02. I disturbi alimentari
2.1 Riconoscere e curare i disturbi alimentari
2.1.3 Come curarli
Fino ad ora si è trattato di come potrebbe essere importante prevenire attraverso un’alimentazione bilanciata ogni tipo di disturbo alimentare. Ugualmente però si è parlato di fattori psicopatogeni e talvolta anche genetici. È possibile che diversi traumi o condizioni sociali favoriscano lo sviluppo dei disturbi alimentari. Come tutte le malattie esistono cure che ne prevengono complicazioni e aiutano chi ne soffre a uscire dal disagio.
Come per i paragrafi precedenti prenderò in esame una definizione generale, e quindi ne parlerò senza entrare nelle specifiche di ogni disturbo. Infatti ogni malattia ha bisogno del proprio trattamento; ma questo paragrafo si propone di illustrare le terapie legate alla condizione fisica e psicologica del paziente. Infatti ogni individuo ha la propria storia e quindi un personale approccio al disturbo, quindi un personale modo di curare il disturbo stesso. Tra le stesse terapie esistono diverse ramificazioni; quelle che andrò ad illustrare sono state scelte in base alla diversità di metodo, così da avere un quadro globale; e in base alla loro diffusione, quindi al fatto che sono maggiormente preferite rispetto ad altre.
a. Terapia Cognitivo-comportamentale
I primi studi su questo tipo di trattamento nascono per mano del Professor Fairburn, dell’Università di Oxford. Il dottore sviluppò la cura attraverso lo studio della terapia cognitiva contro la depressione e quella comportamentale contro l’obesità.12
Il trattamento oggi è uno dei più diffusi nonostante presenti una percentuale di successo tra il 60/70% 13; la sua diffusione probabilmente è dovuta al suo approccio sistematico e basato sulla progettazione e programmazione attraverso dei manuali.
Nonostante quello che può sembrare un approccio troppo scientifico e poco emozionale, lo scopo principale del trattamento è di aiutare il paziente a modificare la relazione con il proprio disturbo, cambiare il suo stato mentale14 e quindi entrare nell‘idea di avere un disturbo e non di essere il disturbo stesso. L’esigenza è quindi di spostare i pensieri (per questo cognitivo) del malato dal proprio aspetto fisico a ciò che si può fare per guarire.
Un trattamento di questo tipo è utilizzato soprattutto per chi soffre di bulimia nervosa o BED, poiché il rapporto con il proprio corpo è complesso e si ha meno controllo del cibo e anche di se stessi. Per questo è sconsigliato, nonostante i test randomici fatti 15, somministrare questa cura ad una persona affetta da anoressia nervosa, poiché esse sono meno motivate alla cura che può rivelarsi meno efficace.
12 Dalle Grave (2004) 13 Fairburn (2009)
14 “Mind-state” in Teasdale et altri (2002)
La terapia si suddivide in tre fasi16:
1. Fornire informazioni sul disturbo e disciplinare la frequenza dei pasti: iniziare l’approccio cognitivo con la malattia e scandire i pasti in modo meccanico. 2. Creare una dieta bilanciata e modificare la relazione con il proprio
corpo: al monitoraggio dei pasti va aggiunta una dieta fatta su misura e corretta nei suoi canoni qualitativi e quantitativi; inoltre attraverso l’aiuto di uno psicoterapeuta aiutare il paziente a valutare il proprio corpo e porre l’attenzione non più sul proprio aspetto ma innanzitutto alla cura di se stessi in tutti i sensi17.
3. Mantenere il proprio stato di salute: la terza fase, attraverso controlli periodici, tende al mantenimento del proprio stato di forma e salute in perfette condizioni, evitando ogni tipo di ricaduta. 18
In definitiva, gli obiettivi principali sono quelli di monitorare l’alimentazione, l’attività fisica, e il peso. Tutto ciò va fatto grazie all’aiuto di dietologi, psicoterapeuti e medici nutrizionisti. Il loro scopo è dunque di aiutare a modificare lo stile di vita, allontanando l’attenzione dal proprio corpo e spostandola verso la cura di se stessi. Significativa infine è la stesura di un diario emotivo19: uno strumento che facilita la comprensione dei rapporti che intercorrono tra eventi, pensieri, e altre disfunzioni che portano ad un comportamento alimentare errato e ad uno stile di vita malsano.
Gli effetti finali della terapia cognitivo-comportamentale non sono solo fisici ma soprattutto dedicati alle abitudini e alla relazione sociale: miglioramento contro la depressione e aumento dell’autostima, consapevolezza delle proprie forze e capacità, e quindi delle proprie routine quotidiane.
16 Dalle Grave (2004) 17 Dalle Grave (2012 e 2004)
18 In questo caso è consigliato anche l’utilizzo di un diario alimentare, per l’autovalutazione del proprio percorso.
Peso, forma del corpo e alimentazione Scuola
Famiglia
Altro (sport, musica, amici, pittura, etc)
Fig. 20,
Schema rappresentativo della valutazione di sé prima e dopo il trattamento. Fonte: Positive Press
b. Terapia Psicanalitica
La terapia psicanalitica comprende diversi trattamenti che hanno come scopo quello di aiutare il paziente attraverso una dimensione psichica.20
L’approccio iniziale ai DCA è del tutto differente dal precedente. Essi non sono al primo posto della cura: anzi, il disagio alimentare è visto come la conseguenza ad un problema che non è quello fisico ma psicologico. I comportamenti alterati dell’alimentazione sono quindi ciò che appare, ma nascondono la vera essenza del problema: un dolore interiore, una sofferenza che difficilmente può essere vista e compresa. Il cibo, secondo gli studi sul trattamento, è un pensiero ossessivo che protegge la mente dalle emozioni contrastanti che il malessere reale causa.21
La terapia psicanalitica ha il limite di essere talvolta lunga, ma ha dalla sua parte la certezza di trovare il vero problema. I tempi lunghi sono dovuti principalmente al modo in cui ci si pone e si ricerca il problema, infatti:
“la sofferenza psichica è talvolta più devastante di quella fisica, poiché non può essere riconosciuta da chi ti sta accanto.”22
Queste parole ci fanno capire come talvolta i familiari e gli amici difficilmente possono essere d’aiuto. Persino rivolgersi a manuali di auto-aiuto può essere lesivo, per questo chi si preoccupa di diffondere questo tipo di terapia, sa che è necessario affidarsi a persone e strutture competenti. Si cerca di offrire ad un paziente uno spazio di ascolto che consenta di tradurre il suo disagio fisico in parola e avvenimenti del proprio vissuto. 23
20 Le terapie a cui ci si riferisce sono: psicodinamica, integrata, psicoeducativa e interpersonale. Per approfondire si veda Dalle Grave (2004)
21 Fame d’amore per ABA (2010) 22 Ibi.
23 Anoressia, bulimia e obesità psicogena: tre modi diversi di esprimere un disagio affettivo per il
Nello specifico un trattamento psicoanalitico si divide in tre fasi:
1. Identificare attraverso le prime sedute quale sia il problema personale che ha portato allo sviluppo e mantenimento del problema alimentare; si tratta quindi di una vera e propria diagnosi sull’introspezione; solitamente il conflitto interno nasce da avvenimenti in ambito familiare o sociale: gravi lutti, dispute con parenti o amici, difficoltà nello stabilire e mantenere un rapporto, ovvero problemi nelle fasi transitorie della vita.
2. Il paziente deve riflettere sul suo problema, e, con l’aiuto dello psicoterapeuta, riuscire ad affrontarlo e interiorizzarlo; dunque il sofferente deve capire qual è la vera radice del suo problema e accettarla a discapito delle sue convinzioni sul cibo.
3. Attraverso i risultati ottenuti si prepara la parte finale della terapia; analizzando i risultati, lo psicoterapeuta, talvolta affiancato da un nutrizionista, si adopera al concludere la terapia, aiutando il paziente a prendersi cura del suo corpo, dopo aver guarito la sua mente. 24
In definitiva quando si parla di cura psicoanalitica o psicodinamica, si sta trattando di una terapia che lascia al di fuori di ogni struttura il fattore cibo e la forma del corpo, poiché lo scopo è esclusivamente di smascherare le patologie psichiatriche e dipendenze patologiche causa reale dei DCA.
c. Terapia Farmacologica
La teoria farmacologica per la cura dei disturbi alimentari è la più controversa tra tutte: infatti, gli studi condotti sulla loro efficacia hanno dato pareri discordanti. 25 In questo testo la suddetta è presentata per completezza formale, chiude perciò un cerchio in cui le tre terapie convivono attraverso metodologie differenti.
Nel dettaglio, il trattamento farmacologico va analizzato per ogni differente disagio, poiché ogni diagnosi ha bisogno del suo percorso. In generale, i dati sperimentali non riescono ancora a dimostrare che i farmaci possano svolgere un ruolo abituale nel trattamento dei DCA, soprattutto sull’obesità:26 il peso perduto attraverso i medicamenti è generalmente recuperato una volta che le terapie vengono interrotte.
Questa considerazione dimostra come la presenza di farmaci non dipenda tanto dalla diagnosi ma quanto dalle caratteristiche cliniche del paziente. Determinati studi, analizzati dal dottor Dalle Grave, indicano che l’uso dei farmaci può essere d’aiuto e quindi ammesso dopo il raggiungimento di uno stato fisico ottimale, quando lo stato psichico è ancora compromesso e il sistema nervoso richiede un aiuto esterno.27
Parlando nello specifico di bulimia, può essere decisivo l’uso di
antidepressivi. Grazie ad essi, il numero di abbuffate e la frequenza del vomito si abbassano, in più i pazienti non depressi riescono a scollegarsi dal controllo ossessivo sul corpo e sul cibo.28
25 Per approfondire si legga Mitchell et al (2000) 26 Cuzzolaro (2003)
27 Depressione, ansia, stress e insonnia possono essere persistenti e mettere in difficoltà il pazien- te nel raggiungimento di uno stato di salute ottimale
Non essendo questa tesi un testo di medicina, eviterò di entrare nei dettagli della terapia,attraverso la diversa posologia dei farmaci, piuttosto trovo più corretto analizzarne i limiti generali:
• Il disturbo curato con una terapia farmacologica risulta essere dipendente dalle medicine adottate: all’assenza di una corrisponde la presenza dell’altro, così da rendere la cura lunga, dispendiosa e inefficace. Cessare la cura, quindi, significa avere una quasi certa ricaduta.
• I farmaci hanno sempre degli effetti collaterali, sia fisici che psichici; il rischio è quello di riuscire a curare un DCA, per poi dover far fronte a problematiche diverse e altrettanto complicate.
• Non tutti sono avvezzi alle cure farmacologiche; sia poiché si tratta di sostanze esterne immesse nel proprio corpo, sia perché la cura medica è vista dai pazienti come un fattore estremo e non valido per un disturbo dell’alimentazione.
In definitiva è necessario, qualora si voglia, combinare la miglior terapia farmacologia con un trattamento psicoterapeutico o comportamentale, analizzando scrupolosamente la patologia, tramite diagnosi, e le caratteristiche cliniche del paziente.
Come riflessione personale, intendo esprimere un parere sulle tre terapie e la mia preferenza. Trovo notevolmente valide le prime due, in quanto si entra in relazione con le abitudini di una persona e con il proprio percorso culturale e sociale. Contrariamente mi ritrovo assolutamente restio nel dover seguire una cura farmacologica: significherebbe provare a forzare il volere di un individuo attraverso una cura che non lo aiuta e non lo forma, ma bensì lo induce a determinati comportamenti. Trattandosi poi di antidepressivi e ansiolitici si potrebbe dire che il paziente si potrebbe inebetire e rispondere in modo passivo alla cura.
Ritengo invece la teoria comportamentale la più valida, poiché meno invasiva dal punto di vista sociale, e fondamentale per chi vuole praticare auto-aiuto e provare a mettersi in gioco. Penso piuttosto che la terapia psicoanalitica sia valida ma dispendiosa per quanto riguarda le energie mentali. Ma reputo soprattutto quest’ultima necessaria se si ha a che fare con situazioni sociali disagiate e complesse.
Ricordo però che tutto ciò che è scritto in questa tesi è frutto di ricerche, e la soluzione principale ad un disturbo alimentare non è semplicemente informarsi sul disturbo stesso, ma è prima di tutto mettersi in contatto con chi è competente e chi può realmente essere d’aiuto.