2.1.1 – Spunti ricavabili dai documenti d’archivio e dalla cartografia
Per quel che riguarda Aquileia, i dati attingibili dalla documentazione scritta sono molti e di vario soggetto: si va dal più antico palacium Aquilegie (1036)4 al novum palacium (1290)5 e alla
casaturris (1317)6, trovando attestazioni relative all’esistenza della capella palatii7, della sala
magna posta al piano superiore (1371)8, della camera cubicularis del patriarca (1397)9, del giardino (1351)10 e così via, fino a veri e propri dettagli – tanto rari quanto preziosissimi per la presente ricerca – come le finestras versus occidentem cui si accenna in un documento redatto intorno al 124111.
D’altro canto, le più antiche mappe “topografiche” della città medievale a tutt’oggi note, che gli studiosi ritengono di non poter datare oltre il XVII sec. (sebbene una di esse possa ritenersi rifacimento di un “prototipo” quattrocentesco), parlano quanto meno di Palatium Pat(riarcale)
3 Sull’itineranza dei signori territoriali, vd. PEYER 2003 e cfr. PARAVICINI BAGLIANI - PIBIRI - REYNARD 2003. Cfr. pure la scelta di Federico II di Svevia: abbandonata «l’idea di un palazzo fisso, centro stabile dello stato», seguita dai sovrani normanni che l’avevano preceduto e rilanciata all’epoca da altri re europei un tempo itineranti (per esempio quello francese), egli si spostò sempre fra numerosi palazzi (che definiva preferibilmente domus) perché «il centro dello stato era il re-imperatore, ovunque si trovasse,» anche se questo poi «non facilitò l’amministrazione del Regno, né la conservazione dei documenti della Curia» (MARTIN 2006, p. 448).
4 HÄRTEL 2005a, n. 1.
5 LEICHT 1917, n. 27.
6 ZENAROLA PASTORE 1983, p. 90.
7 HÄRTEL 2005b, n. 5*.
8 LEICHT 1925, n. 244 (e ancora n. 252, del 1373).
9 LEICHT 1925, n. 398 (ma anche n. 521, del 1415).
10 ZENAROLA PASTORE 1983, p. 179.
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dirutum quando non – genericamente ma forse più esplicitamente – di Ruine del Palazzo
Patriarcale12.
Di quelle rovine attualmente resta ancor meno, ossia una coppia di pilastri su cui ci si soffermerà più avanti13 ma delle quali si può già anticipare che si conserva una descrizione messa per iscritto verso il 1749 da Giandomenico Bertoli (1676-1763) pur senza riconoscerle per quel ch’erano state («a qual uso elleno abbiano anticamente servito, non si sa di certo. Congietturasi però, che abbiano servito a sostennere il tetto di un qualche portico appresso della Cattedrale »)14. Il canonico lasciò pure lo schizzo di una di esse e descrisse «alcune basi fatte di muro, disposte tre passi in circa l’una dall’altra» scoperte anni prima e «collocate in guisa che formano linea retta con queste due colonne ... paralella al muro della Cattedrale poco discosta», subito dopo aver disegnato il lato est del «bel recinto di muro ... fornito di merli» del complesso patriarchino (all’epoca ancora visibile, «sendo le altre due facciate» superstiti «affatto diroccate») accompagnato da una preziosa
12 La prima definizione è desunta dall’olio su tela datato 1693, più volte edito e attualmente conservato al Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo di Udine; la seconda e più estesa enunciazione è invece riportata al n. 11 della legenda posta a margine della Civitatis Aquileie quemadmodum nunc iacet fidelissima Topographia, stampata nel 1865 e anch’essa ben nota, riportante in calce la nota che trattasi di «copia di disegno» del 1435 che il conte Nicolò de Concina «ha fatto trarre dall’<originale> presso di Lui esistente».
13 Vd. infra, 5.1.1.
14 Sull’erudito meretese, vd. da ultimo PASTRES 2009, ma cfr. pure Gian Domenico Bertoli 2001, in particolare BRUNETTIN
2001b e CAIAZZA 2001.
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descrizione della situazione da lui stesso constatata di persona (per il resto, scrisse, «congietturasi, che non poca parte di esso sia ascosta sotterra»)15.
Quanto a Cividale, al palatium/palacium attestato sicuramente dal XII sec. (1193)16 ma già in precedenza adombrato da documenti menzionanti un solarius patriarche (1091), la curia
patriarchalis antistante l’ecclesiam Sancti Paulini (1126) e la camera domini venerabilis patriarche (1178)17, si aggiungono il palazzo maior (1233)18 e la nova domus palacii (1309)19, nonché altri riferimenti alla lobia palatii (1277)20, alla camera cubicularia del patriarca (1337)21 preceduta da un’anticamera patriarcalis (1261)22, alla camera audientie e al thinellum magnum (1382)23 ecc., nonché – più tardi – alla stupa inferioris (1401)24 e al paveglionus superior (1414)25. Si tratta anche
15 BSU ... BERTOLI Tomo III …, nn. MLXXV-MLXXVI, cc. 189-190.
16 HÄRTEL 2005a, nn. 39 e 66. 17 COLUSSA 1999, p. 76, nn. B7-B10. 18 BERNHARD 2006, n. P21. 19 LEICHT 1917, n. 51. 20 LEICHT 1917, n. 16. 21 LEICHT 1925, n. 138. 22 COLUSSA 1999, p. 77, n. C3. 23 LEICHT 1925, n. 318. 24 LEICHT 1925, n. 416. 25 LEICHT 1925, n. 492.
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in questo caso di un mero elenco esemplificativo, nell’ultimo quindicennio già aggiornato più volte attingendo a documentazione inedita o di antica edizione26.
In un’ottica cartografica propriamente intesa, non si segnalano al momento mappe cividalesi concernenti il palazzo patriarcale o parte di esso; tuttavia è doveroso almeno accennare ai disegni e agli appunti di padre Gaetano Filippo Sturolo (1738-1800), dei quali a suo tempo si riparlerà più diffusamente27. Qui si ricorderà soltanto che, per quanto tarda, questa interessante fonte documentaria fornisce dati non del tutto affidabili secondo la maggior parte degli studiosi, eppure innegabilmente da annoverare fra le poche informazioni riepilogative esistenti riguardo l’intero complesso patriarcale di Cividale e più affidabili di quanto si pensi. Per esempio l’immagine del «Borgo del Duomo, stanze capitolari, palazzi antico, e nuovo patriarcali, &c.», comprendente fra l’altro (n. 3) il «Palazzo Patriarcale di Calisto Patriarca di 80 Stanze» e (n. 4) il «Palazzo nuovo Patriarcale, ora Nordis»; o ancora la doppia raffigurazione della facciata del patriarchio, che ne ripropone due fasi piuttosto diverse ...
26 Vd. COLUSSA 1999, pp. 75-81 (e cfr. BORZACCONI 2009).
27 Vd. infra, 5.1.2. Su Gaetano Filippo Sturolo, vd. CAGNELUTTI 2009b.
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Per quel che concerne Udine, «città che» rispetto alle “rivali” o presunte tali «aveva il vantaggio della centralità»28, esiste una quantità di dati ancor più cospicua, al punto da risultare molto difficile da padroneggiare per la rielaborazione a causa della sua sovrabbondanza. La si riprenderà puntualmente al momento di descrivere il caso specifico del palatium udinese: in questa sede si ritiene tuttavia opportuno segnalare la presenza di elementi finora non emersi altrove. È il caso, per esempio, della camera cubicularia vicedomini (1359)29 e della camera superioris turris
palatii (1364)30, oppure della bella definizione curia omnibus patentissima (1366)31, o ancora della
camera studii (1343) poi forse ridenominata stupha castri (1382), prima della distinzione fra una
stupa magna e una stupa parva (1414)32. Ma è soprattutto il caso della camera aquilarum et leonum
pallacii (1366) – detta in precedenza genericamente camera magna depicta (1343) e in seguito abbreviata camera aquilarum (es. 1378) o camera leonum (es. 1414)33 – che al momento pare l’unica “descrizione” conosciuta che accenni in maniera sufficientemente esplicita e comprensibile all’apparato iconografico di un ambiente interno a uno dei palatia dei patriarchi di Aquileia34. A proposito del palazzo udinese, va altresì sottolineata la menzione di una «camera studii domini patriarche» prima dell’attestazione di una o due stupe: il vano denominato “stupa” era «analogo al “camino”» in quanto al suo interno era possibile aumentare la temperatura, ma ne differiva per dimensioni («un ambiente piccolissimo»), modalità di riscaldamento («una stufa “ad olle” in maiolica») e funzione principale («questi ambienti erano usati come studioli: facilmente riscaldabili d’inverno, soprattutto rispondevano al desiderio di raccoglimento che qui si ricercava»)35; nel palazzo patriarcale di Udine, però, le fonti più tarde distinguono nettamente la stupa parva dalla
stupa magna e, mentre la prima può senz’altro corrispondere alla caratteristiche di uno studiolo e quindi coincidere con la camera studii ricordata settant’anni prima, è ben difficile che l’altra potesse nel contempo risultare “piccolissima” e definirsi «magna», sicché pare verosimile si trattasse piuttosto di una caminata36.
28 MENIS 2004, p. 11: ciò perlomeno rispetto al territorio più propriamente friulano. Quanto alla «vivacità economica», di cui pure parla l’A. (ib.), nel basso medioevo essa certo non difettava a Cividale e, a giudicare dai più recenti approfondimenti in materia, neppure ad Aquileia. Si tratta di un vecchio luogo comune, radicato al punto che risulta ancora piuttosto difficoltoso anche il mero tentativo di metterlo in discussione.
29 LEICHT 1925, n. 180.
30 LEICHT 1925, n. 208.
31 LEICHT 1925, n. 223.
32 Rispettivamente: BRUNETTIN 2001, doc. 24, p. 247; VENUTI 2004, p. 265; LEICHT 1925, nn. 465 e 497.
33 LEICHT 1925, nn. 145, 219, 262 e 493.
34 Verosimilmente si trattava di un ornato per così dire “araldico”, ben diverso dal «continuum panottico» di altre camerae
pictae coeve del nord Italia, abilmente presentato in DE MARCHI 2013. È stato possibile reperire una traccia di qualcosa di simile anche per il palazzo di Cividale, ma per il momento si tratta soltanto di un’ipotesi: cfr. infra, cap. 4.2. Sulla decorazione degli interni dei palazzi episcopali, cfr. fra l’altro BARRAL I ALTET 2007, pp. 176-177.
35 GRATTONI D’ARCANO 1998, p. 106. Sullo studiolo medievale e il suo arredo, vd. soprattutto LIEBENWEIN 1988 e cfr. inoltre ANTONELLO 1998 e CANDIANI 2002, pp. 72-73.
36 Nel castello di Zoppola si conserva tuttora il piccolo studiolo affrescato detto “studiolo del patriarca” perché acquisito all’alba del Quattrocento – dopo l’estinzione del ramo maschile dei signori di Zoppola – da Antonio Panciera, da poco
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Considerando sufficiente quanto fin qui esemplificato a proposito delle informazioni desumibili dalla documentazione d’archivio, anche per le altre località che nel tempo ospitarono residenze utilizzate dai principi-vescovi aquileiesi (si pensi, per esempio, alle raffigurazioni seicentesche del palazzo patriarcale sanvitese in alzato nelle diverse vedute della Terra di San Vito), ci si riserva di inserire i relativi riferimenti all’interno delle rispettive descrizioni riportate al capitolo quinto37.
2.1.2 – Spunti ricavabili da sopravvivenze architettoniche, scavi archeologici e
opere d’arte
Molto meno frequente è risultato possibile attingere direttamente a resti palaziali in alzato e fruibili, più o meno liberamente: quella che potremmo considerare la “casa madre”, cioè il palacium di Aquileia, è da tempo scomparso e ne sopravvivono soltanto le due colonne di cui si è già parlato. Dal canto suo, il palatium di Cividale fu definitivamente atterrato tra il 1553 e l’inizio del settimo decennio del XVI sec. per lasciar posto alla sede dei locali rappresentanti della Serenissima (Provveditori) più tardi detta anche “palazzo pretorio”38, fra l’altro disperdendo «molte particelle» della «superba fabrica» tra «le case di coloro che ebbero il carico d’adeguarla a terra»39. Anche sull’isolato colle morenico che domina l’agglomerato urbano udinese nulla più pare ricordare direttamente la storica dimora patriarcale ivi ubicata né le case degli habitatores, le sedi degli uffici ecc. In questo caso, però, sussiste almeno una delle ecclesie castellane/palatine: la chiesetta di Santa Maria di Castello, pieve matrice dell’intera area udinese, per secoli rientrò40 proprio nell’articolato
palatium castri o castrum et palatium41 patriarcale di Udine.
Ben più interessante si fa il discorso qualora si sposti l’attenzione sull’archeologia: tralasciando sotto questo profilo il caso di Cividale – al quale sono stati dedicati studi approfonditi in anni relativamente recenti e i cui esiti sono stati resi fruibili al di sotto dell’odierna sede del Museo Archeologico Nazionale42 – si segnala piuttosto che proprio a Udine, al di sotto del palazzo del Luogotenente veneto tuttora abitualmente ma impropriamente definito «castello», rimangono
divenuto patriarca di Aquileia e più tardi nominato cardinale: vd. GRATTONI D’ARCANO 1998, p. 106. Sul patriarca portogruarese, vd. GIRGENSOHN 2006 e da ultimo SCALON 2014.
37 Vd. infra, 5.2.
38 Cfr. in particolare COLUSSA 1999, pp. 75 e 80 nn. D17-D20.
39 Parole di M.A. Nicoletti, risalenti al 1568 e ora riportate anche in COLUSSA 1999, p. 80 n. E3.
40 Cfr. per es. BERGAMINI -BUORA 1990, p. 121.
41 Cfr. per es. LEICHT 1925, nn. 130-131 (entrambi del 1335).
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interessantissimi resti archeologici riemersi nei decenni scorsi ma forse non ancora “pubblicizzati” come meriterebbero43.
Fra questi ultimi, in particolare, spiccano le fondamenta della torre a base triangolare che a lungo si era ritenuta mera leggenda: indagata soprattutto nel corso della campagna di scavo condotta nel 1989/90, in effetti essa era già attestata da una missiva cinquecentesca dell’architetto che curò i lavori di costruzione del nuovo edificio tuttora in situ44 e altresì da un documento iconografico – tanto prezioso oggi quanto negletto nel passato, in quanto a torto ritenuto una ricostruzione ideale – ancora consultabile presso la Biblioteca civica “Vincenzo Joppi” di Udine, essendovi conservato nel ms. Ciconi.
Si tratta del disegno acquerellato, generalmente datato al XVII sec. ancorché privo di datazione, raffigurante “a volo d’uccello” una cittadina murata facilmente riconoscibile per gli udinesi (coincide infatti quasi perfettamente alla porzione urbana un tempo racchiusa entro la cosiddetta “seconda cerchia” – corrispondente grossomodo all’odierno centro storico – vista da ovest) e comunque identificabile senza sforzo da chiunque, grazie all’intitolazione «Vtinum ...»: in posizione eminente, ulteriormente sottolineata dal fatto di ricadere nella parte alta del bozzetto, il nucleo del castello è rappresentato da un’alta torre a soli tre lati fiancheggiata da un più basso edificio cupolato (considerando la posizione, dovrebbe trattarsi della chiesa castrense) entro la più interna di due cinte di mura – ognuna dotata di almeno due “torrette” – recingenti l’altura svettante
43 Cfr. per es. BERGAMINI -BUORA 1990, p. 36 (sintesi dei risultati degli scavi del 1970 e del 1989/90).
44 Cfr. BERGAMINI -BUORA 1990, pp. 154-155 (lettera a Giorgio Corner). Il ritrovamento delle «turris triangularis vestigia» in occasione dello scavo del nuovo castello fu ricordato già da Giuseppe Sporeno intorno al 1550, nel suo Forumiulium, in base alle testimonianze dirette degli udinesi Pietro Antonio Sbroiavacca e Pietro Alcainio: LIRUTI 1740, p. 280.
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sull’abitato45. Alcuni fruttuosi confronti, come per es. quello costituito del castello sloveno di Šalek dotato di torre triangolare a cinque piani46, hanno indirettamente fornito un’ulteriore conferma all’ipotesi che la pianta triangolare della torre-mastio del castello di Udine fosse tutt’altro che leggendaria.
Né si possono tacere i resti del mastio medievale riemersi nel 1953, durante i lavori per l’ampliamento dell’acquedotto urbano. Nell’intento di costruire nel piazzale antistante il palazzo luogotenenziale delle moderne vasche in cemento in sostituzione di quelle tardottocentesche, sottoterra fortuitamente gli scavatori si imbatterono dapprima in una “galleria” sfociante a tramontana, quindi in una massiccia muraglia al centro del piazzale antistante il palazzo luogotenenziale e infine nelle fondazioni di una struttura a base quadrilatera lievemente decentrata verso il lato orientale del colle e interpretata come il mastio del castello medievale. Il tracciato della perduta struttura fu messo in evidenza segnandolo sul piazzale con un acciottolato di pari ingombro e con una epigrafe esplicativa («Fondamenta del mastio / del castello antico») inserita in prossimità del vertice sudoccidentale di tale “cornice”47. Scomparsa quest’ultima, oggi resta visibile in prossimità del pozzo – e dunque in posizione del tutto differente... – soltanto una lapide pavimentale similare, però recante un “distico” leggermente diverso da quello originario: «Qui preesistente il mastio / del castello medievale». Presso la Fototeca dei Civici Musei di Udine si conservano gli scatti in bianco e nero relativi agli scavi del 1953, scatti che rientrano fra le rarissime attestazioni per così dire dirette del mastio del castello medievale comprendente il palatium patriarcale (oltreché dell’iscrizione perduta, ancora chiaramente leggibile nelle istantanee d’epoca).
45 Cfr. per es. RIZZI 1983, p. 37.
46 Per es. in STOPAR - GABERŠČEK 2009, pp. 240-241.
47 Vd. BUORA 2009, pp. 152 e 157-158 ff. 14-17.
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Fruttuose fonti “indirette” a cui attingere nella ricerca di elementi ascrivibili ai diversi edifici e/o complessi architettonico-urbanistici oggetto del presente lavoro, si sono dimostrate opere d’arte e altre fonti iconografiche dalle quali è stato possibile raccogliere un discreto quantitativo di testimonianze. Solo per fare alcuni esempi, ancora pertinenti al caso di Udine, si possono elencare: – i sigilli del comune medievale di Udine, non solo il «sigillum comunis terre Utinensis» utilizzato almeno dal 1385 al 1411, ma anche quello «communitas Utini» impiegato prima del 1420 e quello successivo alla conquista veneziana («est Aquileiensis fides hec urbs Utinensis»), tutti caratterizzati da rappresentazioni similari di un castello difeso da più muraglie e caratterizzato da più torri e da un alto nucleo “cubico” con sovrastante torrione48;
– la celebre tempera su tavola raffigurante il beato patriarca Bertrando in preghiera nella sua camera all’interno del palazzo castrense turrito di Udine, opera attualmente custodita presso il Museo del Duomo della città friulana insieme ad altri due pannelli lignei similari (ma di maggiori dimensioni) raffiguranti la cosiddetta “Carità del beato Bertrando” e la sua morte alla Richinvelda49;
– la sommità di una torre alzante una bandiera bianca caricata dell’arme di Udine, accanto al volto della virtù cardinale della Fortezza (che forse reggeva nella mano sinistra il “modellino” del castello udinese, così come l’attigua Giustizia reca nella destra una spada sguainata) nel lacunoso affresco quattrocentesco ben visibile oggigiorno sulla parete meridionale dell’andito di accesso al moderno palazzo patriarcale ubicato in piazza Patriarcato50;
48 Vd. per es. RIZZI 1983, pp. 145-146 e 149.
49 Vd. DE MARCHI 2004 e BAGNAROL 2010.
50 L’immagine murale è sempre visibile nell’andito che permette l’accesso al Museo e all’Archivio diocesani, oltreché alla corte interna e all’appartamento dell’arcivescovo di Udine. Sul presunto “prototipo” di questi affreschi udinesi – il ciclo delle Virtù che a San Vito al Tagliamento ornava parte delle pareti del palazzo Altan – cfr. COZZI 1987, p. 35.
Udine, Bertrando prega nella sua camera.
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– l’affresco del Cavaliere con la spada sguainata inserito fra le storie del beato Odorico da Pordenone raffigurate nella chiesa di San Francesco a Udine (inizio Quattrocento), il cui scenale è costituito da un poderoso castello che «rivela nessi piuttosto evidenti con l’iconografia del nucleo fortificato che sta emergendo dalle nebbie del tempo»51;
– la miniatura policroma raffigurante a tre dimensioni il palazzo turrito, fra la chiesa di Santa Maria e il torrione dell’orologio con i “mori”, contenuta in un codice del De magno schismate di Antonio Baldana, redatto entro il 1419 e oggi conservato alla Palatina di Parma52;
51 RIZZI 1983, pp. 150-151 con fig. 133.
52 Cfr. GUERRINI 1992; tratta dal f. 7v del cod. 1194 della Biblioteca Palatina di Parma, l’immagine si può ora ammirare anche in Nuovo Liruti 1, p. 205.
Udine, la Fortezza.
Udine, cavaliere armato.
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– la Madonna con il Bambino di Bartolomeo Bon, inserita dal 1448 nell’edicola addossata allo spigolo nordorientale della “Loggia del Lionello”, recante nella mano sinistra un realistico modellino a tutto tondo del castello/palazzo patriarcale (nonostante «la torretta culminante del castelletto» sia stata rifatta durante il restauro della scultura effettuato nel 1954)53;
– l’altra Madonna con il Bambino svettante sulla cima della colonna di piazza San Giacomo, parimenti reggente un modellino del castello/palazzo patriarcale nella mano che, in analoghi gruppi scultorei, solitamente risulta libera54;
– il grande castello “cubico” con torre centrate e torretta, svettante al centro della straordinaria veduta della città di Udine che nella seconda metà del Quattrocento fu affrescata quale straordinario fondale alla Cavalcata di sant’Eustachio con i figli inserita nel comparto destro del registro mediano sulla parete sud dell’antica cappella Arcoloniani nel duomo cittadino55;
53 BERGAMINI 2006, p. 27 nt. 24 (e cfr. ib. pp. 26 e 32); per un’immagine pienamente leggibile, vd. RIZZI 1983, p. 147 (cfr. pure ib. p. 149). Giandomenico Ciconi a suo tempo scrisse che l’antico castello, torreggiante «sovra il colle» grazie al fatto di essere stato «costrutto con un maschio e varie torri, una delle quali più elevata», si poteva apprezzare «pure, scolpito nel 1448, nella mano sinistra della statua della Vergine all’angolo settentrionale del palazzo civico» (CICONI 1862, p. 446).
54 La scultura svetta sulla piazza del “Mercato Nuovo” davanti alla chiesa parrocchiale e, benché posta a un’altezza notevole, risulta ben visibile.
55 Vd. CASADIO 2004, pp. 134-135 e 147-152.
Udine, il modellino di B. Bon. Udine, il modellino di piazza S. Giacomo.
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– la coppia di vetratine policrome un tempo nella chiesa di Santa Maria di Castello, forse realizzate nella seconda metà del XV secolo (ma non pochi studiosi le ritengono più antiche) ed entrambe incentrate sulla figura della titolare con il Bambino, seduta in trono e porgente con la mano sinistra il modellino del pianoro castellano, comprendente la cerchia di mura più alta, l’antica pieve mariana e il cubico mastio/palazzo con torrione e torricella56;
– la “cantinella” lignea dipinta nella Casa della Confraternita (primo Cinquecento), sulla quale è effigiata una Madonna con il Bambino recante nella mano destra il grande modello del palatium (con torretta) svettante dalle mura del castellum57;
– il quadro devozionale raffigurante la Madonna con il Bambino fra i coniugi Gerolamo Savorgnan
e Maddalena della Torre, nel cui sfondo l’anonimo autore (si è parlato di Gianfrancesco da Tolmezzo, ma dell’opera restano solo due negativi fotografici) sullo scorcio del XV secolo
56 Vd. per es. RIZZI 1983, pp. 148-150 con figg. 130-131. Le due piccole vetrate sono custodite nella Galleria d’Arte Antica dei Civici Musei di Udine: cfr. BERGAMINI 2002, scheda 25, pp. 62-63.
57 Vd. per es. RIZZI 1983, pp. 148 (fig. 132) e 150.
Udine, vetratina della chiesa castellana.
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rappresentò in maniera minuziosa il castello medievale di Udine con il suo mastio/palazzo patriarchino sovrastato da torrione e specola58;
– l’acquerello inserito dal notaio Antonio Belloni nel suo manoscritto Fides & taciturnitas risalente al 1511, nel quale spicca (probabilmente per l’ultima volta prima del terremoto che in quello stesso anno ne segnò l’inizio della fine) il grande sito castellano di Udine nella ormai assodata struttura a mastio centrale quadrilatero con tarchiata torre centrale;
– la Vergine con il Bambino dipinta sulla copertina membranacea del codice della Confraternita di Santa Maria di Castello (custodito presso la Biblioteca Capitolare udinese), anch’ella raffigurata nell’atto di “offrire” il vecchio palazzo/castello patriarcale59;