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La ruralizzazione e la nuova configurazione degli spazi extraurban

Secondo l’interpretazione di H. Desplanques, l’intenso sviluppo degli insediamenti sparsi si accompagna alla diffusione della mezzadria dalle immediate vicinanze delle città fino alle zone più lontane a partire dal XVI secolo143. La popolazione comincia ad uscire dai borghi e dai villaggi per insediarsi nella campagna. Se vivere all’interno dei centri, siano essi città o villaggi, costituisce un obbligo sociale molto rigoroso nel medioevo, gli insediamenti sparsi significano invece libertà di coltivare, di avvicendare le colture, di recintare o di vendere, anche se i proprietari, che restano in città, continuano a controllare tutta la vita rurale144. I contratti di mezzadria esigono che il contadino viva sul fondo, così come la coltura promiscua della vite, che richiede una presenza costante per la necessità di cura e sorveglianza continue145. La tipologia tradizionale della casa rurale, sempre secondo l’analisi del geografo francese, risente in modo evidente dell’influenza della storia urbana e dell’organizzazione sociale, più ancora di quella dei sistemi di coltura o dell’ambiente naturale146. La struttura degli spazi dice poco riguardo all’organizzazione economica del podere: al primo piano sono gli alloggi, al piano terreno le stalle, la scuderia, il porcile, la cantina, il forno e il magazzino. La vera ragione della sua struttura è da ricercare nel fatto che “la casa rurale

142 Cfr. JONES 1978,pp. 367-371.

143 Sull’evoluzione della mezzadria in Italia e in Umbria vedi anche, tra gli altri, UGOLINI 1978,pp. 765-

777 e NENCI 1989.

144 DESPLANQUES 1975,II,p. 774.

145 Per l’incremento delle colture di viti e olivi, vedi PACI 1978, pp. 214-215. 146 DESPLANQUES 1975,II, p. 777.

è nata in città”147: il trasferimento dal centro urbano alla campagna comporta un leggero ingrandimento delle strutture abitative per rispondere alle accresciute esigenze economiche e residenziali dell’azienda mezzadrile, ma l’organizzazione interna degli spazi resta immutata e più di un elemento della casa rurale risente dell’impronta urbana, come la torre palombara, che nella struttra architettonica si ispira alle torri delle dimore signorili di età comunale148.

Se questa interpretazione da un lato corrisponde certamente alla verità, dall’altro quello che forse si può cogliere meglio è il rapporto di reciproca integrazione che si viene creando tra città e campagna nel corso del Cinquecento. Seguendo la tendenza già ampiamente diffusa prima di tutto a Roma, i nobili proprietari di terre investono buona parte delle rendite provenienti dall’agricoltura nell’edilizia, avviando quel processo di rinnovamento del volto e del tessuto urbano che caratterizza il secolo in città come Perugia, Spoleto, Terni, Foligno e Todi; si costruiscono palazzi, oratori, cappelle con cui ostentare il proprio prestigio sociale ed economico, privilegiando la città modernamente intesa come luogo di traffici e di incontri, sia politici che culturali. I palazzi cittadini, tipologicamente corrispondenti ai modelli extraregionali, in particolare romani, caratterizzano in modo evidente le nuove strutture urbane. I ceti medi e alti della società cittadina acquistano poderi nei vasti contadi e l’immagine della città si arricchisce delle suggestioni agresti che provengono dall’esaltazione via via più marcata del recupero del rapporto classico e umanistico tra uomo e natura, della complementarietà tra città e campagna sentita come una pressoché fondamentale espressione dello status nobiliare. Le torri colombare, che H. Desplanques vede invadere le campagne portando con loro i caratteri distintivi delle torri e case-torri del paesaggio urbano, in città trasformano il loro aspetto architettonico: mentre le murature compatte delle torri, in origine aperte da poche e strette feritoie, lasciano spazio a nuove e più ampie aperture, le colombare si arricchiscono di stucchi ed elementi decorativi che ne ingentiliscono le forme e si ridisegnano anch’esse con aperture a tutto sesto a formare logge con vista sulla campagna; l’immagine agreste “viene esaltata con la verosimiglianza delle visioni e delle immaginazioni”149: nella città cinquecentesca gli orti vengono trasformati in giardini, con piante varie e rare150, luoghi destinati allo svago ed agli incontri, dove passeggiare e godere della natura; le pareti delle case

147 Ibidem.

148 Sulla diffusione e lo sviluppo delle colombare vedi BONASERA DESPLANQUES FONDI POETA

1955,pp. 110-121.

149 SPERANDIO 1985,p. 113.

vengono decorate con immagini di argomento mitologico ed agreste, che contribuiscono alla mitizzazione ed all’esaltazione del mondo rurale.

Contemporaneamente l’aristocrazia dei grandi proprietari terrieri si appropria dello spazio della campagna attraverso l’edificazione di palazzi e ville fuori città, che possono essere abitati stabilmente, ma più spesso temporaneamente – lasciando al palazzo cittadino il ruolo di residenza principale – e di cui possono o meno far parte gli annessi colonici per la gestione dell’azienda agraria. La distribuzione di queste residenze, segno della presenza dominante della città nel contado, anche nella tipologia architettonica più comune del “palazzo di campagna”, non si sviluppa in modo omogeneo sul territorio regionale, essendo in linea generale più diffusa e rapida al nord, più ridotta e tardiva al sud, ma dovunque testimonia il rapporto dialogico che si instaura tra città e campagna, con una sorta di mutuo scambio di cui le residenze, urbane ed extraurbane, sono insieme la proiezione ed il risultato.

L’mmagine delle campagne nel corso del Cinquecento risente naturalmente degli effetti prodotti dalla nuova sitazione economica e politica, sia in senso positivo che negativo. Da un lato si accentua la tendenza all’isolamento e all’autosufficienza, sostenuta dalle stesse autorità comunali nelle limitazioni imposte all’esportazione di prodotti agricoli fuori dalle aree cittadine151; dall’altro i più stretti rapporti con lo stato centralizzato e con il suo fiscalismo determinano una stagnazione economica: nei primi venticinque anni del Cinquecento il prelievo fiscale dello Stato risulta raddoppiato e quadruplica nei settantacinque anni seguenti, sottraendo considerevoli ricchezze e determinando la fuga di contadini dalle terre umbre in direzione di Roma o della Val di Chiana, cosa certamente preoccupante per i proprietari152. La crisi delle strutture economiche, accompagnata alle forze centrifughe suscitate nella nobiltà dal divieto di alienazione dei feudi imposto da Pio IV nel 1560, spiega il diffondersi del banditismo, che nell’Umbria montuosa trova un terreno ideale, ma non manca neanche nel Ternano o nel Perugino153: il quadro delle campagne lasciato dai cronisti alla fine del Cinquecento è quello di un regno dell’insicurezza e del pericolo154. A questa situazione vanno aggiunte le gravi crisi alimentari che attraversano la penisola nel corso del

151 A Perugia si cercò di evitare l’esportazione extracittadina o comunque extraregionale del grano: vedi

PETROCCHI 1972,pp. 32-33; scarse sono anche le esportazioni di vino e solo l’olio alimenta una discreta

corrente di traffico, che da Assisi, Spello, Foligno e Perugia muove verso la Marca, la Romagna e l’Urbinate: vedi PICCOLPASSO 1565,p. 150 e CHIACCHELLA 1974,pp. 56-57.

152 PACI 1978,pp. 216-217, con rimandi alla bibliografia sull’argomento a p. 216, n. 50. Per un’analisi

del sistema fiscale nello Stato Pontificio, vedi CARAVALE 1994,in particolare per l’Umbria pp. 97-102.

153 Ivi, p. 218. Per il banditismo in Umbria vedi POLVERINI FOSI 1985,pp. 23-33. 154 DESPLANQUES 1975,II, p. 755-756.

Cinquecento, accompagnate solitamente da epidemie e che anche in Umbria si trasformano nelle carestie tra le più drammatiche dell’età moderna, prima tra tutte quella terribile del 1590-92155.

Allo stesso tempo, come abbiamo accennnato, l’occupazione e lo sfruttamento delle campagne si accompagna ad iniziative di riconquista delle terre paludose. Dopo le bonifiche di età medievale, limitate a rsitretti ambiti territoriali, nel Quattrocento si erano succedute diverse imprese volte al recupero in particolare delle aree dello Spoletino e del Folignate, con alterni successi. Con il Cinquecento i lavori di sistemazione idraulica entrano in una nuova fase di dinamismo, nel quadro di una ripresa generalizzata di interventi di bonifica in altre regioni, come nella vicina Val di Chiana, nella pianura ferrarese o nella conca reatina, lavori che vengono affrontati in un contesto politico-istituzionale nuovo156. È del 1588 l’istituzione della Sacra Congregazione delle acque, operante attraverso delegati residenti nelle città sede di delegazione, con compiti conoscitivi sullo stato dei fiumi, attraverso l’invio di visitatori, operativi, di sollecitazione ed organizzazione dei lavori di bonifica e giuridici, di soluzione di contenziosi in materia di utilizzazione e controllo delle acque157. Interventi

più comuni di controllo idraulico e prevenzione delle inondazioni consistono nella regolazione dei fiumi, nella protezione dei terreni attraverso la correzione dei corsi più instabili, nel mantenimento del libero deflusso delle acque, nello scavo dei letti di fiumi e torrenti e nella costruzione o consolidamento degli argini158.

L’occupazione delle campagne procede per tutto il Cinquecento dapprima a partire dalle aree intorno ai centri urbani e rurali, in seguito via via verso le pianure, sfruttando le nuove risorse fornite dai prosciugamenti delle zone paludose, ed infine comincia una lenta riappropriazione degli spazi di alta collina e montagna, che proseguirà con maggiore slancio a partire soprattutto dal Settecento.