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C APITOLO SECONDO

5. METODI DI SCRITTURA

In questa parte mi propongo di analizzare alcuni aspetti formali, per indagare come la scrittura storiografica impronti la struttura stessa dei romanzi, evidenziando in che cosa consista, in concreto la ‘scrittura della storia’ e quali siano gli accorgimenti che gli autori sono tenuti a rispettare sul piano formale.

Forti della possibilità di confrontarsi attivamente con la Classicità, i nostri autori testimoniano appieno con il loro intervertismo quella ‘ricezione attiva’ dei classici che abbiamo detto caratterizzare il XII secolo. Le modifiche che Benoît, così come gli autori dell’Eneas e di Thèbes, apportano alle fonti su cui si basano, per dare forma alle loro (personali) riscritture, non sono dettate da un semplice desiderio di differenziarsi dal testo base, quasi rispondendo a un semplice vezzo autoriale, ma rispondono pienamente a quel progetto didattico e divulgativo, volto a diffondere il sapere dell’Antichità, che abbiamo visto informare il corpus dei nostri romanzi. In primo luogo si assiste al dispiegarsi di un approccio più razionale e di una tensione più didattica, tesa alla completezza e alla chiarezza, che portano gli scrittori, attraverso un’operazione di detractio, ad eliminare gli artifici retorici che, d’altra parte, mal si potevano attuare in una lingua volgare che doveva ancora ‘farsi’. Tale operazione di ‘alleggerimento’ volta a chiarire a semplificare, cerca di rendere la vicenda il più possibile piana e lineare e porta, dal punto di vista formale, a uniformare testi dalle qualità stilistiche e dalle intenzioni assai diverse: l’andamento classico e misurato dell’esametro virgiliano, la retorica barocca dei versi di Stazio, e lo stile asciutto e cronaschistico della prosa dei diari di Darete e Ditti vengono unificati nel ritmo dei couplets di ottonari , e il sublime stilistico dell’Eneide e della Tebaide viene abbassato risolvendosi in un tono medio e piano.

Se da una parte si tenta di snellire il testo in un’ottica di adbreviatio, è sempre rispondendo al medesimo fine didattico che gli autori si cimentano nell’operazione, apparentemente contraddittoria, della adiectio volta invece a integrare il testo, per fornire al pubblico una visione completa della vicenda narrata nella ricerca di un effetto di storia ‘totalizzante’. Si completa dunque l’ossatura principale del racconto intervenendo in particolar modo sui ‘margini’ del testo: l’inizio e la fine, con l’aggiunta di antefatti ed episodi collaterali che, non derivando dalla fonte latina, potevano essere reperiti dagli autori attraverso la consultazione del materiale didattico sull’Antichità, come i manuali di mitologia, i mitografi, oppure la serie di glosse, commenti e scritti esegetici che fin dalla tarda latinità avevano formato come uno spesso cumulo sopra i testi degli autori classici veicolandone la ricezione e la lettura. Tutto

questo materiale collaterale al testo vero e proprio che materialmente, nell’impaginazione dei codici circondava letteralmente il testo ponenedosi come un necessario strumento per agevolarne la comprensione e l’interpretazione forneNdo delucidazioni su miti, episodi e rimandi che, scontati per i lettori coevi dei tempi di Virgilio o Stazio, potevano risultare alquanto oscuri e difficili per i fruitori del Medio Evo, viene dai nostri autori dunque posizionato non più a corrollario del testo ma inserito all’interno di esso, direttamente nella degesi, e più o meno mimetizzato: l’intervento chiarificatore può essere infatti del tutto assorbito nella narrazione della storia magari dando origine a un’aggiunta di un’episodio o apliandone un altro più beve nella fonte, come nel caso, dell’Eneas riguardo alla fondazione di Cartagine nell’Eneide infatti Venere apparsa ad Enea e compagni sbarcati sulle coste libiche celando la sua identità sotto le vesti di una giovane cacciatrice racconta loro brevemente la soria della regina che reggeva quelle terre: Didone, parlando del suo matrimonio col il ricco nobiluomo di Tiro Sicheo ucciso dall’avido fratello di lei Pigmalione, re della città, e la seguente fuga fino ad accennare allo stratagemma della pelle di bue utilizzato dalla fuggiasca con astuzia per strappare al re Iarba un territorio sufficentemente ampio da potervi fondare la nuova città di Cartagine:

162Devenere locos ubi nunc ingentia cernis

moenia surgentemque novae Karthaginis arcem, mercatique solum, facti de nomine Byrsam, taurino quantum possent circumdare tergo.

[ Didone e gli altri esuli] raggiunsero i luoghi ove ora vedrete / le mura e innalsarsi la rocca della nuova Cartagine, / e il il suolo acquistato, da questo fatto deriva il nome di Birsa, / con quanto avesse potuto circondare con una pelle di toro ]

Come vediamo Virgilio si limita a fare accenno ad un episodio, per i lettori antichi molto noto, il chierico del XII secolo poteva trovare oscura la paretimologia che voleva che il nome dell’acropoli di Cartagine ‘Birsa’, derivasse più che dalla parola fenicia significante ‘rocca’, dal greco Βύρσα ‘pelle’ spiegando dunque come la regina, avendo pattuito con il sovrano che avrebbe preso tanto terreno quanto ne avesse potuto coprire con una pelle di bue, ottenne tutta la terra che poté comprendere entro le strisce sottilissime in cui aveva con scaltrezza tagliato la pelle:

163En cel païs est arrivee;

162 V

IRGILIO, Eneide, I, vv. 365-368.

163

al prince vint de la contree, par grant engin li ala querre qu’il li vendist tant de sa terre, cum porprendreit uns cuirs de tor; doné l’en a argent et or,

et li princes li otreia, ki de l’engin ne se guarda. Dido trencha par correetes le cuir, ki molt furent graisletes. O celes a tant terre prise, qu’une cité i a asise;

puis conquist tant par sa richece, par son engin, par da proece, que ele aveit tot le païs et les barons a sei sozmis. Sa citez aveit nom Cartage, en Libe sist sor le rivage.

[ Una volta giunta in quel paese / si recò dal sovrano di quelle zone, / con una grande astuzia gli chiese / che le vendesse tanto della sua terra / quanto ne potesse ricoprire una pelle di toro; / gli donò in cambio argento e oro / e il sovrano glielo concesse, / non accorgendosi dell’inganno. / Didone tagliò in striscioline / il cuoio, che furono molto sottili. / Grazie a quelle prese tanta terra, / che vi poté fondare una città; / poi conquistò tanto territorio con la sua ricchezza, / con il suo ignegno e il suo valore, / che si ritrovò padrona di tutto il paese / e sottomise a sé i precedenti signori. / La sua città si chiamava Cartagine, / sorgeva sulle coste della Libia ].

Si noti come il narratore ampli il racconto aggiungendo nuovi particolari come l’immagine della donna dominatrice che amplia i territori sottomettendo i precedenti feudatari e concludendo con una chiusa non necessaria dal momento che è noto che Enea fosse sbarcato sulle coste libiche ma che isisiste in una volontà di essere il più chiari possibile.

che oppure può essere messo esplicitamente in evidenza dai frequenti interventi in cui il narratore, interrompe per un attimo il racconto, per fornire una spiegazione come nel caso del giudio di Paride « L’acheison […] / voil reconter asez briémant » dice ad esempio l’autore dell’Eneas. Per quanto riguarda le modifiche più grandi apportate dall’intervento dei volgarizzatori esse si configurano soprattutto nella nuova disposizione e nell’integrazione della materia narrata. C’è negli autori una volontà di riscoprire le radici e gli antefatti delle vicende di iniziare il racconto ab ovo, come avrebbe detto Orazio, e in maniera complementare si avverte parimenti la necessità di prolungare il finale del racconto per non lasciare niente in sospeso e suggerire al lettore ‘impreparato’ un possibile ‘aggancio’ della

narrazione appena terminata con altri eventuali romanzi che ne costituscano la supposta prosecuzione.

In proposito vediamo come l’autore del Roman di Thèbes integra il testo di Stazio, incentrato in massima parte sull’odio tra i due fratelli Eteocle e Polinice, con il racconto dell’intera vicenda del padre loro, Edipo, ricavata propabilmente dalla lettura del Mythographus Secundus come ha suggerito Donovan,164 a partire dalla sua nascita fino all’accecamento dopo essersi scoperto parricida e colpevole del nefas dell’incesto, e alla sua morte ( vv. 33-597 ), così come amplia l’episodio Capaneo, la cosidetta Capaneide.

Allo stesso modo nel Roman d’Eneas, l’autore provvede a ristabilire l’ordo naturalis della vicenda. Il volgarizzamento infatti, narrando i fatti in piana sequenza, inizia con un rigoroso ordine cronologico, dal principio della vicenda « Quant Menelaus ot Troie asise, / onc n’en torna tresq’il l’ot prise, / gasta la terre e tot lo regne / por la vanjance de sa fenne ».165 Per la stessa voluta esigenza di chiarezza vengono eliminate le analessi del poema virgiliano che, com’è noto, iniziando il racconto in medias res, faceva giungere Enea a Cartagine e poi ripercorreva retrospettivamente, attraverso le parole dell’eroe, le vicende: dalla fuga da Troia in fiamme, alle peregrinazioni per mare che lo avevavo portato innanzi alla regina Didone. Oltre a ciò, viene inserito, a giustificazione dell’astio mostrato da Giunone verso i Troiani, il racconto del giudizio di Paride per il quale l’autore si servì probabilmente dell’Excidium Troiae di Darete o di un’altra fonte a questo prossima:166

Juno, qui ert del ciel deesse,167 estoit vers aus molt felenesse; formant avoit coilli an hé toz çaus de Troie la cité del jugemant que fist Paris;

164 L

EWIS GARY DONOVAN, Recherches sur le Roman de Thèbes, Paris, SEDES, 1975, pp. 45 ss.

165 Roman d’Eneas ( ed. de Grave ) vv. 1-4 [ Quando Menealao ebbe assediato Troia, / non tornò indietro finché

non l’ebbe espugnata, / devastò quella terra e tutto il regno / per vendicare il rapimento della sua sposa ].

166

L’episodio del giudizio viene ripreso anche da Benoît ai versi 3845-3928 del Roman de Troie. In questo l’episodio non si inserisce nella narrazione sotto forma di una glossa posta a commento dal narratore, come nell’Eneas, bensì viene raccontato in prima persona da Paride stesso. Questo episodio, noto attraverso la mediazione dell’Excidium Troiae di Darete o delle Metamorfosi ovidiane, diveva essere noto alla corte inglese, lo troviamo infatti ricordato in un lungo componimento in distici di argomento mitologico Baudri de Bourgueil, apprezzatissimo poeta latino legato all’entourage di Guglielmo il Conquistatore. Cfr. PHYLLIS

ABRAHAMS, M.A. OXON, Les oeuvres poétiques de Baudri de Bourgueil (1046-1130). Édition critique publiée d'après le manuscrit du Vatican, Paris, Champion, 1926, carm. CCXVI, vv. 343-442.

167

[ Giunone che era una divinità del cielo, / si mostrava molto crudele verso di loro, / era fortemente irata, / tutto,a causa della città di Troia / e del giudizio di Paride / […] la causa di questo giudizio / vi voglio raccontare brevemente ].

Proprio per dare ragione del jugemant ai lettori l’autore interrompe la vicenda dicendo esplicitamente : « L’acheison de cel jugemant / voil reconter asez briémant ». Cosi come ha modificato l’inizio del racconto, l’intervento del volgarizzatore anglo-normanno si concentra anche nella breve esposizione della disavventura di Venere e Marte colti in flagrante adulterio da Vulcano ( vv. 4353- 4393 ), a giustifiaczione del risentimento mostrato dal divino fabbro nei confronti della bellissima moglie ( « l’acheison de cel maltalant / voil demostrer asez briemant »), e si preoccupa di di far sì che anche il finale abbia una prosecuzione e, almeno dal suo punto di vista, una conclusione: per lui doveva risultare difficilmente accettabile il finale ‘aperto’ del poema virgiliano che termina con la morte di Turno « … ast illi solvuntur frigore membra / vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras », ( Æn. XII, 951-952 ). Perciò concluso il duello, il racconto prosegue, nella mise en roman, con i dolci affanni di Enea e Lavinia, entambi incerti sulla corresponsione dei loro sentimenti amorosi, e poi con le nozze e l’incoronazione. Non manca un rapido cenno alla discendenza di Enea dai figli nati fino ai discendenti Romolo e Remo fondatori di Roma.

et puis fu sui com Anchisés168 a Eneas l’ot aconté

en enfer, et bien demostré les reis ki après lui vendreient, si com il dist que il naistreient: l’uns avant l’altre ainsi sont ne, com a son fil l’ot aconté

[ e poi accadde secondo quanto Anchise / aveva raccontato a Enea / agli inferi; dove gli aveva ben rivelato / i re che sarebbero venuti dopo di lui / così come gli disse quelli che sarebbero nati: / dunque nacquarto uno dopo l’altro proprio / come questo aveva predetto a suo figlio ]

Allo stesso modo Benoît si dilunga, nel finale di Troie, a raccontare la storia dei nostoi, i drammatici viaggi di ritorno in patria dei condottieri greci, in particolar modo seguendo le fila del rientro di Ulisse a Itaca, in cui colui che con il suo inganno aveva provocato la caduta della citta, ‘sopra ogni altra bella’ viene ucciso da Telegono, il figlio avuto dalla maga Circe.

168

Il clerc ritiene inoltre opportuno, per rendere ancora più chiara la lettura dei fatti di Troia, premettere tutta la vicenda di Giasone e degli Argonauti impegnati nella conquista del Vello d’oro, con un lungo indugio sugli amori dell’eroe greco con la principessa della Colchide, esperta nelle pratiche magiche, Medea, come sorta di prequel volto a mostrare la radice antica dell’odio tra Greci e Troiani ben precedente al ratto di Elena da parte di Paride; elaborazione per la quale avrà integrato il sintetico compendio di Darete con le Metamorfosi di Ovidio. Al racconto viene dato grande spazio, infatti l’autore si dilunga per più di mille e trecento versi ( vv. 715-2060 ) a raccontare come l’equipaggio della nave Argo tra i quali figura anche Eracle, durante il viaggio fecero tappa a Troia, ma qui Laomedonte, padre di Priamo, si rifiutò di dare loro ospitalità: Eracle dichiarò allora che, di lì a tre anni, il re avrebbe la giusta vendetta per la superbia mostrata nei loro confronti. Infatti viene raccontata in seguito la spedizione punitiva oragnizzata dai Greci contro Laomedonte nel corso della quale il contingente armato guidato dallo stesso Eracle arrivò a saccheggiare e a distruggere la città, che sarebbe poi stata ricostruita da Priamo.169

Lo stesso prologo del Roman de Troie viene pensato e strutturato in funzione del pubblico, come strumento propedeutico al romanzo, orientandone la lettura come in un vademecum. Infatti Benoît traccia dal verso 145 al 714 un dettagliatissimo sommario in cui si riassume tutta la vicenda narrata nel poema per aiutare il lettore a orientarsi nella ‘selva’ di più di trentamila versi che costituisce il Roman. Il riassunto dunque, servendosi quasi della forma dell’annuncio o della profezia, dà un’aticipazione di ciò che sarà raccontato per esteso di lì a poco dallo stesso narratore. Benoît sembra mimare, in questa sezione, le carattestiche del linguaggio profetico, in un esercizio di stile che sfrutta i diversi piani temporali dati dal continuo alternarsi dei tempi verbali che slittano bruscamente dal futuro, al presente, al passato. Il riassunto è formato da proposizioni dalla struttura ricorrente in cui appaiono due diversi soggetti: Benoît e il suo pubblico. Se il soggetto è l’autore-narratore, il verbo si configura come un annuncio ed è al futuro: « dirai » o « parlerai ».170 Se invece il soggetto sono i lettori-uditori il verbo, sempre al futuro, è modellato in un invito all’ascolto tratto dalla tradizone orale dei cantastorie e trasportato nell’àmbito della produzione scritta dalle Chansons de Geste, in cui abbondano tali richiami al pubblico, per esempio troviamo:

169

Nei nostri romanzi non troviamo solo sviluppati episodi già narrati nella fonte latina, sebbene in maniera più sintentica, o attinti da altri autori antichi, ma vengono introdotti anche epistodi ex novo: nel Roman de Thèbes troviamo il lungo racconto dell’asedio alla roccaforte di Monflor da parte dell’esercito di Argo, e il tradimento di Dario il Rosso e il seguente processo che viene intentato contro di lui da Eteocle in cui l’autore ha modo di dilungarsi su complicate questioni del codice feudale. In Troie vediamo aggiunto invece la celeberrima storia d’amore tra Troilo e Criseide che godrà di una fortuna amplissima fino a Boccaccio e a Chaucher.

170

«orreiz».171 I verbi che riassumono e anticipano il contenuto del racconto a venire sono invece al passato, essendo retti da soggetti che sono proprio i remoti eroi omerici: « vesqui », « ot », « fu ».172 Ciò appare del resto normale per un riassunto che delinea il contenuto di una narrazione improntata alla storiografia e non ci si stupisce dunque di veder annunciato l’episodio degli argonauti in questi termini: « Adonc vos redirai après / Coment Jason e Herculès / Alerent querre ... »173 La porzione di testo a cui si fa riferimento nell’anticipazione si presenta invece al passato, l’episodio in questione inzia con « Peleüs fu uns riches reis ... »174 Il riassunto si configura dunque come una premessa e anche una ‘promessa’ di ciò che il racconto vedrà poi realizzarsi, potremmo dire di una profezia ex eventu in questo caso, che annunciando gli avvenimneti che si sanno già compiuti getta comunque una luce nuova e rivelatrice sul loro senso e la loro lettura, infatti Benoît mostrandosi nell’atto di dispiagare davanti agli occhi del lettore l’intero materia della sua storia mostra di averne una completa conoscenza e padronanza, annunciando ciò racconterà in seguito stabilisce non solo una selezione degli argomneti ma nache l’ordine e la maniera con cui saranno raccontati, scegliendo le parti su cui soffermarsi più a lungo e quelle, ritenute di minor importanza da esaurire nel giro di pochi versi.

Procedendo come uno storico che non si accontenta di raccontare per puro svago ma si impegna in un vero programma didattico, il chierico si vuole impegnare nel trasmettere un’immagine credibile del passato. Nel prologo infatti Benoît fa di più che illustrare il contenuto del racconto: accanto alle esortazioni a divulgare il sapere e alle dichiarazioni sulla metofologia della traduzione, su cui ci siamo già soffermati, si mostra attento a stabilire l’autorità del proprio testo separandolo dalle altre trasmissioni della materia troiana, giudicate meno affidabili, in una precisa selezione delle fonti. Troviamo infatti in Benoît la preoccupazione di partecipare al dibattito tra vera historia e fabula che aveva animato e continuava ad animare la discussione letteraria, adeguando il proprio roman alle caratteristiche di veridicità e autorevolezza che si cercavano in un’opera che aspirasse a tramandare la storia. La questione viene affrontata ai versi 45-128 del prologo. Dopo aver presentato ai lettori l’intensione di narrare la storia di Troia, il volgarizzatore fa subito riferimento a Omero, l’autorità apparentemnete indiscussa in materia, i cui scritti, anche se

171

Ivi, v. 167; v. 178; v.185.

172 Ivi, v. 150; v. 151; v. 153.

173 Ivi, vv. 155-157 ( corsivo mio) [ dunque, in seguito vi racconterò / di come Giasone ed Ercole / andarono in

cerca … ].

174

inattingibili all’altezza del XII secolo, erano tuttavia circondati dell’alone di reverenza e rispetto che si sentiva dovura a un saggio antico

175

Omers, qui fu clers merveillos e sages e escïentos,

escrist de la destrucion, del grant siege e de l’acheison por quei Troie fu desertee, que onc puis ne fu rabitee.

[ Omero fu un chierico straodinario, / saggio e sapiente, / scrisse della distruzione, / del grande assedio e delle cause / per le quali Troia fu spopolata, / tanto che, in seguito, non fu abitata mai più ]

Ma l’attentibilità di un’autoritas che si riteneva inattaccabile viene subito incrinata dal cherico della Turenna che mette in forse la veridicità dell’opera dell’aedo. Il problema è prima di tutto cronologico: Omero non può aver avuto diretta conoscenza delle vicende della guerra poiché è vissuto ben cento anni dopo tali avvenimenti:

176Mais ne dist pas sis livres veir,

quar bien savons senz nul espeir qu’il ne fu puis de cent anz nez que li granz oz fu assemblez: n’est merveille s’il i faillit, quar onc n’i fu ne rien ne vit.

[ Ma non disse nel suo libro la verità, / poiché noi sabbiamo senza alcun dubbio, / che egli nacque cento anni dopo / che il grande assedio fu organizzato, / non c’è dunque da meravigliarsi se commise degli

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