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L’industria cartaria e il Palazzo degli Unt

III.3. Città di Castello

III.4.4. L’industria cartaria e il Palazzo degli Unt

Altre residenze sono connesse all’attività produttiva, anche se non a quella agricola, preminente nell’area folignate361. Nella valle del Menotre le valchiere e le attività manifatturiere legate alla produzione della carta erano diffuse fin dal Medioevo e, tra Seicento e Settecento, conobbero un’ulteriore fase di epansione362. Tuttavia, stando ad

un’apodissa del 1560, “tutte l’arte sono sottoposte a qualche buon ordine di regola escetto quella delli cartari, li quali non havendo freno alcuno hanno così ben ordinate le cose loro che in un foglio di carta non capeno adesso tante righe et versi quanti capevono anticamente, et al mio tempo, che non sono vecchio, in una pallatura ch’era l’ottava parte d’un foglio. Oltre acciò se si compera un quinterno di carta ci ne trovate un terzo straccia, et poi la più brutta carta e la più trista di quella che fanno non si può vedere che è vergogna che si mandi fuora [...] la qual non deve comportare che del territorio suo esca così brutte carte che per il passato soleva essere così buona e bella che in Roma non ci capitava la migliore”363. Nel corso del Cinquecento, quindi, il settore manifatturiero della carta sembra attraversare a Foligno un periodo di crisi, anche se si assiste ad un fermento di iniziative produttive, che tentano di approfittare della positiva congiuntura dell’economia folignate – almeno prima delle drammatiche

358 MESSINI 1942,p. 52.

359 Ibidem; ma la figura della matrona rappresenta più verosimilmente la città di Foligno, come

starebbero ad indicare il diadema turrito e le chiavi, di solito attributi delle città: cfr. anche BARROERO –

BETTONI 1998 eCASALE 1990,s.p.

360 Molti furono gli ospiti illustri fin dalla metà del Seicento: cfr. Ibidem.

361 Nonostante la vivacità commerciale che sempre ha caratterizzato la città di Foligno o l’importanza

dell’allevamento nelle aree di montagna, lo sfruttamento della terra per fini agricoli costituiva comunque l’attività prncipale dell’economia; cfr. MELELLI 1989,p. 163.

362 Si è già ricordata, per esempio, la valchiera posseduta da Corrado Trinci a Rasiglia, vedi qui, n. 3. 363 ASF, Priorale, 64, c. 41; citato in METELLI 1993,p. 209.

carestie degli anni ’90-‘92364. Ludovico Jacobilli, forse più partigiano, nelle sue

Croniche già citate degli inizi del Seicento, poteva scrivere che nell’ultimo tratto del

Menotre, da Pale a Belfiore era un susseguirsi di opifici: “cartiere di carta numero dodici, di cui otto nel castello di Pale, tre nella villa di Belfiore, uno a Carpineto, con una ramiera, cioè luogo di far rame. La qual carta si fa di tutte le sorti ed è molto stimata e si manda del continuo per servitio dei principi e ogni qualità di persone in Roma e per tutta Italia. Vi sono ancora tredici gualchiere di panni, cioè: due a Belfiore, due a Vescia, tre a Rasiglia, sei a Casenove. Sedici mulini da grano ad acqua, cioè: due a Rasiglia, tre a Casenove, uno a Belfiore, uno a Vescia, uno a Scopoli, uno a Pale, due a Capodacqua, due a San Giovanni Profiamma”365. Il sistema per uscire dalla crisi cinquecentesca era senza dubbio quello dei grandi investimenti nelle imprese e del potenziamento degli impianti, per aumentare la produzione e migliorare la qualità: gli esponenti dell’aristocrazia urbana e dei nuovi ceti emergenti impiegarono quindi i loro capitali nelle produzioni artigiane e nella loro commercializzazione, secondo il sistema associativo cui abbiamo già fatto riferimento, nel quale non compariva il nome del nobile che praticava l’investimento366. L’interesse delle famiglie patrizie per il settore

cartario non era però sempre durevole: alcune di queste risultano proprietarie di opifici per pochi anni, per poi dirottare gli investimenti verso la mercatura o l’acquisto di terreni; lo stesso Francesco Jacobilli, che, tra il 1558 e il 1566 aveva investito in diverse manifatture ed impianti idraulici, come valchiere da panno, mulini da grano e da olio, nel 1558 aveva acquistato una cartiera a Pale, per seicento fiorini, da Mattiolo di Cola e l’aveva rivenduta allo stesso cartaio otto anni dopo, allo stesso prezzo367; Giuseppe Gigli gestì un cartiera sempre a Pale per soli tre giorni, dal 19 al 21 gennaio 1575368. Alcune altre famiglie restarono invece legate agli impianti per lungo tempo, tanto da giustificare l’edificazione di residenze accanto agli stessi, per seguire più da vicino le attività produttive, come nel caso degli Unti369. Questi, nella prima metà del Cinquecento, erano molto attivi nel settore manifatturiero della lana; per fronteggiare la

364 Su queste carestie vedi in particolare METELLI 1996-1997a. 365 JACOBILLI a, I, c. 27.

366 Si è visto che antica e nuova nobiltà basavano la loro potenza economica sui possedimenti fondiari,

ma la maggior parte degli investimenti riguardava attività non agricole: cfr. ANGIOLINI 1978,p. 46.

367 ASF, Not., 606, F. Sisti, 1558, c. 88v e Ivi, 1566, c. 88v. 368 ASF, Not., 383, B. Dolci, cc.31v e 40.

369 Altre famiglie folignati che legarono il proprio nome all’industria della carta nel corso del

Cinquecento, sono gli Elisei, il cui grandioso palazzo di Pale, celebre per le sue “grotte”, è stato edificato nel Seicento, inglobando una valchiera da carta ed una casa,.acquistate nel 1434 da Pietro di Cecco di Renzone [Elisei], o gli Orfini (prima notizia di una cartiera nel 1567), i Sordini (1580), i Gentili (1586) e i Gregori (seconda metà del Cinquecento). Si aggiungeranno nel Seicento i Marcelli, i Roncalli e i Cattani; Cfr., per una storia dell’industria cartaria a Foligno tra Cinque e Settecento, METELLI 1993.

crisi che aveva colpito questa attività, nella seconda metà del secolo investirono nella produzione della carta, istituendo a Belfiore un importante polo protoindustriale, in cui, nel corso del Seicento, come abbiamo visto, saranno attive tre cartiere370 ed un mulino da olio contigui al loro palazzo, oltre ad un mulino da grano, due valchiere da panno ed una ramiera371. La prima cartiera venne edificata prima del 1586, come si desume dalla notizia di una “compagniam super exercitio cartarum” tra Bartolomeo di Feliciano Buzzacchi di Foligno e Marinangelo quondam Battista Marinangeli di Pale, nella cartiera di Belfiore di proprietà di Tarquinio Unti372. Per controllare da vicino l’attività della “cartiera vecchia” di Belfiore, gli Unti fecero edificare un palazzo nelle sue immediate vicinanze: tra Sei e Settecento la cartiera risultava anzi addirittura compresa all’interno stesso del palazzo373. La struttura, che ha subito nei secoli diverse trasformazioni, era caratterizzata da un loggiato, in passato tamponato ed oggi in parte riaperto (figg. 4.9-12)374. L’intervento di ripristino del loggiato, realizzato nel corso del 2007, ha permesso il recupero di parte delle originarie decorazioni, di cui si aveva notizia come opera degli Zuccari (figg. 4.13-15)375. Le superfici dipinte superstiti sono

troppo esigue per tentare una qualunque analisi stilistica esauriente, né si hanno notizie che possano documentare una relazione tra gli Zuccari ed i committenti, anche se sembra verosimile che si tratti più che altro di un’attribuzione “prestigiosa” non infrequente nella storiografia locale, che spesso cita nomi illustri per magnificare l’attività artistica e mecenatistica sul territorio e, in particolare, sono numerosi i casi di attribuzioni agli Zuccari per le decorazioni private gentilizie cinquecentesche, che ne riprendono i modi ed i caratteri. Comunque, già nel 1933, M. Faloci Pulignani, descrivendo il palazzo e la loggia, che doveva essere ancora aperta, scriveva: “A Belfiore, presso Folignno, vedesi una bella fabbrica con una grande loggia dipinta secondo il gusto degli Zuccari, e sull’ingresso vi è lo stemma Degli Unti in marmo (due leoni rossi, che sostengono un’aquila nera con corona d’oro) e l’iscrizione nell’architrave della porta HANDERIX DE UNTIS SECRETARIUS IMPERATORIS. Chi fosse

370 La prima cartiera di cui si abbia notizia, edificata prima del 1586, è probabilmente quella che in

seguito verrà chiamata “cartiera vecchia” o “cartiera dell’orologio”; il secondo opificio, denominato “cartiera nuova”, è noto a partire da un documento del 1619, nel quale appunto si precisa “pro valcheria

de novo constructa”; la terza fabbrica, chiamata però “cartiera di mezzo”, è menzionata per la prima

volta nel 1659; cfr. Ivi, p. 215.

371 Cfr Ivi,pp. 215-218.

372 ASF, Not., 403, B. Dolci, c. 13; citato in METELLI 1993,p. 216. 373 METELLI 1989c, p. 704, n. 3.

374 Il loggiato risulta tamponato nelle fotografie degli anni’90 pubblicate in GREGORI 2004 (prima

edizione 1990), p. 418 e M. SENSI 1990, p. 100, fig. 29 ed è così descritto in MELELLI –BETTONI –

MEDORI 1991,p. 64.

verso il 1700 questo Handerix de Untis non saprei dire”376. L’apertura delle arcate ha messo in evidenza nei sottarchi e sui pilastri laterali una decorazione a grottesche e motivi geometrici, tra i quali figurano gli emblemi araldici dell’aquila e del leone, mentre lo stemma della famiglia, senza colori, è murato al di sopra dell’arco cosiddetto “degli Unti”, che attraversa l’attuale via B. Buozzi, in origine la principale arteria del centro, e conduce all’attuale ingresso dell’edificio (fig. 4.16); questo, in posizione eccentrica rispetto alla facciata, è sormontato dalla lapide con l’iscrizione377 (fig. 4.17). Sull’altro lato del camminamento aereo, in corrispondenza dello stemma, è murata una lastra con il toponimo “BELFIORE” e il nome “DE UNTIS” (fig. 4.18). La loggia, stando

alla descrizione di Faloci Pulignani, doveva probabilmente essere decorata anche all’interno, ma di queste pitture, che forse avrebbero potuto essere più illuminanti per una possibile attribuzione, non rimane nessuna traccia; anche la copertura doveva trovarsi ad un livello più alto, come si nota dalle occlusioni della parte superiore delle arcate, dovute all’abbassamento del pavimento delle soffitte per ricavarne, nel corso del Novecento, nuovi appartamenti. Tutta la struttura, d’altronde, è stata evidentemente più volte rimaneggiata ed ha subito diverse trasformazioni d’uso: da residenza degli Unti, nel Seicento venne in parte utilizzata come cartiera, nell’Ottocento venne suddivisa in due ditte per la produzione di carta bianca e di carta paglia, per recuperare infine, nel Novecento, la funzione abitativa, ma suddivisa in più appartamenti378.

Sempre Faloci Pulignani fornisce alcune notizie sulla famiglia degli Unti e sulla loro casa di Foligno, parlando del già citato Memoriale di Petruccio: “Suo padre e i suoi zii esercitavano il commercio in Ancona, dove avevano un ricco fondaco di mercanzia, e dove furono fatti cittadini; ed egli pure fu ricco mercante, nel 1438 Consigliere e Priore del Comune e depositario dei Trinci. (...) Morì nel 1440, e però il suo memoriale non va oltre quest’anno. La sua casa era in via della Mora, oggi via Mazzini, n. 11, di proprietà del sig. Romeo Benedetti, ed aveva nell’esterno dipinto il suo stemma. Nel fregio della porta oggi si legge: BERNARDINUS - DE UNTIS - DE FULGINEO - ARTI - ET MEDIC - DOC - ASTROLOGUS - Q.”379. Citando Jacobilli nella Bibliotheca Umbriae aggiunge: “Questo

Bernardino discendente di Petruccio, fu «medico e matematico celeberrimo, primo

376 FALOCI PULIGNANI 1933,p. 30.

377 Secondo L. Gregori si riferirebbe ad un certo Enrico degli Unti segretario di Federico II, ma sono

ancora tutte da chiarire le origini ele motivazioni della sua presenza al di sopra dell’arvhitrave della porta: vedi GREGORI 2004,p. 418.

378 M.SENSI 1990,p. 25.

medico di Città di Castello nel 1502, e poi di altre Città grandi, nobile consigliero et Ambasciatore, lasciò alcune erudite composizioni, e morì nel 1515»”380.

Le indagini documentarie non hanno permesso, finora, di ricavare maggiori notizie sull’edificio di Belfiore e sulla sua originaria struttura; tuttavia, il caso del Palazzo degli Unti riveste un’importanza notevole come esempio di residenza gentilizia extraurbana che si lega al territorio ed alle sue attività produttive, proprio per la sua caratteritisca di non essere connessa allo sfruttamento agricolo del fondo, come avviene più di frequente, ma agli investimenti protoindustriali che attirano i capitali del ceto nobile. Nello specifico, la sua particolare duplice funzione di centro di controllo del processo manifatturiero della produzione cartaria e insieme di residenza gentilizia aperta sul paesaggio con la loggia e simbolicamente autocelebrativa nelle decorazioni araldiche dipinte e lapidee, ne fa un caso di straordinario interesse dal punto di vista della riappropriazione non solo economica, ma anche simbolica dello spazio extraurbano da parte della nobiltà folignate cinqecentesca.