• Non ci sono risultati.

Cultura materiale Un percorso di lento affrancamento dall’archeologia medievale

medievale.

Il dibattito intorno alla storia della cultura materiale in Italia è fortemente collegato a due elementi che sembrano riguardare l’archeologa storica anche in altre aree geografiche. Da un lato alla fase di definizione della disciplina dell’archeologia postclassica, che ebbe luogo a cavallo fra gli anni ‘60 e ‘70, dall’altro alla crescente necessità da molti ribadita, a partire dagli stessi anni, di un nuovo soggetto per le discipline storiche, ovvero le masse “popolari” dei “senza storia”. Alla luce di quest’ultimo aspetto, soprattutto, si affermò quindi gradualmente una percezione dell’archeologia (medievale) come disciplina più opportuna per l’approccio a quella “realtà” bassa, popolare e marcatamente materiale, contrapposta ad una storia ufficiale, alta, delle élite e che trovava la propria forma di espressione nelle opere d’arte.

Un punto di osservazione privilegiato per lo studio di come la storia della cultura materiale si definì nel nostro paese è costituito dall’analisi dei primi numeri della rivista Archeologia Medievale, il cui primo fascicolo ufficiale, erede della precedente esperienza del Notiziario di Archeologia Medievale (NAM), risale ufficialmente al 1974. Negli stessi anni videro la pubblicazione anche un numero di Quaderni Storici dedicato proprio alla Cultura Materiale, curato da Diego Moreno e Massimo Quaini, geografi storici presenti in prima linea nel dibattito (e nella pratica) sulla nascente Archeologia Medievale, i quali già avevano affrontato insieme ad altri la questione della definizione della ricerca archeologica postclassica sulle pagine dei Quaderni Storici. Infine, sempre intorno alla metà degli anni ‘70, vide la luce il volume Archeologia e Cultura Materiale dell’archeologo classico Andrea Carandini, che portava all’attenzione del mondo dei classicisti la problematica di una nuova visione dei resti archeologici, non più solo vincolata allo studio delle opere d’arte ma caratterizzata da una attenzione nuova agli elementi materiali delle stratigrafie e dei reperti della “vita quotidiana” delle masse.

Queste pubblicazioni verranno quindi prese come riferimento e qui esaminate, per evidenziare quali furono i punti salienti del dibattito italiano intorno alla Storia della Cultura Materiale, nella sua fase di (tentata) definizione. Queste considerazioni sulla definizione iniziale del soggetto saranno messe a confronto con quanto emerge da un’analisi sullo stato della questione attuale, per evidenziare in prospettiva, nel confronto a distanza fra i momenti, l’evoluzione del concetto in archeologia ed il suo uso come categoria concettuale nelle ricerche.

bibliotecarie; la pirateria online e dell’editoria culturale; la scarsa diffusione/impatto di opere straniere come specchio della politica culturale con la scarsa propensione/capacità di ricezione di lingue straniere nell’Italia subcontemporanea; l’uso della bibliografia come fine/mezzo intellettuale, collegato al tema delle “mode” culturali e di un certo “orientalismo” disciplinare (in questo caso da parte dell’archeologia) nei confronti di temi di ricerca emersi in altre discipline ed utili forse per “fare bella figura” e appiccicare etichette “esotiche” a oggetti e metodi di ricerca tradizionali ecc. Per quanto riguarda nello specifico la questione teorica in archeologia, vorrei sottolineare poi come se non mi fossi trovato nella condizione di effettuare un dottorato (con borsa), probabilmente non avrei mai affrontato cosi nel dettaglio l’argomento (che in parte conoscevo solo per come collegato ad alcune letture degli anni Duemila). Allo stesso tempo se non avessi avuto l’urgenza della stesura della tesi al termine di un progetto triennale, e ancora di più l’obiettivo dato dalle scadenze semestrali che scandiscono internamente la temporalità del dottorato, come “struttura” che determina l’azione dello scrivere e al tempo stesso investita dallo scrivente del valore di “step” di non ritorno per il capitolo sulla biografia culturale, nel personale cronoprogramma per la conclusione del progetto.

83 Estremizzando ancora, quali relazioni esistono poi fra la mia copia sottolineata in arancione ed il manoscritto originale di Kopytoff?

Un altro tema fortemente connesso sia alla CM che al dibattito storiografico del periodo che ancora, infine, all’Historical Archaeology nordamericana, è quello della “vita quotidiana”. È, quest’ultima, una chiave di lettura adottata spesso, oggi forse con meno vigore che in passato, in associazione agli sviluppi dell’archeologia stratigrafica del secondo dopoguerra e agli studi sui materiali –prevalentemente ceramici- provenienti dagli scavi. Una prospettiva che però mette in luce una profonda criticità: il dichiarato interesse nei confronti della vita quotidiana sembra centrato unicamente sugli elementi “duraturi”, quali ceramiche o strutture murarie, tralasciando ad esempio le pratiche agro-pastorali, che per secoli hanno invece rivestito il ruolo principale di attività della quotidianità.

Il concetto di Cultura

Alla radice del concetto di CM vi è, ovviamente, quello di “Cultura”. Come molte delle istanze teoriche e metodologiche dell’archeologia, forse proprio a partire dalla materialità “muta” dei suoi oggetti di indagine, per tornare alla vexata quaestio degli oggetti muti vs i documenti scritti, le prime formulazioni in merito vengono dall’antropologia e dalla paletnologia. Allo stesso modo, tali concetti vedono la nascita nella seconda metà dell’Ottocento, quando una serie di fattori culturali (studi e atmosfera intellettuale) contribuirono ad una ridefinizione generale delle discipline scientifiche e di ricerca sul passato. Nella definizione di Edward Burnett Tylor, antropologo vissuto a cavallo fra Ottocento e Novecento e fra i fondatori della moderna antropologia culturale:

«La cultura o civiltà, intesa nel suo più ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società» (Tylor, da Guidi 2000: 97)84.

Una prospettiva olistica, omnicomprensiva, in cui si trovano racchiuse quindi “tutte le sfere dell’attività umana ed i loro prodotti, dalle attività economiche fino a quelle intellettuali e artistiche”85. Un concetto che disvela il nodo principale intorno al quale la discussione, non ancora sopita, si animerà negli anni a venire: la tensione fra la dimensione materiale e quella immateriale della cultura.

Un forte accento sull’aspetto materiale delle Culture, per come emergeva concretamente dai reperti archeologici, venne posto da Vere Gordon Childe nelle sue riflessioni del 1929, allorquando scriveva:

«Noi troviamo certi tipi di resti – case, utensili, ornamenti, riti funerari – costantemente associati. Definiamo un tale complesso di tratti associati come gruppi culturali e culture» (Childe, da Guidi 2000: 98).

Un approccio il cui impatto fu notevolissimo, orientando per decenni la pratica archeologica attraverso un paradigma “storico-culturalista” che può essere probabilmente rintracciato come ancora attuale in molte esperienze archeologiche contemporanee, non ultima quella

84 “Sintetizzando le conclusioni di un dibattito iniziato quasi un secolo prima con la fondazione, in Francia, della Società degli osservatori, la prima organizzazione di studio finalizzata alla raccolta sistematica di oggetti appartenenti alle società primitive” (Guidi 2000: 97).

dell’archeologia (postclassica) italiana. Non si registrano infatti deviazioni particolari da questa definizione di Cultura in ambito archeologico.

Un importante tentativo di ridefinizione, su basi molto simili a quelle di Childe, si riscontra nel progetto teorico di David L. Clarke, un impianto teorico-tassonomico del sistema socio-culturale umano in cui trovano sistemazione le varie componenti fra le quali la CM. Il lavoro di Clarke si colloca in quel contesto scientifico caratteristico degli anni 1960-70, in cui –in riferimento all’archeologia- si cercava una mediazione fra le scienze umane e quelle “esatte”, che vedrà nell’affermazione della New Archaeology il suo punto apicale. La teoria culturale di Clarke, esposta in Analytical Archaeology (1968), arriva sulle pagine della rivista Archeologia Medievale nel 1976 (il libro verrà poi tradotto in italiano pochi anni dopo), mediata, come altre istanze legate alla SCM, dalla scuola polacca e nello specifico da un saggio di Stanislaw Tabaczyńki introdotto da Gabriella Maetzke86. Qui viene esposta la definizione di Clarke di

cultura archeologica come “costituita da un certo insieme politetico di manufatti definiti e rappresentativi che compaiono insieme nei raggruppamenti in un determinato territorio”87 (Tabaczyńki 1976: 41).

La discussione non avviene mai esplicitamente in termini di “cultura materiale” ma, in modo implicito, attraverso la tensione fra la cultura da un lato ed i manufatti dall’altro. Si potrebbe forse sostenere che proprio questo tipo di ragionamento aiuti maggiormente a ragionare sui processi che portano dall’una agli altri e viceversa, invece che pensare, a prescindere, in termini di “cultura materiale” come elementi culturali concreti, già “dati”.

“Il manufatto è quindi il risultato finale di un certo insieme di attività e di comportamenti in conseguenza dei quali il produttore realizza il suo quadro di altre attività e comportamenti. È quindi testimonianza sia dell’insieme dei comportamenti indispensabili per la sua fabbricazione che dell’insieme dei comportamenti che risultano dal modo della sua utilizzazione” (Tabaczyńki 1976: 37).

Le definizioni di Cultura sono in definitiva molteplici e possono variare in merito a scelte differente di criteri di raggruppamento o gerarchie. La questione di fondo rimane tuttavia la necessitò di un chiarimento, che preceda ogni esposizione, della propria concezione di “cultura” fa parte dei ricercatori. In relazione al carattere indefinito e di frammentarietà, ad esempio, Renato Peroni propose di sostituire il termine «cultura» con quello di «facies archeologica» (Guidi 2000: 98). La proposta di Renfrew e Bahn invece, è di definire

86 Il saggio di Tabaczynski è l’esito di un seminario interdisciplinare (aperto a preistorici, archeologi e storici) organizzato presso l’Istituto di Storia della Cultura Materiale di Varsavia, per iniziativa di Witold Hensel, sotto la direzione dello stesso Tabaczynski, finalizzato alla discussione della proposta teorico-tassonomica di Clarke e, in generale, “al problema dell’esegesi delle fonti archeologiche” (Maetzke 1976: 25-26).

87 Un insieme politetico identifica un insieme di elementi che presentano una certa variabilità rispetto ad una serie di determinati requisiti, a differenza di un insieme monotetico in cui tutti gli elementi presentano tutti le stesse caratteristiche, o meglio, tutti la totalità delle stesse caratteristiche: “Un insieme archeologico A può avere, in termini di odierna tassonomia, struttura monotetica o politetica. Secondo la definizione di Sokal e Sneath, un insieme A si chiama monotetico rispetto ad un insieme di proprietà P, se il possesso dell’insieme delle proprietà P è condizione necessaria e sufficiente per l’appartenenza all’insieme A. L’insieme monotetico è quindi un insieme composto da elementi totalmente omogenei rispetto alle proprietà costituenti P. […] Un insieme A si chiama politetico in rapporto a P (insieme di proprietà), se ogni oggetto di A possiede un numero sufficiente di proprietà dell’insieme P, se ogni proprietà dell’insieme P è attribuita ad un numero sufficientemente grande di oggetti dell’insieme A e se, per qualsiasi proprietà dell’insieme P, l’attribuzione all’oggetto di questa proprietà non è condizione necessaria per l’appartenenza dell’oggetto all’insieme A” (Tabaczyńki 1976: 33-34).

la “cultura archeologica” come una “associazione di manufatti che ricorre continuamente e che può essere assunta come rappresentativa di un particolare insieme di attività comportamentali svolte in un tempo e in un luogo determinati” (Renfrew, Bahn 2006: 501)

a fronte di una definizione di “cultura materiale” come di “Edifici, strumenti e altri manufatti che costituiscono i resti materiali delle società del passato” (ibidem).

I primi numeri della rivista Archeologia Medievale. Verso una definizione dell’archeologia

medievale e della storia della cultura materiale

Editoriale Archeologia Medievale I – 1974

Nell’editoriale del primo numero di “Archeologia Medievale” (1974) è chiarito fin dalle prime battute88 l’interesse “anche per i suoi oggetti” da parte di una AM intesa come “raccolta di informazioni mediante il recupero sistematico di testimonianze materiali della “cultura” post- classica”. Il significato del termine cultura non viene definito nello specifico, mentre per quanto riguarda l’aggettivo “medievale”, esso viene riferito “globalmente e accogliendo un’istanza «europea», alla storia delle «culture» di antico regime, post-classiche e pre-industriali”.

La prospettiva autonoma della AM rispetto alla storiografia tradizionale consiste nel “fare la storia della produzione materiale” per “superare la separazione fra vita materiale, quotidiana e storia”.

“attraverso l’archeologia medievale intendiamo soprattutto richiamarci alla storia della cultura materiale […] la storia della cultura materiale studia gli aspetti materiali delle attività finalizzate [d?]alla produzione, distribuzione e consumo dei beni e le condizioni di queste attività nel loro divenire e nelle connessioni con il processo storico”89 (AM 1976: 7-8; grassetto e integrazione fra parentesi quadre mia).

Lamentando in altri termini che la scarsa fortuna della SCM nella ricerca storica italiana sia da attribuire da un lato ad una errata interpretazione del significato di “cultura materiale”, dall’altro ad uno scarso interesse per le classi subalterne (gli “altri”, i “diversi da noi”) e dall’altro.

In merito al primo aspetto preme infatti sottolineare il preciso richiamo ad assumere una

88 Forse in reazione ad una visione dell’archeologia classica come legata alla parola scritta e alle opere d’arte e ad una dimensione legata al manufatto propria –solo- dell’archeologia preistorica, e quindi come rivendicazione di una vera e propria archeologia storica, cioè “studio di testimonianze fisiche di attività umane del passato” “di epoca storica”.

89 Il riferimento al concetto di CM espresso dallo storico polacco Witold Kula è chiaro. Quest’ultimo si riferisce alla CM come la “«storia dei mezzi e dei metodi praticamente impiegati nella produzione» e concernente dunque le «questioni relative alla produzione e al consumo, nel più ampio significato di questi termini», purché viste sempre nella prospettiva della concretezza dei processi materiali” (Kula 1972, citato in Mazzi 1985. Maria Serena Mazzi, autrice della citazione precedente, subito dopo fa riferimento ad una “connessione indispensabile, ma non necessariamente in posizione di subalternità, con la storia economica; un doppio binario, in definitiva, un corretto rapporto aperto come dovrebbe aversi nei confronti di qualunque altra disciplina” rifacendosi a sua volta –in una sorta di spirale ermeneutica- a Moreno, Quaini 1976: 6-8 e nota 9).

prospettiva vicina a quella dell’antropologia storica, che prenda le distanze da letture deterministe della “cultura”90. Riguardo al secondo aspetto non si può non notare la prospettiva riflessiva fra il “riconoscere alla CM la dignità scientifica che le spetta” e la richiesta che i ricercatori della nascente disciplina dell’archeologia medievale ponevano alla comunità accademica dell’epoca di un riconoscimento di dignità scientifica della materia, in un’ottica “rivoluzionaria” sia nell’accezione sociale del termine che in quella meno “politicizzata” del ribaltamento dell’oggetto scientifico della disciplina.

Se l’obiettivo dell’archeologia medievale era dunque lo “studio sistematico delle forme di produzione, distribuzione e consumo che hanno caratterizzato il periodo pre-industriale della nostra società”, ossia lo studio della vita materiale, vi era comunque la coscienza della presenza di contributi “in cui gli oggetti della vita materiale sono visti anche sotto il profilo stilistico, estetico, simbolico quando questi aspetti appaiano imprescindibili per la storia del lavoro, delle tecniche” (AM 1976: 8).

Sono molti gli elementi di vicinanza con l’Archeologia Globale che si andava definendo in quegli anni fra i ricercatori dell’Iscum, che poi l’avrebbero teorizzata, soprattutto per voce di Tiziano Mannoni. L’attualità della lezione dell’archeologia globale, come dell’irruzione dell’archeologia medievale come metodologia, prima ancora che come disciplina, risiede nei modi in cui essa ha contraddetto le convenzioni all’epoca esistenti, attraverso la proposta di un approccio nuovo. Per cui la sua forza attuale non può consistere nella riproposizione pedissequa e acritica, ma deve per forza passare attraverso un aggiornamento ed una ricontestualizzazione91 del concetto. E intendo dire che bisognerebbe quindi ampliare il raggio d’azione alla storia delle risorse ambientali, alla ricognizione nelle aree montane o boschive, alla società contemporanea; tutti elementi o fenomeni indagabili archeologicamente. In altri termini, ampliare il discorso di legittimità archeologica alle fonti e alle società (rurale) subalterne oggi (e non quelle che tali erano ritenute negli anni ‘70 o ‘80). In definitiva non basta usare l’aggettivo “globale” per fare oggi una archeologia globale (sensu Mannoni), ma è necessario riformulare l’oggetto di indagine. Fra i fenomeni di interesse, “che investono la base materiale” delle società pre-industriali ci sono la storia dell’insediamento, dei rapporti tecnico-economici con le risorse ambientali e la storia del paesaggio e del territorio

Il soggetto della nascente archeologia medievale è quindi postclassico e preindustriale allo stesso tempo. Non si tratta di una semplice definizione dei limiti cronologici “istituzionali” del soggetto, ma è chiara l’intenzione di marcare anche simbolicamente la presa di distanza dalla pratica archeologica precedente (classica) e al contempo di negare una divisione “gerarchica” della storia, fra un passato “degno” di essere studiato dagli archeologi ed uno inutile. Si propone invece la formula “pre-industriale” ad indicare piuttosto che una compartimentazione cronologica una legata ai modi di produzione, che sono l’oggetto di studio.

Editoriale Archeologia Medievale II – 1975

Nell’editoriale del secondo numero gli autori cercano di mettere maggiormente a fuoco alcune delle questioni affrontate nel fascicolo precedente. Fra i punti affrontati ad esempio ci si interroga,

90 “È bene precisarlo ancora, sia cultura sia materiale hanno senso solo se riferiti alla più moderna e comprensiva antropologia storica, contro ogni tentazione di determinismo etnico, geografico, economico o idealistico” (p. 8). 91 Che peraltro lo stesso Mannoni aveva già portato avanti verso la fine degli anni Novanta, cfr. le esperienze del LAM e di Infopaasal, con la convergenza verso la storia ambientale e l’allargamento all’aggettivo “ambientale” nel censimento del patrimonio già storico e architettonico.

in modo profetico direi, se la definizione di AM come “recupero sistematico di testimonianze materiali…” non ponesse eccessivamente l’accento sull’aspetto di inventariazione piuttosto che su quelli di spiegazione o interpretazione storica92.

Questo equivoco di partenza viene affrontato riprendendo proprio, come secondo punto della discussione, il concetto di storia della cultura materiale (che viene tenuta distinta dalla semplice “cultura materiale”), chiedendosi: “L’archeologia medievale, in quanto storia o interpretazione storica, si identifica nella storia della cultura materiale, cioè nella storia del lavoro e delle condizioni del lavoro o della produzione materiale?” (AM 1975: 7).

La SCM è quindi intesa come un’area interdisciplinare di ricerca all’interno della quale l’AM sia solo una delle discipline in gioco, insieme ad altre che studiano la topografia storica, la storia degli insediamenti e quella del territorio; tutte con un comune oggetto, più ampio e appunto culturale-materiale.

In questo nuovo assetto interdisciplinare l’AM può giocare un ruolo di rilievo e innovativo rispetto al passato, grazie anche al rinnovamento disciplinare che comporta per l’archeologia il metodo stratigrafico e, in generale, la “discesa in campo” (simbolica e pratica, tramite il fieldwork) degli archeologi medievisti. Il radicamento sul terreno dell’indagine sulla cultura materiale qualifica questo tipo di ricerca in senso analitico e scientifico, rispetto all’inchiesta storica tradizionale. “Già dal fatto di lavorare sul terreno e sui prodotti materiali, come è proprio del lavoro archeologico, deriva alla storia della cultura materiale (o se vogliamo alla archeologia rurale, industriale ecc.) un’istanza di rigore scientifico più caratteristico delle scienze naturali che delle discipline storiche tradizionali” (AM 1975: 7-8).

Si citano come riferimenti del dibattito a tale proposito, oltre alla già citata scuola polacca, il volume di Andrea Carandini Archeologia e cultura materiale. Lavori senza gloria (un sottotitolo alquanto emblematico), in cui si evidenzia l’influenza del materialismo storico93, e il numero 31

92 Quell’urgenza che si avvertiva di documentare un patrimonio storico, sotto forma di resti materiali archeologici, sottoposto ad una erosione costante ed in aumento, all’epoca in cui la disciplina andava formalizzandosi (basti pensare ad esempio ai racconti di Graziella Berti sull’attività di recupero dei materiali nei lavori nel centro storico di Pisa da parte di Liana ed Ezio Tongiorgi: “Fu soprattutto negli anni cinquanta e sessanta anche il sottosuolo cittadino restituì. Con l’apertura di numerosi cantieri edilizi per il restauro di immobili privati e pubblici danneggiati dalla guerra, per la risistemazione di porzioni della rete fognaria e di altri servizi, quantitativi notevoli di frammenti ceramici, destinati, senza il loro fretto intervento, ad inevitabile perdita, non essendo ancora nato, o agli albori, un qualche interesse per le realtà post-classiche da parte delle Soprintendenze e dell’Università” (Berti 1997: 35). E ancora: “Gli operai che seguivano operazioni di cario genere, messa in opera di canalizzazioni fognarie, cavi elettrici telefonici etc., ristrutturazioni di abitazioni private che avevano subito danni bellici o altri lavori, erano in contatto diretto con Liana Tongiorgi che, giorno dopo giorno sorvegliava e prelevava i ritrovamenti” (Berti 1997: 56). Si tratta, in questo caso, del racconto di