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L E D ELEGAZIONI AL LAVORO : P OTERE N AVALE E LE G RANDI P OTENZE

L A CONFERENZA DI W ASHINGTON 1921-

3. L E D ELEGAZIONI AL LAVORO : P OTERE N AVALE E LE G RANDI P OTENZE

La complessità della situazione internazionale, determinatasi dopo la Grande Guerra, evidenziò la necessità non solo d’inserire nella conferenza il problema del riequilibrio tra le potenze in Estremo Oriente e nel Pacifico, ma anche che questa fosse indetta dagli Stati Uniti. Qualora ciò non fosse accaduto il governo inglese era intenzionato a convocala a Londra pur di risolvere quel problema. Così nell’inverno 1921 il governo statunitense convocò a Washington la prima conferenza sul disarmo navale. Nella capitale americana furono invitate oltre alle già citate Inghilterra, Stati Uniti e Giappone283 anche le altre due potenze navali maggiori, ossia la Francia e l’Italia. Ad esse si unirono poi le delegazioni del Belgio, dell’Olanda, del Portogallo e della Cina, nazioni tutte direttamente interessate al riassetto del Pacifico e del Medio Oriente, ma non certo potenze navali. La loro presenza spiega chiaramente come l’incontro di Washington sia stato concepito, oltre che per evitare una corsa agli armamenti in genere e navali nello specifico, ma soprattutto determinato dall’esigenza anglo-americana di stabilizzare la fluidità di processi politici ed economici nel Pacifico che Versailles non era riuscita a risolvere.

Se l’invito della Francia fu più che legittimo, dato il suo pedigree di potenza navale e grazie ai suoi possedimenti nel sud-est asiatico, quello del giovane Regno d’Italia fu sicuramente meno naturale, visto che l’Italia non disponeva di territori in quella parte del mondo e annoverava una marina inferiore a quella francese. Nondimeno, l’invito all’incontro americano pervenne egualmente al governo italiano. Molto probabilmente la marina italiana rappresentava un elemento indispensabile per la normalizzazione del Mediterraneo, fulcro imprescindibile della politica inglese.

La fine della Prima Guerra Mondiale aveva portato un grande dibattito all’interno di tutte le maggiori marine del mondo sull’impiego, lo sviluppo e la progettazione dei nuovi mezzi siluranti e degli aerei. Tale dibattimento si tenne anche nella Regia Marina dove giovani e non più giovani ufficiali vedevano nel siluro, nella mina e nell’aereo il superamento della tradizionale strategia navale basata sul cannone e sulle navi corazzate. Ma la marina italiana nel periodo immediatamente dopo la guerra, oltre a dover affrontare questa controversia interna, doveva fare fronte alla esiguità di bilancio e alla necessità di sostituire il proprio naviglio ormai da tempo obsoleto. Il Ministro della Marina Amm.

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L’immediata accettazione del Giappone alla Conferenza fece grande impressione sui delegati esteri e sull’opinione pubblica americana. Come ci viene ricordato in un documento inviato dall’addetto navale italiano a Washington Capitano di Vascello Civalleri al ministro della Marina: «specialmente a riguardo del Giappone esisteva negli ambienti navali americani un grande pessimismo. Abituati a considerare il Giappone come un probabile prossimo nemico, gli ufficiali della Marina americana hanno sempre diffidato dei loro colleghi d’oltre Pacifico. E per quanto la conferenza si sia aperta con lieti auspici, tuttavia essi continuano anche adesso a mostrare una strana attitudine che non si sa bene come definire, se rassegnazione, o spirito idealistico, o scettismo» in AUSMM, Archivio di Base, busta 3160, Conferenza per la limitazione degli armamenti, n° 2233

91 Sechi con il promemoria B. 313 RRP sui Criteri di massima circa gli armamenti navali284 sottolineava l’esigenza di valorizzare e realizzare il nuovo naviglio silurante a scapito di quello da battaglia retrocesso ormai a ruolo addestrativo o di “flotta in potenza”. Certo, tale relazione rispondeva anche alle necessità di bilancio e al processo di razionalizzazione della flotta italiana. In effetti, i costi di gestione e mantenimento di vecchie navi erano notevolmente superiori a quelli destinati alla manutenzione per navi moderne. La Regia Marina poteva contare all’uscita della prima guerra mondiale su di un buon numero di corazzate, ma tutte molto in là con l’età e assolutamente poco efficienti rispetto a quelle delle maggiori potenze navali. Di questo nutrito gruppo si potevano salvare solo le 5 corazzate monocalibro varate prima dello scoppio della guerra ed in vero non paragonabili a quelle francesi ed inglesi, che, varate durante il conflitto, possedevano una stazza maggiore, erano meglio armate e più protette. Al promemoria del Ministro Sechi fecero eco le proteste sia di molti illustri alti ufficiali italiani, come l’ammiraglio Cagni, oltre che il richiamo del Presidente del Consiglio Orlando, il quale invitò il Ministro a considerare l’infattibilità di una efficiente difesa costiera basata esclusivamente su mine e siluri:

«Non possiamo fino ad un certo punto pensare che le nostre coste possano essere difese mediante mine, mediante siluranti. Possiamo pensare di avere così, con le Alpi che abbiamo gloriosamente raggiunto, di avere le porte di casa chiuse. Ma per vivere dentro questa casa bisogna navigare, bisogna fare dei trasporti e per fare dei trasporti occorre avere le vie del mare libere e per questo non servono le mine, ne le siluranti»285.

In realtà, il numero di corazzate costituiva ancora la base per poter valutare, in un certo qual modo, la forza di una marina286. Una marina forte, oltre a essere motivo di prestigio, aveva un grandissimo peso nei rapporti internazionali, come ebbe modo di sostenere l’ammiraglio Cagni nei mesi precedenti al Congresso di Washington. Tuttavia con il cambio alla guida della politica nazionale, il nuovo governo Giolitti chiamò a dirigere il ministero della marina un borghese, il senatore

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Giorgerini G., Da Matapan al Golfo Persico, cit., pp. 126 -127.

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Cfr., Minardi S., Il Disarmo navale, cit., p. 14.

286 «Churchill had long been receptive to the idea that the days of the battleship were, numbered, but the

experiences of the First World War seemed to show that its time was not yet up. Not only were capital ships still indispensable to the exercise of sea power, they remained the basis on which a nation's maritime strenght was measured. Britain therefore could not afford to be seen to be deficient in this area. We are in danger of sinking to the position not only of second but third naval power in a few years time, he warned a collegue, Febrary 1921: “I consider that the Admiralty have made out an overwhelming case for the capital ship as the foundation & ultimate sanction of sea-power in the period with wich we are immediately concerned. I am sure that we will be judged all over the world in peacetime on the numbers of Capital ships available. I do not see how the foreign or colonial naval power of our empire can be carried on on the basis that we have ceased to be the leading naval power”». Cfr., Bell C.M., Churchill & Sea Power, Oxford University Press, 2013, p. 94.

92 Bergamasco mentre allo Stato Maggiore il viceammiraglio Alfredo Acton fu sostituito dal contrammiraglio Giuseppe De Lorenzi.

Questi, manifestando subito idee parecchio discordanti da quelle del suo predecessore espresse nel promemoria Circa l’assetto militare marittimo dell’Italia le proprie concezioni secondo cui le navi corazzate ed il cannone si sarebbero rimpossessate del ruolo di leader in un’eventuale guerra marina se pur combattuta «in tre piani: sopracqueo, di superficie e subacqueo,… ma di questi tre piani d’azione il più importante rimane e rimarrà per molto tempo ancora quello di superficie, dominato dalle navi da battaglia »287. A questo documento fece seguito un secondo Promemoria per il rinnovamento del nostro naviglio dove egli ipotizzava un programma di riarmo navale da svilupparsi in 14 anni e cioè fino al 1935 che avesse avuto lo scopo di portare a costituire la flotta italiana di: 6 corazzate, 12 incrociatori leggeri, 21 esploratori, 90 cacciatorpediniere, 18 sommergibili da grande crociera, 73 da media crociera, 36 cannoniere di scorta, 80 dragamine, 10 posamine 160 MAS e altro naviglio. Tale flotta si sarebbe dovuta ottenere con una spesa complessiva di 3.551 milioni con una spesa annua di circa 255 milioni. In questo programma manca assolutamente la voce navi portaerei. Un elemento, che segna una volta di più le distanze tra De Lorenzi e Sechi. Va sottolineato infatti come quest’ultimo, qualche mese prima (gennaio del 1921), in qualità di ministro, commissionò al Comitato degli Ammiragli, allora presieduto da Thaon di Revel, uno studio che esprimesse un giudizio su tale tipo di nave, pur non nascondendo le proprie perplessità sulle navi portaerei. Inutile evidenziare il divario esistente tra il programma di spesa della Regia Marina e quello delle altre, in particolar modo dell’U.S. Navy.

Il 21 febbraio 1921 iniziarono le attività a Washington, dove la commissione italiana si recò senza un’idea precisa sul come voler strutturare la propria flotta, se non quella di realizzarla per prevenire un possibile scontro con la Francia che si delineava sempre più probabile. Della commissione italiana facevano parte, oltre al futuro ministro degli esteri Schanzer, l’ammiraglio Acton, uomo di provata esperienza, e il Ten. Col. del Genio Navale Alessandro Guidoni, già noto alle cronache americane visto che era stato spesso invitato negli USA a tenere conferenze dopo i suoi esperimenti sul lancio di siluro da apparecchi.

La strategia italiana in seno alla conferenza era assolutamente generica, poiché non era sostenuta da un programma di sviluppo della flotta, o per dirla in modo più chiaro, sia le restrizioni economiche, che il dibattito in corso sull’impiego delle nuove navi, del siluro e dell’aereo fecero sì che la nostra delegazione si presentasse nella capitale americana senza un programma navale paragonabile a quello delle altre potenze.

È indubbio che la nostra presenza fu dovuta più alle necessità e alle esigenze anglo-americane, sottese a risolvere i loro problemi nel Pacifico, che ad un riconoscimento dell’Italia come giovane

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93 potenza mondiale. Con ogni probabilità il cambio alla Casa Bianca tra il presidente Wilson e Harding migliorò le relazioni italo-americane. Non si esclude che la numerosa comunità di italo-americani, ossia quegli americani con il trattino maltrattati dalla precedente amministrazione wilsoniana288, abbia in qualche modo influito sulla opportunità d’invitare l’Italia a Washington, e che quest’invito possa essere avvenuto in parziale risarcimento del complessivo atteggiamento anti-italiano avuto dalla commissione americana a Versailles. In questa direzione va anche letta la grande cordialità con cui il Segretario di Stato americano Hugues accolse il capo delegazione italiano senatore Schanzer289. Tuttavia il motivo della nostra presenza va ricercato sopratutto dal bisogno inglese di stabilizzare i rapporti e le forze nel Mediterraneo, arteria principale del commercio inglese per l’Asia, in funzione anti-francese prima di poter riorganizzare il Pacifico e l’Estremo Oriente. Il vero problema nel Pacifico era il Giappone e soprattutto la sua spinta espansionistica a spese della Cina. Per questo motivo, furono invitate nazione come Olanda, Belgio, Portogallo e la stessa Cina, nazioni che certo non potevano vantare uno status di potenza navali, ma che sicuramente possedevano molteplici interessi in quell’area del mondo. Il caso dell’invito cinese è emblematico, in quanto è presumibile pensare che questa nazione fosse stata invitata alla conferenza più come oggetto delle mire economico- commerciali delle tre grandi potenze navali che in qualità di soggetto politico attivo290. Gli Stati Uniti non potevano fare le opportune, o se vogliamo auspicate, pressioni sullo stato nipponico fin tanto che esso fosse stato sotto la protezione internazionale fornitagli dall’alleanza con l’Inghilterra, la quale, allo stesso tempo, vedeva in tale alleanza, una volta sconfitto l’Impero Russo e quello Tedesco, una unione ormai scomoda. Questioni di prestigio internazionale, però, impedivano all’Impero Britannico di sbarazzarsi del Giappone divenuto un alleato ormai ingombrante. Ma l’alleanza anglo-

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A Parigi, il 18 Maggio 1919, il vescovo di Chicago, monsignore Kelley si recò da Orlando per chiedere che l’Italia si facesse promotrice dell’ammissione del Papa nella Lega delle Nazioni. All’obiezione che ciò era impossibile senza prima una conciliazione tra Italia e Santa sede, l’alto prelato americano osservò che: «la situazione del presidente Wilson agli Stati Uniti è molto scossa. Egli non sarà rieletto. Ma oltre alla sua persona è in giuoco agli Stati Uniti l’interesse del suo partito. Egli ha contro di sé gli irlandesi, perché egli non ha sostenuto come aveva loro promesso i loro diritti alla Conferenza; avrà contro di sé gli italiani, perché ne ha scontentato le aspirazioni; avrà di conseguenza contro di sé tutta la massa cattolica degli Stati Uniti. Egli non vede che un modo per ricomporre queste divergenze, cioè quello di sostenere il papa». Cfr., Documenti Diplomatici Italiani, Sesta Serie, Volume III, doc. n° 534, Appunti del Segretario Generale della Delegazione per

la Pace, Aldrovani Marescotti, Parigi, 18 maggio 1919.

289 «Ieri sera ho avuto un lungo e cordialissimo colloquio con Hugues. Io ho esposto condizioni generali nostro

paese richiamando sua attenzione sugli sforzi fatti Italia migliorare propria situazione economica finanziaria … Hugues mi ha risposto che guarda Italia e suoi sforzi migliore assetto economico colla più grande simpatia. Mi ha parlato termini lusinghieri nostra immigrazione dicendo che gli italiani Stati Uniti sono buoni cittadini americani pure non dimenticando Patria origine». ACS, Carte Schanzer, Busta 19, telegramma n° 113, Scanzer

Ministero Esteri, Washington 8 dicembre 1921.

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«soluzione problemi estremo oriente cui sono state dedicate sedute ieri ed oggi trovano difficoltà derivanti dal fatto che è praticamente assurdo prendere deliberazioni riguardo alla Cina quando non vi è in Cina nessun Governo che possa applicarle». ACS, Carte Schanzer, Busta 19, telegramma n° 79, Schanzer Ministero Esteri, Washington 26 novembre 1921.

94 giapponese incrinava enormemente i rapporti tra inglesi e americani291, oltre che creare possibili spaccature all’interno dell’impero britannico come nel caso canadese. Quale modo migliore se non quello di cercare di sganciarsi da un’alleanza se non quello di farlo in seno ad una conferenza internazionale indetta per affrontare il gravoso problema del disarmo? Questo escamotage avrebbe consentito all’Inghilterra di salvare il proprio prestigio internazionale, anche se era indispensabile che la conferenza fosse organizzata al di fuori del territorio dell’Impero. Non meraviglia, quindi, il fatto che il governo inglese si prodigasse moltissimo al fine di farla indire dagli americani. In più, anche l’Inghilterra, per risolvere i notevoli problemi economici292 che la guerra mondiale aveva apportato all’economia del paese, intendeva evitare una nuova corsa agli armamenti navali. Il governo inglese era ben consapevole che sarebbe stato impossibile impegnarsi nel Pacifico senza prima consolidare la propria posizione nel Mediterraneo e da qui l’indispensabile necessità di giungere ad un accordo anche con le marina italiana e francese. Naturalmente era fondamentale che le due marine mediterranee non fossero a conoscenza delle difficoltà imperiali, soprattutto perché avrebbero potuto chiedere un prezzo politico alto che Londra non sarebbe stata disposta a pagare. Comunque e proprio alla luce di questa necessità va analizzata l’opportunità della presenza italiana a Washington ed anche l’atteggiamento oltremodo benevolo delle delegazioni anglo-americane verso le nostre richieste. D’altra parte i rapporti italo-inglesi erano stati sempre buoni. La nostra politica estera e navale fino ad allora era stata sempre molto attenta a non creare motivi di attrito con quella inglese. Infatti, l’Ufficio Piani dello Stato Maggiore della Marina aveva preparato e studiato strategie navali in funzione anti-francese, ipotizzando anche possibili alleanze della Francia con altri paesi come la Spagna, la Grecia e la Jugoslavia; ma aveva sempre considerato l’Inghilterra come nostra alleata o

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«Stampa americana dimostra da alcuni giorni notevole nervosismo derivante dal fatto che conferenza procede lentamente ed è giunta ad un punto critico mentre comitato ammiragli non ha ancora nulla concretato per quanto riguarda flotta americana inglese e giapponese … giornali lasciano chiaramente intendere che intanto si svolgono conversazioni private in cui Governo americano cerca ottenere dall’Inghilterra abbandono dell’alleanza col Giappone. Sembra però che Delegazione inglese pur rinnovando manifestazione deferente cordialità verso America, onde persistere nel Pacifico in una politica di equilibrio cerchi sfuggire alle insistenze americane rispondendo che è pronta rompere alleanza solo ove questa possa subito venir sostituita da formale accordo Inghilterra America e Giappone per il Pacifico, il che è oltremodo difficile data nota ostilità senato americano qualsiasi forma alleanza». Ibidem.

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Agli inizi del 1921, e prima di divenire ministro delle Colonie Churchill studiò un piano per ridurre la spesa per il loro controllo. L’anno precedente la spesa per garantire il controllo di Palestina, Iraq e Arabia fu di ben 37 milioni di sterline. Era giunto quindi il momento di diminuire le spese e per far ciò propose di costituire un governo arabo a Bagdad e da allora in poi la legge sarebbe stata garantita da un corpo speciale di polizia creato appositamente da truppe indiane. Le forze inglesi sarebbero dovute rimpatriare. Ma lo scoppio di nuovi tumulti complicò non poco le cose. Infatti: «Temendo che i disordini in Palestina sarebbero continuati, determinando un aggravio di spesa per il suo paese, Churchill fu ben contento di raccogliere un suggerimento dato da Lloyd George durante una riunione di Gabinetto del 9 giugno, cedere agli stati Uniti i mandati sulla Palestina e sull’Iraq. Voleva darne l’annuncio alla Camera dei Comuni nel rapporto sul Medio Oriente previsto per il 14 giugno, ma Lloyd George, che non ne aveva fatto neppure cenno a Washington, lo convinse a non farlo … Le violenze continue in Iraq e in Palestina imponevano di mantenervi forze superiori a quanto aveva previsto». Cfr., Gilbert M., Churchill. La vita pubblica e privata, Milano, Mondadori, 2015, pp. 218-221. Non di meno Churchill non mancò di rammentare ai suoi consiglieri il 12 novembre dello stesso anno che qualsiasi cosa fosse successa nel Medio Oriente sarebbe stata secondaria rispetto alla necessità di ridurre la spesa. Ibidem, p. 221.

95 neutralmente benevola. L’Italia, infondo, costituiva il contrappeso ideale per la volontà di espansione navale francese nel Mediterraneo.

Gli Stati Uniti, il 10 settembre 1921, proposero un programma suddiviso in due momenti essenziali293. Il primo attinente alla “Limitazione degli armamenti“ suddiviso in tre sotto-sezioni: Limitazione degli armamenti Navali; Norme per il controllo dei nuovi mezzi bellici; Limitazione degli armamenti terrestri. Il secondo prendeva in esame le “Questioni del Pacifico e dell’Estremo Oriente“ anch’esso suddiviso in tre sottosezioni ossia: Questioni concernenti la Cina; Siberia; Isole sotto mandato. Se pur tale programma non fu formalmente adottato, nei fatti fu adoperato come base di discussione. Necessita osservare come la seconda parte del programma, ossia “Questioni del Pacifico e dell’Estremo Oriente“ fosse, a tutti gli effetti, solo destinata al contenimento della politica espansionistica del Giappone.

Il problema, per così dire, siberiano era dato dall’occupazione giapponese dei territori russi di Vladivostok e di una buona parte dell’isola di Sakhalin, già appartenenti all’Impero zarista ed ora rivendicati dalla Russia Sovietica. Tale questione si risolse, in seno alla conferenza il 23 gennaio 1922, con la dichiarazione del delegato giapponese, barone Shidehara, il quale sottolineò il carattere assolutamente temporaneo della suddetta occupazione294.

Com’è noto Versailles aveva assegnato, nel Pacifico, le isole possedute dall’Impero Germanico: all’Australia parte della Nova Guinea, Bismarck, le Salomone occidentali e Nauru; alla Nuova Zelanda le Samoa occidentali e al Giappone le Marianne, Marshall e le Caroline. Pertanto il problema verteva tutto sull’isola di Yap delle Caroline dove passavano i cavi per le comunicazioni del Pacifico. Ma quando il Giappone stipulò un accordo con gli Stati Uniti, il problema dei mandati sulle isole fu ritenuto, in un certo qual modo, risolto e non ci furono altre questioni da definire295.

La discussione sulla Cina era più complessa in quanto avrebbe dovuto esaminare i punti sull’integrità territoriale oltre che amministrativa, le possibilità commerciali ed industriali e lo sviluppo delle ferrovie ecc.. Nella necessità degli Stati Uniti e dell’Inghilterra di salvaguardare i propri interessi in Cina e nel Pacifico risiedono le motivazioni che avevano portato allo scioglimento dell’alleanza