno dei periodi più significativi della storiografia del medioevo, e in tale campo la rinascita ha dato appunto una delle sue manifestazioni più alte. Vecchie forme ritrovarono respiro e una completezza non mai avuti, nuove forme cominciarono ad affermarsi e da tutto il fermento che andava caratterizzando la vita del secolo, la storiografia, che quel fermento traduce e fa suo, ricevette un impulso

1 M.D

OMINICA LEGGE, Anglo-Norman literature and its background, Oxford, University Press 1963, p. 276.

2

CHARLES H.HASKINS, La rinascita del XII secolo, Bologna, il Mulino, 1972.

«

(2)

straordinario ».3 Questo impulso storiografico è strettemente collegato all’ambiente letterario delle corti feudali e regie, i centri propulsori della nuova produzione letteraria latina e volgare. Se nell’Alto Medio Evo i principali centri di diffusione delle cultura erano stati i monasteri, che avevano contribuito a salvare la tradizione culturale dell’occidente europeo, il XII secolo vede una generale decadenza di questi come centri principali della vita intellettuale. I monasteri, infatti passano gradualmente il testimone alle scuole cittadine sorte in prossimità delle cattedrali e alle corti che, in un generale processo di riorganizzazione burocratica, frutto del consolidamento delle strutture feudali, passano dalla rudimentale vita intellettuale dell’inizio del secolo a godere di poteri più larghi come centri amministrativi e culturali. Laurence Harf-Lancner parla, in proposito, del « développement du phénomène curial dans l’Occident des XIIe et XIIIe siècles, lié à l’affermissement du pouvoir royal ».4 Come afferma Alberto Vàrvaro: « gran parte della letteratura medievale, nel mondo romanzo ma anche in quello germanico, è da tempo e a ragione chiamata letteratura cortese, in quanto nasce nelle corti o per le corti, vuole rispondere ai gusti e agli interessi di coloro che nelle corti vivono e propone modelli per il loro comportamento ».5 In effetti « la stessa grande produzione storiografica del regno di Enrico II fu più conessa con la corte e le cattedrali che con i monasteri ».6

Chiaramente non tutte queste corti hanno lo stesso peso; « dans la seconde partie du XIIe siècle, une cour est le principal foyer culturel du monde occidental: la cour d’Henri II Plantagenêt, où s’épanouit la littérature courtoise en langue vulgaire. La curia d’Henri II, si l’on réunit l’administration centrale ( l’Echiquier ), l’administration provinciale et l’entourage permanent du roi, regroupe environ mille personnes, clercs et laïcs ».7 La corte anglo-normanna insulare d’Inghilterra gode dunque di uno statuto particolare « Qu’est-ce, à cette même époque, que la cour impériale d’Allemagne? Qu’est-ce que la cour royale de France? », si domanda Reto Bezzola, « la première se consume dans sa lutte contre la papauté, la seconde garde avec peine son prestige virtuel, réduite politiquement à se défendre contre les

3

CHARLES H.HASKINS, cit., p. 193.

4 L

AURENCE HARF-LANCNER, «Les malheurs des intellectuels à la cour: les clercs curiaux d’Henri II Planragenêt», Courtly Literature and Clerical Culture, Höfische Literatur und Klerikerkultur, Tübingen, Attempto Verlag, 2002, p. 3. La studiosa, nel presente articolo, traccia inoltre una breve storia dei termini affertenti al milieu della corte, che riporto : «Rappelons qu’en latin classique la cour était désignée par aula ou palatium, alors que curia semble d’abord désigner un groupe de population puis se référer à l’administration municipale, au sénat, enfin à l’entourage du prince à partir du IXe siècle. Mais ce nouveau sens du terme ne se généralise qu’au XIIe siècle, parallèlement au développement des cours princières et seigneuriales. Au XIIe siècle curia et curialis ont pour équivalent en langue vulgaire cort et corteis».

5 A

LBERTO VÀRVARO, « Le corti anglo-normanne e francesi », Lo spazio letterario del medioevo. 2: il medioevo volgare, I: la produzione del testo, II, Roma, Salerno Editrice, 2001, pp. 253 - 301.

6 C

HARLES H.HASKINS, cit., p. 41.

7

(3)

petits siegneurs qui l’empêchent d’exercer son pouvoir même dans les minuscules domaines royaux qui lui sont restés ».8 Come generalmente accade alla prosperità politico economica si accompagna il fermento della cultura, difatti lo studioso sottolinea come « les grandes maisons féodales rompent et supplantent non seulement le pouvoir politique mais aussi le monopole culturel de la cour impériale et royale ».9 È un decentramento non solo politico dunque, ma anche culturale, che viene a delineare l’immagine della corte anglo-normanna come un centro eccezionalemente sviluppato, il cui status può essere efficacemente riassunto con le parole di Martin Aurell: « la cour est le ‘centre’ à partir duquel la royauté Plantagenêt tente d’étendre son pouvoir sur une ‘périphérie’ composite, où le modèle politique du noyau dur anglo-normand peine à s’imposer dans des principautés insoumises. Elle est le lieu de l’exercise de la justice. Elle se matérialise dans les multiples résidences qui accueillent le roi et les siens toujours itinérants. […] Elle est un centre émetteur d’une propagande, qui manipule le passé breton et normand, la légende arthurienne et les exploits militaires des membres de la dynastie, pour influencer l’opinion de l’aristocratie. Elle développe un programme de courtoisie et de civilisation des mœurs ».10 Al contrario la corte francese, rispetto a quella insulare, pur mantendendo su questa uno status formale di supremazia in ossequio alle rigide convenzioni della feudalità - il sovrano d’Inghilterra si considerava vassallo del re di Francia in quanto i dominî continentali del casato ( in particolare il ducato di Normandia e i possedimenti del casato comitale d’Angiò ) ricadevano sotto l’autorità formale dei Capetingi – nei fatti si conserva a lungo in ruolo decisamente subalterno; subalternità i cui effetti si faranno sentire ancora fino all’epoca di Filippo Augusto quando la casa reale francese riacquisterà finalmente l’egemonia politica perduta da più di un secolo.

Sul piano più strettamente culturale dunque, non ci si deve stupire se la letteratura mediolatina risulta pressoché assente dalla corte reale di Francia e se le prime opere della nascente letteratura volgare non si formano presso i sovrani capetingi ma presso i loro rivali normanni e plantageneti. Come sottolinea Vàrvaro, non è certo casuale che nelle opere letterarie i riferimenti ai sovrani planatageneti che si riscontrano siano quantitativamente e qualitativamente diversi da quelli ai successori di Ugo Capeto, con una netta predominanza della dinastia insulare. « Per tutto il nostro periodo i sovrrani capetingi mostrano […] poco

8 R

ETO R.BEZZOLA, Les origines et la formation de la littérature courtoise en occident, II, Slatkine –Champion, Genève-Paris, 1984, p. 452.

9 Ibidem. 10 M

ARTIN AURELL, « La cour Plantagenêt (1154-1204) : entourage, savoir et civilté », La cour Plantagenêt (1154-1204). Actes du Colloque tenu à Thouars du 30 avril au 2 mai 1999, Poitiers, Université de Poitiers, 2000, p. 9.

(4)

interesse per la letteratura ».11 Se infatti si ricostruisce la mappa della dislocazione geografica dei primi testi francesi12 si vede come questi provengano da regioni per così dire ‘marginali’ rispetto alla corte parigina, dai dominî sparsi delle grandi casate feudali come Poitiers, Tolosa, la Normandia o l’Inghilterra, e nei castelli dei valvassori di queste casate “di provincia”: a Ventadour, a Comborn, ancora a Tolosa, a Bèziers, a Narbona nel sud della Francia o a Chester e infinea Horncastle e nel Linconshire per quanto ringuarda l’Inghilterra.

2. PRINCEPS ELOQUENTISSIMUS: ENRICO II

Reto Bezzola13 nel suo monumentale studio sulla nascita della letteratura cortese in Occidente ricostruisce un’immagine dettagliata dell’ambiente culturale che gravita intorno alla corte inglese negli anni di Enrico II e del ruolo letterario di questo e della consorte, la celeberrima, Eleonora d’Aquitania vero e proprio ‘mito’ della letteratura e della storiografia sul Medio Evo. Questa immagine, sebbene sia stata un poco ridimenzionata14 da interventi critici succesivi, è utile per collocare i romanzi d’Antiquité nello sfondo che è loro proprio.

Enrico II ( 1133 – 1189)15 nipote di Enrico I Beauclerc - così chiamato perché clericus, letterato - re d’Inghilterra dal 1100 al 1135 e figlio dell’imperatrice Matilde « empereïz de Romme » vedova dell’imperatore germanico Enrico V, e di Goffredo Plantageneto conte d’Angiò16 può essere considerato a buon diritto, come il sovrano più colto della sua epoca.17

11 A

LBERTO VÀRVARO, cit., p. 266.

12 B

EZZOLA, ( cit, II, pp. 453 – 454) concentrandosi in particolare sui testi che vanno dal X all’XI secolo, fa riferimanto alla Passion di Clermont-Ferrand della fine del X secolo collocabile tra la regione del Borbonese o quella settentrionale della Manica; alla Chanson de saint Lèger, della medesima epoca, che sembra riconducibile a un originale vallone. Si aggiunge poi la Vie de Saint Alexis, dell’XI secolo, che proviene dalla Normandia ed è stata attributa da alcuni studiosi a Tetbald de Vernon, canonico di Rouen, autore di testi agiografici in volgare, come normanno è anche il celebre Voyage de Saint Brendan del chierico Benedeit. Oltre a questo, le tre più antiche chansons de geste: La Chanson de Roland, la Chanson de Guillaume, la Chanson de Gormont et Isembart ci sono state trasmesse tutte e tre in una forma anglonormanna. Si aggiunga il fatto che il nome di Turold che appare alla fine della Chanson de Roland e che è stato variamente interpretato come l’autore del testo, il copista, l’autore della fonte latina rimanda anch’esso, secondo Bezzola, a un ambito normanno.

13 I

DEM, ivi, vol. III pp. 3 -207.

14 Mi riferisco in particolare al citato articolo di Alberto Vàrvaro e a quello di S

TEFANO MARIA CINGOLANI, « Filologia e miti storiografici: Enrico II, la corte plantagenera e la letteratura », Studi medievali, 32, 1991, pp. 815 – 832.

15 Questa la successione: Guglielmo I (normanno), detto il Conquistatore (re dal 1066 al 1087) - Gugliemo II

(figlio del precedente, re dal 1087 al 1100 ) - Enrico I (fratello del precedente, re dal 1100 al 1135) - Stefano d’Inghilterra ( nipote del precedente, re dal 1135 al 1154 ) – Enrico II (figlio di Goffredo d’Angiò e di Matilde, figlia di Enrico I, re dal 1154 al 1189; Enrico è l’iniziatore della dinastia plantageneta o angioina).

16 B

ENOÎT DE SAINTE-MAURE, Chronique des ducs de Normandie (ed. Fahlin) vv. 44017-44063, ricostruisce la fusione tra casata d’inghilterra e quella comitale d’Angiò con il matrimonio tra Goffredo il Bello e Matilde e la nascita di Enrico II. Noto come in questo brano l’autore confonde il padre di Enrico I, Goffredo il Bello, o

(5)

Nato a Le Mans, venne educato alla corte paterna di Angers dove da secoli si coltivava l’immagine del principe dedito alle lettere. Qui la sua istruzione venne affidata, secondo quanto riportano le cronache dell’epoca, a un certo Pierre de Saintes, maestro e abile versificatore. In seguito, ancora giovanissimo, si recò in viaggio in Inghilterra nella città di Plantageneto con Goffrédo II, detto Martello ( 1006 – 1060 ), appartenente alla prima dinastia dei conti d'Angiò, figlio di Folco III Nerra e di una Ildegarda che morì senza eredi: « Li quens Fuke […] out un fiz, Juofre Martel, / grant chevaler e fort e bel / e proz e sage e conqueranz. / Prince n’esteit nus plus vaillanz; / de sa valor ne de s’igance / de ça les munz n’en tote France / ne fust pas trovez ne veüz; / par tot ert sis priz coneüz. / Sire ert d’Anjou, sire del Maine, / s’aveit Toroine en son domaine. / A cestui vout li reis Henris, / que mult en out esté requis, / od grant esgart, par haut saveir, /doner e sa fille e son eir, / l’empereriz, la proz, la sage. / Ici out riche mariage. / Tanz hautez genz s’en entremistrent / e tant parlerent e tant fistrent / qu’il la li dona a moillier / e qu’il la fist noceier. / Ja de plus haute renomee / nen ert mais dame mariee. / Beneeit fu li jostemenz / d’eus deus e li assemblemenz; / si fait pareil cum vos oez / ne quit que jamais seit trovez; / teu damene teu chevalier / n’ert mais mie a trover leger /tant cum le siecle a a durer. / […] De son seignor out treis bels fiz / en poi de temps l’empereriz: / Henri e Joufrei e Guilleaumes. / Des or nen ert mais li reiaumes / d’Engleterre senz eir tenable, / dreiz e vaillanz e covenable. / Fait a l’empereriz preisee (di pregio)/ si fait secors a sa lignee / que des bons eirs qui de li sunt / est oi meudres trestot le munt / e sera mais desqu’a la fin ». [ Il conte Fulco ( il Giovane) […] ebbe un figlio, Goffredo il Bello, / valente cavaliere, forte e di bell’aspetto, / valoroso, saggio e conquistatore di terre. / Non c’era alcun principe che fosse più valoroso, / e eguagliasse il suo valore e la sua prodezza, / né in Francia, né nel resto del mondo / si poté trovare qualcuno che fosse pari, / il suo valore era conosciuto ovunque. / Egli era il sovrano d’Anjou, sovrano del Maine, / e aveva nei suoi dominî la Turenna. / A costui il re Enrico I, / che aveva ricevuto molte richieste, / con grande oculatezza e con saggezza / volle dare in sposa sua figlia e la sua eredità, / l’imperatrice Matilde, la valente, la saggia. / Così stabilì un sontuoso matrimonio. / Tante personalità influenti si misero nella questione, / e tanto parlarono e tanto si adoperarono / che infine Enrico gli donò sua figlia in moglie / e gliela fece sposare, / Mai una dama di così alto lignaggio / era stata data in sposa. / Benedetto fu la promessa di matrimonio / tra loro due, e la loro unione, / una coppia assortita in modo simile come a avete inteso, / non credo sia mai stata trovata; / una tale dama e un tale cavaliere, / non si troveranno facilmente / fin tanto che il mondo durerà. / […] L’imperatrice Matilde ebbe in poco tempo / dal suo signore tre bei figli: / Enrico, Goffredo e Guglielmo. / Ormai il regno d’Inghilterra / non resterà più senza eredi / legittimi, valenti e adeguati. / Fece dunque ricorso alla virtuosa imperatrice, / fece ricorso alla sua discendenza / dal momento che gli da lei generati / sono i migliori del mondo / e tali saranno per sempre ].

17

GIRALDO CAMBRENSE, nel De principis instructione ( ed. Warner, VIII, p. 215 ). parla di Enrico II come « princeps eloquentissimus et quod his temporibus conspicuum est, litteris eruditus ». Mentre nella Topographia Hibernica ( ed. Brewer, V, pp 191 ss ) fa un lungo elogio dellla sapienza del sovrano addirittura paragonandolo a Salomone: « Illud quoque Heroidum memoriter recolens, “ vince animos, iramque tuam, qui cetera vincis »; […] Libellum quoque Senecae, De Clementia ad Neronem, prae manibus saepe, ad manum vero semper habens, […] Quanto studio, quantaque et quam laudabili regio in sanguine diligentia, a prima aetate annisque pueritiae studia literarum amplexus fueris ; illius Ieronimi non immemor, “ radix literarum amara est, fructus vero dulcis” ; et illius regis et prophetae David, “ Erudimini, qui judicatis terram” ; illud quoque Salomonis Salomon alter ad animum revocans, “ Literarum eruditione senectuti viaticum praeparatur, et disciplinata juventus aetatem confert fructuosam ”: Qualiter, istorum et consimilium exemplo, literatus princeps effectus, et in ethicis disciplinis decenter eruditus, inter universos mundi principes tanquam lucida gemma praefulseris, summisque philosophis tam ingenii dote, diviteque vena, quam instructionis et eruditionis ope in brevi coaequandus, si non ab institutis literarum tam intempestive raptus fueris ad curas terrarum ». [ Tu non dimentichi il verso delle Eroidi (III, 85) di Ovidio “ Domina l’animo e la tua collera, tu che vinci ogni altra cosa ” […] Tu tieni spesso tra le mani anche il De Clementia che Seneca indirizzò a Nerone. […] Con quanto impegno e con quanta lodevole diligenza, per un uomo di sangue reale, hai abbracciato lo studio delle lettere fin dalla tenera età e durante gli anni dell’adolescenza. Tu non dimentichi le parole di Girolamo ( Epistola ad Rustiscum, 125 ) “ la radice dello studio è amara, ma il frutto è dolce” e quelle del re e profeta David ( Salmi II, 10) “ Essere istruiti si addice a voi che giudicate la terra”. Tu, che sei un secondo Salomone, ricordi le sue parole “ lo studio delle lettere prepara la via alla vecchiaia, e la disciplina nella giovinezza feconda l’età matura”. Seguendo questi esempi, tu divieni un principe dedito alle lettere, e ben erudito nella letteratura profana, tu brilli come una gemma lucente tra i principi della terra. Tu saresti stato anche in grado di raggiungere i più eccelsi filosofi, sia per la tua disposizione naturale, sia per l’istruzione e gli studi, se non fossi stato distolto troppo precocemente dallo studio assiduo delle lettere a causa dei tuoi doveri di regnante ].

(6)

Bristol, soggiornando presso Robert FitzRoy ( ovvero figlio del re ), conte di Glouchester, noto per la sua passione letteraria,18suo zio in quanto figlio illegittimo di Enrico I. A Bristol, dove Enrico si trovava sotto la protezione del conte in qualità di erede legittimo al trono d’Inghilterra, si occupò della cura dell’istruzione del giovane principe, per un periodo di quattro anni, un certo maestro Mathieu ( si tratta probablimente dello stesso Mathieu di Londra che fu in seguito cancelliere del re e vescovo di Angers ) che gli insegnò litteras et mores honestos.

L’importanza che rivestiva la letteratura nell’educazione del giovane principe è testimoniata da un una lettera inviata da Pierre de Blois19 che aveva fatto carriera a corte divenendo segratario dell’arcivescovo di Canterbury prima, poi del re e della regina Eleonora, proprio a Enrico II in con il gusto antiquario proprio dell’autore si adducono come esempio i più illustri sovrani dell’antichità

20«Rex equidem sine litteris, navis est sine remige, et volucris sine pennis. Recenseant historiae, quantum

Julio Caesari contulerit litteras didicisse. In litterali studio tantus fuit, ut quaternas simul dictaret epistulas. Quantus in iuris civilis peritia fuerit, leges Romanorum indicant. Virtutem potentis ingenii, quam jugiter in philosophia exercuit, praedicat subtilitas bissextilis. Doctrina Aristotelis, et continuum, sub eo virtutis exercitium magnum magnificavit et extulit Alexandrum. […] Procedant etiam de schola Evangelii, Costantinus, Theodosius, Justinianus et Leo, atque alii Christianissimi principes, qui populum rexerunt in lege Domini, in fortitudine armorun, nec minus militia litterarum. Non video qualiter princeps perseveret in regno, aut judicet populos in aequitate, nisi consilio litteralis prudentiae muniatur »

[ Un sovrano che non conosce la letteratura è davvero una nave senza rematori, e un uccello senza penne. Raccontano i libri di storia quanto giovò a Giulio Cesare l’aver appreso le lettere. Tanto fu valente nello studio della letteratura che dettò contemporaneamente quattro scritti. Quanto fu valente nella conoscenza del diritto civile, lo indicano le stesse leggi che diede ai Romani Quanto esercitò costantemente la virtù della sua grande intelligenza nella filosofia, lo mostra la sagacia con cui introdusse l’anno bisestile nel

18

Robert di Glouchester ( ca 1090 – 1147) figura come dedicatario di importantissime opere storiografiche come le Gesta Regum Anglorum di Guglielmo di Malmesbury e l’Historia Regum Britanniae di Goffredo di Montmouth.

19 Proveniente da una nobile famiglia di Blois, dove nacque nel 1135, Pierre aveva fatto i primi studi a Tours,

completando la sua formazione nei centri universitari più eccelenti dell’epoca con lo studio del diritto a Bologna e della teologia a Parigi. Dal 1167 al 1168 fu precettore del giovane Guglielmo II re di Sicilia. L’astio dei cortigiani tuttavia lo obbligò ad abbandonare Palermo alla volta del Continente. Dopo aver rifiutato l’oferta di una diocesi vescovile in Italia, fece ritorno in Francia. Dalla città di Sens, dove egli viveva nella cerchia dell’arcivescovo Guglielmo, fu finalmente chiamato da Enrico II in Inghilterra per ricoprire la carica di segretario dell’arcivescovo di Canterbuty Thomas Becket. Prestò spesso i suoi servigi al sovrano in qualità di ambasciatore, intraprendendo missioni diplomatiche presso il re di Francia prima ( 1173 ), e presso il papa nel corso di numerosi viaggi a Roma a breve distanza l’uno dall’altro: nel 1173, nel 1177 e nel 1187. Dopo la morte di Enrico nel 1189 , divenne infine segretario della regina Eleonora d’Aquitania. La sua corrispondenza epistolare con i più illustri personaggi dell’epoca fa delle sue lettere un documento prezioso sulla vita politica e culturale della corte plantageneta, apprezzato anche dai suoi contemporanei se è vero che lo stesso Enrico II invitò il cancelliere a raccoglierle e a pubblicarle.

20

(7)

calendario. L’insegnamento di Aristotele, elevò Alessandro e magnificò, in modo continuato, sotto il suo regno, il grande esercizio della virtù ].

Durante il periodo del soggiorno alla corte di Robert troviamo inoltre precoci testimonianze della passione per la letteratura del futuro sovrano. Enrico figura infatti come dedicatario dell’Astrolabio di Abelardo di Bath e, in seguito al suo riconoscimento alla successione reale da parte del reggente Stefano di Blois,21 il priore di Westminster Osbert de Clare gli indirizzò un ritmo latino. Qui il principe è celebrato non solo come il pacificatore del regno dopo il violento periodo dell’anarchia, ma è raffigurato altresì come un vero patrono delle lettere, degno di reggere il confronto, probabilmente non senza una punta di adulazione, con Mecenate, protettore di Orazio, con Augusto, protettore di Virgilio e con l’imperatore Tito, protettore dello storico Giuseppe Flavio.22 Ancora Pierre de Blois così ricorda a Enrico gli anni del suo apprendistato alle lettere:

23« Experimento siquidem didicimus, quantum commoditatis accesserit terrae vestrae in eo, quod

liberalibus disciplinis vestrae primitias adolescientiae imbuistis. Cum enim aliis regibus fit rude et informe ingenium, vestrum, quod exercitatum est in litteris, in magnarum rerum administratione et

21 Così Wace nel Roman de Rou ( ed. Holden), I, vv. 108-135 ricostruisce il riconoscimento di Enrico alla

successione e la sua salita al trono dopo la guerra mossagli da Stefano di Blois « Henri estoi petiz quant la guerre li crut / du roi Estevenum, qui a grant tort li mut; / Maheut l’empereïz, qui mere Henri fut, / en soustint maint travail, mainte foiz s’en dolut. […] / Estiennes n’out onc paiz ne avoir ne la dut, / quer mal conseil creï et mal conseil li nut; / tant le destrainst li roz que son droit recongnut, / du regne l’erita, qui a ceus moult crut / a qui la guerre pleist et a qui la paiz plut; / diz et noef anz fu roiz, acel terme morut ». [ Enrico era ancora un fanciullo quando fu coinvolto nella / guerra che il re Stefano gli mosse a gran torto; / l’imperatrice Matilde, che era madre di Enrico, / sopportò a causa di questa molte tribolazioni, e molte volte se ne dolse. / […] Stefano non ebbe mai la pace né doveva ottenerla, / dal momento che aveva seguito un malvagio proposito, tale proposito gli nocque; / tanto lo sconfisse il nipote che infine riconobbe il suo diritto alla succesione, / lo proclamò erede del regno, che accrebbe molto, / a lui che aveva mosso la guerra, piacque la pace, / regnò ancora per diciannove anni / al termine dei quali morì ].

22 O

SBERT DE CLARE, Lettere ( ed. Williamson ) p. 144: « Dux illustris Normannorum / et comes Andegavorum / Pictavorum dominatur, / Turonarum propugnatur / cuius nutu vibrans enses / populi Cenomannenses, / Anglorumque plebe turbata / gratulatur pace data / tibi coetus caelis plaudit; / te victorem deus audit / […] vir Oratio Mecenas / amoris laxans habenas / suo tempore dilexit/ et in multis hunc provexit: / et Virgilius venusto / carmine caro Augusto / auctus est mercede bona / ampla satis sumens dona: / Josephus spe non inani / filium Vespasiani / Titum colens liberatur / servitute qua gravatur. / Ergo manum dans Osberto / hunc gaudere fine certo / in afflictione sua / fac protectione tua / ne ecclesia gravetur / cui praesse se fatetur, / quam deprimere conantur /qui perverse malignatur »

[ Duca illustre di Normandia / e conte d’Angiò / signore di Poitiers / difensore della Turenna / al cui cenno vibrano le spade / gli abitanti di Le Mans, / con te gli Inglesi dopo le turbolenze della guerra si rallegrano per la pace ottenuta / e levano al cielo le tue lodi, / Dio ti accoglie come vincitore […] Mecenate al tempo suo / allentò gli impegni politici /prediligendo Orazio / e lo ricompensò molto / e Virgilio grazie alla / sua bellissima opera / fu ben ricompensato da Augusto / con abbondanti donativi: / Giuseppe supplicando Tito, / figlio di Vespasiano, / con una speranza non vana, / fu da questi liberato / dalla schiavitù che lo affliggeva. / Dunque prendi Osbertm /certo di gioire al termine della sua sofferenza, / sotto la tua protezione / affinché non sia gravato dal ministero ecclesiastico, / di cui è stato incaricato / e da cui vorrebbero che fosse destituito / coloro che gli sono ostili ].

23

(8)

providum, subtile in judiciis, cautum in praeceptis, in consilium circumspectum. […] Scitis, quod totius prudentiae compendium in litteris continetur, si respublica regenda est, si prealia committenda sunt, si castra metanda, si machinae erigendae, si renovandi aggeres, si propugnacula facienda: denique si quies libertatis, si justitiae cultus, si reverentia legum, si finitimarum gentium amicitiae sunt firmandae, libri haec omnia erudiunt ad perfectum. »

[ Certamente con l’esperienza abbiamo imparato, quanto di convenzienza si è aggiunto al vostro regno per questo motivo; per il fatto che avete imbevuto i primi anni della vostra adolescienza con le discipline liberali. Mentre infatti l’intelletto agli altri re diviene rude e si abbrutisce, il vostro, per il fatto che si è esercitato nelle lettere è previdente anche nella gestione degli affari di stato, acuto nei giudizi, cauto nel dare gli ordini, prudente nel decidere. […] Sapete che il compendio di tutta la saggezza è contenuto nelle lettere, ( si consultino queste ) se si deve governare uno stato, se di devono muovere guerre, misurare accampamenti, innalzare macchine d’assedio, se si devono rinforzare i bastioni, se si devono costruire baluardi: infine se cerchi il rispetto della libertà e della giustizia, l’ossequio verso le leggi, se devono essere confermate le allenze con le popolazioni limitrife, i libri istruiscono alla perfezione su tutto questo].

È testimoniata così una disposizione per la cultura che il sovrano metterà a frutto negli anni di regno.24

Nell’anno 1152 si celebrò il matrimonio del principe con Eleonora di Aquitania dopo l’annullamento delle precedenti nozze di lei con il re di Francia Luigi VII al ritorno di questi dalla crociata. Sposando Eleonora, nipote del primo trovatore pittavino Guglielmo IX ed ereditiera di tutto il sud-ovest della Francia, Enrico, l’« Alexander noster occidentalis » come lo definisce Giraldo Cambrense nella Topographia Hibernica, poté di colpo estendere il suo

24 In un interessante documento, Pierre de Blois, ( M

IGNE, Patr. lat., CCVII, col. 198 ) che era stato il precettore del giovane re di Sicila Guglielmo II prima di entrare definitivamente a servizio alla corte inglese, indirizzando un’epistola all’arcivescovo di palermo Gualtiero, anch’egli precettore del sovrano siciliano, paragona il loro comune allievo al re Enrico II. « Nemo est argutior in consiliis, in eloquio torrentior, securior in periculis, in prosperis timidior, constantior in adversis. […] Quotiens enim potest a curis et sollicitudinibus respirare, secreta se occupat lectione, aut in cuneo clericorum aliquem nodum quaestionis laborat evolvere. Nam cum rex vester bene litteras noverit, rex noster longe litteratior est. Ego enim in litterali scientia facultates utriusque cognovi. Scitis, quod dominus rex Siciliae per annum discipulus meus fuit, et qui a vobis versificatoriae atque litteratoriae artis primitias habuerat, per industriam et sollicitudinem meam beneficium scientiae plenioris obtinuit. Quam cito autem egressus sum regnum, ipse libris abjectis ad otium se contulit palatinum. Verumtamen apud dominum regem Anglorum quotidiana ejus schola est litteratissimorum conversatio jugis et discussio quaestionum ». [ Nessuno è più arguto nelle decisioni, più eloquente nel parlare, coraggioso nei percicoli, modesto nelle circostanze favorevoli, costante nelle avversità. […] Ogni volta che può prendere fiato, distaccandosi dagli impegni e dalle preoccupazioni, si tiene occupato con una lettura appartata, o si scervella per spiegare, in mezzo ai chierici, una questione di difficile soluzione. Infatti sebbene anche il vostro re abbia appreso bene le lettere, il nostro è di gran lunga più colto. Io, infatti, ho conosciuto le capacità di entrambi nella conoscenzan letteraria. Sapete che il re di Sicilia è stato mio allievo per un anno e, avevendo appreso da voi i rudimenti della lettura e della versificazione, grazie alla mia sollecitudine e impegno ottenne il beneficio di una più approfondita conoscenza. Tuttavia, non appena me ne andai dal regno, egli, messi da parte i libri si è abbandonato all’ozio della corte. Al contrario presso il re degli Inglesi la scuola quotidiana del sovrano è costituita dall’incessante conversazione con i più eruditi e dalla discussione dei problemi dottrinarî ].

(9)

dominio su un territorio vastissimo « entre Espagne et Escosce, de rivage en rivage » che spaziava dai Pirenei fino alla Scozia e all’Irlanda ( sottomessa con una spediezione militare nel 1172 ). Il chierico Wace, nel Roman de Rou (vv. 17-42), così canta gli ‘interminati spazi’ del dominio plantageneto ricostruendo anche la storia del principe:

Du roi Henri voil faire ceste premiere page,25 qui prist Alianor, dame de haut parage. Dex doinst a ambedeuls de bien faire courage! […]

France est Alienor e debonnaire e sage;

roÿne fu de France en son premier aage: 25 Looÿs l’espusa, qui out grant mariage;

en Jerusalem furent en lonc pelerinage; assez y traist chescun travail et ahanage.

Quant repairiez s’en furent, par conseil du barnage

s’em parti la roÿne o riche parentage; 30

de cele despartie n’out elle nul damage: a Poitiers s’en ala, sun naturel manage;

n’i out plus prochain heir qu’el fu de son lignage. Li roiz Henri la prist o riche mariage,

cil qui tint Engleterre e la terre marage, 35 entre Espaigne e Escosce, de rivage en rivage;

grant parole est de lui e de son vassellage,

des felons qu’il destraint, cume oysel clos en cage; n’a baron en sa terre o si grant herbergage

qui ost le pais enfraindre em plein ne en boscage, 40 se il peut estre ataint, n’et des membres hontage,

ou qu’il n’i leist le cors ou l’ame en ostage.

[ Voglio dedicare questa prima pagina al re Enrico / che sposò Eleonora, dama di alto lignaggio. / Dio conceda a entrambi la volontà di agire bene! / […] Onesta è Eleonora, di spirito allegro e saggia / fu regina di Francia in gioventù / la sposò Luigi VII che fece un gran matrimonio. / Si recarono a Gerusalemme in un lungo pellegrinaggio /ciascuno di loro andò incontro a crucci e a sofferenze. / Quando furono tornati indietro su consiglio dei baroni / la regina se ne partì con la sua nobile parentela. / Da questa partenza ella non ricevette alcun danno: / se ne tornò a Poitiers, la sua terra natale. / il re non ebbe più dopo di lei, una sposa che fosse del suo lignaggio. /Il re Enrico la sposò con un sontuoso matrimonio / egli domina l’Inghilterra e la terra affacciata sul mare / che si estende dalla Spagna alla Scozia, dall’una all’altra riva. / Grandi cose si dicono di lui, dei suoi vassalli, / dei malvagi che egli tiene in pugno, come

25

(10)

uccelli in gabbia. / Non c’è barone nel suo regno di sì alto lignaggio / che venga assaltato da un nemico in campagna o in un bosco / se egli può stare attento non subisce offesa / e non è privato del corpo, sede dell’anima ]

Ancora Wace, nel medesimo romanzo, racchiude in un breve giro di versi la celebrata vastità del regno di Enrico, specificandone la diversa provenienza grazie all’eredità e all’accorta politica matrimoniale del sovrano:

Henri out assez teres, qui out Tors et Touroigne, Anjou out et le Maigne de son droit patremoigne, Normanz et Engleiz out de son droit matremoigne, o la roÿne prist tout Petou et Gascoigne26

[ Enrico ebbe molte terre, era padrone di Tours e della Turenna, / ricevette l’Angiò e la Manche per legittima successione paterna, /i territori normanni e inglesi per legittima successione materna / con la dote della regina si impossessò di tutto il Poitou e la Guascogna ]

È così che Londra e Poitiers, due tra i centri più attivi della vita spirituale, letteraria e artistica si trovano riuniti in un’unica compagine statale.27

Due anni dopo le nozze, nel 1154, il giovane Enrico salì al trono, alla morte di Stefano, ed esercitò il potere ininterrottamente per trentacinque anni. Venne ricordato come un sovrano dotato di grande energia e determinazione. In quegli anni riuscì non solo a vincere l’anarchia e l’insubordinazione dei grandi baroni che dopo un venntennio di disordini stavano portando il regno al tracollo, ma con un’abile politica di accentramento, che si riallacciava alla tradizione del suo omonimo predecessore Enrico I, riuscì a trasformare gradualmente lo stato feudale in una solida monarchia, concentrando il potere nelle mani del sovrano e degli alti funzionari. « È fondamentalmente il modello di curia come efficace strumento amministrativo definito da Enrico I che verrà ripreso e sviluppato da Enrico II. Questi la porterà ad essere un

26

WACE, Roman de Rou ( ed. Holden ), I, p.6, vv. 97-100.

27 A

LBERTO VÀRVARO (cit., p. 276) sottolinea che i titoli di sovranità di Enrico II erano eterogenei e non meno diverse erano le strutture sociali e politiche delle sue terre; e tali rimasero, sicché il termine spesso usato, di 'impero plantageneto” deve essere sostituito da quello meno ambizioso di “spazio plantageneto”. In questo giudizio non c’è nulla di negativo. Enrico fu un sovrano di straordinaria energia, ma rimase nell’ambito delle idee del suo tempo che non comportavano il concetto di uno stato unitario. Stessa precisazione terminologica si ritrova in AURELL ( op, cit. pp. 9-10 ): « c’est par un abus de langage qu’on est venu appeler “Empire Plantagenêt” le conglomérat de ces territoires disparates que le jeu complexe des héritages et des alliances matrimoniales a placés sous la dynastie angevine entre 1154 et 1204. Certes l’espace sur lequel la maison d’Anjou exerce sa domination est immense […] Mais le mot “Empire”» est d’autant plus trompeur qu’il évoque, depuis le XIXe siècle, un ensemble de colonies soumises aux décisions autoritaires d’une métropole dominante. […] Pour les domaines de cette dynastie, force est d’employer, plus modestement, “Espace”, “Monde”[…] Il s’agit, en effet, d’une “juxtaposition d’entités”, sans unité politique ni structure commune ».

(11)

organismo efficacemente centralizzato ma anche capillarmente presente, grazie ad una struttura organica e flessibile centrata sugli uffici di Westminster, sul personale facente di volta in volta parte dei familiares, della household o itinerante ( in quanto emanazione della curia regis ) e sul personale giuridico e amministrativo locale ».28 A ragione possiamo immaginare che la questione che teneva maggiormente occupato il nuovo sovrano fosse proprio l’amministazione e la giurisdizione di una macchina statale così estesa e diversificata. Tuttavia il Plantageneto, circondandosi di validi consiglieri, riuscì a fare del suo regno la prima vera monarchia moderna, solida e centralizzata, « la plus précoce des construtions étatiques de l’Occident médieval ».29

Il consolidamento dell’istituto monarchico e l’affermarsi di una burocrazia che andava radicalmente trasformando le strutture dello stato, sono correlati da Haskins30 al “rinascimento giuridico” che interessa i centri politici dell’epoca. Questo fenomeno vide, nel XII secolo, il recupero del diritto romano non come semplice riscoperta dei testi dimenticati31 ma si tradusse in una vera e propria rinascita delle discipline giuridiche tanto che « in nessun altra epoca dai tempi della Roma classica e della creazione del suo diritto fu spesa una così vasta riserva di energie intellettuali per la giurisprudenza ». 32 Effettivamente l’attività normativa ferveva nelle Assise di Enrico II in cui si andava costituendo un nuovo diritto nelle decisioni della curia regis aggiornato sui principi del diritto romano dai clercs recatisi a studiare a Roma e a Bologna, accanto al nuovo procedimento amministrativo dello Scacchiere anglo-normanno.33 Degli anni del Regno di Enrico II è difatti la prima descrizione della nuova forma amministrativa assunta dallo stato plantagneto: il Dialogus de Scaccario di Richard Fitzneal, tesoriere del re. Altrettanto significativo è, sempre in questo àmbito, il Tractatus de

28

STEFANO MARIA CINGOLANI, cit.

29 M

ARTIN AURELL, cit., p. 9.

30 C

HARLES H.HASKINS, cit., pp 165- 192.

31

Tutta la materia giuridica romana era raccolta nel Corpus iuris civilis, che comprendeva il Codice, o codificazione della legislazione imperiale; il Digesto, una specie di compendio dell’opera dei giuristi romani; le Istituzioni, un testo ad uso delle scuole di diritto, e le Novelle, cioè tutta la legislazione posteriore di Giustiniano. Ma fu il Digesto che venne considerato, durante tutto il Medio Evo, la maggiore tra queste opere poiché conservava intatte, a differenza della legislazione imperiale, le parole dei grandi giureconsulti, modello insuperabile di analisi e tecniche giurifiche. La sopravvivenza del diritto nell’Europa occidentale fu dunque in stretta dipendenza dalla possibilità di accedere a questo testo.

32 C

HARLES H.HASKINS, cit., p 166.

33

Stefano Cingolani lega la ripresa dell’attività amministrativa e giudiziaria, che si accompagna al depositarsi negli archivi di atti e documenti, al crescente interesse verso il passato che sollecita in tal modo l’impulso a una storiografia finalizzata alla propaganda politica. « In parallelo con la crescente importanza assunta all’interno del processo giudiziario dalla documentazione scritta, rispetto all’abituale affidarsi alla memoria e all’uso, la propaganda storiografica serve a garantire un diritto e uno status per il futuro. In quest’ottica vanno interpretate la diffusione della versione normanna della conquista dell’Inghilterra e l’opera di progressivo assorbimento, da parte di una nuova dinastia, della santità reale anglo-sassone. E questa stessa attitudine rivela, anche, la costruzione di miti genealogici da parte delle dinastie baronali » STEFANO MARIA

(12)

legibus et consuetudinibus regnum Anglie che, attribuito a Ranulfo di Glanvill ( 1187 – 1189), è uno dei primi monumenti del nuovo diritto e del nuovo potere statale. Scritta in latino, come in latino , la lingua dei chierici, erano del resto stilati tutti i decreti regi e le delibere della corte, l’opera si apre modellandosi sul passo iniziale delle Istituzioni di Giustiniano e subito cita la famosa formula in cui si racchiude l’assolutismo del sovrano: « Il volere del principe ha la forza di legge ».34

3. LA CULTURA A CORTE

Proprio l’impresa di riorganizzazione dell’apparato statale favorì la creazione di una classe di burocrati in cui figuravano i nomi dei più insigni letterati dell’epoca: gli alti funzionari, i cappellani, gli ufficiali civili e militari provenivano da tutte le regioni, così come gli uomini di cultura che vivevano a corte occupandovi posti di assoluto rilievo. Come afferma Alberto Vàrvaro: « Enrico fu sovrano di straordinaria energia », la novità della sua azione riformatrice sta « nell’aver capito prima e meglio di altri che un sovrano che volesse competere sullo scacchiere continentale e su quello insulare doveva dotarsi di una corte ben più efficiente di quanto non usasse, e quindi doveva avere attenzione per la cultura, sia per fini assolutamente pratici ( lo svolgimento del lavoro di cancelleria) che di immagine. Né va sottovalutato che il suo continuo spostarsi ( e assieme a lui si spostava la corte, come il diabolico corteo dei dannati ) lo portava a contatto con ambienti diversi e pertanto metteva a sua volta in contatto persone e tradizioni dell’Aquitania, del Val di Loira, della Normandia, dell’Inghilterra, quest’ultima con la sua forte ascendenza presenza celtica e anglosassone ».35 A corte infatti l’élite degli intellettuali era estremanente composita ed eterogenea. Ci furono inglesi come Robert de Cricklade, Adelardo di Bath, Aelred de Rivaulx, Giovanni di Salisbury; normanni di provenzienza inglese come Thomas Becket, Roger de Hoveden, Gervaso di Tilbury, Thomas d’Angleterre, Raoul de Dicet; gallesi come Gautier Map e Giraldo Cambrense. Alcuni provenivano dalla Normandia, come Wace, Arnoul de Séez, Arnoul de Lisieux, Ètienne de Rouen; altri dalla Francia, come Gautier de Châtillon, o dalle regioni della Loira e del Poitou come Pierre e Guillame de Blois, Jordan Fantosme e il nostro Benoît de Sainte-Maure.

34 C

HARLES H.HASKINS, cit., p 189

35

(13)

Nel delineare la componente intellettuale della corte plantageneta gli studiosi si sono basati ovviamente sui riferimenti che si trovano nei testi degli autori ponendo particolare attenzione alle loro dediche. Alberto Vàrvaro,giustamente pone delicati problemi interpretativi al riguardo; infatti solo in alcuni casi lo scrittore dice esplicitamente di essere stato incaricato da un certo signore di comporre una data opera, a rigore, solo in questi casi, ovvero di un’esplicita commissione, è possibile considerare propriamente la corte come luogo di produzione di letteratura e parlare in maniera fondata di ‘patronato’ o di ‘mecenatismo’. La critica di Vàrvaro prende le mosse da uno studio di Karen Broadhurts.36 La studiosa fin dal totolo in forma interrogativa (Henry II of England and Eleonor of Aquitaine: patrons of literature in french?) intende ridimensionare i ‘miti’ che la storiografia letteraria aveva costruito attorno ai regnanti inglesi, attribuendo loro la committenza di un gran numero di opere, senza vagliare con l’adeguato scrupolo critico le notizie spesso dubbie e incerte che si possono ricavare dalle opere stesse. In particolare sono messi in discussione il saggio del 1925 in cui Charles Haskinsdelineava con toni fortemente celebrativi la figura di «Henry II as a Patron of literature»37 compliando una lista di testi latini e francesi che si ritenevano dedicati al sovrano, e quello speculare in studiosa belga Rita Lejeune indagava ricostruiva il presunto «Rôle littéraire» di Eleonora d’Aquitania38 dando vita alla tradizionale ritratto di uan regina straordinariamente attiva in molti àmbiti della letteratura,costruita mettendo insieme tutte le informazioni, non sempre attendibili ricavate da dediche e altre dichiarazioni degli scrittori, integrate con un buon numero di congetture più o meno probabili. Ricostruzione resa imbrobabile dal fatto che la regina fu segregata da Enrico II dal novembre 1173 alla morte di lui ( 1189 ) e che nel ventennio precedente i suoi spostamenti furono continui. Anche se Vàrvaro nota come la Lejeune parlava, non a caso, di “ruolo letterario” di Eleonora che è cosa diversa e più sfumata di “patronato” o “mecenatismo”. Considerando proprio le dediche presenti nei testi si rileva invece come, nella maggior parte dei casi, non abbiamo se non dediche o semplici menzioni. Broadhurst, in maniera fin troppo rigida e intransigente, sostiene che si possa parlare di «patronage» solo nel caso l’autore abbia ricevuto una qualche forma di remunerazione da parte del dedicatario per l’attività letteraria svolta, sottolinendo la natura schiettamente contrattuale di questo rapporto tra scrittore e mecenate: «the sine qua non of literary patronage is the remuneration bestowed by the patron on the author. Indeed, the

36

KAREN M.BROADHURST, «Henry II of England and Eleonor of Aquitaine: patrons of literature in french?», Viator, 27, 1996, pp.53-84.

37 C

HARLES HASKINS, «Henri II as a Patron of Literature», Essays in Medieval History presented to Thomas Frederick Tout, Manchester 1925, pp. 71-77.

38

(14)

patronage relationship is of a contractual nature. […] In other words, for there to be a true patronage relationship, there must be a commission».39 Queste argomentazioni sono riprese da Vàrvaro, il quale infatti sostiene che « non è per il fatto il fatto che questo o quell’autore [abbia] preso l’iniziativa di dedicare ad un sovrano o di offrirgli un manoscritto nella speranza di una ricompensa ( e più tardi di una pensione ) che se ne deve trarre automaticamente la conclusione che questo nobile glielo aveva ordinato o aveva preso un interesse personale all’opera ». Tuttavia il considerare la dedica solo nell’ottica delle speranza da parte dello scrittore di ingraziarsi il favore di un qualche signore - che poteva non essere minimamente interessato all’opera che si vedeva indirizzata - nella speranza di ottenere una ricompensa o di aumentarne la visibilità facendovi comparire l’illustre nome di qualche potente, mi sembra una prospettiva alquanto riduttiva, Broadhurst dando un peso eccessivo all’avvenuto pagamento dello scrittore, sostiene che «the most important distinction to be made is between commissions and dedications» sostenendo che «the most solid evidence supporting the claim that […] a commission exists would be a reference to payement for product – either by the author in the text or in patron’s household accounts» e svalutando la dedica che sussista di per sé, «a dedication on its own is not sufficient evidence of a patronage relationship. Of course it may in reality […] refer to a commission, but it could just as easily […] constitute only an expression of the author’s hopes for reward»40 ma d’altra parte, queste argomentazioni eccessivamente intransigenti sono sfumate da Vàrvaro, che a mio giudizio, in maniera più equilibrata ripristina il valore e l’importanza delle dediche, infatti non è privo di importanza né casuale il fatto che un autore sclga di indirizzare la sua opera ad un signore piuttosto che a un altro, ammettendo « che la dedica implichi nell’autore la convizione, o la speranza, che essa sia accolta, che il destinatario gradirà l’opera, è indiscutibile », così come non si può sottovalutare l’esistenza« di un rapporto diretto tra il numero di riferimenti letterari ad un signore e il potenziale interesse che costui mostrava per la letteratura, tra il tipo e la varietà delle opere in cui tali riferimenti si trovano e la gamma di interessi del signore, o che a lui venivano attribuiti ».41

A questo proposito, come si nota nell’elenco degli uomini di cultura variemente legati alla corte del Plantagento, che abbiamo stilato in precedenza, e che riflettono dunque gli interessi del sovrano nell’àmbito della cultura, a dominare sono i nomi di storici e di cronachisti; l’insieme delle opere che si considerano nate nella e per la corte appare dunque segnato dalla

39 K

AREN M.BROADHURST, cit., p. 54.

40 K

AREN M.BROADHURST, cit., p. 54.

41

(15)

ricerca di una funzionalità rispetto all’azione politica: in primis l’amministrazione, la storia cui si unisce anche l’erudizione. È nota la passione del sovrano per la storiografia. Enrico si intretteneva a discutere « de questions pratiques, de justice, d’amministration, de politique, de diplomatie, de stratégie […] et sourtout de questions personneles et historiques », infatti « Les chroniqueurs sont d’accord pour voir en lui un grand coinnasseur d’hommes, passioné d’histoire et, doué, comme il l’était, d’une mémoire extraordinaire, riche d’un trésor d’expériences et de connaissances historiques, dont il pouvait disposer à toute occasion et à toute moment ».42 Anche solo considerando, per quanto riguarda, la produzione letteraria francese, le opere che risultano, dagli studi di Broadhurst, esplicitamente commissionate da Enrico II, sono per noi molto significative e denunciano un’interesse spiccato per la storiografia che, si badi, legata all’esplicito riconscimento nel volgore di una lingua dotata di dignità letteraria e un utile strumento di propaganda, si tratta infatti del Roman de Rou o Geste des Normanz commisionato nel 1160 circa al chierico Wace, e la complementare Chronique des ducs de Normandie commissionata a Benoît, identificato con il Benoît de Sainte-Maure autore del Roman de Troie, attorno al 1174: « the only two French texts that were definitely commissioned by Henry deal with the history of the dukes of Normandy, Henry’s ancestors. […] Henry’s commission of them indicates that he was interested in this subject matter and that he actively patronized the two vernacular writers […] Norman chronicles […] show his legitimacy to rule over Normandy and, through the life and deeds of William the Conqueror, his right to rule England […] in general Henry was interested in literature that was important for the strengthening of his position as a ruler, the stabilizing of the stately order, and the defense of his foreign and domestic policy. […] Henry used historiography largely for political ends, he presumably commissioned such works in the vernacular in order for them to reach a wider audience than those well wersed in Latin».43 Il Plantageneto aveva così a sua disposizione tutta una schiera di clercs pronti a celebrare in latino o in volgare le gesta sue e quelle dei suoi antenati. I clerici curiales Pierre de Blois, Giovanni di Salinsbury e Giraldo Cambrense insistono a più riprese sull’idea che solo le arti e lettere possano trasmettere alle generazioni future la memoria delle gesta gloriose del sovrano e dei suoi predecessori, del resto Benoît de Sainte-Maure parla del sovrano in toni altamente encomiastici definiendolo: « li buen rei Henri segunt, / flors des princes de tot le munt / cui faiz sunt digne de memoire ».44

42 B

EZZOLA, cit., III, p. 16.

43 K

AREN M.BROADHURST, cit., pp. 68-69.

44 Benoît de Sainte- Maure, Chronique des ducs de Normandie ( ed. Fahlin ) vv. 32061-32063 [ Il buon re Enrico

(16)

Ecco cosa scrive in proposito Giraldo Cambrense45 nella Praefatio della sua Topographia Hibernica del 1188, indirizzandosi al sovrano:

46

« Dignas quoque tam vestras, quam inclitae prolis vestrae virtutes, et victoriarum titulos summatim evolvere, stiloque perstringere, non indignum reputavi; ut tanta temporis nostri gloria transitorie non pertranseat; verum enimvero literarum beneficio firmum perpetuitatis robur obtineat. Hoc etiam nostrae diligentiae digne deberi non diffido, quod rerum tam inclite gestarum memoria, multorum mentibus imitabili exemplo virtutis inposterum vigor accrescet; earumque lectio, sicut antiquis majorum imagines et picturae, laudabili aemulationis invidia tam animosis conferet quam ignavis; istis scintillam strenuitatis adjiciens, innatum illis ignem accendens ».

[ Non ho ritenuto indegno di impugnare lo stilo e narrare, per sommi capi, tanto le vostre virtù quanto quelle della vostra illustre stirpe e gli onori delle vittorie, affinché una così grande gloria del tempo nostro non trascorra senza menzione, ma, al contrario, affinché ottenga, con il beneficio delle lettere, la stabile forza dell’eternità. Sono certo che questo compito si confà alla nostra dedizione, dal momento che la memoria di così illustri imprese accresce, attraverso l’imitazione della virtù, la forza d’animo delle generazioni future. La lettura di queste imprese, così come la vista delle immagini e delle pitture nei tempi antichi, grazie al lodedole desiderio de emulazione, giova sia ai coraggiosi che agli ignavi, accendendo nei primi l’innato ardore e immettendo nei secondi la scintilla del valore ].

Ma al fianco degli storici troviamo anche matematici e naturalisti. Adelardo di Bath, che fu probabilmente, come abbiamo detto, il precettore del giovane Enrico, può considerarsi a pieno un tipico rappresentante della nuova cultura scientifica del secolo. Egli aveva studiato presso il famoso Studio di medicina di Salerno, la prima scuola di medicina dell’Europa moderna47

45 Nato nel 1147, Giraldo Cambrense apparteneva a una delle più illustri famiglie normanno-gaeliche del Galles

meridionale. Suo padre, Gugliemo possedeva infatti il feudo di Manorbier nella contea di Pembroke dove Giraldo nacque. Dal 1176 al 1172 compì i suoi studi a Parigi. Tornato nel Galles nel 1180, nonostrante avesse subito il rifiuto di Enrico II ad attribuirgli un seggio episcopale a Saint-David’s per le sue vivaci idee riformatrici in campo ecclesiatico e l’eccessiva potenza della sua famiglia, occupò la carica di arcidiacono di Brecknock occupandosi altresì dell’amministrazione della diocesi di Saint-David’s in assenza del vescovo che ne era il legittimo titolare. Nel 1184, il sovrano, ammirato dalla sua grande cultura lo assunse come cappellano di corte servendosi di lui per numerose missioni diplomatiche nella sua regione natale del Galles e in Irlanda. Nel 1189 raggiunse il re in Francia nel corso della spedizione militare intrapresa da questi contro il suo stesso figlio Riccardo, ribellatosi alla sua autorità con l’appoggio del sovrano capetingio. Riccardo, succeduto al padre, inviò di nuovo Giraldo nel Galles per assicurasi la fedeltà delle popolazioni locali e, partito alla volta della crociata, lo fece entrare alle dipendenze del vescovo di Ely, nominato temporaneamente amministratore del regno. Nel 1191 abbandonò l’attività pubblica ritirandosi a Lincoln per dedicarsi completamente ai suoi interessi letterari, con l’eccezione di un un viaggio a Roma per supportare i diritti del nuovo re Giovanni alla successione al trono, nel corso del quale presentò le sue opere al pontefice Innocenzo III. Incerta è la data di morte di Giraldo Cambrense che oscilla tra il 1220 e il 1233.

46 G

IRALDO CAMBRENSE, Topographia Hibernica ( ed. Brewer ), V, p. 21.

47

La rinascita della medicina in Occidente e la rivalutazione della professione medica giunsero dalla Salerno del XII secolo. Non sappiamo ancora come e quando questa scuola sia nata: nel X secolo non era più che un centro di « arte » medica, e nell’XI secolo la scuola era già del tutto costituita. Le versioni di Costantino Africano stimolarono, sebbene non siano state loro ad iniziarla, l’attività della scuola, e nel XII secolo Salerno aveva ormai una propria letteratura medica. Una letteratura soprattutto latina, anche se non si deve

(17)

che si appoggiava su una fervida impresa di traduzione in latino dei testi dei medici arabi e dell’antichità greca, e proseguito i suoi studi in Oriente ( in Grecia, in Asia Minore e a Babilonia ). Di lui ci rimangono una traduzione di Euclide, dall’arabo in latino, che divenne un fortunatissimo testo ad uso delle scuole e un trattato scientifico: le Quaestiones Naturales, in cui difende i sui principi sulla scienza naturale assumendo quasi un atteggiamento, diremmo ai giorni nostri, ‘sperimentale’ ante litteram; « per lui ogni autorità scientifica è un inciampo, e Dio una spiegazione di cui servirsi solo quando ogni altro argomento sia esaurito. Nei sui viaggi nel mondo mediterraneo assetato di sapere, dovette assorbire qualcosa della natura scientifica e del realismo degli arabi e dei greci. È lui che ci decrive un terremoto in Siria, un esperimento pneumatico nella Magna Grecia, che nota come la luce ha una velocità superiore a quella del suono.[…] È fuori di dubbio che Adelardo sia stato un pioniere della ricerca scientifica ».48 Non dimentichiamo infine l’Astrolabio, frutto di traduzioni di testi di astronimia araba, come le tavole astronomiche di al-Khuwarizmiche, le tavole di al-Battani e dal trattato di al-Fargani, che venne dedicato dall’autore proprio al sovrano plantageneto.49

Robert de Cricklade dedicò al sovrano i suoi estratti dalla Naturalis Historia di Plinio corredati di note a margine, defindendo il sovrano « liberali scientia studiosus »;50

dimenticare che la medicina greca non era mai del tutto scomparsa dall’italia meridionale, dove Cassiodoro nel VI secolo aveva costituito la sua grande biblioteca medica,e dove i codici beneventani appartenenti al X secolo ci mostrano una fervida attività traduttoria di testi greci. Cfr. HASCKINS, cit., p. 272.

48 H

ASCKINS, cit., p. 281.

49

ADELARDO DI BATH,Astrolabio, ( ed. Haskins ) pp. 515 ss. Questo l’incipit: « Quod regalis generis nobilitas artium liberalium studio se applicat valde assentio, quod regum gubernandarum occupatio ab eodem animum non distrahit non minus ammiror. Intelligo iam te, Heynrice, cum sis regis nepos, a philosophia id plena percepisse nota. Ait enim beatas esse res publicas si a philosophis regende tradantur aut earum rectores philosophie adhibeantur. Huius rationis odore ut infantia tua semel imbuta est in longum servat, quantoque gravius exterioribus oneratur, tanto ab eisdem diligentius se subtrahit. Inde fit ut non solum ea que Latinorum scriptis continentur intelligendo perlegas, sed et Arabum sententias super spera et circulis stellarumque motibus intelligere velle presumas ». Ne do la traduzione: [ Concordo sul fatto che la nobiltà di una stirpe regale si applichi intensamente allo studio delle arti liberali, nondimeno ammiro il fatto che gli impegni di governo non distraggano l’animo da queste. So che già tu, Enrico, essendo nipote del re, hai attinto pienamente alla filosofia. Si dice infatti che siano felici gli stati che sono affidati al governo dei filosofi o i cui governanti ricorrono alla filosofia. Per questo motivo, affinché la tua giovinezza conservi a lungo il sentore della conoscenza di cui in passato si è imbevuta, quanto più è onerata dalle occupazioni dello stato tanto più diligentemente vi si sottrae. Accade così che tu non solo legga comprendendo ciò che si trova nei testi latini, ma che tu desideri conososcere anche ciò che diicono gli Arabi sulla sfera celeste, i circoli e i moti degli astri ].

50

K.RUECK, Das Exzerpt der Naturalis historia des Plinius von Robert von Cricklade, in Sitzungsberichte der k. Bayerish. Akademie der Wissensh. Philos.-Philol.-Hist. Kl., Munich, 1902, p. 265: « Tibi, illustrissime Rex Anglorum Henrico, ego tuus famulus Rodbertus hoc opus dedicavi quod de naturalis historiae Plinii secundi libris XXXVII quasi ex immenso pelago ingenioli mei sagena extraxi, reputans mecum incongruum valde fore te tot e tantarum regionun dominum et rectorem ignorare partes orbis cujus non minimae parti dominaris. Siquidem notum est quia cum sis in bellicis negotiis invictissimus, parto otio non minus es in liberali scientia studiosus ». [ A te, o illustrissimo Enrico, re d’Inghilterra, io, il tuo servitore Robert, ho dedicato quest’opera che ho estratto dai trentasette libri della Naturalis historia di Plinio, quasi un immenso mare, con la rete del mio ingegno. Ho ritenuto fortemente sconveniente che tu, che sei signore e governante di tante e sì vaste

(18)

affermazione questa, che trova riscontro alla prova dei fatti: le Abbreviationes ex Plinio libri IX di Robert sono infatti tràdite dal codice Eton College 134 che è l’unico manoscritto che, allo stato attuale delle ricerche sembra potersi attribuire con certezza alla biblioteca personale del sovrano.

3.1. Giraldo Cambrense

Varia e diversificata è l’opera di Giraldo Cambrense o Giraldo di Barri ( Giraldus Cambrensis, è il nome usato dall’autore nei suoi scritti).51 Egli compose come geografo ed etnologo una descrizione dell’Irlanda, la Topographia Hibernica, che abbiamo citato, dedicando la prima redazione dell’opera a Enrico II52 ( in seguito Giraldo presentò questa stessa opera al figlio e successore Riccardo I ), poi in veste di storico di corte trattò della conquista dell’isola, avvenuta nel 1172, nell’Expugnatio Hibernica. A proposito di questa lo stesso autore afferma di aver redatto lo scritto su esplicita richiesta del sovrano pienamente soddisfatto dalla lettura dell’opera precedente. Il dittico sull’Irlanda è seguito da due relazioni di viaggio nella regione del Galles: l’ Itinerarium e la Descriptio Kambriae redatti attorno al 1188. L’autore, mostrando una spiccata curiosità per l’aspetto fantastico o aneddotico degli avvenimenti cui assisteva, ci fornisce con spirito da ‘naturalista’ descrizioni di laghi, fiumi, montagne e caratteristiche climatiche fondandole sull’osservazione diretta, come quando tratta degli interessanti fenomeni delle maree nelle coste del Mare d’Irlanda, basandosi sulle notizie raccolte dalla viva voce di pescatori e marinai. Inoltre si volge a cosiderazioni di regioni, non conoscessi le zone della terra che non ricadono sotto il tuo domio. Infatti è noto che così come tu sei imbattibile nelle imprese belliche, una volta a riposo, sei non di meno dedito alle discipline letterarie ].

51

Nel 1185 Enrico II incaricò Giraldo di accompagnare, in qualità di segtreterio, suo figlio Giovanni in un viaggio in Irlanda, da poco annessa al regno. Giraldo restò nell’isola per più di un anno, anche dopo la partenzadel principe, raccogliendo i materiali necessari alla compilazione della sua Topographia Hibernica, terminata nel 1187, che venne recitata personalmente dall’autore in un ciclo di letture a Oxford che durarono ben tre giorni. Poco dopo il Plantageneto lo incarico di accompagnare nel Galles l’arcivescovo Baldovino di Canterbury, che vi doveva raccogliere consensi in vista della imminente crociata; viaggio che Giraldo descrisse nel suo Itinerarium Kambriae.

52 Ecco la dedica nella Praefatio ( G

IRALDO CAMBRENSE, Topographia Hibernica, ed. Brewer, V, p. 20 ) « Illustri Anglorum regi Enrico secundo suus Giraldus. Placuit excellentiae vestrae, invictissime Anglorum rex, Normanniae dux et Aquitanniae, et comes Andegaviae, me cum dilecto filio vestro Johanne in Hiberniam a latere vestro transmittere. Ubi non tanquam transfugae, sed exploratoris officio fungens, cum in primis multam notarem aliis regionibus aliena nimis e proprsus incognita, suique novitate valde miranda ». Ne do la traduzione: [ All’illustre Enrico II, re d’Inghilterra, il suo Giraldo. Piacque all’eccellenza vostra, o invincibile sovrano degli Inglesi, duca di Normandia e conte d’Angiò che io mi portassi, partendomi da voi, in Irlanda assime al figlio vostro Giovanni. Dove, non in veste di fuggiasco ma adempiendo al compito di esploratore, ho da principio annotato molte cose straordinariamente estranee alle altre regioni e del tutto sconosciute, e di certo da ammirare per la loro novità…].

(19)

geografia umana esaminando il linguaggio, i modi, i costumi e l’influsso del clima sul temperamento degli abitanti, e giungendo persino a individuare delle affinità tra la lingua delle favole gallesi e il greco di Prisciano.53 Nei suoi trattati Giraldo esplicita priprio quel gusto per la letteratura didattico-scientifica improntata al meraviglioso che, come vedremo meglio in seguito, risulta essere caratteristica della corte anglo-normanna.54 Giraldo possiede anche una vasta cultura classica; nella sua prosa si infittiscono le citazioni di passi di Virgilio, di Ovidio, di Orazio, di Lucano, di Stazio, di Giovenale, di Seneca, di Cicerone che convivono con i riferimenti agli autori della tarda latinità cristiana o della letteratura patristica come Cassiodoro, Agostino, Girolamo, Gregorio Magno o direttamente alla Bibbia. Egli fa inoltre sfoggio di grande erudizione dimostrando di conoscere a fondo gli autori ‘scientifici’ che vengono nominati: Solino, Plinio, Paolo Orosio, Isidoro di Siviglia e Beda il Venerabile, facendo costante rifeimento a un caposaldo della letteratura scientifica medievale, il Phisiologus.55 Sebbene i dettagli che fornisce sulla vita degli animali seguiti, come di consueto, dalle rispettive interpretazioni allegoriche, pur condividendo la medesima impostazione della fonte, se ne distanzino per un maggior spirito di osservazione – caratteristico della scienza del secolo e condiviso, come abbiamo visto, anche da Adelardo di Bath - che lo porta a rifuggire dagli aspetti più inverosimili. Questa preoccupazione di giustificare il meraviglioso naturale è evidente nella prefazione della Expugnatio Hibernica in cui l’autore, difendendosi dalle accuse dei detrattori della precedente Topographia, attaccata a causa dei numerosi prodigi che vi comparivano, si giustifica facendo riferimento all’auctoritas delle fonti antiche; gli eventi straordinarî non sono, nella visone del Cambrense, contrarî alla natura ma solo al suo corso ordinario, dal momento che Dio, ‘sommo fattore’ di ogni cosa, può alterare e mutare nelle forme che desirera le cose che ha creato. Per questa via Giraldo può accumulare nei suoi scritti, in un vero e proprio catalogo di mirabilia, tutto ciò che di più bizzarro e straordinario abbia generato la natura: un lupo che parla a un prete, un mostro che innesta su un corpo umano arti bovini, donne barbute, capre e leoni che si

53

HASKINS, cit., p 267.

54 Nella lettera prefatoria indirizzata a Enrico II che accompagna la Topographia Hibernica ( ed. Brewer, V, p.

20 ) Giraldo dice espressamente che la sua intenzione è quella di far conoscere le meraviglie delle terre d’Occidente, dopo che tanto è stato detto sui mirabilia orientali. « Sicut enim orientales plagae propriis quibusdam et sibi innatis praeeminent et praecellunt ostentis, sic et occidentales circumferentiae suis naturae miraculis illustrantur ».» [ Così come si vedono le terre orientali eccellere per le cose che gli sono proprie e che vi sono state originate, così anche le regioni dell’emisfero d’occidente sono rese illustri dai loro prodigi naturali ].

55

Di autore anonimo, di data e di origine incerta, ma presumibilmente composto ad Alessandria nel II o nel III secolo d.C., il Physiologus primitivo si compone di 48 ( nella redazione più antica) o 49 capitoli relativi ad animali, pietre e piante disposti senza un criterio preciso. In rari casi, tuttavia, si riscontrano accostamenti basati sull’affinità delle nature descritte o su più generiche associazioni tematiche. Cfr. LUIGINA MORINI ( a cura di ), Bestiari medievali, Torino, Einaudi, 1996.

Riferimenti

Documenti correlati

Nel campo arche- tipico la vibrazione che — come dice de Broglie — la scienza ha trovato prima sulla superficie delle cose, poi all'interno della materia (dove non e piu.. in grado

Introduzione alla grafologia: un viaggio tra i segni grafici per capire chi siamo. Workshop di 15

Según don Mario, ésta es la lógica que priva en los actos perpetrados por el nawalli: siempre arremete contra la persona atacando a su tonal en los sueños o encerrándolo en una

capsci AZ78 should be targeted against plant diseases that occur in a temperature range of 15-25°C and avoided for the control of phytopathogens when temperature reach

Two case studies were considered: transcatheter aortic valve implantation (TAVI) representing an emerging technology and implant- able cardioverter de fibrillators (ICDs) representing

L’introduzione di questo concetto ci permette di rappresentare con un albero (che tipicamente contiene relazione d’ordine sulle mosse) anche giochi dove vale la contemporaneità

Puoi ora fare l’esercizio 44

L'affidamento del servizio viene concesso ed accettato sotto l’osservanza piena, assoluta ed inderogabile delle norme contenute nel presente contratto, nonché in quelle