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Custodia cautelare, detenzione domiciliare, semilibertà e

Per quanto concerne il computo del periodo trascorso dal soggetto in custodia cautelare ai fini dell'applicazione della liberazione anticipata, la giurisprudenza prevalente interpretava la formula originale dell'articolo 54 (che dichiarava valutabile la pena detentiva scontata) alla luce del principio generale dettato dal'articolo 137 c.p., secondo cui la carcerazione sofferta prima della sopravvenuta irrevocabilità della sentenza è detratta dalla pena detentiva o dall'ammontare della pena pecuniaria; si giunse a questa interpretazione estensiva anche per evitare disparità di trattamento a sfavore dei soggetti che avevano sofferto lunghi periodi di custodia cautelare. La tesi fu avversata, ancora una volta, dalla Corte di cassazione, la quale rifiutò di computare come pena espiata il periodo trascorso in custodia cautelare, con la motivazione che l'istituto della liberazione anticipata, al fine di stabilire i progressi compiuti nell'opera di rieducazione, postula in sé l'osservazione e soprattutto il trattamento, i quali però sono previsti solamente a favore dei

condannati e degli internati71. Alla visione della Suprema Corte fu opposta la

possibilità, riconosciuta agli imputati che ne facciano richiesta, di essere ammessi a svolgere attività lavorativa o di formazione professionale anche se soggetti a custodia cautelare, attività dalle quali può sufficientemente desumersi la volontà e capacità rieducativa del soggetto, fornendo al giudice gli elementi necessari per valutare compiutamente il comportamento del

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ristretto ai fini della liberazione anticipata72. La vera differenza tra questi e il

condannato, a ben vedere, sta nell'irrevocabilità dell'accertamento compiuto dal giudice, il quale, accertando la colpevolezza dell'imputato, rende obbligatoria e necessaria l'attività di trattamento e osservazione per tentare di correggere i comportamenti asociali del soggetto, mentre per il soggetto ancora sub judice questi comportamenti si possono solamente presumere. Con la legge 663 del 1986, in ogni caso, il legislatore ha espressamente previsto, al comma 1°, la computabilità del periodo trascorso in custodia cautelare ai fini dell'applicazione della liberazione anticipata.

Maggiori furono le perplessità derivanti dall'estensione, operata dalla legge 663 del 1986, dell'istituto in esame ai periodi trascorsi in detenzione domiciliare. La maggiore obiezione mossa alla riforma fu che l'istituto della detenzione domiciliare, in alcune ipotesi, era prevista unicamente per ragioni umanitarie (si pensi all'anziano o alla donna incinta), collocandosi totalmente

al di fuori dal percorso rieducativo73. La stessa giurisprudenza di merito ha più

volte rimarcato l'insoddisfazione per tale disciplina, arrivando anche a dubitare

della costituzionalità del dettato normativo74; c'erano stati anche diversi

precedenti affrontati dalla Corte di cassazione, con i quali Suprema Corte escluse l'applicazione della liberazione condizionale al soggetto che avesse espiato la pena nel proprio domicilio in quanto mancano i necessari mezzi di controllo e valutazione della partecipazione del condannato all'opera di

72 Cfr. Cassazione Sez I, sent. 16 aprile 1986, in Cassazione penale 1987, pag. 1459 73

Cfr. Fassone, Basile, Tuccillo, La riforma penitenziaria, pag. 77

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Tribunale di sorveglianza di Torino, ordinanza del 18 aprile, 1988, con la quale ha ritenuto rilevante la questione di legittimità proposta sulla compatibilità dell'art. 54 o.p. in relazione agli artt. 3 e 27 Cost.

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rieducazione75. La Corte costituzionale, tuttavia, dichiarò la manifesta

infondatezza della questione di legittimità76, in ragione della particolare

qualificazione giuridica della detenzione domiciliare: al pari dell'affidamento in prova, costituisce <<non una misura alternativa alla pena, ma una pena

alternativa alla detenzione [...] caratterizzata dalla soggezione a prescrizioni limitative della libertà, sotto la vigilanza del magistrato di sorveglianza e con l'intervento del servizio sociale, il tutto al fine di garantire le finalità rieducative della pena stessa>>. A ben vedere, dalla riforma del 1986 si può

trarre un ulteriore argomento a favore della inclusione del periodo trascorso in detenzione domiciliare ai fini del computo dei semestri valevoli per la liberazione anticipata: nel momento in cui il legislatore ha esplicitamente optato per questa alternativa, ha inteso aderire all'idea che non esistono né detenuti né titoli di reato per i quali la rieducazione possa escludersi aprioristicamente, ma che al contrario possono predisporsi specifiche ipotesi di accesso ad alcune misure alternative, ancor prima dell'inizio dell'esecuzione in forma ordinaria, per particolari categorie di soggetti o di titoli di reato, dove i soggetti possono adottare comportamenti e schemi di vita <<corretti>> anche senza neppure entrare in carcere. La stessa Corte costituzionale ha poi sottolineato come i requisiti che il giudice deve valutare per la concessione del beneficio della liberazione anticipata sono identici per tutti i soggetti e non sono affatto influenzati dalla modalità di esecuzione della pena; il condannato soggetto a detenzione domiciliare otterrà il beneficio in esame quando e se si

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Cfr. Cass., Sez I, sent. 2 dicembre 1988

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adegui a modelli comportamentali corretti, anche se in un ambiente privo di condizionamenti e sollecitazioni tipiche dell'istituto carcerario.

Con riguardo ai regimi di semilibertà e semidetenzione, la teoria che negava il computo del periodo ai fini della liberazione anticipata si fondava essenzialmente sull'assunto che ogni forma esecutiva non strettamente penitenziaria sia da qualificare come beneficio, e che non sia possibile applicare un beneficio su di un altro. Prevalse la tesi contraria, suffragata da due ordini di argomentazioni: in primo luogo, se il legislatore avesse inteso escludere i soggetti già beneficiari di un regime di semilibertà o semidetenzione, l'avrebbe fatto esplicitamente, e in secondo luogo, con riferimento allo status del semilibero, hanno osservato che questo non integra uno status detentionis ma neanche uno stato di libertà: la semilibertà non muta lo status di detenuto, rappresentando una modalità di esecuzione della pena più che una misura alternativa. Si è perciò affermata l'idea che la liberazione anticipata possa essere concessa anche con riferimento ai periodi trascorsi in regime di semilibertà e semidetenzione, ai quali si includono anche le licenze non esplicitamente escluse con decreto del magistrato di sorveglianza.

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