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La Regia Marina tra il primo governo Mussolini e nuove crisi: Corfù Dodecaneso e Tangeri.

C ORFÙ D ODECANESO E T ANGERI

1. La Regia Marina tra il primo governo Mussolini e nuove crisi: Corfù Dodecaneso e Tangeri.

In seguito al fallimento dell’ipotesi di un governo Salandra, Benito Mussolini ricevette il telegramma del generale Cittadini, col quale lo si informava che aveva ricevuto l’incarico dal re di formare il nuovo governo. Così il capo del partito fascista prese il direttissimo Milano-Roma che lo portò nella capitale nella tarda mattinata del 29 ottobre. Il 31 ottobre al balcone del Quirinale Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III, Benito Mussolini, il generale Armando Diaz e l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel assistettero alla sfilata delle Camicie Nere radunatesi a Roma nei giorni precedenti408.

La presenza dei due vincitori della Grande Guerra nel primo governo fascista, fu un indubbio elemento di gran prestigio per il direttore del Popolo d’Italia, ma fu anche una indispensabile garanzia per Sua Maestà il Re409. Infatti con la partecipazione dei due personaggi di così grande prestigio nell’esecutivo il monarca aveva ottenuto un elemento di stabilità per l’ordine costituito, oltre che un ottimo espediente per condizionare dall’interno l’esperimento fascista410. Molti autorevoli studiosi ravvisano una sorta di alleanza tra Forze Armate e fascismo. Se pur molti furono gli interessi comuni tra regime e forze armate, tale alleanza non vi fu mai411. Questo discorso vale anche per l’Aeronautica, chiamata la fascistissima, in quanto la più politicizzata e poiché voluta espressamente da Mussolini nel 1923412. Anche se molte furono le affinità con il Regio Esercito, non mancarono certo i numerosissimi scontri tra questo e la milizia413 che cercò più volte d’accreditarsi, forse anche ingiustamente, come quarta componente delle Forze Armate. Lo stesso dicasi per la

408

Sulla Marcia su Roma si veda: Repaci A., La Marcia su Roma, Milano, Rizzoli, 1972; Ferraris E., La Marcia su

Roma veduta dal Viminale, Roma, Leonardo, 1946.

409 De Felice R., Mussolini il Fascista, Torino, Einaudi, 1966. 410

Rochat G., Breve storia dell’esercito italiano, Torino, Einaudi, 1978, pp. 204-207.

411

A tal riguardo è interessante ricordare un avvenimento riportato dal Giorgerini occorso dopo le elezioni del 1921. A quel tempo Mussolini affermò che il fascismo, pur non avendo pregiudiziali, fosse fondamentalmente repubblicano e per ciò si sarebbe astenuto dal prendere parte alla seduta reale. Durante il consiglio nazionale dei Fasci del 2 giugno del 1921 Ciano ribaltò l’iniziativa repubblicana di Mussolini. Dichiarazione mal digerita anche dall’Esercito. Girgerini G., Da Matapan al Golfo Persico, cit., p. 146.

412

Sulla nascita dell’Aeronautica Militare Italiana si veda: Alegi G., La Storia dell’Aeronautica Militare. La

Nascita, Roma, Archivio Storico Aeronautica Militare, 2014.

413 Sulla storia della Milizia si veda Verné V., La milizia volontaria per la sicurezza nazionale, La Poligrafica

nazionale, 1925; Milizia volontaria sicurezza nazionale: storia, organizzazione, compiti, impiego, Tipografia Zaccaria, 1932; M. V. S. N: Organizzazione, compiti, impiego, Zaccaria, 1934; di Terruzzi A., La Milizia delle

Camicie Nere, Milano, Mondadori, 1939; di Lucas E., De Vecchi G., Storia delle unità combattenti della M.V.S.N. 1923-1943. Roma, Giovanni Volpe Editore, 1976; di Rastrelli C., Un esercito in camicia nera, Storia Militare

n.129 giugno 2004 e L'ultimo comandante delle camicie nere. Enzo Emilio Galbiati, Milano, Ugo Mursia Editore, 2016.

137 grande silenziosa che si contraddistinse sempre per la sua tradizionale fedeltà al re414 anche quando, suo malgrado, fu costretta dall’onore e dall’amor patrio a dirigere la prora della navigazione verso i porti di Malta nel settembre del 1943415.

Mussolini comprese bene l’importanza che poteva ricoprire un’eventuale benevolenza da parte dei militari nei confronti del suo governo. In fondo il consenso che aveva raccolto poggiava gran parte sullo scontento di molti ambienti vicini alle Forze Armate a causa della vittoria mutilata. Da qui la necessità di numerose dichiarazioni che avevano il preciso scopo d’attirare le simpatie di questi rilevanti settori. In più la Regia Marina costituiva non solo un elemento di grande credibilità e stabilità, ma sarebbe stata funzionale ad una politica estera più aggressiva soprattutto lungo le coste del Mediterraneo416. Moltissimi furono gli articoli comparsi sui giornali417 a sua firma nei periodi precedenti alla marcia su Roma, come quello apparso su Italia Nuova del 4 febbraio del 1922:

«… Bisogna tenere d’occhio il nostro massimo problema politico: la situazione d’Italia nel Mediterraneo, la necessità per noi assoluta di avere una posizione adeguata ai nostri interessi, al nostro sviluppo, ai nostri commerci con l’Oriente. Quindi potenza navale proporzionata a quella delle altre potenze mediterranee e influenza politica in Oriente» 418.

Sulle pagine del Popolo d’Italia nel 26 luglio del 1919 comparve un articolo intitolato I problemi del mare dove si legge:

«… La nave da guerra è il migliore strumento di politica estera, specialmente per la tutela internazionale, politica ed economica delle nostre colonie di lavoro sparse in tutto il mondo. Anche in tempo di pace, la tutela della nave da guerra è necessaria se l’Italia vuole valere nel mondo»419.

Queste dichiarazioni incontrarono senza dubbio alcuno i favori e le simpatie di coloro che desideravano per l’Italia una posizione di maggior prestigio internazionale, ma ancor più di quelle

414 Sull’argomento scrive il Giorgerini: «In altre parole la Regia Marina poteva vedere con compiacimento la

restaurazione dell’ordine politico e sociale italiano, o la creazione di uno nuovo, ma in alcun modo si sarebbe dovuta toccare la monarchia, il Re e la casa regnante», cfr., Da Matapan al Golfo Persico, cit., p. 147.

415 Rapalino P., Schivardi G., Tutti a Bordo, I Marinai d’Italia L’8 settembre 1943 Tra Etica e Ragion di Stato.

Milano, Mursia, 2009.

416

«Mussolini ben sapeva che l’appoggio dell’Esercito era fondamentale per la presa del potere, ma avvertiva come essenziale l’accettazione della Marina per ottenere l’approvazione del sovrano e, se non soprattutto, una patente di rispettabilità. Inoltre la simpatia della Marina era anche un requisito del suo disegno politico che annunciava progetti di grande respiro nel Mediterraneo». Cfr., Giorgerini G., Da Matapan al Golfo persico, cit., p. 147.

417 AUSMM Archivio di Base Cartella 2821 Frasi e passi di carattere marinaresco di Mussolini. 418

Cfr., Giorgerini G., Da Matapan al Golfo, cit. p. 149.

419

138 persone che avvertivano la necessità di un consolidamento e di un aumento del controllo delle linee di comunicazione marittime nel Mediterraneo.

Già a questo riguardo compaiono le differenze tra fascismo e la Regia Marina. Per quest’ultima, come per gli ambienti navali italiani in genere, tale rafforzamento doveva avvenire senza alienarsi la tradizionale amicizia inglese, anzi quest’ultima doveva ulteriormente essere rafforzata visto il persistente pericolo francese. Per il fascismo, almeno quello della prima ora, l’Inghilterra rappresentava l’inquilino scomodo da dover cacciare dal Mediterraneo420. Inutile sottolineare l’impossibilità di tale intento. Non di meno le dichiarazioni giornalistiche e pubbliche sul Mediterraneo di Mussolini si scagliavano direttamente ed indirettamente contro il controllo inglese di queste acque. Infatti qualche giorno prima della marcia su Roma affermò:

«Lanciando gli Italiani come massa compatta verso i compiti mondiali, facendo del Mediterraneo un lago italiano, alleandoci con coloro che traggono vita dal Mediterraneo e cacciandone coloro che ne sono i parassiti, compiendo questo lungo, arduo ciclopico compito, inaugureremo veramente una era meravigliosa nella storia d’Italia»421.

Anche il suo iniziale atteggiamento di simpatia per il nazionalismo arabo e quindi il conseguente antisemitismo mussoliniano, era funzionale a destabilizzare il potere inglese nel Mediterraneo422. Mussolini considerava il movimento sionista un forte elemento di controllo dell’imperialismo britannico nel Medio Oriente e nel Mediterraneo Orientale423. Dopo gli iniziali incontri avvenuti tra la fine del ‘22 e gli inizi del ‘23 tra il capo del Governo ed i rappresentanti del sionismo italiano e quello internazionale, il rapporto iniziò a migliorare anche grazie alle assicurazioni di questi ultimi, i quali tennero a precisare che il popolo di Davide non intendeva appoggiare in alcun modo la politica britannica e che:

«la loro lealtà verso la patria era piena e assoluta e una amichevole politica italiana verso la comunità ebraica e il sionismo poteva concorrere a un notevole impulso del commercio italiano con i paesi del Mediterraneo Orientale»424.

Comunque, un vero e proprio significativo miglioramento dei rapporti si ebbe dalla metà degli anni venti in poi anche a causa di una riconsiderazione di Mussolini sulla politica italiana in Palestina425.

420

Ibidem.

421

Cfr., Salvemini G., Mussolini Diplomatico, Roma, De Luigi, 1945, p. 46.

422 Ivi, pp. 45-47. 423

Biagini F., Mussolini e il Sionismo 1919-1938, Milano, M&B, 1998, p. 63.

424

139 Per la Regia Marina, pur ansiosa di veder realizzate le tante promesse di Mussolini, la deriva antibritannica del nuovo capo del Governo suonò sempre come un campanello d’allarme426. Essa agli inizi degli anni venti era ancora grandemente impegnata a risolvere i molti problemi ereditati dalla Grande Guerra. Per fortuna al vertice del ministero poteva contare sulla capacità, la tenacia e sull’indiscusso prestigio del Duca del Mare. A tal riguardo è difficile non concordare con le valutazioni del Minardi quando scrive:

«… sembrava l’uomo adatto a tradurre in pratica i principi ed i programmi enunciati da Mussolini alla vigilia della marcia su Roma, che parevano venire incontro alle concezione di quei circoli navali che avevano propugnato una potente marina da guerra. Come su altri piani, il fascismo intendeva reagire alle scelte degli ultimi governi liberali, ed anche in materia navale il nuovo governo era deciso a dare alla marina da guerra una posizione di prim’ordine nel Mediterraneo per sostenere il ruolo che in politica estera Mussolini pensava di far svolgere all’Italia. A tale riguardo vi era una grande convergenza tra gli intendimenti mussoliniani e le aspettative di quegli ambienti navali che, desiderosi di “risollevare il prestigio fortemente scosso“ dai provvedimenti di smobilitazione adottati dal ministro Secchi, si schieravano a sostegno della politica di recupero della “dignità internazionale“ dell’Italia promessa da Mussolini»427.

D'altronde, sarebbe stato impossibile condurre una politica estera di prestigio internazionale senza potenziare la Marina Militare, elemento indispensabile per poter contare di più nel mondo. Il Duca del Mare sembrava la persona ad oc per riportare la Marina a quella efficienza indispensabile ora richiesta non solo dalle esigenze di politica interna, ma anche e soprattutto da quelle internazionali. Revel accettò l’incarico ben consapevole delle reali condizioni delle marine. Il ramo mercantile428 si era visto più che dimezzare il tonnellaggio complessivo429 a causa degli affondamenti durante la

425

Ivi, p. 70 e segg.; De Felice R., Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Milano, Mondadori, 1977, pp. 94- 140.

426 Il desiderio della Marina era invece quello di raggiungere il controllo di molte linee di comunicazione nel

Mediterraneo proprio attraverso il consolidamento del rapporto con la Gran Bretagna. Cfr., Giorgerini G., Da

Matapan al Golfo, cit. p. 149.

427 Minardi S., Il Disarmo Navale italiano, cit., p. 25-26. Cfr, Pizzigallo M., Il ruolo della Regia Marina nella

Politica estera, in Rivista Marittima, dicembre 1975, p. 35.

428

La Marina Mercantile rimarrà di pertinenza del dicastero della Marina fino al 1924, ossia fino a quando questa non sarà trasferita al dicastero delle Comunicazioni.

429 La flotta mercantile italiana poteva contare su 1.308.273 tonnellate di cui il 62,5% di costruzione inglese.

Durante gli anni di guerra le furono affondate oltre 955.891 tonnellate di mercantili. Nei cantieri nazionali, in quei anni di guerra furono varati solo 32 piroscafi, a causa della carenze di materie prime, per di 181.881 tonnellate. Cfr., E. Ferrante, La Grande Guerra, cit., pp. 102-104. Sul ruolo della Marina Mercantile: Corbino E.,

La marina mercantile nella vita economica e nel quadro delle forze militari di una Nazione, in «Rivista

140 guerra e necessitava, quindi, di cospicui ed immediati investimenti per una rapida ricostruzione430. Gran parte della flotta militare era da ricostituire, mentre la condizione sociale interna al paese, non ancora del tutto stabilizzata, costringeva la marina a tenere le grosse navi lontane dai porti e dai grandi plessi cantieristici onde sottrarre gli equipaggi a malsane idee rivoluzionarie431. Nonostante le svariate difficoltà organizzative e la smobilitazione quasi del tutto completata, svariate urgenze politiche costrinsero la Regia Marina a completare gli equipaggi di alcune navi al fine di avere una aliquota di flotta operativa per assolvere ai compiti di politica estera432. Ma la Marina non è composta solo da navi, infatti ad essa facevano capo anche gli arsenali. Le necessità di bilancio e la politica di un rigoroso risparmio colpirono duramente anche questo settore così strategico. Perciò bisognò diminuire considerevolmente il gran numero del personale degli arsenali che contava oltre 26.000 operai433. Faceva da cornice a questo quadro complesso anche la posizione diplomatica italiana nel nuovo contesto internazionale non certo facile. La Francia, dopo la breve pausa della

430

Molto fu fatto al riguardo nei primissimi anni del dopoguerra. Infatti la necessità di implementare immediatamente la nostra flotta mercantile fece si che nel 1919 furono varate 17 navi mercantili per un tonnellaggio complessivo di 92.900; nel 1920 furono varate 15 navi per un tonnellaggio complessivo di 78.640 e nel 1921 furono varate 31 navi per un tonnellaggio complessivo di 143.193 il massimo mai realizzato nel ramo mercantile dall’Unità ad allora. I dati qui riportati sono stati presi da: Romeo R., Breve Storia della, cit., Tav. 13. Questo dato assume una valore di eccezionale importanza se si considera che il ramo militare riuscì, in questo periodo, a mettere sugli scali navali ben poco.

431

Già dal 1919 la Marina provvide a tenere equipaggi e navi lontane dai porti. In questa direzione andava la circolare inviata da Revel, allora Capo di Stato Maggiore, del 1° giugno del 1919 nella quale si legge: «Evitando di tenere ormeggiate in banchina le navi attive, si potranno allontanare gli equipaggi dalle influenze sovversive». Cfr., Giorgerini G., Da Matapan al Golfo Persico, cit., p. 97.

432 Sulle difficoltà di approntare navi in questo periodo e sul loro impiego in campo internazionale si legga:

Viglieri A., In Mare, In Cielo, In Terra. Vicende di pace e di Guerra 1915-1945, Milano, Mursia, 2009.

433

Secondo Rochat solo con l’avvento del fascismo la marina si poté permettere di risolvere il problema dell’esubero degli operai dei suoi arsenali tramite i licenziamenti «L’avvento del fascismo permise alla marina di risolvere il problema della gestione dei suoi arsenali, che con 26.000 operai rappresentavano un peso rilevante. Con un decreto dell’aprile 1923 tutti questi operai vennero licenziati in tronco; 500 vennero riassunti come

permanenti, mentre gli altri ebbero la qualifica di temporanei o di giornalieri, che consentiva di farli lavorare a

minor prezzo e solo quando erano necessari. Il totale degli operai della marina scese a 12.000 nel 1923-24, per poi tornare a salire negli anni seguenti, sempre alle stesse condizioni di brutale sfruttamento. Analoga sorte ebbero gli operai degli stabilimenti dell’esercito. È significativo che gli operai fossero l’unica categoria pesantemente colpita dal riordinamento delle forze armate» in Breve storia dell’Esercito, cit., p. 238. È a questo punto doveroso fare delle precisazioni. Non si può convenire con le affermazione del Rochat almeno per ciò che concerne il discorso cantieristico navale. La Marina, che aveva raggiunto il suo massimo di consistenza nel 1918 con 6.500 ufficiali e 139.000 tra sottoufficiali e truppa, si vide subito impegnata nel lungo e difficile compito della smobilitazione. Se per l’esercito la smobilitazione può essere realizzata semplicemente cancellando dall’organico battaglioni e Rgt. o divisioni, in marina, che è composta essenzialmente di navi, se essa viene realizzata con eccessiva precipitazione, si pone poi il problema di non avere più gli equipaggi per i bastimenti. Va poi ricordato che già con il Ministro Sechi la marina aveva pesantemente ridimensionato il corpo ufficiali e truppa. Da lì a breve la Regia Marina avrà in organico poco più di 2.200 ufficiali e 40.000 uomini tra sottoufficiali e truppa. Con queste cifre un comparto operaio di 26.000 unità è assolutamente ed oltremodo sproporzionato, in quanto costituirebbe oltre il 50% degli effettivi di marina. Bisogna ricordare che nonostante il cattivo stato della flotta la Regia Marina ricomincerà il programma delle nuove costruzioni solo nel 1925. Per questi motivi non si possono ritenere attendibili le affermazioni del Rochat riguardanti la Regia Marina. Cosa diversa nella realtà delle cose fu l’atteggiamento del Regio Esercito che di fronte al piano di riforma del Generale e Ministro della Guerra Di Giorgio alzò le barricate, costringendo Mussolini a esonerarlo dall’incarico e ad assumere personalmente la direzione di quel dicastero.

141 Conferenza di Washington, aveva ripreso la sua ormai tradizionale politica di egemonia nel continente. In più Parigi non fece mai segreto di voler aumentare la propria influenza nel Mediterraneo, il che, naturalmente, la portava ad avere maggiori contrasti non solo con Londra, ma sopratutto con Roma. Per cui, paradossalmente, dopo il simposio americano, la necessità francese di isolare politicamente l’Italia si acuì non poco, inducendo il governo parigino a rinnegare la parità navale con il bel paese sul naviglio militare leggero. La scomparsa dell’ombrello politico triplicista, il mancato possesso delle coste orientali dell’Adriatico e la creazione della Jugoslavia434, ponevano il giovane regno italiano in una situazione di oggettiva debolezza non solo politica, ma anche e soprattutto navale.

Eppure le difficoltà non erano terminate. Infatti la Grande Silenziosa, si doveva confrontare con un'altra problematica forse anche più complessa e sinceramente più insidiosa di quelle enunciate in precedenza, ossia: lo studio e l’analisi dei nuovi mezzi nella guerra navale. La Grande Guerra aveva stravolto e rivoluzionato non solo la guerra terrestre ma anche e soprattutto quella navale. Il passaggio dello scontro navale dal mondo monodimensionale a quello tridimensionale, con la comparsa dell’aereo e del sommergibile, aveva profondamente mutato i concetti base della guerra in mare e del suo dominio. Beninteso ogni conflitto porta con sé un certo grado di innovazione tecnologica e quindi bellica, che a loro volta modifica le strategie militari e mezzi adoperati. Ma nella storia una trasformazione di tale portata non si era mai vista prima. Per cui tutte le marine negli anni immediatamente successivi all’inutile strage435, si chiusero nei loro uffici per meglio studiare i nuovi mezzi e le nuove strategie. Naturalmente quella italiana non fece eccezione. Per cui oltre al problema dell’instabilità sociale e politica, a quello relativo alla dismissione della flotta ormai vetusta, ad una precoce smobilitazione e ad una feroce politica di tagli economici, la Marina Militare dovette far fronte alla necessità di analizzare e studiare i nuovi mezzi navali ed il loro impiego. Quest’ultimo aspetto, che agli occhi dei più potrebbe risultare di poco interesse e di insignificante valore, costituisce, invece, un elemento di fondamentale importanza. Infatti proprio attraverso quelle analisi e quegli studi la marina avrebbe costruito la propria flotta e stabilito il suo impiego con eccezionali ripercussioni sia nella politica interna e sia in quella estera. Per queste ragioni fu creato a Livorno nel 1921, alle dipendenze dell’Accademia, l’Istituto di Guerra Marittima436 alla cui direzione fu chiamato un noto studioso di indubbia fama come il neo promosso Capitano di Vascello Romeo Bernotti.

434

Sulle relazioni italo-jugoslave del periodo si veda: Bucarelli M., Mussolini e la Jugoslavia 1922-1939, B. A. Graphis, Milano, 2006; Monzali L., Antonio Tacconi e la comunità italiana di Spalato, in Atti e Memorie della

Società Dalmata di Storia Patria, Vol. XXXIV; Il Sogno dell’Egemonia. L’Italia, la questione jugoslava e l’Europa centrale, Le Lettere, Firenze, 2010; Di Nolfo E., Mussolini e la politica estera italiana 1919-1933, Padova, 1960;

Carocci G., La politica estera dell’Italia fascista 1925-1928, Roma-Bari, 1969; Luciolli M., Mussolini e l’Europa. La

politica estera fascista, Le Lettere, Firenze, 2009.

435 Lettera del Santo Padre Benedetto XV ai Capi dei popoli belligeranti, 1° Agosto 1917. 436

Sulla creazione dell’Istituto si veda Bernotti R., Cinquant’anni nella Marina militare, Mursia, Milano, 1971, pp. 120-135

142 L’Istituto437 non si presentava come una scuola ma come un laboratorio di pensiero che affrontava le più importanti tematiche navali con convegni, conferenze e seminari438. Sul tavolo tattico, invece si analizzavano i problemi tecnici, tattico-strategici ed organici. I lavori iniziarono nel 1922 e l’anno dopo fu adottato il lavoro dello stesso Bernotti dal titolo La Guerra Marittima439. Per meglio comprendere le molte interconnessioni tra politica, economia, trasporto e Marina è interessante leggere alcune righe scritte dallo stesso Bernotti:

«… il potere militare esercita sulla politica un’azione di carattere virtuale, inquantochè ogni Stato ha voce nel mondo in modo subordinato alla forza con cui potrebbe appoggiare le sue esigenze nel caso di un conflitto. La guerra non è che la continuazione della politica440; … L’influenza del potere