Ricomposto lo scisma e giunto il riconoscimento pontificio al patriarcato “longobardo” di Aquileia, papa Gregorio II concesse al suo titolare Sereno il pallio85, simbolo dell’autorità metropolitica del presule ancora residente a Cormóns sulle diocesi rientranti in ambito longobardo (compresa la lontana Como, staccatasi da Milano durante la crisi tricapitolina86): da allora il presule residente in terraferma sarà denominato “forogiuliese” – come a dire cividalese – e resterà definitivamente privo delle diocesi della Venetia maritima d’influenza bizantina, suffraganee del patriarcato “gradese” di Aquileia rimasto indipendente, come il pontefice chiarì perentoriamente allo stesso Foroiuliensis antistes Sereno esortandolo a rinunciare a diritti e giurisdizioni altrui accontentandosi di quelli già in suo possesso87. Posizione ribadita in maniera ancor più esplicita dal sinodo romano del 731, che legittimò perpetuo il patriarca Antonino «di Nova Aquilegia, cioè della città di Grado» e i suoi successori come metropoliti dell’intera odierna area lagunare veneto-friulana e dell’Istria, mentre invitò ad accontentarsi di contenersi entro i confini longobardi l’antistite forogiuliese Sereno e quanti gli fossero succeduti «nel castello Cormonese, in cui al presente ha scelto di stabilirsi»88.
A quel punto, le cose apparivano “cristallizzate” sicché per il patriarca aquileiese “di terraferma” non era più strettamente indispensabile risiedere a Cormóns: l’antica Aquileia però, venuta suo malgrado a trovarsi in posizione periferica, era altresì troppo vicina al confine e quindi eccessivamente esposta a eventuali aggressioni da sud; d’altro canto, pareva assodata una sorta di tacita identificazione fra il patriarcato ancorato nell’entroterra – ormai definito “foroiuliense” tout
court – e il ducato longobardo, sicché un eventuale spostamento della residenza patriarcale nel capoluogo ducale Forum Iulii non pareva più fornire argomenti utili all’eventuale «contestazione del mancato mantenimento della titolarità aquileiese» da parte del patriarcato gradese89.
Verosimilmente sulla base di tali considerazioni (ancorché non si possa completamente escludere, almeno come concausa, l’invidia per la miglior sorte toccata a un proprio suffraganeo,
85 Secondo VILLA 2006c, p. 777, nel 723 (TAVANO 2006a, p. 190, anticipa la data della concessione al 715 ma attribuendola erroneamente a Gregorio III). Sul papa Gregorio II, vd. DELOGU 2000a.
86 Cfr. PIUSSI 2000, p. 127.
87 Cfr. PIUSSI 2000, p. 128, e MENIS 2000, p. 194; vd. Epistolae Longobardicae, 8, pp. 698-699, e cfr. DEGRASSI 1996, p. 16.
88 Vd. Epistolae Longobardicae, 14, pp. 704-705, e cfr. DEGRASSI 1996, p. 17.
119
cui accenna Paolo Diacono90), a prendere la decisione di lasciare definitivamente il munito sito cormonese optando per la nuova e più prestigiosa sede cividalese fu il patriarca Callisto, nobile longobardo molto gradito al re Liutprando e già arcidiacono dell’ecclesia trevigiana, con il quale «il processo di convergenza tra il patriarcato forogiuliese e il regno longobardo giunse a completamento»91. Nel 737 ca. egli lasciò Cormóns e si portò a Forum Iulii che, definitivamente superato il traumatico “passaggio” avarico, andava fra l’altro dotandosi di rinnovati edifici civili e religiosi, ivi comprese la residenza ducale e le dimore dei maggiorenti92. Giuntovi, allontanò il suffraganeo zugliese Amatore dal palazzo episcopale in cui si era trasferito quel vescovo Fidenzio che l’aveva preceduto sulla cattedra episcopale di Iulium Carnicum: sfidando le ire del duca Pemmone, Callisto si stabilì nel capoluogo insediandovi la nuova sede ufficiale del patriarcato
foroiuliense93 e, liberatosi dalle mene ducali grazie al diretto intervento regio (la destituzione di Pemmone espressione i nuovi equilibri tra vertici politici ed ecclesiastici, prologo della pacifica convivenza di duchi e patriarchi nella medesima città), trasformò quell’area episcopale urbana “sottratta” al presule carnico facendovi erigere la grande chiesa sotto il titolus della Vergine Maria, in cui fu poi collocata la cathedra per la solenne investitura temporale dei patriarchi94; a ridosso fece costruire il battistero ospitante l’ottagonale fonte battesimale tuttora ammirabile nel “Museo Cristiano e Tesoro del Duomo” di Cividale del Friuli e sul cui tegurium resta inciso il suo nome («tegur/ium ... Calisti beati ornabi(t)»)95, mentre volle che il lato opposto di quello stesso “rione” urbano96 fosse riservato al palacium patriarchale, sostituendo o quantomeno ristrutturando e ampliando l’edificio in cui s’era prima insediato Fidenzio97; costruzione che pare addirittura preesistesse pure all’arrivo dei transfughi dall’episcopio di Zuglio, dunque riferibile all’ipotizzata
90 Historia Langobardorum, VI, 51: «Quod Calisto, qui erat nobilitate conspicuus, satis displicuit, ut in eius diocesi cum duce et Langobardis episcopus [il suffraganeo zugliese Amatore] habitaret et ipse [che di quello era “più in alto” nella gerarchia, essendo il suo metropolita] tantum vulgo sociatus vitam duceret. Quid plura?».
91 PIUSSI 2000, p. 128; vd. pure TAVANO 2006a, p. 190.
92 Cfr. DEGRASSI 1996, p. 17.
93 Historia Langobardorum, VI, 51: «Contra eundem Amatorem episcopum egit, eumque de Foroiuli expulit atque in illius domo sibi habitationem statuit»; e cfr. almeno DEGRASSI 1996, p. 18.
94 Vd. DEGRASSI 1996, p. 18, e PIUSSI 2000, p. 128.
95 L’iscrizione è grande e ben conservata, sicché la lettura diretta non risulta difficoltosa. PAPINUTTI 1972, p. 66 e nt. 183, scrive giustamente che pur essendo impossibile riproporre il «Battistero costruito dal Patriarca Callisto», del quale «rimangono solamente piccoli frammenti», tuttavia «si può pensare ... che avesse la forma ottagonale», allora «comune a molti Battisteri»; nondimeno, è bene evitare di escludere del tutto l’ipotesi di una forma esagonale, di matrice nordafricana e ben attestata ad Aquileia (si pensi alle vasche battesimali).
96 Peraltro non troppo lontano da quello riservato ai cittadini cividalesi di religione ebraica, la Giudaica (che ancor oggi si distingue per l’altezza dei suoi edifici antichi), su cui vd. almeno VISINTINI 2009, pp. 16-18; e cfr. PAPINUTTI 1972, pp. 106-107 nt. 292 (pur in presenza di elementi antiebraici nelle costituzioni sinodali emanate nel 1338 dal patriarca Bertrando e nel Processionale di Cividale, in città non si ricordano misfatti).
97 La «domus» in cui il patriarca «statuit» la propria «habitationem», secondo le parole di Paolo Diacono, che anticipano la tipica espressione tardomedievale «domus habitationis» cui rinvia direttamente anche il titolo del volume sull’arredo domestico nel Friuli tardomedievale (FIACCADORI –GRATTONI D’ARCANO 1996).
120
sede vescovile “cividalese” paleocristiana98. Per usare le parole del domenicano Giovanni Francesco Bernardo Maria de Rubeis, «post haec Patriarca ad Civitatem rediens, ibi Ecclesiam et Baptisterium Sancti Ioannis, atque Palatium Patriarcale construxit»99: ebbero così il loro inizio per così dire ufficiale le vicende di un complesso che, con le successive modifiche e gli inevitabili rimaneggiamenti, avrebbe svolto egregiamente per circa otto secoli le proprie funzioni residenziali e di rappresentanza. Mai però – è bene ribadirlo – da solo.
Quella sintetizzata finora è la versione dei fatti ancor oggi più diffusa, ma è doveroso aggiungere che ne esiste una del tutto divergente rispetto a quella divenuta tanto familiare agli studiosi da essere ormai data per scontata e considerata pressoché indiscutibile: contrariamente a quanto abitualmente si scrive, e come a suo tempo Gian Giuseppe Liruti fece notare, è tutt’altro che certo il fatto che si debba «attribuire a Calisto il trasporto della residenza de’ Patriarchi d’Aquileja da Cormone nella Città di Friuli Forogiulio», pertanto non è affatto detto che «innanzi di Calisto alcuno di que’ Prelati» aquileiesi «non abbia avuta in quella Città stanza, e residenza», non tanto considerando che in una lettera di papa Gregorio III «il Patriarca Sereno precessore di Calisto viene chiamato Forojuliensis Antistes» quanto osservando che Paolo Diacono attesta che «apud Forumjulii sublato e rebus humanis patriarcha Sereno», sicché si potrebbe ipotizzare che già prima di Callisto i patriarchi di Aquileia «avessero stanza, e residenza nella Città di Forogiulio» e in tale ottica «si potrebbe giudicare non ingiusta la condanna di Pemmone fatta dal re Liutprando; e perciò per qualche circostanza giusta la cacciata del vescovo Amatore dalla residenza de’ suoi antecessori fatta da Calisto», viceversa da sempre giudicata iniqua ma basandosi unicamente «sull’informazione del fatto recataci dal Diacono»100. Se l’appellativo utilizzato dal pontefice – come si vedrà – ha più un valore “geopolitico” in quanto il patriarca di Aquileia spostatosi a Cormóns si dirà “forogiuliese” per distinguerlo nettamente da quello residente a Grado, l’annotazione di Paolo Diacono relativa alla morte di Sereno lascia davvero spazio a una lettura dei fatti diversa: se quel patriarca morì a Cividale, perché escludere a priori che nella città ducale già esistesse una dimora patriarcale? Magari considerata secondaria rispetto all’allora sede cormonese e perciò utilizzata solo di tanto in tanto, essa fornirebbe un appiglio più consistente per spiegare l’insediamento in Cividale dei vescovi trasferitisi da Zuglio, che Pemmone avrebbe accolto nella
98 Cfr. PIUSSI 2000, p. 129, e TAVANO 2000a. Già in passato si era parlato di una simile eventualità: per es. nel 1639 il provveditore veneziano Paolo Balbi, nella sua relazione al doge, aveva scritto che a Cividale «vi è un Capitolo Insigne et celebre non solo in Italia (…) decorato d’amplissimi Privilegi», sulla cui origine «per la grande sua antichità non ha certezza» eccetto il fatto che «haveva a’ tempi antichi proprio Vescovo, ma a’ giorni di Calisto Patriarcha 730 sotto Gregorio 2.do quella Città si contentò d’estinguerlo per ampliacione della Dignità Patriarchale, ritenendo però il Capitolo la Giurisdicione Ecclesiastica, et temporale che oggidì esercita»: BALBI 1847, pp. 5-6. In realtà, la “quasi episcopale” giurisdizione (ad instar
episcopi) attribuita all’Insigne Collegiata cividalese ha altre motivazioni: cfr. da ultimo BACCINO 2011, pp. 53-110.
99DE RUBEIS 1740, c. 321 (l’autore prosegue: «et Regis (Liutprandi) suffultus favore, Ecclesiam strenue gubernavit»).
121
capitale del ducato facendoli “accomodare” in un edificio degno del loro rango; inoltre spiegherebbe meglio la presunta espulsione di Amatore da parte di Callisto, il quale si sarebbe semplicemente limitato a riprendere possesso di una dimora patriarcale, già abitata dal suo immediato predecessore; in più giustificherebbe la condanna comminata al duca longobardo dal suo sovrano, evidentemente a conoscenza (purtroppo per Pemmone) sia dell’effettiva proprietà del bene cividalese in questione sia dell’esatto svolgimento dei fatti. Non si può escludere che il duca stesse tentando di assicurarsi un “proprio” vescovo, in certo qual modo “appropriandosi” di quello zugliese ormai abitante in città e che in questo suo tentativo sia stato fermato in tempo dall’azione congiunta del re e del patriarca: la diversa spiegazione fornita da Paolo Diacono circa un Callisto invidioso di Amatore potrebbe semplicemente essere una comoda versione di parte, riconducibile alla consorteria ducale; e tutto ciò senza doversi spingere fino a supporre l’esistenza di un palazzo vescovile pre-callistiano, con l’inevitabile estrema conseguenza di dover ammettere la presenza in città di un episcopus fra tarda Antichità e alto Medioevo101.
Pertanto, se da un lato ne resta irrobustita l’idea che l’itineranza dei patriarchi di Aquileia non sia affatto una mera consuetudine bassomedievale, d’altro canto bisognerà riaprire le indagini: per stabilire quale sia stato effettivamente il primo presule aquileiese a “trasferirsi” a Cividale, ma anche per identificare quello che fece costruire la residenza patriarcale cividalese. In entrambi i casi, accanto al nome di Callisto sarà d’ora in poi doveroso tenere sempre presente almeno quello di Sereno, che però – se non si vorrà ripetere lo stesso errore già commesso in passato – non potrà essere considerato né l’unico artefice e responsabile del “trasloco”, né il primo committente e dunque il fondatore del quello che finora è stato sempre ritenuto e chiamato “il palazzo di Callisto”.
Proprio a Cividale, fra l’altro, la liturgia aquileiese – il c.d. “rito patriarchino” – subì alcune significative varianti locali fin dall’alto medioevo, al punto da far parlare – perlomeno per la fase tardomedievale – di “liturgia cividalese” o “rito liturgico cividalese”102. Prima di loro nella Forum
Iulii ribattezzata Civitas Austriae in età carolingia aveva svolto il suo mandato anche il celebre patriarca Paolino che fu considerato santo poco dopo la dipartita103: a Cividale le sue spoglie trovarono riposo nell’804 «in una cripta che ci è descritta tutta adorna di barbariche sculture»; più tardi – almeno dal XII secolo – al suo nome sarà intitolata la cappella della residenza ufficiale dei patriarchi in città e nel XVI secolo le sue ossa, «come quelle del santo fondatore della Chiesa
101 Sull’ipotesi dell’esistenza di un’antica diocesi in Forum Iulii, cfr. da ultimo COLUSSA 1999, p. 69 e nt. 19.
102 Secondo FOGOLARI 1906, p. 39, ad opera di uno dei due patriarchi di nome Lupo, il primo residente nella città ducale intorno all’855 l’altro documentato almeno dal 944 (cfr. almeno PASCHINI 1990, pp. 38 (tav. I), 173 e 187-189); sul cosiddetto “rito cividalese”, vd. PAPINUTTI 1972, pp. 28-34 e 131, nonché cfr. ib. pp. 137, 139, 156 e 201 (più volte l’autore sottolinea in modo particolare l’evidente influsso monastico).
122
cividalese», furono traslate nella confessio del duomo di S. Maria Assunta, sicché «dalla sepoltura di Paolino la sede usurpata da Callisto venne consacrata ai destini del patriarcato, e la cattedrale cividalese assurse a santità non inferiore a quella di Aquileia», al punto che in seguito altri patriarchi di Aquileia chiesero esplicitamente di essere inumati in quel tempio, desiderando «giacere presso le ossa di s. Paolino»104.
I suoi diretti successori, Orso (802/11) e soprattutto Massenzio (811/38?), porteranno avanti il suo disegno per il rilancio di Aquileia, e il secondo – con il sinodo di Mantova dell’827 – sfiorerà l’impresa di riassoggettarle Grado105.
104 FOGOLARI 1906, p. 49 (e cfr. pure ib., p. 84; circa la menzione della principale chiesa cividalese come “cattedrale”, vd.
supra, cap. 1 nt. 84). Dopo l’iniziale sepoltura in crypta e in netto anticipo sulla translatio cinquecentesca, i resti di Paolino dovettero essere “spostati” proprio nella cappella – che gli fu intitolata – interna al complesso palaziale patriarchino di Cividale: la deposizione nella “chiesa di palazzo” aveva avuto illustri precedenti, fra cui quello di Carlo Magno, sepolto nell’814 all’interno della cappella palatina di Aquisgrana, nata non per diventare mausoleo ma «come parte integrante» del «vasto palazzo» che l’imperatore si era fatto costruire nella città renana, stabilendovisi nell’807 (cfr. BONELLI -BOZZONI -FRANCHETTI PARDO 1997, p. 669).
123