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Il Potere Marino La ridefinizione degli equilibri navali nel primo dopoguerra e le Paci di Parig

L A CONFERENZA DI W ASHINGTON 1921-

1. Il Potere Marino La ridefinizione degli equilibri navali nel primo dopoguerra e le Paci di Parig

In molte città europee, mentre l’impronta lasciata nel fango dagli stivali tedeschi si doveva ancora asciugare, gli incendi continuavano a divampare; per le strade l’aria era ancora intrisa del fumo provocato dai bombardamenti delle artiglierie pesanti nemiche ed il persistente odore di polvere da sparo ristagnava nei prati e nei campi. Intere generazioni non sarebbero più tornate nelle officine e al tranquillo lavoro nei campi, la Grande Guerra aveva lasciato l’Europa orfana di molti suoi figli. Nondimeno in tutte le città del vecchio continente era vivo il desiderio di ritornare alla normalità, a quella spensieratezza, quella leggerezza o per meglio dire a quella joie de vivre tante volte immortalata nei dipinti impressionisti. Ma la belle epoque non poteva che essere solo un bel ricordo. Il sole che splendeva ad inizio secolo alto e luminoso sulla vecchia Europa era tramontato per andare a rischiarare con i suoi raggi nuovi continenti e le nuove super-potenze emerse dalle ceneri della guerra.

Già da inizio secolo una serie di processi di trasformazione avevano prodotto una profonda metamorfosi della struttura sociale. Le innumerevoli innovazioni tecnologiche avevano cambiato in brevissimo tempo il commercio e l’economia che rapidamente si erano trasformate da continentali a mondiali, costringendo l’uomo e la sua percezione della vita ad una troppo repentina metamorfosi. A cavallo tra i due secoli, l’essere umano era riuscito nell’impresa che per millenni aveva fatto sognare studiosi, artisti, poeti ed eroi: il volo. L’uomo era finalmente riuscito a dotarsi delle ali di Icaro, ma il suo volare, dall’inizio un volo solitario, rivolto non solo verso la conoscenza, ma immediatamente utilizzato contro i suoi simili. Ritti sulla cima del mondo scagliamo una volta ancora la nostra sfida alle stelle160, era apparso scritto sul Manifesto futurista di Marinetti (1909), un documento che esplicita l’essenza dell’uomo nuovo, instancabile poiché fatto di odio, di fuoco e di velocità, quasi sospinto da una irrequietezza pressoché diffusa e primordiale probabilmente causata dalle troppo repentine accelerazioni storiche161 e sociali che si sono susseguite dalla fine del 700 in poi162.

160

Fondazione e Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti fu pubblicato dal Figaro di Parigi il 20 maggio 1909.

161 Mazzetti M., L’accelerazione storica come carattere della storia contemporanea, Armando Editore, Roma,

1969.

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«I bisogni e i desideri che possono essere tecnicamente soddisfatti sono aumentati negli ultimi decenni in misura enorme, e tutti gli aspetti della esistenza dei popoli finanziariamente meno poveri hanno subito, durante una sola generazione, trasformazioni maggiori che durante i quattro o cinque secoli precedenti», cfr., George V. P., Il Mondo attuale, Il Saggiatore, Milano, 1968, p. 17.

56 «Già prima della guerra, per un ventennio, era andata prendendo forza una profonda sensazione di fin de siècle, della fine di un’epoca. Scrittori ed artisti lo espressero in innumerevoli forme, ma tutte accomunate dal senso della perdita: dell’innocenza, delle certezze morali, dei valori sociali, della solidità culturale»163.

Trasformazioni troppo veloci che hanno aumentato le incomprensioni tra gli uomini e le nazioni, acuendo così i tanti disagi che contribuirono non poco ad indirizzare il cammino dell’uomo nuovo verso la nuova guerra. Una guerra immediatamente chiamata Grande o Ultima per la devastante dimensione di distruzione che aveva avuto. Una nuova guerra fatta da milioni di uomini, da centinaia di chilometri di trincee, da reticolati e giganti di ferro che sparavano a distanze colossali, di gas e di bombe provenienti dal cielo sganciate dai nuovi uccelli metallici. Ma la guerra non lasciò il suo segno solo sulle città europee: essa colpì profondamente il commercio e l’economia stravolgendo le regole che fin lì le nazioni e gli imperi si erano dati per la regolazione del mercato internazionale. La crescita s’interruppe e con essa la stabilità economica. L’Europa, centro del mondo fino a qualche tempo prima, piombò in un profondo stato di prostrazione economica caratterizzato da un forte indebitamento e da un’inflazione galoppante che determinarono la necessità di tassazioni onerose, aggravando la già precaria situazione di molte famiglie europee. La Grande Guerra, che com’è stato dimostrato fu prima una guerra economica e poi una guerra di trincee, aveva fatto inabissare nelle profondità degli oceani migliaia di tonnellate di naviglio mercantile e con esse i suoi preziosi carichi164. Ciò depresse ulteriormente il commercio. Quest’ultimo, ad eccezione di alcuni particolari casi, sarebbe stato gravato lungamente dai mali della Grande Guerra, per cui quasi tutto il ventennio successivo si sarebbe speso per recuperare i livelli perduti, con notevoli conseguenze anche psicologiche. Tutto ciò aumentò notevolmente quella sensazione di perenne instabilità e continua crisi165 che avrebbe visto nello scoppio del secondo conflitto mondiale il suo naturale epilogo166.

163

Overy R., Crisi tra le due guerre mondiali 1919-1939, Bologna, il Mulino, 2009, p. 9.

164 «Il lungo intervallo di tempo, ormai trascorso dagli avvenimenti della grande guerra, consente di mettere in

disparte le discussioni sopra i motivi dell’insuccesso militare, e di considerare invece, sotto un aspetto generale cause ed effetti di questa crisi mondiale. L’essenza di tale crisi si può riassumere dicendo che nell’anteguerra la lotta per il potere marittimo ha costituito, nella subcoscienza politica dei popoli, la premessa dell’aperta esplosione degli interessi imperialisti in contrasto, e che in un prossimo avvenire tale lotta eserciterà un’influenza decisiva, se non altro per il fatto che oggi non esiste più una singola potenza, alla quale sia riservato l’incontrastato predominio sui mari», cfr., Von Scheer, L’importanza del Mare, cit., p. 149.

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Il periodo tra il 1914 ed il 1945 del secolo scorso fu caratterizzato da una serie di conflitti che interessarono l’Europa tanto da essere definito “Guerra dei Trent’anni del XX secolo”. Naturalmente a differenza di quella del 600, questa non ebbe carattere religioso, ma fu determinata da contrapposizioni laico-ideologiche acuite dagli sconvolgimenti istituzionali e politici, maldestramente usciti dalle paci di Versailles. Si veda Artico D., Mantelli B., Da Versailles a Monaco vent’anni di guerre dimenticate, Torino, UTET, 2010, p. 3-4.

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Lo storico e diplomatico londinese Edward Hallet Carr, famoso ai più per il suo monumentale lavoro sulla storia dell’Unione Sovietica dal titolo A History of Soviet Russia, scrisse sul finire degli anni trenta The Twenty

Years' Crisis, 1919–1939: an Introduction to the Study of International Relations, dedicato all’analisi degli anni

57 Nonostante il mondo desiderasse fortemente la pace, nella vecchia Europa si udivano ancora gli echi dei cannoni che ad est continuavano a sparare. L’ex Impero russo era ancora duramente impegnato in una sanguinosissima guerra civile, della quale per le vie delle capitali europee si avevano solo poche, frammentate e spesso confuse notizie. Gli eserciti si stavano lentamente ritirando mentre Parigi era divenuta la capitale diplomatica del mondo. Per le strade di quella che fu l’antica Lutezia la lingua francese si confondeva con quella tedesca, inglese, italiana, polacca, giapponese ecc. La città era totalmente invasa dalle delegazioni politiche e militari che avevano preso parte alla guerra, ora giunte lì, nel nuovo centro del mondo, per parlare finalmente di pace. A questo stuolo di personaggi in eleganti vestiti e con sgargianti divise faceva seguito un altro esercito: quello dei reporter delle più importanti testate giornalistiche mondiali.

A Versailles si respirava un’aura pervasa da sentimenti contrastanti dove l’eccitazione per la tanto agognata vittoria degli uni contrastava con la mortificazione per la pesante sconfitta degli altri. Le nuove idee provenienti da oltre oceano e la pace così dolorosamente ottenuta dovevano combattere con i desiderata degli Stati Uniti, i veri vincitori del conflitto e le ambizioni di dominio ed egemonia degli anglo-francesi. Lo scontro fu durissimo e da questa nuova guerra politica, certo non meno impegnativa di quella militare, uscì una nuova Europa con nuove nazioni ma non per questo più stabile di quella vecchia delle antiche dinastie167. I tre imperi che avevano dominato la politica mondiale per tutto l’800 furono smembrati. La Germania fu prostrata e mortificata oltre ogni limite immaginabile e l’Austria fu ridotta ad una potenza a dir poco regionale. Anche la Russia subì profonde trasformazioni: infatti dallo smembramento del suo territorio si costituirono stati come la Polonia, la Finlandia e le Repubbliche Baltiche. Una Europa quindi profondamente mutata, dove il principio di giustizia fu spesso sostituito da quello di opportunità politica allo scopo d’imbrigliare la Germania per un periodo più lungo possibile. Con il sistema dei mandati l’Impero britannico arrivò alla sua massima espansione, infatti esso non sarà territorialmente esteso più di quanto ottenne a Versailles168. La Francia impose una pace punitiva alla Germania e con lo smembramento degli imperi dalla nascita della Società delle Nazioni e dai vari trattati internazionali tesi ad evitare ulteriori conflitti seguì un radicale senso di scetticismo che investì tutte le popolazioni europee. Infatti, in Europa, ben presto si diffuse la certezza di aver vissuto un ventennio di continue crisi causate delle trasformazioni politico-istituzionali createsi con le paci di Parigi. Il testo ebbe grande eco e fu subito considerato un classico delle relazioni internazionali.

167

«La guerra aveva provocato drammatiche trasformazioni ma aveva risolto ben poco: i vecchi stati dinastici dell’Europa centrale e orientale –l’Impero Asburgico, l’Impero Russo, la Germania Imperiale– erano spariti, ma i problemi legati alle rivalità nazionalistiche nella regione e al futuro della potenza tedesca e russa erano stati rimandati anziché risolti. Anche se la Gran Bretagna e la Francia erano le dirette beneficiarie della guerra, i problemi derivanti dall’essere le maggiori potenze imperiali si erano moltiplicati … Per gran parte degli anni ’20 gli affari internazionali vennero condotti in una sorta di vuoto, nel quale la Gran Bretagna e la Francia raggiunsero una preminenza del tutto sproporzionata alla loro reale forza grazie alla temporanea riluttanza o impossibilità delle altre potenze a intervenire risolutamente nella politica mondiale. Il sistema delle grandi potenze vide quindi in campo solo due dei grandi attori politici pienamente impegnati alla sua conservazione». Cfr., Richard O., Le origini della Seconda Guerra Mondiale, il Mulino, Bologna, 2009, pag. 18.

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«… un terreno di scontro tra gli alleati era costituito dalle ex colonie tedesche appena conquistate, che non sarebbero state più restituite alla Germania. La soluzione adottata fu quella di istituire un sistema di mandati

58 dinastici poté festeggiare la sua supremazia continentale. Il Giappone con l’acquisizione dei possedimenti tedeschi del Pacifico aveva ottenuto il suo primato in quell’oceano. Per ciò che concerne l’Italia, essa vide finalmente coronare il sogno unitario con l’acquisizione delle terre irredente che erano ancora in mano austriaca, ma rimase fortemente penalizzata dalla mancata attuazione di alcuni articoli del Patto di Londra, tanto da far scatenare un’ondata di protesta in tutto il paese e da cui nascerà, com’è noto, il mito della vittoria mutilata169.

Quindi nella vecchia Europa degli imperi sorsero un nutrito numero di nuove nazioni all’insegna del principio dell’autodeterminazione dei popoli come la Polonia, le Repubbliche Baltiche, l’Ungheria, la Jugoslavia. Nella realtà questa nuova geografia delle nazioni europee, rispondeva anche alle esigenze politiche di Londra e Parigi, le quali da un lato cercarono d’imbrigliare la Germania circondandola con nuove realtà nazionali e dall’altro con questo sistema e con quello dei mandati riuscirono ad ottenere abbastanza machiavellicamente il predominio su vaste regioni non solo europee. In questa direzione andava anche la costituzione del nuovo stato jugoslavo, il quale si prestava magnificamente a

che la società delle Nazioni avrebbe affidato alle potenze vincitrici … Anche i territori Turchi furono distribuiti come mandati: la Francia ebbe la Siria e il Libano, la Gran Bretagna la Mesopotamia e la Palestina … il Sud Africa fu ricompensato per il contributo dato allo sforzo bellico alleato con un mandato sull’Africa sud occidentale tedesca. Il Camerun e il Togo furono spartiti tra Gran Bretagna e Francia. Nel Pacifico … il Giappone ottenne un mandato sulle isole Marianne, Caroline e Marshall, la Nuova Zelanda su Samoa e l’Australia sulla Nuova Guinea tedesca. Il mandato dell’isola di Nauru ricca di fosfati e ambita da Australia, nuova Zelanda e Gran Bretagna fu assegnato – come era prevedibile – all’Impero Britannico non pochi vincitori erano delusi. Il Belgio si vide negare l’assegnazione dell’Africa orientale tedesca … Ricevendo in cambio il Ruanda – Urundi un territorio senza sbocchi sul mare sugli stessi territori aveva messo gli occhi anche il Portogallo ma siccome erano ambiti dalla Gran Bretagna dovette accontentarsi del Triangolo di Kionga, nel Mozambico settentrionale. L‘Italia chiese di avere mano libera nel commercio con l’Abissinia, ma poiché non si trattava di un ex colonia tedesca tale richiesta fu respinta, così come le altre relative alla Africa settentrionale e orientale dato che avrebbero potuto essere soddisfatte soltanto a spese della Francia e della Gran Bretagna. A fare la parte del leone fu proprio questa ultima a conclusione della distribuzione delle colonie tedesche e dell’Impero Turco, la Mappa del

Mondo – come disse il ministro degli Esteri inglese A. J. Balfour – aveva più parti in rosso di quante non ne avesse prima», cfr., Gilbert M., La grande storia della Prima Guerra Mondiale, Milano, Mondadori, 2000, pp.

613-614.

169 «… quanto all’America la posizione di Wilson era troppo nota, così come lo era l’emotiva e pressante

efficacia dell’opinione pubblica degli Stati Uniti sulla politica del loro governo. Si potrà certamente rilevare che anche Wilson seppe accettare non poche incoerenze nei confronti dei suoi grandi principi, quando si trattò di ammettere i mandati della Società delle Nazioni affidati a Gran Bretagna sui territori coloniali tedeschi. La risposta non è difficile: Inglesi, Francesi e Giapponesi pesavano ben più dell’Italia sulla bilancia politica», cfr., Nassigh R., La Marina Italiana e l’Adriatico, il potere marittimo in un teatro ristretto, USMM, Roma, 1998, pp. 129-130.

59 bloccare la penetrazione italiana nei Balcani con grande soddisfazione di Parigi170 che vedeva nel bel paese il nuovo nemico171.

Sicché con le paci di Versailles non si riuscì a dipanare i molti problemi e le numerose questioni rimaste insolute nel resto del globo. A tal riguardo il Pacifico era l’esempio più eclatante. La necessità di ulteriori accordi volti a riequilibrare quell’area avevano spesso lasciato insonni molti politici di Washington e di Londra.

Fin dalla guerra d’Indipendenza americana i rapporti tra Stati Uniti e Gran Bretagna erano stati caratterizzati da continue tensioni politiche, economiche e militari. Questo continuo rapporto conflittuale portò il Canada, l’unico possedimento inglese a confinare direttamente con gli Stati Uniti, ad essere oggetto di continue pressioni ed ingerenze da parte del governo yankee. Infatti, quest’ultimo, già nel 1775 tentò invano di sollevare i franco-canadesi in funzione anti-britannica. Dopo quasi quarant’anni esplose la guerra anglo-americana172 (1812-1815) per motivi economico- commerciali come quelli che fecero scoppiare quella non dichiarata tra Francia e Stati Uniti di qualche tempo prima. In pratica gli americani continuavano a condurre un lucrosissimo commercio di contrabbando con la Francia, nonostante le regole imposte ai neutri ed il blocco navale inglese. Altro motivo di conflitto, che contribuiva non poco a rendere i rapporti tra le due nazioni certamente tesi, era il malcelato desiderio americano di annettersi il Canada. Di certo i rapporti peggiorarono quando gli inglesi, desiderosi di reprimere il commercio di contrabbando, applicarono un blocco navale strettissimo anche con l’intento di recuperare i disertori passati alla più generosa U.S. Navy173. La

170 «La politica francese … avrebbe favorito qualsiasi soluzione che ostacolasse una futura alleanza delle nazioni

di lingua tedesca … In questo quadro l’annessione all’Italia dei territori meridionali del Tirolo … appariva a Parigi utile in quanto appunto foriera di un permanente rapporto di freddezza tra Roma e Vienna. Al tempo stesso occorreva porre quanti più ostacoli possibili alla rinascita di un espansionismo germanico, bloccando intanto sul nascere quello italiano: scopo al quale risultava perfettamente idonea la nascita di stati danubiani e balcanici di media grandezza, capaci di frenare le nostre spinte imperialistiche e disposti ad allacciare proficui rapporti economici e politici con Parigi. Una prospettiva che, tutto sommato, non si discostava di molto da talune linee politiche seguite dalla Francia prima della guerra». Ibidem, p. 129.

171

«La rapida disgregazione dell’Impero asburgico nell’autunno del 1918 sorprese molti in Italia, creando un nuovo scenario politico in Europa centrale, pieno di opportunità per lo Stato italiano, ma anche di pericoli. Nel corso del 1918, con l’indebolirsi delle prospettive di vittoria delle potenze centrali e la crescente crisi interna dell’Impero asburgico, la formazione di uno Stato Jugoslavo assunse una concretezza politica. La Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti abbandonarono le ultime remore e iniziarono a sostenere la costituzione di uno Stato jugoslavo unitario, anche perché ritenuto potenziale contrappeso alla crescente influenza italiana nei Balcani e al possibile risorgere della potenza germanica», cfr., Monzali L., Il sogno dell’egemonia. L’Italia, la

questione jugoslava e l’Europa centrale, Firenze, 2010, Le Lettere, p.13.

172 Sulla guerra Amglo-Americana si veda: Silverstone S. A., Divided Union: The Politics of War in the Early

American Republic, Cornell University Press, 2004; Auchinleck G. , A History of the War Between Great Britain and the United States of America: During the Years 1812, 1813, and 1814. Maclear & Company, 1855; Herrick I.

L., August 24, 1814: Washington in Flames. Falls Church, VA: Higher Education Publications, 2005; Thompson, John Herd; Randall, Stephen J. Canada and the United States: Ambivalent Allies. University of Georgia Press, 2008.

173

Faggioni G., Storia della Marina degli Stati Uniti, cit., p. 83. Va anche ricordato che il blocco navale veniva spesso adoperato dalla marina inglese per reclutare coattivamente i marinai americani negli equipaggi della Royal Navy che soffriva endemicamente della mancanza di personale addestrato alla navigazione a causa del suo poderoso spiegamento di forze navali.

60 guerra si protrasse per alcuni anni senza decretare un vincitore né per mare né per terra. Nell’agosto del 1814 le truppe inglesi entrarono a Washington ed il presidente James Madison fu costretto ad abbandonare la capitale. Le difficili condizioni economiche che vivevano gli Stati Uniti, a causa del lungo blocco navale inglese, indussero Madison a firmare la pace nel 1814 (Trattato di Gand), poi ratificato il 17 febbraio dell’anno dopo. In pratica con questo trattato si ripristinavano gli originari territori.

I contrasti tra questi due antagonisti certo non cessarono dopo l’accordo di Gand. Negli anni trenta dell’ottocento fino alla vigilia della guerra di secessione americana numerosi furono gli scontri per questioni di confine e dispute territoriali. Le ingerenze e le pressioni esterne esercitate dal governo americano indussero un gruppo di notabili americani a firmare un documento per l’annessione del Canada agli Stati Uniti. Si può quindi affermare che i rapporti anglo-americani furono caratterizzati da continui attriti per tutta la prima parte dell’ottocento. Certo le cose non migliorarono durante la guerra di secessione americana. Il nord, ricco d’industrie, di materie prime e cantieri poté immediatamente schierare una considerevole flotta militare inducendo il governo di Richmond, sprovvisto di una forza navale da contrapporre a quella unionista, a puntare su di una marina da corsa che potesse colpire negli oceani il florido commercio avversario174. Così i confederati si dotarono di una piccola ma organizzatissima marina corsara, nella quale la punta di diamante era costituita dai tre incrociatori veloci comprati nei cantieri inglesi175. Il buon risultato della guerra di corsa convinse il comandante James Bulloch176 a potenziare ulteriormente la flotta confederata con l’acquisto di ulteriori navi in Inghilterra. In questo caso si sarebbe trattato di navi corazzate di nuova concezione capaci di grande autonomia e buona velocità ideali per il tipo di guerra attuato dagli Stati Confederati. Per quanto le nuove commesse sudiste tese ad ampliare la flotta corsara confederata fossero tenute segrete, il personale dell’ambasciata unionista a Londra lo venne a sapere.