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La liberazione anticipata Dalla genesi al decreto legge 146/2013

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

LA LIBERAZIONE ANTICIPATA

Dall'origine al d.l. 146/2013

Il candidato Relatore

Antonio Di Somma Chiar.mo Prof. Luca Bresciani

ANNO ACCADEMICO 2014/2015

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Indice

Introduzione

Capitolo 1

Genesi ed evoluzione

1. Origini 9

2. Prima modifica della disciplina: la concezione atomistica 12

3. La legge 277/2002 16

4. La disciplina regolamentare 17

5. Interventi della Corte Costituzionale 19

6. Il decreto legge 146/2013 21

Capitolo 2

I presupposti della misura

1. Inquadramento dogmatico 26

2. La natura giuridica 29

3. La riduzione di pena: contenuto e natura 31

4. Osservazione e trattamento 34

5. La partecipazione all'opera di rieducazione 38

6. La partecipazione nella detenzione extramuraria e nei diversi regimi carcerari 45

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7. Presunzione di espiazione 53

8. La privazione della libertà personale valutabile 55

9. I condannati per reati di cui all'art. 4bis o.p. 58

10. Custodia cautelare, detenzione domiciliare, semilibertà e semidetenzione 61

11. Affidamento in prova al servizio sociale 65

12. Libertà controllata, liberazione condizionale e sospensione condizionale della pena 70

13. Il presupposto dell'attualità dello stato detentivo 73

14. La pena espiata dal condannato all'ergastolo 76

15. Il semestre di pena scontata 78

Capitolo 3

Profili procedurali

1. La competenza 82 2. La legittimazione 91 3. La richiesta 98 4. La prova 100 5. La decisione e il reclamo 105 6. La revoca 114

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Capitolo 4

La nuova liberazione anticipata speciale:

rimedio preventivo o compensativo?

1. La giurisprudenza della Corte EDU 123

2. Gli interventi del legislatore 128

3. Il decreto legge 23 dicembre 2013, n.146 132

4. L'esclusione dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4bis o.p. 138

Conclusioni

Bibliografia

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Introduzione

La presente tesi di laurea si propone di analizzare l'istituto della liberazione anticipata, dalla sua prima comparsa in un disegno di legge governativo del 1965 al decreto legge 146 del 2013, convertito in legge 10/2014. Attraverso questo lavoro s'intende mettere in luce l'anima dell'istituto, una misura premiale e incentivante per i condannati che partecipino attivamente all'opera di rieducazione al fine di un loro più efficace reinserimento in società, in forte contrasto con la disciplina dettata dal decreto legge 146 del 2013, ispirata dall'ultimatum imposto all'Italia dalla sentenza Torreggiani dello stesso anno. L'elaborato si evolve secondo un criterio cronologico che faccia risaltare la disciplina originaria e la sua ratio, alle quali fa seguito l'analisi dei più significativi contributi dottrinali e giurisprudenziali, con un'attenzione particolare per la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione, spesso rappresentanti vere e proprie pietre miliari nell'evoluzione dell'istituto - si veda, ad esempio, il contributo dialettico offerto in tema di applicazione della liberazione anticipata nei confronti del condannato all'ergastolo -.

Le tappe più importanti del processo evolutivo dell'istituto in esame sono la legge 26 luglio 1975, n. 354, recante <<Norme sull'ordinamento penitenziario

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e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà>>; la

riforma della legge 10 ottobre 1986, numero 663 (c.d. legge Gozzini), con cui il legislatore opta dichiaratamente per la concezione atomistica, risolvendo d'autorità un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale; la novella operata con legge 19 dicembre 2002, n. 277; infine, la legge 26 novembre 2010, numero 199, c.d. legge svuota - carceri, la successiva legge 22 dicembre 2011, n. 211, c.d. legge Severino, il decreto legge 1 luglio 2013, n. 78, convertito in legge 94/2013 e il decreto legge 146 del 2013, convertito in legge 21 febbraio 2014, n. 10.

A partire dall'intervento del 2010 si registra una nuova necessità per l'ordinamento penitenziario: sveltire i procedimenti, ridurre il flusso di soggetti in entrata nel carcere e potenziare il flusso in uscita. L'apice di questo cambiamento è il d.l. 146/2013: sotto la pressante spinta della sentenza Torreggiani, il Governo tenta di offrire al sistema uno strumento deflattivo d'immediato effetto ma selettivo, che permetta di ridurre significativamente la popolazione carceraria (il cui sovraffollamento raggiungeva un valore pari al

156% dei posti letto disponibili1) consentendo contemporaneamente un

controllo sulla non pericolosità di quanti ne possano beneficiare. Uno strumento che possa potenzialmente applicarsi a tutti i detenuti ma che non sia generico e cieco come un indulto.

Lo strumento su cui è caduta la scelta del legislatore è, appunto, la liberazione anticipata.

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L'elaborato si prefigge dunque di mostrare come l'istituto della liberazione anticipata sia, nel 2015, servo di due padroni. Da un lato vi è la liberazione anticipata "ordinaria" così come modificata, integrata e purificata nei quarant'anni di vigenza dell'ordinamento penitenziario, finalizzata al più

efficace reinserimento sociale dei condannati che diano prova di una

partecipazione attiva e positiva al processo di rieducazione: un incentivo premiale di grande impatto per tutti i condannati, per favorire l'operato dell'Amministrazione penitenziaria che sarebbe pressoché vano se privato di una collaborazione individuale volontaria. Dall'altro lato, la nuova liberazione anticipata speciale, strumento "svuota - carceri" dichiaratamente temporaneo, utilizzato dal legislatore per contrastare l'emergenza creatasi, ancora una volta, dall'incapacità dello stesso di approntare una riforma del sistema che colpisca le radici del problema e che garantisca nel lungo periodo una consistente diminuzione della popolazione carceraria.

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Capitolo 1

Genesi ed evoluzione

1. Origini

In Italia una prima versione dell'istituto in esame si riscontra nel 1965, quando il consiglio dei ministri approvò un disegno di legge governativo denominato << Ordinamento penitenziario e prevenzione della delinquenza minorile >>; in questo testo la misura è definita in termini pressoché identici a quelli che saranno utilizzati dieci anni dopo nella legge 26 luglio 1975, n. 354, recante << Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure

privative e limitative della libertà >> .

Per comprendere i tratti peculiari della riforma del 1975, occorre prendere le mosse dal modello culturale penitenziario prima dominante, dove << le

privazioni e le sofferenze fisiche erano indicate come mezzo per favorire l'educazione e il riconoscimento dell'errore, sollecitare il ravvedimento e conseguire il miglioramento personale >>2. L'evoluzione sociale in questo ambito ha portato il progressivo abbandono delle forme più penose di sofferenza inflitte ai condannati, ma restava l'idea di fondo che l'afflizione avesse in sé una forza positiva, che piegando l'uomo questi avrebbe capito l'errore e voluto correggersi. In termini pratici, questa concezione comportava

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che il carcere fosse organizzato come una realtà separata dal civile consorzio, dove l'isolamento e la mortificazione fisica avessero una funzione emendatrice.

La scoperta delle influenze psicologiche e sociologiche sulla determinazione del comportamento dell'uomo, avvenuta intorno agli anni Quaranta, ha portato al ripudio di questa impostazione carceraria a favore di un sistema che abbia al proprio centro l'uomo e la sua vicenda esistenziale, che sappia distinguere il momento in cui il reo è giudicato, momento statico, da quello in cui si svolge la pena, vista come somma dinamica di esperienze e accadimenti in grado di modificare la persona del condannato. Ecco che il carcere non è più visto come il luogo terminale dove piegare la volontà del reo, ma come una struttura cui è affidata un'azione attiva e tendenzialmente provvisoria in una fase dell'esecuzione penale; esecuzione modellata sull'uomo come soggetto individuale. Da qui nasce l'esigenza di pensare a trattamenti penitenziari differenziati, fino ad approdare alle misure alternative alla detenzione.

Nel disciplinare l'istituto il legislatore del 1975 è incorso in due << improprietà >>, che permangono anche dopo la novella del 10 ottobre

1986: impropria è anzitutto la rubrica dell'art54, in quanto, denominando l'istituto de quo "liberazione anticipata", il legislatore ha confuso il contenuto con l'effetto tipico della misura; addirittura anomala è la sua collocazione sotto

il Capo VI, tra le misure alternative alla detenzione3. Nella sua formulazione

originaria, l'art. 54 della summenzionata legge prevedeva al primo comma la possibilità di concedere una riduzione di venti giorni per ciascun semestre di

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pena detentiva scontata al condannato che avesse dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione, al fine del suo più efficace reinserimento nella

società4. Il testo in esame individuava nella sezione del tribunale di

sorveglianza5 il giudice competente. Infine, il terzo comma dell'art 54 stabiliva

la revoca del beneficio già concesso qualora intervenisse una condanna per delitto non colposo commesso successivamente alla concessione del beneficio, nel corso dell'esecuzione.

Una disposizione particolare, definita di presunta espiazione, moltiplicava l'effetto clemenziale del beneficio consentendo che la quantità di pena ridotta fosse valutata, come pena scontata, nel computo di quella richiesta per l'ammissione alla liberazione condizionale.

Vennero estese alla liberazione anticipata le cause di esclusione, previste per

l'ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale6, nei confronti del

recidivo per delitto della stessa indole e del condannato per i delitti di rapina, rapina aggravata, estorsione, estorsione aggravata, sequestro di persona a

scopo di rapina o di estorsione7. Quest'ultima previsione non era prevista nel

disegno di legge approvato in Senato, ma fu aggiunta alla Camera con finalità di prevenzione dalla criminalità comune e politica; sul terzo comma fu sollevata questione di legittimità costituzionale già nell'ottobre 1976, ma la

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Il testo originario del primo comma dell'art. 54 l. 26 luglio 1975, n. 354 recitava: <<al condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione può essere concessa, ai fini di un suo più efficace reinserimento nella società, una riduzione di pena di venti giorni per ciascun semestre di pena detentiva scontata>>

5 Al tempo in cui fu emanata la legge vi era una sola sezione di sorveglianza, a testimonianza dello scarso interesse che

il legislatore riservava per la fase dell'esecuzione

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Art. 47, comma 2, ord. penit.

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suprema corte non ebbe neppure il tempo di pronunciarsi giacché il legislatore

stesso soppresse con effetto retroattivo8 questa disciplina con l'art.5 della legge

12 gennaio 1977, n. 1, in quanto il fulcro dell'istituto non è la prevenzione bensì il soggetto, il quale assumendo, un atteggiamento positivo, contribuisce al raggiungimento della rieducazione.

2. Prima modifica della disciplina: la concezione atomistica

L'articolo 54 della legge 1975 è stato riformulato dall'articolo 18 della legge 10 ottobre 1986, numero 663 (legge Gozzini, dal nome del suo promotore), il quale ha sottolineato la natura di beneficio dell'istituto in esame, la cui concessione segue al riconoscimento della partecipazione del soggetto al programma rieducativo. Prima che tale legge venisse alla luce, la giurisprudenza viveva un forte contrasto sulla valutazione del periodo di pena scontata da valutare ai fini dell'applicazione della liberazione condizionale: da un lato si trovavano la magistratura di sorveglianza e la dottrina, sostenitori della concezione atomistica, secondo la quale il periodo semestrale deve essere ridotto e valutato senza aver riguardo agli altri, precedenti o futuri

(tranne qualche sporadica eccezione)9, accentuando il profilo premiale e

incentivante della misura; dall'altro lato la Corte di cassazione, la quale viceversa, con orientamento assolutamente prevalente, richiedeva una

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Come chiarito dalla Corte di cassazione, sez. I, 30 marzo 1978, la retroattività discende dal principio di favor rei ai senti dell'art. 2 c.p. stante l'abolizione del divieto di concessione del beneficio

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Può aversi revoca della misura già concessa per uno o più semestri quando, successivamente, intervenga un comportamento così grave da far ritenere che anche il processo educativo svoltosi nei semestri precedenti sia stato compromesso o non avvenuto.

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valutazione globale del periodo detentivo sofferto dal detenuto, riducendo il riferimento al semestre a semplice indicazione di un parametro per il calcolo aritmetico, optando così per una concezione unitaria della valutazione, che configura la misura non come incentivo periodico ma come corrispettivo

premiale10.

L'argomentazione della Suprema Corte, fin dalle prima pronunce, si fondava sul presupposto che la misura alternativa della riduzione di pena rientra, nella sua disciplina, sotto i criteri del trattamento penitenziario individualizzato che, quale strumento dell'opera di rieducazione, si presenta come un unicum inscindibile, sebbene articolato nel tempo e sottoposto a vagli periodici, diretto al reinserimento nella società di un soggetto effettivamente emendato. Pertanto non trova spazio né giustificazione una concezione atomistica che finirebbe con il rendere l'opera di rieducazione simile a una serie di compartimenti stagni, perdendo di vista il risultato finale di rieducazione.

Anche sotto la normativa del 1975 questa costruzione offriva il fianco a una serie di obiezioni non irrilevanti. In primo luogo, la dottrina chiarì che la partecipazione all'attività di rieducazione, richiesta dalla lettera della norma, è tutt'altra cosa rispetto al << sicuro ravvedimento >> richiesto per la concessione della liberazione condizionale. In secondo luogo, alcune disposizioni del regolamento di attuazione della legge penitenziaria propendevano già per la concezione atomistica: si prenda ad esempio l'articolo 26, che dispone l'istituzione di una cartella personale per ogni detenuto nella quale si menzioni, tra le altre cose, le riduzioni di pena previste dall'art. 54 o.p.

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e si annoti << allo scadere di ogni semestre il giudizio espresso dalla

direzione sugli elementi indicati nel 2° comma dell'art. 94 >>, il quale

determinava i criteri in base ai quali valutare la partecipazione all'opera di rieducazione.

Singolare è una sentenza del 198111 con la quale la Corte chiarì la vera

motivazione che la spinse ad accogliere la tesi unitaria. Come si coglie in motivazione, nella prima fase di applicazione dell'istituto le sezioni di sorveglianza dovettero prendere in considerazione richieste inerenti periodi di tempo decorrenti dall'inizio della detenzione, spesso risalenti a una data anteriore all'entrata in vigore della legge, ragion per cui la Suprema Corte, abbracciando la tesi unitaria, cercò di evitare che tale istituto premiale fosse applicato anche a soggetti immeritevoli.

In questo solco conflittuale si inserisce, nel 1986, la legge Gozzini, la quale intese rafforzare la concezione atomistica, scelta facilmente visibile nella modifica letterale dell'articolo 54, che correla l'abbuono di pena ad ogni <<singolo >> semestre di pena scontata anziché il previgente << ciascun >>, in modo da consentire la valutazione del comportamento del condannato semestre per semestre, per apprezzare in concreto il comportamento del soggetto nel suo quotidiano esplicarsi, preferibile a quella valutazione

"globale", meno aderente alla realtà della vita carceraria.

Qualche anno dopo, la Corte di Cassazione si uniformò all'orientamento della

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dottrina12 e della magistratura di sorveglianza, ricevendo anche l'avallo della

Corte costituzionale13.

La modifica operata dalla legge Gozzini all'articolo 54 sotto il profilo quantitativo consente di apprezzare ictu oculi la volontà del legislatore di espandere l'applicazione e gli effetti della misura: la quantità di pena da detrarre per ogni semestre è elevata da venti a quarantacinque giorni.

Il nuovo primo comma dell'articolo 54 chiarisce ora che, ai fini della liberazione anticipata, sono valutati anche i periodi di tempo trascorsi in custodia cautelare e in detenzione domiciliare.

La presunzione di espiazione di cui al quarto comma dell'articolo 54, già prevista ai soli effetti del computo di pena da scontare per l'ammissione al beneficio della liberazione condizionale, interessa ora anche i permessi premio e la semilibertà.

In ossequio a una sentenza della Corte costituzionale14, i condannati

all'ergastolo sono espressamente richiamati tra coloro che possono fruire della riduzione di pena, anche se solamente per l'ammissione ai benefici per i quali è

prevista la presunzione di espiazione ex articolo 54 comma 4°15.

12 Cassazione, sent. 15 marzo 1989 13

Corte costituzionale, sent. 31 maggio 1990, n. 276

14 Corte cost. sent. 27 settembre 1983, n. 274

15 La Suprema Corte nella sent. n. 274 del 1983 <<Va riconosciuto a qualsiasi condannato [...]il diritto a che la pena

inflittagli sia espiata con il costante perseguimento dei fini previsti dall'art. 27 della Costituzione, mediante

l'osservazione e il trattamento del detenuto ed il riesame degli effetti prodotti dal processo di rieducazione svolto nei suoi confronti [...] dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui non prevede la possibilità di concedere anche al condannato all'ergastolo la riduzione di pena, ai soli fini del computo della quantità di pena così detratta nella quantità scontata, richiesta per l'ammissione alla liberazione condizionale>>

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La dizione << può essere concessa >> è sostituita con << è concessa >>, il che veicola l'istituto da una nicchia applicativa meramente facoltativa a un automatismo, un obbligo di concessione, con evidente favor rei. Il beneficio è condizionato alla prova che, attualmente e con riferimento ai semestri in esame, sia accertata la partecipazione del condannato all'opera di rieducazione. Infine, per evitare sul nascere problemi di coordinamento con la previgente disciplina, è stata espressamente stabilita la retroattività dell'effetto favorevole per un massimo di duecentocinquanta giorni, per evitare la sovrapposizione con l'indulto, allora appena concesso.

3. La legge 277/2002

La disciplina della misura è stata sostanzialmente modificata dalla legge 19 dicembre 2002, n. 277, che attribuisce la competenza a decidere sulle relative istanze al magistrato di sorveglianza secondo la procedura de plano con possibilità di reclamo al tribunale di sorveglianza, al quale è anche riservata la competenza a decidere in materia di revoca del beneficio. La ratio di questo cambiamento è da ricercare nella necessità di alleggerire il carico di lavoro del Tribunale di sorveglianza, mantenendo però salde le garanzie previste per il condannato, in primis quella del contraddittorio, che si svolge pienamente in seguito all'opposizione all'ordinanza emessa dal magistrato di sorveglianza. Inoltre, il legislatore mostra qui di aver recepito la prassi in corso dinanzi ai tribunali di sorveglianza, dove il beneficio è concesso semplicemente in

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assenza di rilievi disciplinari negativi a carico del richiedente, senza quell'analisi approfondita del percorso rieducativo compiuto che sarebbe lecito aspettarsi: data la semplicità dell'accertamento negativo, è quanto mai opportuno dirimere il tribunale da tale onere, considerato anche l'enorme carico di lavoro che affronta ogni anno.

L'art. 3 della legge ha anche introdotto il diritto a un abbuono di pena, nella misura prevista per la liberazione anticipata, a favore del condannato in affidamento in prova al servizio sociale, relativamente al tempo trascorso in questo regime, a condizione che abbia dato prova di un concreto recupero sociale, desumibile dai comportamenti tenuti.

4. La disciplina regolamentare

A integrazione delle disposizioni legislative, norme particolari sono previste del D.P.R. 30 giugno 2000, << Regolamento per l'esecuzione della legge 26

luglio 1975, n. 354, recante norme sull'Ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà >>. Tra queste,

la norma più rilevante è quella contenuta nel secondo comma dell'art. 103, che definisce << la partecipazione all'opera di rieducazione >> come l'impegno dimostrato nel trarre profitto dalle opportunità offerte nel corso del trattamento e nel mantenimento di corretti e costruttivi rapporti con gli operatori, con i compagni, con la famiglia e con la comunità esterna. Di grande importanza pratica è anche il primo comma dell'art. 103, che disciplina i modi di

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presentazione delle richieste e delle proposte per la concessione del beneficio, e lo fa richiamando per quanto applicabile l'art. 96 per la proposizione delle

istanze per l'ammissione all'affidamento in prova al servizio sociale16; il quarto

comma dello stesso articolo obbliga il giudice a indicare nel dispositivo dell'ordinanza, con la misura della riduzione concessa, la durata della pena in corso di esecuzione; il terzo comma infine impone all'ufficio del pubblico ministero competente per l'esecuzione di comunicare al tribunale di sorveglianza la sentenza di condanna inflitta al soggetto per delitto non colposo, commesso durante la prosecuzione dell'esecuzione della pena, al fine dell'instaurazione del procedimento di revoca. L'articolo 26 comma 5 prevede che, allo scadere di ogni semestre di custodia cautelare o pena detentiva, sia annotato nella cartella personale del detenuto il giudizio della direzione sul concorso degli elementi utili per la concessione della liberazione anticipata. A integrazione delle disposizioni normative e regolamentari è previsto anche un regolamento interno per ogni istituto, formulato a cura di una commissione comporta dal magistrato di sorveglianza in qualità di presidente, dal direttore, dal medico dell'istituto, dal cappellano, dal preposto alle attività lavorative, da un educatore e da un assistente sociale con l'eventuale collaborazione degli esperti per le attività di osservazione e trattamento di cui all'articolo 80.

16 Il testo del comma 1 dell'art 96 reg. es. <<L'istanza di affidamento in prova al servizio sociale da parte del

condannato detenuto è presentata al direttore dell'istituto, il quale la trasmette al magistrato di sorveglianza

territorialmente competente in relazione al luogo di detenzione unitamente a copia della cartella personale. Il direttore provvede analogamente alla trasmissione della proposta del consiglio di disciplina>>.

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5. Interventi della Corte costituzionale

Il quadro normativo si completa con gli interventi della Corte costituzionale, che in diverse occasioni ha provveduto a modificare e integrare la disciplina del legislatore, soprattutto con riferimento agli articoli 3, 13 e 27 della Carta costituzionale.

L'articolo 54 nella sua versione originaria è stato oggetto di una questione d'illegittimità costituzionale sollevata dalla Sezione di sorveglianza della Corte d'appello di Palermo, con riferimento agli articoli 3 e 27, comma terzo, della Costituzione nella parte in cui non prevede che la << riduzione di pena >> possa essere accordata al condannato all'ergastolo, sia pure al solo fine di abbreviare il periodo minimo di detenzione necessario perché possa aspirare alla liberazione condizionale. In linea di principio il beneficio non è negabile,

in quanto anche il condannato all'ergastolo è sottoposto, come qualsiasi altro

detenuto in espiazione di pena, ad un trattamento rieducativo, ma allo stato degli atti non era neppure concedibile, in quanto la lettera dell'articolo 54 non lo consente. La Sezione di sorveglianza rafforzò la propria tesi citando una precedente pronuncia della Corte costituzionale secondo la quale, con riferimento alla liberazione condizionale, << il condannato ha diritto a che,

verificandosi le condizioni poste dalla norma sostanziale, venga riesaminata la sua situazione in ordine alla prosecuzione dell'esecuzione della pena, al fine di accertare se quella già scontata abbia o meno assolto il suo fine rieducativo >> 17. La Corte costituzionale accolse l'interpretazione fornita

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dalla Sezione di sorveglianza della Corte d'appello di Palermo con la sentenza

del 27 settembre 1983, numero 27418. Sempre con riferimento all'ergastolo,

una successiva pronuncia della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 177 comma 1° ultimo periodo c.p. nella parte in cui non prevede che il condannato alla pena dell'ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione condizionale, possa essere nuovamente ammesso a fruire del beneficio ove ne

ricorrano i presupposti19. Infine, la questione è stata definitivamente superata

con la legge 663 del 1986, la quale, all'articolo 18, ha espressamente esteso agli ergastolani il beneficio della liberazione anticipata, nella parte tecnicamente utilizzabile, come presunzione di avvenuta espiazione.

Il terzo comma dell'articolo 54, che prevedeva la revoca automatica del beneficio in caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso del proseguimento dell'esecuzione, è stato a sua volta oggetto di una questione sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Firenze, il quale lamentava come la revoca del beneficio non scaturisse da una valutazione circa l'arresto o l'inversione del procedimento rieducativo del reo, ma scaturisse automaticamente da circostanze ulteriori. Il Tribunale di Firenze sottolineava anche la disciplina caratterizzante la revoca della detenzione domiciliare, della semilibertà e dell'affidamento in prova, la quale si giustifica proprio per la rottura del rapporto esecutivo che in quelle ipotesi si determina. La Corte costituzionale ha dunque accolto la tesi del Tribunale di sorveglianza di

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Il testo della pronuncia: << La Corte dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n.

354, nella parte in cui non prevede la possibilità di concedere anche al condannato all'ergastolo la riduzione di pena, ai soli fini del computo della quantità di pena così detratta nella quantità scontata, richiesta per l'ammissione alla liberazione condizionale>>

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Firenze e ha dichiarato illegittimo l'articolo 54 terzo comma, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione anticipata concessa, nel caso di delitto non colposo commesso nel corso del proseguimento dell'esecuzione, anziché stabilire che è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna

subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio20.

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 177 comma 1° c.p., in riferimento agli articoli 13 comma 2° e 27 della Costituzione nella parte in cui, nel caso di revoca della liberazione condizionale, non sente al tribunale di sorveglianza di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionale nonché delle restrizioni di libertà

subite dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo21.

6. Il decreto legge 146/2013

A distanza di pochi mesi dalla legge 9 agosto 2013, numero 94, recante << Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena >>, il Governo

torna a fronteggiare << l'emergenza carceri >> con un nuovo decreto legge, il

146/2013, convertito con legge 10/201422, anche in questo caso motivato

dall'impellente necessità di porre rapidamente rimedio alla situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari, sotto la pressione dell'imminente

20 Corte cost. sent.186 del 23 maggio 1995: << Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 54, terzo comma, della

legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione anticipata nel caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione successivamente alla concessione del beneficio anziché stabilire che la liberazione anticipata è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio >>

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Corte cost. sent. 4 giugno del 1993, n. 270

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scadenza del termine imposto dalla Corte EDU con la sentenza Torreggiani23,

per individuare rimedi preventivi e compensativi finalizzati a riparare le

violazioni << seriali >> dell'articolo 3 della Convenzione24. Il provvedimento

si ispira in larga misura alle soluzioni contenute nella Proposta di interventi in

tema di riforme dell'ordinamento penitenziario e delle misure alternative alla detenzione, elaborata dalla Commissione Giostra25, e fa seguito al Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla

questione carceraria26, con il quale il Presidente, avvalendosi del potere

concessogli dall'articolo 87 comma 2° della Costituzione, invita le Camere a focalizzarsi sulla << drammatica questione carceraria >> e sulla recente

pronuncia della Corte EDU27. In questo Messaggio il Presidente parla di

<<uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni

contestate all'Italia dalla Corte di Strasburgo: esse si configurano, non possiamo ignorarlo, come inammissibile allontanamento dai principi e dall'ordinamento su cui si fonda quell'integrazione europea cui il nostro paese ha legato i suoi destini >>, sottolineando come << la stringente necessità di cambiare profondamente la condizione delle carceri in Italia costituisce non solo un imperativo giuridico e politico, bensì in pari tempo un imperativo morale >>.

Appena due mesi dopo, il Senato approverà definitivamente il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, che sarà poi convertito con legge 21 febbraio 2014, n. 10.

23 Vedi infra, capitolo 24

Angela Della Bella, Un nuovo decreto-legge sull'emergenza carceri: un secondo passo, non ancora risolutivo, per

sconfiggere il sovraffollamento

25 La Commissione Giostra è stata istituita il 2 luglio 2013 26

Messaggio alle Camere dell'8 ottobre 2013

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Il provvedimento si muove lungo due direttrici: da un lato si collocano gli interventi diretti a ridurre il numero delle presenze in carcere, dall'altro lato si trovano interventi diretti a rafforzare i diritti dei detenuti, in particolare per garantire la giustiziabilità dei diritti violati dal sovraffollamento, come appunto richiesto dalla Corte EDU. Sotto il primo profilo vengono in rilievo le modifiche volte ad ampliare l'ambito di applicazione delle misure alternative e dei benefici penitenziari, tra i quali spicca l'introduzione, operata dall'articolo 4 del decreto28, della << liberazione anticipata speciale >>, caratterizzata da

una detrazione di 75 giorni ogni sei mesi di pena scontata (anziché i normali 45 ex articolo 54 o.p.).

La misura si distingue innanzitutto per il suo carattere temporaneo, poiché è destinata a operare solo per un periodo di due anni dalla data di entrata in

vigore del decreto29. Rimane invariato il presupposto soggettivo, posto che la

misura è concedibile sulla base della prova della partecipazione del condannato all'opera di rieducazione, esattamente come previsto nella forma

28

Si riporta il testo completo dell'articolo in questione:

1. Per un periodo di due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la detrazione di pena concessa con la liberazione anticipata prevista dall'articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e' pari a settantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata.

2. Ai condannati che, a decorrere dal 1° gennaio 2010, abbiano già usufruito della liberazione anticipata, e'

riconosciuta per ogni singolo semestre la maggiore detrazione di trenta giorni, sempre che nel corso dell'esecuzione successivamente alla concessione del beneficio abbiano continuato a dare prova di partecipazione all'opera di rieducazione. 3. La detrazione prevista dal comma precedente si applica anche ai semestri di pena in corso di espiazione alla data dell'1° gennaio 2010. 4. Ai condannati per taluno dei delitti previsti dall'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 la liberazione anticipata può essere concessa nella misura di settantacinque giorni, a norma dei commi precedenti, soltanto nel caso in cui abbiano dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da

comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità. 5. Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano ai condannati ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative

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ordinaria. Merita particolare rilievo la considerazione che la nuova misura si applica anche ai condannati per i reati di cui all'articolo 4 bis o.p., per i quali è tuttavia necessario un presupposto soggettivo più pregnante, rappresentato dalla prova, nel periodo di detenzione, << di un concreto recupero sociale,

desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità>>.

Altro aspetto di non secondario rilievo è il carattere retroattivo della misura di cui all'articolo 4 del provvedimento, la quale spiega i suoi effetti a partire dai semestri di pena in corso di espiazione alla data del 1 gennaio 2010, con il preciso fine di estenderne ulteriormente la portata deflattiva; inoltre ai condannati che abbiano già usufruito della liberazione anticipata per il periodo in esame, è riconosciuta un'ulteriore detrazione di 30 giorni per ogni singolo semestre di pena espiata. Come specificato, però, tale ulteriore sconto non si applica automaticamente, dovendosi accertare che il condannato abbia continuato a dare prova di partecipazione all'opera di rieducazione, anche durante il periodo di esecuzione della pena successivo alla concessione del beneficio. Dunque l'applicazione della nuova misura - subordinata peraltro ad una valutazione positiva del magistrato di sorveglianza - comporterà uno sconto complessivo massimo di otto mesi di pena detentiva (1 mese in più per ognuno degli otto semestri dal gennaio 2010 al dicembre 2013) ed una conseguente rimessione in libertà dei condannati che abbiano residui di pena uguali o inferiori, appunto, agli otto mesi. Secondo le stime del Ministero della

Giustizia, così come riportate nella Relazione al decreto legge30, tale effetto

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dovrebbe riguardare, nell'immediato, circa 1.700 condannati che potranno

dunque riconquistare immediatamente la libertà. Posto che la ratio della nuova disciplina è quella di consentire la più rapida

fuoriuscita dei detenuti dagli istituti penitenziari, si spiega facilmente l'esclusione dal novero dei beneficiari dei soggetti già sottoposti ad affidamento in prova e a detenzione domiciliare. Benché non espressamente menzionata, l'esclusione sembrerebbe riguardare anche i condannati cui è

applicata la misura dell'esecuzione della pena presso il domicilio31: una tale

interpretazione, conforme al principio di ragionevolezza, sembra trovare sostegno nell'articolo 1 comma 8 legge 199/2010 che rimanda, per quanto non disposto, alla disciplina della detenzione domiciliare, così sancendo una

sostanziale equiparazione delle due misure32. In ogni caso, sarebbe auspicabile

che si escludessero espressamente dall'ambito dei destinatari della nuova liberazione anticipata anche i condannati sottoposti alla misura di cui alla legge 199/2010.

31

Di cui all'art. 1 legge 199/2010

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Angela Della Bella, Un nuovo decreto-legge sull'emergenza carceri: un secondo passo, non ancora risolutivo, per

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26

Capitolo 2

I presupposti della misura

1. Inquadramento dogmatico

La società non può imporre l'onestà ai propri membri, ma può sicuramente chieder loro il rispetto delle leggi. Da qui discende una concezione del

carcere33, inteso non più come il luogo ove isolare e << nascondere >> i

condannati, ma come luogo dove il soggetto è rieducato e i suoi comportamenti perfezionati, attraverso un trattamento nel senso di conformità ai comportamenti legali, imposti dalla società a se stessa. Il trattamento penitenziario, in parole povere, deve tendere a preparare e istruire il detenuto per il momento in cui questi potrà nuovamente inserirsi nella società libera, facendo sì che i suoi comportamenti siano ossequiosi della legge. Con questo scopo ultimo, il legislatore ha predisposto vari e diversificati strumenti per indirizzare i ristretti verso la risocializzazione, in modo da poter utilizzare il trattamento che appaia più consono per il soggetto.

La liberazione anticipata consiste in una riduzione di pena che configura una causa di estinzione parziale della pena, ma è dai contenuti e finalità attribuitale dalla legge che emerge la sua natura giuridica. Strutturato come abbuono di pena detentiva, per brevi periodi predeterminati di << comportamento qualificato >>, l'istituto rivela una inequivoca natura premiale e una carica

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incentivante verso atteggiamenti partecipativi del soggetto all'azione rieducativa, prospettando al condannato la possibilità di acquisire un beneficio immediato, correlato da un impegno di comportamento limitato nel tempo, in ossequio a elementari considerazioni psicologiche (è tanto più facile ottenere un certo comportamento da un soggetto quanto più ridotto è l'impegno che si richiede)34.

La misura tende verso l'unico fine di abbreviare la durata della pena detentiva da scontare (il che la configura come mezzo di trattamento progressivo), ma al contempo produce effetti su due piani diversi: la liberazione anticipata, appunto, rappresenta l'effetto più tipico e caratterizzante; d'altro canto egualmente significativo è l'effetto, indiretto, di abbreviazione dei tempi di pena scontata richiesti dalla legge per l'ammissione alla sola liberazione condizionale, secondo la previgente disciplina del 1975, ai permessi premio e alla semilibertà stante l'attuale disciplina. L'istituto si pone dunque come mezzo di trattamento che riconosce al condannato il potere di concorrere, con i propri comportamenti, a determinare la pena nei contenuti e nella misura. A questa impostazione finalistica si ricollega l'effetto indiretto, ma d'immediata rilevanza, della maggior gestibilità degli istituti penitenziari, che trovano nei comportamenti partecipi dei detenuti le condizioni fondamentali per

un'ordinata attuazione dei programmi35.

Non manca chi osserva come, molto spesso, il condannato che ha commesso i delitti più gravi sia quello meno ribelle in carcere, in quanto intende

34

Maria Grazia Coppetta, voce, in Ordinamento penitenziario commentato, a cura di F. Della Casa, 2011, pag. 690

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indirizzare la propria condotta inframuraria al fine di ottenere quanti più vantaggi personali possibili dal trattamento penitenziario. Si tratta di un rischio calcolato dagli operatori del settore, ritenuto accettabile sia per non penalizzare, per pochi simulatori, i tanti che non lo sono, sia perché é comunque in grado di semplificare la gestione disciplinare degli istituti.

Altra e diversa considerazione a favore dell'istituto in esame deriva dalla psicologia: nei confronti dei soggetti più fragili la carcerazione può causare una desocializzazione, a causa della costrizione combinata alla promiscuità e alla lontananza dagli affetti e dalla società. Per questi soggetti, l'impossibilità di influire in alcun modo sul trattamento con il proprio comportamento prevedibilmente porterà alla condiscendenza e all'emulazione delle condotte dei detenuti con la più spiccata personalità delinquenziale.

La modifica alla lettera dell'articolo 54 o.p., avvenuta con l'articolo 18 della legge 663 del 1986, nella parte in cui ha sostituito << può essere concessa >> con << è concessa >> permette di configurare l'abbuono di pena come un diritto del condannato, sebbene condizionato. Il cambio di formula non ha segnato il passaggio da una facoltà di concedere a un diritto a pretendere, in

quanto anche quella originaria conteneva il riconoscimento di un diritto36:

all'espressione << può >> doveva attribuirsi il valore di una discrezionalità

vincolata del giudice e non di una mera facoltà37.

36 Bernardi, La liberazione anticipata per riduzione di pena, in Le nuove norme sull'ordinamento penitenziario, a cura di

Flora, 1987, pagina 345; Catelani, Manuale dell'esecuzione penale, 1987m pag. 347

37

Grasso, Nuove prospettive in tema di riduzione di pena e di liberazione condizionale, in L'ordinamento penitenziario

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2. La natura giuridica

Come già detto38, il legislatore è incorso in una "improprietà" nell'inserire la

misura nel Capo VI, tra le misure alternative alla detenzione. Non è possibile includere la liberazione anticipata nella categoria delle misure alternative neppure utilizzando la sua accezione più lata, inclusiva cioè di ogni modalità << attenuata >> di esecuzione della pena detentiva.

La misura alternativa consente, nella fase dell'esecuzione, di sostituire alle pene privative della libertà una pena limitativa, dove la differenza si percepisce in un diverso grado di restrizione: nel passaggio dall'una alle altre, il condannato riacquista quote di libertà di ampiezza variabile. Proprio questa varietà consente di instaurare una progressione tra un istituto e l'altro, nella persistenza del rapporto esecutivo. Compiuta motivazione di questo principio

si ricava da una ordinanza della Corte costituzionale39, secondo la quale la

detenzione domiciliare e l'affidamento in prova costituiscono non misure alternative alla pena, ma una pena alternativa alla detenzione.

La liberazione anticipata è un istituto che comporta una riduzione della pena inflitta per effetto della quale il detenuto consegue la libertà in anticipo

rispetto al momento fissato40, in questo differenziandosi nettamente dalle

misure alternative, poiché << tra la privazione della libertà e l'anticipata

cessazione di tale fenomeno non v'è margine per parlare di alternatività >>41.

38 Cfr. paragrafo 1.1 39

Corte cost. ord. 6 giugno 1989, n. 327, in Cassazione penale 1989, pag. 1976

40

Iovino, La liberazione anticipata, 2006, pag. 28

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L'esecuzione di pena detentiva comporta la sottoposizione del soggetto ad un obbligo di non fare, privo di prestazioni attive alle quali il condannato sia tenuto. Le misure alternative, dal canto loro, come contropartita per la restituzione di quote di libertà chiedono al condannato una serie di impegni, alcuni dei quali si sostanziano in altrettanti obblighi di fare (mantenere costanti rapporti con il servizio sociale, attivarsi a favore della parte lesa, partecipare ad alcune attività utili al reinserimento sociale etc.). Il condannato passa da una situazione meramente passiva a una attiva, con annessi obblighi di partecipazione, sui quali il magistrato di sorveglianza detiene una

supervision in ordine al corretto adempimento. L'assunzione di questi

obblighi, peraltro, non può prescindere da una scelta del soggetto, il quale è libero di preferire l'esecuzione carceraria. Il regime conseguente alla liberazione anticipata invece è la mera libertà, senza condizioni, senza prescrizioni e senza alcuna supervision. Non è neppure necessaria l'adesione del soggetto, in quanto, trattandosi di un inalienabile e indisponibile diritto della persona, deve essere concessa ed eseguita anche d'ufficio.

Un argomento contrario a questa configurazione, messo in luce dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, è rinvenibile nell'articolo 4bis o.p., il quale, nell'elencare ciò che non può essere concesso ai condannati per i delitti di cui al medesimo articolo, include << le misure alternative alla

detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata >>. A

prescindere da eventuali rilievi sull'operato del legislatore, questa disposizione fornisce una chiave di lettura obbligata per tutte quelle disposizioni che contengono un riferimento generico alle misure alternative previste al Capo VI

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3. La riduzione di pena: contenuto e natura

Come già anticipato42, la misura prende il nome non dalla funzione, ma dal

suo effetto tipico di abbuonare una parte della pena in espiazione. Il dato necessario da cui occorre partire è dunque proprio una pena definita nella quantità, ragion per cui è inapplicabile a una pena indefinita come l'ergastolo; la liberazione anticipata, in questo caso, opererà al solo fine di abbreviare la quantità di pena da espiare per ottenere altri benefici o misure alternative, la cosiddetta presunzione di espiazione, disciplinata dall'articolo 54 comma 4° o.p.43

Nella formulazione vigente acquisiscono fondamentale e preliminare rilevanza l'aspetto premiale e incentivante della misura, con un indiretto quanto innegabile vantaggio nel governo disciplinare degli istituti penitenziari.

La riduzione di pena disciplinata dagli articoli 54 o.p., 26 comma 5° e 103 reg. esec. consiste in una detrazione di quarantacinque giorni per ogni semestre di pena scontata, a favore del condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione, al fine di un suo più efficace reinserimento nella società. Il contenuto sostanziale della misura è pertanto costituito dal riconoscimento della partecipazione del soggetto all'opera di rieducazione, mentre la finalità del più efficace reinserimento nella società, che nel testo della l. 354/75 era prospettata quale elemento essenziale

42

Cfr. paragrafo 1.1

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dell'istituto, si pone ora in posizione nettamente consequenziale al beneficio

della riduzione della pena44.

A questo effetto positivo diretto ne possono seguire altri indiretti: sugli istituti che prevedono un limite massimo di pena da espiare (esempio: 3 anni per l'affidamento in prova al servizio sociale) comporta un anticipo del termine di ammissione della domanda; sugli istituti che richiedono un quantum di pena scontata in proporzione (esempio: 1\2 di pena scontata per la liberazione condizionale) comporta la diminuzione della pena totale e, in proporzione, di quella da espiare per poter usufruire della misura.

Con riguardo a questi effetti indiretti, meritano menzione le obiezioni sollevate per quegli istituti che prevedono un limite nel tetto da scontare a condizione di ammissibilità. Con particolare riferimento alla detenzione domiciliare, l'orientamento di chi propendeva per l'esclusione fu superato da

un'interpretazione letterale della disposizione di cui all'articolo 47ter: << la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente

parte residua di maggior pena >> .

Per quanto riguarda l'affidamento in prova al servizio sociale, la strada è stata molto più lunga. La disposizione originaria del 1975 prevedeva, come requisito principale, che la pena detentiva inflitta non superasse i due anni e sei mesi, che saliva a tre anni nel caso di soggetto inferiore agli anni ventuno o superiore ai settanta; la disposizione fu poi modificata dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, che unificò la previsione nell'unico limite di tre anni.

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33

La discussione, fin dagli albori, si mosse intorno al significato da attribuire all'espressione << pena detentiva inflitta >>, che nella sua letteralità si riferisce a quella irrogata dal giudice. La Corte Costituzionale dal canto suo seguì l'orientamento opposto, riconoscendo l'ammissibilità della misura quando, pur essendo irrogata una pena superiore, la parte da espiare in concreto fosse inferiore al limite. La Corte di cassazione invece aderì all'orientamento opposto ritenendo che, fatta eccezione per poche ipotesi tassative (abolitio criminis, amnistia impropria, violazione del principio del ne

bis in idem), le cause estintive non hanno effetto sulla pena inflitta45. La Corte

costituzionale dichiarò l'illegittimità dell'art. 47 comma 1° nella parte in cui il computo delle pene, relativo a una pluralità di reati, non prevedeva di tener

conto delle pene espiate e di quelle estinte ai fini del limite dei tre anni46.

Chiamata di nuovo in causa, la medesima Corte specificò che la questione ha investito solamente le ipotesi di cumulo, lasciando libera l'interpretazione circa

l'esecuzione di una sentenza di condanna relativa a un unico reato47. Infine, è

intervenuta un'interpretazione autentica con l'art. 14bis della legge 7 agosto 1992, n. 356, con cui si è precisato che il termine << inflitta >> è da interpretare nel senso di pena da espiare in concreto, tenuto conto anche delle eventuali cause estintive.

45

Cass. Sez I, 22 novembre 1988; Cass. Sez I, 21 dicembre 1987; Cass. Sez. I, 17 gennaio 1978

46

Corte cost. sent 11 luglio 1989, n. 386

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4. Osservazione e trattamento

La riforma introdotta con legge 25 luglio 1975, numero 354 è da attribuire al merito della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena, la quale elaborò un modello rieducativo innovativo. Si basa sulla previsione di un trattamento tendente al reinserimento sociale dei condannati e degli internati, sotto l'egida di una equipe di operatori penitenziari, che proceda all'osservazione del condannato e, sulla scorta dei risultati, formulano un programma, il tutto sotto la supervisione del magistrato di sorveglianza a garanzia dei diritti del detenuto. L'osservazione della personalità, definita scientifica per sottolinearne la serietà, è predisposta fin dall'inizio dell'esecuzione e proseguita lungo tutto il suo corso, per evidenziare le carenze psicofisiche del soggetto e le cause del suo disadattamento sociale. In base ai risultati è predisposto il trattamento, che deve essere continuamente aggiornato, integrato e modificato per adeguarsi alle esigenze reali del soggetto, per calzargli come un vestito cucito su misura.

L'opera di rieducazione si sviluppa dunque lungo due direttrici: l'osservazione, antecedente logico finalizzato a fornire i dati necessari per la formulazione del programma individualizzato; il trattamento, adeguato sulle necessità che l'osservazione volta per volta riscontra. Entrambe le attività sono poi necessariamente influenzate dal coinvolgimento dell'interessato, la cui collaborazione è essenziale, tanto che l'ordinamento ha istituito numerosi premi e incentivi, uno su tutti la liberazione anticipata.

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Di regola l'osservazione è svolta nello stesso istituto in cui è in corso l'esecuzione, utilizzando centri appositi solamente se appaiono necessari specifici accertamenti e approfondimenti. Si svolge sotto la responsabilità e il coordinamento del direttore dell'istituto, coadiuvato da una serie di figure professionali dipendenti dall'Amministrazione penitenziaria ma anche dei servizi sociali e da esponenti della comunità esterna particolarmente qualificati (esperti in psicologia, psichiatria e criminologia).

L'osservazione si propone di evidenziare i bisogni del condannato e la loro connessione con eventuali carenze psicofisiche, affettive, educative e sociali che ne abbiano pregiudicato la vita sociale. Sono vagliati gli aspetti psichici del soggetto così come il comportamento e la disponibilità alla vita in istituto e nei rapporti con i familiari. Sono utilizzati i dati giudiziari, penitenziari, biologici, psicologici, sociali, inseriti nella cartella personale. L'indagine investe gli aspetti comportamentali, il grado di coinvolgimento dell'osservato nella subcultura delinquenziale carceraria, la capacità di socializzare all'interno di quella comunità, la motivazione e l'impegno posto nelle attività religiose, lavorative, scolastiche, sportive, la frequenza e la regolarità dei colloqui, dei rapporti epistolari e telefonici con la famiglia. Si valutano anche gli atteggiamenti tenuti verso il personale di custodia e degli operatori, la disponibilità a collaborare, il grado di apertura al dialogo. Particolare cura deve essere rivolta all'individuazione del momento della devianza, l'età in cui si è manifestata, le persone che l'hanno favorita o contrastata.

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Sulla base dei dati acquisiti si disegna un profilo della personalità che tenga conto anche delle carenze del soggetto e degli effetti che lo stato di detenzione hanno su di lui. Nella relazione conclusiva si traccia la storia del soggetto e si formula un'ipotesi di trattamento da effettuare, ma l'osservazione proseguirà con riguardo al grado di partecipazione e coinvolgimento del soggetto al programma predisposto. Il trattamento non può avere aspetti impositivi per non violare la libertà di autodeterminazione del ristretto, ma deve limitarsi a sollecitare la collaborazione anche al fine dell'ottenimento dei benefici che l'ordinamento gli promette.

Sul piano formale, il principio di umanità della pena e la sua finalità rieducativa (articolo 27 comma 3° Costituzione) si devono conciliare con l'incondizionata libertà dell'interessato di partecipare all'osservazione e al trattamento, il che si realizza << indirizzando il fine alla modifica degli

atteggiamenti, non della personalità >>48. Ne è un chiaro riscontro l'articolo 1 comma 2 reg. es., che attribuisce al trattamento il fine di promuovere un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali, nonché delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo a una costruttiva partecipazione sociale.

Il perseguimento della finalità rieducativa comporta, per l'Amministrazione penitenziaria, l'obbligo giuridico di predisporre i mezzi e le forme necessari per la sua realizzazione, cui si correla il diritto del detenuto di usufruirne e di pretendere che sia riesaminata, nel corso della carcerazione, la sua posizione,

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al fine di accertare se la quantità di pena espiata abbia assolto il suo fine o meno. In questo senso, il trattamento è il mezzo per vagliare l'idoneità del soggetto a usufruire delle misure alternative alla detenzione. Ovviamente c'è spesso una discrepanza significativa tra legge e realtà, nella quale la carenza di operatori e mezzi e la sempre maggior percentuale di detenuti stranieri, per i quali è impossibile utilizzare gli standard del trattamento, rende molto problematico il trattamento così come delineato fino a ora. Per rimediare a questa problematica, un indirizzo interpretativo contrappone all'osservazione scientifica della personalità un'osservazione domestica, intendendosi con questo lemma un parere che l'Amministrazione penitenziaria rilascia al magistrato di sorveglianza affinché questi possa prendere le determinazioni che gli competono nei casi in cui l'osservazione scientifica non è possibile. A favore di questo indirizzo si argomenta che le mancanze, strutturali o temporanee, di mezzi e strumenti, che si configurano come inadempimento di un dovere, non possono né devono ritorcersi a danno di chi dovrebbe usufruirne. Sostanzialmente, se l'Amministrazione non provvede a eseguire l'osservazione, da cui discende prima il trattamento e dopo, per fare un esempio, la concessione di misure alternative, anziché valutare i risultati << come dovrebbero essere >> si valutano quelli che sono stati attuati nella pratica. Si favorisce indubbiamente il ricorso alle misure alternative, in particolare di quelle concedibili a seguito di un periodo di espiazione in istituto nel corso del quale dovrebbe essere eseguita l'osservazione.

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5. La partecipazione all'opera di rieducazione

La liberazione condizionale è concessa << al condannato a pena detentiva che

ha dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione >>49. Proprio il concetto di partecipazione ha dato luogo a una disputa circa la sua effettiva portata, in quanto da un lato richiama << comportamenti esteriori

oggettivamente determinati >> e dall'altro evoca una << adesione psicologica al trattamento, sintomatica di un coefficiente di risocializzazione >>50. Il problema è strettamente dipendente dalla ratio che si attribuisce all'istituto: ricompensa per aver collaborato al trattamento penitenziario, ovvero privilegio per essere stato positivamente influenzato dall'opera di rieducazione?

La Corte di cassazione abbracciò la seconda ricostruzione, e nel periodo antecedente la riforma di cui alla legge n. 663 del 1986, richiese da parte del condannato << un ravvedimento improntato alla revisione delle motivazioni

che lo avevano indotto a scelte criminali >>51. Anche dopo la modifica intervenuta nel 1986 la Corte mantiene il proprio orientamento: in una pronuncia del marzo 1988 si legge << non è richiesta soltanto la buona

condotta carceraria, che costituisce la norma di comportamento del detenuto, ma anche una partecipazione attiva di quest'ultimo alla pronta e costante adesione alle regole che disciplinano la vita carceraria, un assiduo impegno, attraverso l'attività di lavoro, di studio, di solidarietà sociale e di buoni rapporti con gli altri detenuti e con il personale di custodia, sintomatici

49

Art. 54 o.p., comma 1

50

Giostra - Della Casa - Grevi, Ordinamento penitenziario commentato, a cura di F. Della Casa, 2011, pag. 692

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dell'evoluzione della sua personalità verso modelli socialmente validi, del ravvedimento improntato alla revisione delle motivazioni che lo avevano indotto a scelte criminali ed, infine, del progressivo abbandono dei disvalori sui quali tali scelte si fondavano >>52.

L'orientamento dominante della Suprema Corte si mantiene pressoché costante

negli anni, incurante di alcune sentenze devianti53, ma non è condivisibile.

Il punctum dolens della disputa è, a ben vedere, l'esatta determinazione del presupposto di merito richiesto per la concessione della riduzione di pena. L'art. 103 comma 2° reg. esec. ricollega la partecipazione a parametri precisi, cioè all'impegno dimostrato dal detenuto << nel trarre profitto dalle

opportunità offertegli nel corso del trattamento e al mantenimento di corretti e costruttivi rapporti con i compagni, con la famiglia e la comunità esterna >>.

La norma originaria54 faceva riferimento solo all'<< atteggiamento >>, mentre

quella attuale55, riferendosi ai << rapporti >>, sposta la valutazione da un dato

soggettivo (l'atteggiamento appunto) ad uno oggettivo tipizzato. Da ciò la dottrina ha dedotto che la partecipazione deve attenere alla condotta esteriore e avere natura << squisitamente fattuale >>, prescindendo da atteggiamenti interiori di carattere psicologico. Non presuppone alcuna diagnosi di risocializzazione già conseguita, ma soltanto l'adesione del condannato al processo.

La stessa Corte di cassazione nel frattempo ha mutato orientamento,

52 Cass. sent. 9 marzo 1988 53

Cass. sent. 7 luglio 1989

54

Articolo 94 reg. esec. 1976

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ricostruendo l'istituto della liberazione anticipata attraverso un confronto con le altre misure alternative: << Mentre per la concessione dell'affidamento in

prova al servizio sociale ovvero alla semilibertà si richiede che, attraverso la partecipazione all'opera di rieducazione, il condannato abbia concretamente e positivamente avviato quel processo di revisione critica dei disvalori che hanno determinato la condotta deviante, per la concessione della liberazione anticipata, invece, è sufficiente la predetta partecipazione, a prescindere dai risultati della stessa56 >>.

La giurisprudenza più recente, forse per temperare quelli che considera gli

eccessi del giudizio semestralizzato, è costante nel ritenere che << la valutazione per semestri non deve essere intesa in senso rigido ed

esasperato, giacché la valutazione negativa relativa a un semestre non può non riverberarsi in senso sfavorevole su quella dei semestri contigui, specie ove le condotte censurabili si rivelino particolarmente gravi e sintomatiche>>57. Per i provvedimenti di diniego delle riduzioni fondati su

comportamenti tenuti in semestri contigui è però richiesta una motivazione più puntuale.

La liberazione anticipata è dunque uno strumento di trattamento progressivo, che incentiva con un premio il detenuto che partecipi alla rieducazione, non il detenuto che la raggiunga.

56

Cass. Sez. I, 30 gennaio 1995 57

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41

L'accertamento della partecipazione all'opera di rieducazione è compiuto dal giudice. La motivazione, così come l'indagine, deve essere attenta e approfondita, in particolare nel caso di rigetto dell'istanza per mancanza del requisito soggettivo. La condotta, così come formulata nel nuovo art. 103 comma 2°, esclude che il requisito della partecipazione all'opera di rieducazione possa essere ritenuto insussistente per la sola circostanza che il

condannato << continui a proclamare la sua estraneità ai fatti 58>>. Anche la

revoca di un beneficio precedentemente accordato non costituisce di per sé motivo ostativo all'accoglimento della richiesta di liberazione anticipata, come del resto non lo esclude un'infrazione disciplinare, ma occorre una valutazione compiuta dal giudice circa l'avvenuta interruzione dell'opera di rieducazione del condannato.

Il giudizio sulla partecipazione dell'opera di rieducazione deve essere necessariamente condotto attraverso un duplice criterio di relativizzazione,

soggettivo e oggettivo. Sotto il profilo soggettivo viene in rilievo << la personale capacità di rispondenza del detenuto agli stimoli e alle

opportunità >>59: la valutazione giudiziale dovrà tener conto del quoziente intellettivo, delle condizioni di salute, dell'estrazione sociale, della cultura e della preparazione personale del detenuto. Sotto il profilo oggettivo la valutazione dovrà tener conto della quantità e qualità degli strumenti concretamente predisposti dall'Amministrazione penitenziaria e disponibili per quel detenuto. Vale la pena sottolineare come l'arricchimento e l'affinamento

58

Giostra - Della Casa - Grevi, Ordinamento penitenziario, a cura di F. Della Casa, cit. pag. 694

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degli strumenti di rieducazione predisposti dall'Amministrazione penitenziaria costituiscono elemento privilegiato di misurazione del comportamento del detenuto: dove l'azione dell'Amministrazione è elementare, il detenuto avrà facilmente accesso al beneficio, concretizzandosi la partecipazione all'opera

di rieducazione nella mera assenza di rilievi disciplinari negativi; viceversa,

ove gli strumenti della rieducazione siano opportunamente articolati, il detenuto sarà vagliato circa il modo e l'intensità con cui egli abbia saputo fruire delle opportunità offertegli.

Con la legge 10 ottobre 1986, n. 663 si è dunque superata l'idea che la partecipazione all'opera di rieducazione, richiesta come requisito per la liberazione anticipata, fosse riferita unicamente alla posizione dei detenuti in stabilimenti penitenziari per il solo fatto che fino a quel momento questa fosse l'unica modalità possibile di esecuzione della pena, con il corollario che l'unico trattamento valutabile fosse quello attuato all'interno dell'istituto. Per partecipazione s'intende la ripetizione di atteggiamenti e di attività ai quali è attribuito il valore di comportamento conforme a un progetto di vita socialmente corretto, il cui primo presupposto è l'adesione alla disciplina carceraria. Il relativo accertamento sul piano psicologico richiede un'indagine profonda, perchè non sempre all'adesione alle regole può attribuirsi un significato univoco. I comportamenti da valutare devono essere rapportati in primo luogo alle capacità recettive individuali, in quanto l'inosservanza delle regole indipendente dalla volontà non giustifica un giudizio negativo. Di questa considerazione non tiene conto l'indirizzo della Corte di legittimità,

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