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Da fortezza a residenza: il Palazzo di Leggiana

III.3. Città di Castello

III.4.1. Da fortezza a residenza: il Palazzo di Leggiana

La rocca o Palazzo di Leggiana, o anche Palazzaccio, da antica dimora appartenuta ai Trinci, dovette probabilmente acquisire la funzione di residenza extraurbana dopo la metà del Quattrocento e prima del 1643, dal momento che Ludovico Jacobilli nelle

Croniche della città di Foligno ne scrive che “ora la possiede” la famiglia Marcellese,

erede degli Atti di Foligno, che “l’ha restaurata”251. La maestosa struttura in pietre, oggi in stato di quasi totale abbandono, è costituita da un blocco compatto di tre piani compreso quello terreno, con sette finestre sul fronte principale nei due piani superiori e facciata con leggera deviazione, che segue il percorso della strada all’altezza delle ultime due aperture (figg. 4.1-3). Qui è peraltro riconoscibile la tamponatura di una finestra ad arco, con semplice cornice simile a quella del portone (figg. 4.4-5). Sull’angolo retrostante si innesta una torre, forse ridotta ad un solo piano in epoca successiva alla costruzione (fig. 4.6). Le notizie più antiche relative all’edificio sono connesse con le vicende dell’eredità di Corrado Trinci, ed in particolare con i passaggi di proprietà di alcuni suoi beni ipotecati per debiti e concessi successivamente a diversi creditori. La moglie Tanza, figlia di Nicola Orsini, conte di Manuppello, nel 1435 si era separata dal marito e si era trasferita a Roma dal fratello Sansonetto, presso la cui casa morì nel 1450252. Stando al racconto che ne ha lasciato Durante Dorio nella sua Istoria

della famiglia Trinci, due anni prima Tanza insieme alla nuora Orsellina Varani, moglie

di Ugone, aveva chiesto a papa Niccolò V di poter far valere i suoi diritti su alcuni beni del marito ormai defunto, che comprendevano il castello di Capodacqua, la rocca di Pasano, alcune case, tre molini, una valchiera a Rasiglia ed altre proprietà, tutti beni ipotecati per debiti di Corrado253. Il papa ne aveva concesso la restituzione, da parte di

251 JACOBILLI a,I,c. 65v; le Croniche, manoscritte, non sono datate, ma arrivano appunto fino all’anno

1643.

252 DORIO 1638,Lib.IV,p. 239; il fatto è raccontato anche nel Memoriale di Petruccio degli Unti, dove

Tanza risulta però essere la madre e non la moglie di Corrado “Memoria, che Madonna Tanza, madre del magnifico Signore Messer Corrado, si partì da Foligno a dì ultimo d’agosto, e fu di venerdì, e gissene a Roma. Perché non stava in grazia del detto magnifico Signore. Iddio vi metta buona pace”; DEGLI UNTI

1440,a. 1436, p. 34.

253 DORIO 1638,Lib.IV,p. 239; le proprietà elencate sono “il castello di Capo d’Acqua, la rocca di

Pasano, una casa con colombaio, tre molini, et una valchiera nelle pertinenze di Rasiglia, una casa con molino nella Villa di Fabriano, due case con colombari, giardino, un molino, e trenta sette pezzi di terra nelle pertinenze di Capo d’Acqua, tre pezzi di terra nella Villa di Collelungo, un pezzo di terra a Colfiorito, una casa con molino da olio dentro Foligno nella compagnia dell’Abbadia, l’hostaria della campana, una casa per le concie appresso il fiume del Molino di San Claudio, et una casa con orto

diversi creditori di Corrado che ne avevano preso possesso, a Tanza e Orsellina, le quali avevano così provveduto alla loro vendita, tranne che per il castello di Capodacqua e la rocca di Pasano, che erano invece entrati in possesso della Camera Apostolica e quindi del comune di Foligno254. Un certo Rinaldo di Corrado di Galasso Iugo da Foligno, risultando creditore di Corrado per una forte somma, nel 1444 aveva ottenuto da Eugenio IV il compenso di “un Palazzo con alcuni pezzi di terra nelle pertinenze della Villa di Liggiana, ch’erano d’esso Corrado”255. La costruzione del palazzo deve quindi essere anteriore a questa data e l’edificio doveva essere di notevole valore e buona rendita, se era stato sufficiente per soddisfare il creditore. Successivamente l’edificio e le sue pertinenze entrarono in possesso di Giovanni Salvato della famiglia degli Atti di Foligno e poi dei suoi discendenti, per finire ad Atto Vincenzo Marcellesi, figlio di Vincenza degli Atti256. Sempre secondo Durante Dorio, Giovanni Salvato “fu del 1463 capitano valoroso di ventura del commune di Bologna e marito della figlia di Gentile Monaldeschi della Vipera d’Orvieto, cognominato della Sala, per posseder il castello della Sala. Con sessanta suoi seguaci aiutò esso Gentile a rientrare in Orvieto sua patria, e del 1496 riconciliò i chiaravallesi con la città di Todi; fu uno de’ più formidabili capitani, che al suo tempo fussero nell’Umbria, et esso, et i suoi figli atterrivano tutta la Provincia; e casa sua, ch’haveva nella piazza di San Domenico dentro Foligno et il Palazzo ch’haveva nella Liggiana, villaggio di essa città, erano li ridotti de’ scherri e banditi nell’Umbria”257. Nelle Croniche della città di Foligno di Ludovico Jacobilli, all’anno 1463, si legge che “Gio. Salvato figlio del cavaliere Atto degli Atti da Fuligno, essendo huomo intrepido e molto valoroso nelle armi et havendo cinque figli et Onofrio suo fratello simili a lui nel valore delle armi, et essendo molto facoltoso e nobile nella patria se ne fa capo [...] tenendo circa trenta sgherri nella casa sua, che ha nella piazza di San Domenico e nel suo palazzo della Leggiana”258. In altra parte delle stesse Croniche, come abbiamo già ricordato, si trova che, all’epoca dello scritto259, proprietaria dell’edificio era la famiglia Marcellese: “Nella villa della Liggiana è sino al presente un antico Palazzo a guisa di Rocca o fortezza; fu posseduta dalla famiglia Trinci e del 1451

appresso il detto fiume del Molino, e la strada dentro Foligno. Il papa fece levar di possesso da detti beni molti Cittadini di Foligno, che l’havevano presi per crediti, ch’havevano nell’eredità di detto Corrado”.

254 Ivi, pp. 239-240. 255 Ivi,p. 240.

256 Ibidem, dove si dice anche che “l’altri beni d’esso Corrado pervennero in mano di diversi suoi

creditori; e le Città, Terre, Castelli e Villaggi ritornarono alla Sede Apostolica”; cfr. anche GREGORI

2004,p. 272, che, nella sezione dedicata al Palazzo di Leggiana, presenta però numerose imprecisioni.

257 DORIO 1638,Lib. I, pp. 69-70. Il Palazzo di piazza San Domenico, di fronte a Santa Maria Infraportas,

era la dimora degli Atti di Foligno: cfr. GREGORI 2004,p. 27.

258 JACOBILLI a,II,a. 1463, c. 351.

P. Calisto III lo concesse a Corrado Galassi di Jugo di Foligno insieme con altri beni vicini, che erano pure de’ Trinci, ricaduti alla Camera Apostolica, mentre perdevano del 1439 il dominio; poco dopo questa Rocca, o Palazzo pervenne in mano in un altro ramo della famiglia Trinci che era cognominato degli Atti di Foligno: ma estinta anche questa, pervenne l’anno 1590 per linea feminina degli Atti, nella famiglia Marcellese ch’ancora la possiede e l’ha restaurata”260. In una copia settecentesca del manoscritto dello Jacobilli, conservata nella Biblioteca Comunale di Foligno, si legge che “estinto anche questo [il ramo della famiglia Marcellese] ancora al presente si possiede dalla famiglia Archangeli per linea parimenti feminina di detta Casa Marcellese che l’haveano restaurata”261. Le notizie fornite da Ludovico contrastano quindi in parte con quelle riportate dal Dorio: da possedimento di Corrado Trinci, l’edificio con i beni vicini erano stati concessi non a Rinaldo di Corrado di Galasso, ma a Corrado di Galasso, non più nel 1444, ma nel 1451 e, infine, non da parte di Eugenio IV, ma di Callisto III; va notato, però, che l’ultima data non corrisponde agli anni di pontificato di Callisto (1455-1458), rientrando invece in quelli di Niccolò V (1447-1455), il papa che aveva concesso la restituzione dei beni alla moglie ed alla nuora di Corrado Trinci. Le scarse notizie disponibili sono quindi piuttosto imprecise e se ne possono trarre solo alcune poche informazioni.

Il Palazzo di Leggiana sembra essere, all’epoca dei Trinci, uno dei tanti possedimenti immobiliari della famiglia sparsi sul territorio, per il quale non risultano dati documentari che ne possano testimoniare l’uso quale residenza extraurbana. Tale funzione comincia invece intorno alla metà del Quattrocento, quando il possesso della proprietà passa al capitano Giovanni Salvato. Questi, in quanto erede degli Atti di Foligno, ha la residenza principale nel palazzo cittadino di piazza San Domenico, ma tiene un manipolo di armati anche nel palazzo di Leggiana. Lo Jacobilli, ancora nel primo quarantennio del Seicento, definisce l’edificio come “a guisa di Rocca” o “fortezza”, anche se ad oggi non sembra di poterne riconoscere alcuna caratteristica esteriore - fatta eccezione forse per la torre sull’angolo posteriore - probabilmente

260 JACOBILLI a,I,c. 65v.

261 JACOBILLI a-bis, c. 72. Esiste ancora un’altra copia, purtroppo mutila, sempre del XVIII secolo e

sempre nella Biblioteca Comunale di Foligno, che riporta lo stesso riferimento alla famiglia Arcangeli: JACOBILLI a-ter, cc. 131-132. Entrambi i volumi sono corredati da una nota manoscritta di mons. Faloci,

che avverte che essi sono copie degli originali conservati presso la Biblioteca del Seminario Vescovile. Il secondo è a sua volta copia del primo, riguardo al quale Faloci consiglia al lettore che “non è bene fidarsi di questa copia, senza ricorrere all’originale”, perché “il copista era nemico degli Spellani”: JACOBILLI a-

bis, c. 95; cfr. BETTONI –MARINELLI – TAVAZZI 2008,pp. 118-119. La prima copia è probabilmente

quella consultata da L. Gregori, che infatti indica la famiglia Arcangeli come proprietaria del palazzo all’epoca dello Jacobilli: GREGORI 2004,p. 273.

perché doveva essere stata questa la fondamentale funzione del palazzo, in particolare per il suo proprietario Salvato: un luogo dove conservare un esercito personale ed eventualmente trovare rifugio nei burrascosi anni che seguirono la caduta del dominio dei Trinci. Tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento il palazzo risultava ancora di proprietà della famiglia Atti, ma del ramo femminile Marcellese, che provvide ad un restauro e verosimilmente ad una sistemazione in forma residenziale. Non sappiamo quali siano stati nello specifico gli interventi condotti in questa fase, ma devono essere stati tali da permettere che nel Settecento il palazzo fosse ancora abitato dagli Arcangeli, che ne risultavano proprietari sempre per via ereditaria in linea femminile, come ci informa la copia del manoscritto jacobilliano. In quest’epoca la funzione di fortezza aveva certamente ormai perduto il suo senso ed il palazzo era definitivamente utilizzato come residenza.