Il 16 luglio 2009 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo condannava l'Italia sulla base del ricorso numero 22635/03, meglio conosciuto come sentenza Sulejmanovic contro Italia. Il ricorrente è un cittadino originario della Bosnia Erzegovina, condannato e detenuto in Italia. Nel ricorso tale Sulejmanovic lamentò una violazione dell'articolo 3 CEDU (il quale notoriamente riconosce il diritto di ogni persona a non subire trattamenti umilianti e degradanti) a causa della oramai celebre condizione di sovraffollamento del sistema carcerario italiano, che nello specifico si concretizzò, per lui, nella carcerazione avvenuta in uno spazio di circa 3mq. La Corte condannò lo Stato italiano al risarcimento di mille euro a favore del ricorrente. Nello specifico, secondo la Corte, gli Stati devono garantire ad ogni detenuto “condizioni
compatibili con il rispetto della dignità umana”, senza causare sofferenze che
superino il livello già implicito nella detenzione, considerando altresì il benessere e la salute del detenuto. Da ciò, il Comitato per la Prevenzione della Tortura ha determinato che ogni detenuto deve avere a sua disposizione almeno 7 mq all’interno di una cella: la raccomandazione n. 2 dell’11 gennaio 2006 - che precisa le condizioni di vita dei detenuti e dei locali in cui devono alloggiare - definisce che gli Stati devono comporre le esigenze di sicurezza
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con la necessità che le misure siano “le meno restrittive possibili”; inoltre, per evitare la violazione dell’art. 3, il detenuto deve godere di alcune ore d’aria con l’obbligo per il personale di verificarne lo stato di salute fisico-mentale. Ad avviso dei giudici europei, pertanto, laddove sussiste una situazione di sovraffollamento carcerario, non è necessario considerare altri elementi poiché, in modo quasi automatico, si può presumere che sia stato violato il divieto di trattamenti disumani e degradanti.
Al di là della cifra, piuttosto modica, quantificata per il risarcimento, la sentenza Sulejmanovic è stata molto gravosa per il nostro Stato. Da un lato, prettamente economico, ha aperto la strada a migliaia di ricorsi dei detenuti che si trovino in condizioni similari, ingigantendo il danno economico che l'Amministrazione penitenziaria sarà chiamata a risarcire; dall'altro lato, più propriamente politico, tale sentenza denuncia apertamente lo stato critico della situazione carceraria italiana, dove il tasso di sovraffollamento medio era pari
al 130%, mentre in alcuni istituti si toccavano punte del 300%122.
L'insufficienza delle misure prese dallo Stato italiano per fronteggiare la violazione dell'articolo 3 CEDU, evidenziata dalla Corte EDU con la sentenza Sulejmanovic, si è palesata nella successiva sentenza Torreggiani contro
Italia123 dell'8 gennaio 2013. Il ricorso è stato presentato da sette ricorrenti che
lamentavano, tutti, ancora una violazione dell'articolo 3 CEDU per l'esiguità dello spazio vitale a loro disposizione nelle rispettive celle. La Corte ha
122 Statistiche sulla popolazione carceraria pubblicate dall'Istituto di ricerca Cattaneo, in
www.ristretti.it/commenti/2013/aprile/pdf1/ricerca_cattaneo.pdf
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Disponibile all'indirizzo
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accertato in capo allo Stato italiano tale violazione a causa del << grave
sovraffollamento>>124 degli istituti penitenziari nei quali i ricorrenti si trovavano, ed avendo altresì accertato il << carattere strutturale e sistemico>>
di tale situazione. A differenza della precedente sentenza Sulejmanovic, qui la
Corte EDU ha pronunciato una "sentenza pilota"125, ossia una sentenza per
effetto della quale sono sospesi tutti i ricorsi dei detenuti italiani aventi ad oggetto la medesima violazione patita, per concedere all'Italia un termine, fissato in un anno dalla data del passaggio in giudicato della sentenza (avvenuto il 27 maggio 2013), per adottare le misure necessarie per porvi rimedio.
Quanto alle misure da adottare, la Corte ha operato un'importante distinzione. Anzitutto ha collocato il dovere dello stato di risolvere strutturalmente il
problema del sovraffollamento carcerario, eliminandone le cause attraverso
misure di carattere generale, che consentano un maggior ricorso a sanzioni non detentive e una minore utilizzazione della custodia cautelare in carcere (rimedio preventivo). La Corte si mostra invero ben consapevole che soltanto sforzi a lungo termine da parte delle autorità italiane potranno risolvere il problema strutturale del sovraffollamento carcerario, e sottolinea come il suo compito non possa essere quello di indicare le specifiche misure da adottare in questo contesto, che resteranno affidate alla valutazione discrezionale delle
124 La Corte definisce << grave sovraffollamento >> una situazione dove il detenuto ha a propria disposizione uno
spazio inferiore ai 3mq, ritenuta di per sé violazione dell'articolo 3 CEDU
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Le informazioni ufficiali sulla sentenza pilota sono disponibili sul sito internet della Corte EDU all'indirizzo
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autorità italiane, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa.
Sull'altro versante, i giudici di Strasburgo hanno collocato il dovere dello Stato italiano di << predisporre un ricorso o un insieme di ricorsi interni idonei ad
offrire un ristoro adeguato e sufficiente per i casi di sovraffollamento carcerario >>126 (rimedio compensativo). Questo aspetto è di particolare interesse, in quanto corrisponde, negativamente, alla disamina operata dalla medesima Corte quanto alla ricevibilità del ricorso con riferimento all'eccezione, sollevata dallo Stato italiano, di mancato esaurimento dei ricorsi interni. Il governo sosteneva, in effetti, che ciascun detenuto aveva il diritto di presentare reclami al magistrato di sorveglianza ai sensi degli articoli 35 e 69 o.p. per lamentare la violazione dei propri diritti durante il trattamento, e che tale ricorso costituisce un mezzo effettivo per la tutela dei diritti medesimi. Rispetto poi al caso specifico di uno dei ricorrenti, che aveva effettivamente esperito tale rimedio e aveva ottenuto nel 2010 dal magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia un'ordinanza che accertava la violazione dell'articolo 3 CEDU attualmente subita dal detenuto - ordinanza subito trasmessa dallo stesso magistrato alla direzione del carcere di Piacenza e al Ministero della giustizia affinché fossero adottati i provvedimenti necessari a far cessare la violazione in atto -, il governo italiano aveva eccepito che sarebbe stato onere del ricorrente medesimo chiedere alle "autorità giudiziarie interne" competenti l'esecuzione coattiva del provvedimento del magistrato di sorveglianza, senza peraltro indicare quali fossero tali autorità, e che tipo di ricorso sarebbe stato
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possibile esperire a tal fine. La Corte ha qui buon gioco nel disattendere l'eccezione, richiamando la propria costante giurisprudenza sulla regola del previo esaurimento dei rimedi interni di cui all'articolo 35 CEDU, che preclude l'accesso alla Corte alla vittima di una violazione convenzionale allorché essa non si sia avvalsa di un rimedio interno effettivo, idoneo a riparare alla violazione e facilmente accessibile, sottolineando altresì come rispetto allo specifico problema del sovraffollamento carcerario tale rimedio debba essere idoneo non solo a riparare ex post le conseguenze della violazione - in particolare garantendo un risarcimento pecuniario -, ma anche a porre fine alla violazione e a migliorare le condizioni generali della detenzione. Nell'ordinamento italiano, l'ineffettività sotto questi specifici profili del procedimento di reclamo avanti il magistrato di sorveglianza è dimostrata proprio dalla vicenda personale del ricorrente che aveva esperito il rimedio, ottenendo in sostanza nulla più che una pronuncia declaratoria sull'esistenza di una violazione in atto, alla quale soltanto tardivamente - e dopo la proposizione del ricorso avanti alla Corte europea - le autorità penitenziarie avevano dato parziale esecuzione, disponendo il trasferimento del detenuto in una cella dotata di spazi più ampi. Né il governo italiano ha potuto chiarire alla Corte quale procedimento consentirebbe di dare esecuzione forzata alle ordinanze del magistrato di sorveglianza che accertino la violazione del diritto del detenuto a non essere ristretto in spazi troppo esigui127.
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Francesco Viganò, Sentenza pilota della Corte EDU sul sovraffollamento delle carceri italiane: il nostro Paese
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Nel tentativo di dare una risposta a queste richieste, il Tribunale di sorveglianza di Venezia, seguito a ruota da quello di Milano, sollecitò un intervento additivo della Corte costituzionale sull'articolo 147 c.p., nella parte in cui non consente al giudice di sospendere o rinviare l'esecuzione della pena detentiva laddove essa si svolga in condizioni contrarie al senso di umanità,
per contrasto agli articoli 2, 3, 27 comma 3 e 117 Costituzione128. La Corte ha
tuttavia dichiarato la questione inammissibile perchè si tratta solo di una delle
tante soluzioni possibili: poiché l'intervento additivo richiesto non è "a rime
obbligate", la Corte non lo concesse per non invadere uno spazio riservato al legislatore129.