5. AVVERTENZE SUL “MESTIERE” DI SCRIVERE
5.1 DAL PASSATO AL FUTURO: POSSIBILI DIREZION
Le prime pagine de La mia sera del Ventesimo secolo di Ishiguro, riportano il suo arrivo a Buxtown poiché era stato ammesso ad un corso di scrittura creativa all’Università dell’East Anglia. Naipaul ci informa invece che da bambino, pur ammirando molto i quaderni, le penne stilografiche, le boccette di inchiostro, non mostrava alcuna attitudine verso la scrittura né in ambito scolastico né in quello extrascolastico. Si recherà molti anni dopo ad Oxford a studiare letteratura inglese ma senza convinzione, arrovellandosi sul vuoto che provava in merito ai libri che leggeva o studiava, soprattutto sul valore del genere “romanzo”. Il primo scrittore ci proietta immediatamente nella realtà concreta di spazi e situazioni dai quali scaturisce la sua scrittura: una mansarda di dimensioni ridotte dove
rileggendo un paio di racconti, che aveva steso durante l’estate e che intendeva riproporre al corso postlaurea di cui sopra (ne scrive poi un terzo, di scarsa qualità secondo lui), giunge finalmente ad una scrittura vera e propria. La descrive come intensa ed energica, nuova e proiettata nel suo Giappone abbandonato da tempo per inseguire abitudini e studi differenti da quelli d’origine. Con l’autore indiano invece, la scrittura viene riconosciuta come tale solo dopo una profonda indagine intellettuale che lo conduce a mettere in discussione la letteratura di finzione, ed a considerare i romanzi come risultato di due fattori: rifiuto della finzione letteraria e desiderio di osservare la realtà. Dopo quarant’anni dal 1995, Naipaul comprende le parole della scrittrice Evelyn Waugh, utilizzate nella dedica di Ufficiali e
gentiluomini e, anche mediante la lettura di Tolstoj, e dopo diverso tempo (vince una borsa di studio e si trasferisce a Londra) trascorso in condizioni economiche disperate, giunge a tradurre il Lazarillo (opera di un autore anonimo del Cinquecento); questo lo riporta mentalmente ad una condizione di interesse verso l’India, proiettando il proprio lavoro e la successiva attività di scrittore in questa direzione. Man mano che proseguiamo nella lettura di Leggere e scrivere, emerge in modo chiaro che il passato di Naipaul, pur attraversato da scelte non sempre consapevoli e volontarie e momenti di intensa critica e autocritica verso la realtà culturale e letteraria del suo tempo e della sua biografia, ha collaborato alla creazione del suo essere scrittore e, soprattutto, del suo modo di intendere la scrittura, portandolo ad asserire che «ben presto mi divenne familiare, una voce mentale. Riuscivo a distinguere quando era giusta e quando invece usciva dai binari».68
Effettivamente, quello che emerge lentamente da questi due saggi è la necessità, per poter davvero scrivere, di individuare una prospettiva da cui guardare alla propria realtà anche se, come suggerisce lucidamente Naipaul, per poter raccontare storie della propria terra natale, appare necessario possedere il materiale adatto. Possiamo quindi comprendere che, in un primo momento, l’osservazione critica sulla propria infanzia e adolescenza e l’affacciarsi al mondo della scrittura costituiscono la base da cui partire per un percorso che conduca alla scrittura stessa. Un secondo sguardo è invece rivolto al modo di intendere la propria scrittura e al percorso necessario per
affinarla, perfezionarla e dirigerla, alla luce di quanto appreso e maturato in precedenza tramite letture, corsi, confronti e rivelazioni. Ecco dunque che lo scrittore ulteriormente si interroga sul materiale che possiede per scrivere:
In capo a cinque anni lo esaurii del tutto. La mia immaginazione creativa era come una lavagna tutta pasticciata, cancellata per fasi e infine di nuovo vuota, tabula rasa. La narrativa mi aveva portato fin dove era possibile. C’erano cose che quel genere letterario non poteva trattare.69
Il vasto mondo e l’esperienza degli anni inglesi, non riuscivano a rientrare in questo tipo di scrittura, afferma l’autore. Riconoscendo la discrepanza tra lo statuto social-culturale dello scrittore di narrativa rispetto a colui che ha vissuto sempre da straniero e come uno straniero, avvertendolo come un limite, egli cambia direzione e si avvia lungo la strada del racconto di viaggio. Per poter rendere concretamente questo modo di essere e percepirsi, Naipaul afferma che era necessario possedere i mezzi e i modi per viaggiare in funzione della scrittura, abbandonando la prospettiva del turista qualunque. Ecco allora che le modalità di scrittura divengono riflessione sul tipo di conoscenze e di indagine necessari per far percorrere allo scrittore una strada piuttosto di un’altra, pur seguendo le proprie personali inclinazioni, che, come abbiamo notato già, risultano intimamente connesse ad un ritorno alla terra natale. In un suo libro intitolato Una via nel
mondo, una raccolta di brani dal carattere autobiografico e saggistico che si intrecciano col genere del racconto di viaggio, troviamo questo passaggio:
Una storia aveva preso forma nella mia mente nel corso degli anni, ma non si era mai definita nei dettagli, con la «concretezza» indispensabile alla narrazione, anche se poi tale concretezza vien meno via via che si dipana il racconto. La mia idea era rimasta, appunto, un’idea, e (lavorandoci sopra un po’ per la prima volta) la metto adesso per iscritto.70
Questa introduzione al racconto che segue nel testo, è uno dei molteplici casi in cui Naipaul tiene a sottolineare quanto sia importante ciò che precede la sua scrittura. Poche righe dopo, infatti, troviamo una nuova riflessione intorno all’io narrante, chi debba rappresentare e come debba porsi all’interno del racconto. L’atteggiamento dello scrittore in questione è allora quello di chi a lungo riflette sulla propria posizione e sulle modalità più
69 Ivi, p. 41.
idonee a riportare sulla carta storie e personaggi. Sia Naipaul che Ishiguro dimostrano che esperienza e scrittura (se connesse ed intersecate alla prospettiva temporale, di cui abbiamo già osservato la rilevanza), conducono a scelte decisive per la propria carriera in questo mestiere. L’autore indiano in particolare, afferma che «il valore dell’esperienza stava nella sua particolarità»71 e nel saperla rendere fedelmente; partendo dal
presupposto che l’India possiede un passato la cui storia è semisconosciuta e in alcuni casi risulta anche negata, l’autore si rende perfettamente conto che le caratteristiche del genere romanzo risulterebbero inadeguate allo scopo di fare luce su questo, come invece sarebbe nelle sue intenzioni, divenendo così solo «una finestra fiocamente illuminata nelle tenebre».72 La svolta di
tutta la sua concezione inerente la letteratura e la scrittura, la troviamo a conclusione de Lo scrittore e l’India, con quest’espressione apparentemente generica: «alla fine ciò che conta in letteratura, quel che c’è sempre, è solo ciò che è veramente bello».73 Il discorso che segue questa dichiarazione
sembra in realtà contraddire tutto quello che fino a queste pagine aveva dichiarato; egli infatti afferma poi che la bellezza è l’unica dimensione in grado di farci dimenticare ogni modello di riferimento, arrivando inaspettatamente a colpire lettore e scrittore. Delineandola come un’arte in continuo movimento, essa, secondo Naipaul, non può farsi ingabbiare in una struttura ed un genere fisso e, soprattutto, «la scrittura che ha queste caratteristiche non si può insegnare in un corso».74 Il talento e la creatività
vanno a spegnersi tanto quanto si esauriscono le risorse al servizio di un genere letterario e, chiudendo in qualche modo il cerchio del suo tema- chiave fin dall’adolescenza, ovvero il romanzo e la scrittura di fiction, Naipaul asserisce che questa tipologia di scrittura avvalora forme di narcisismo e falsa originalità, specchio dell’epoca in cui regna la vanità. Viene però naturale osservare a questo proposito che, se il romanzo risponde veramente a queste caratteristiche, allora esso stesso rappresenta la realtà, la racconta con i tratti sopra individuati e non può peccare, di conseguenza, di falsità o illusione.Nel saggio L’arte del romanzo (1986) di
71 V.S. NAIPAUL, Leggere e scrivere, cit., p. 64. 72 Ibidem.
73 NAIPAUL, Leggere e scrivere, cit., p. 76. 74 Ivi, p. 77.
Milan Kundera, l’autore risponde alle domande dell’intervistatore Christian Salmon, in merito alla forma romanzo e ciò che essa indaga: l’io e il suo mistero. Pur producendo, questa ricerca, uno stato di inappagamento e insoddisfazione costante, insito nella materia stessa, Kundera afferma che questa è la ragione profonda che ha condotto i grandi autori a cercare un orientamento di scrittura differente. Se infatti, secondo Kundera, al centro del romanzo troviamo il personaggio con tutte le sue caratteristiche fisiche e psicologiche, dovute ad una sua storia passata di cui il lettore deve essere messo a conoscenza, non possiamo non pensare a quanto Naipaul si discosti da questo tipo di approccio. Egli infatti decide di scrivere tornando agli inizi, alla propria terra d’origine, assumendo un atteggiamento di ricerca storico-antropologica che lo pone in una condizione di scrittore di viaggi. Né in Naipaul né in Ishiguro e tantomeno in Carver si spiega tuttavia come si è arrivati e come si è concretamente giunti alla stesura di un loro romanzo in particolare, trattandoli specificatamente. Così, dal punto di vista del lettore, molti quesiti intorno alle loro opere più celebri restano aperti e non trovano risposte e soddisfazioni scaturite dalla curiosità che proviene dai loro testi romanzeschi o dai racconti. L’unico a fare la differenza in tal senso è Philip Roth in particolare nella prima parte della sua raccolta di saggi, dove dedicandosi al suo romanzo intitolato Lamento di Portnoy del 1969, decide di illustrare la genesi del suo libro a chi frequentemente gli chiede come sia giunto alla sua stesura. Egli ci fornisce alcuni dati specifici riguardo alla genesi di quest’opera, per esempio. Afferma che ha preso avvio da ben altri quattro suoi progetti che erano stati lasciati in disparte tra il 1962 e il 1967; in questi lavori c’erano elementi interessanti che poi sono stati fatti confluire nel romanzo finale. Unendo l’aspetto più fantasioso e trasognato della storia così come era stata pensata, a fattori stilistico-formali più ordinati e composti, Roth ci dice che non era ancora sicuro della direzione che il testo stava prendendo, dichiarando:
Non avevo idea di dove sarei andato a parare, e il termine che descrive meglio quel che stavo facendo è giocare (nel fango), tutto e niente, con le sue lusinghiere connotazioni di ardita ricerca e di lasciarsi andare assolutamente disinteressato.75
Poche righe prima, egli aveva dichiarato che questo modo di procedere, cioè passando da un progetto ancora in corso ad un altro, è caratteristico del suo lavoro. Sostanzialmente si tratta di un buon metodo per affrontare e superare le frustrazioni e la tentazione di lasciarsi andare all’ “ispirazione”, come suggerisce lui stesso. Man mano che l’autore ci spiega come è arrivato definitivamente al romanzo Lamento di Portnoy, intravvediamo almeno quattro utilissime precisazioni sulla piega e la forma che prende progressivamente il testo in questione. La prima riguarda il fatto che Roth inizia a scrivere della propria infanzia trascorsa nel New Jersey, una sorta di opera autobiografica che cercava di essere aderente alla realtà, puntando all’essenza narrativa che delineava il ritratto dello scrittore e intitolata, appunto, Ritratto dell’artista. Segue però un’insoddisfazione dovuta alla mancanza di “risonanza” di questo prodotto letterario che lo induce poi a descrivere una famiglia immaginaria, liberamente tratta dai vicini di casa, che chiama, appunto, col nome di Portnoy; una famiglia che presenta tratti molto simili a quella di cui aveva parlato in un articolo su «American Judaism», anni prima. Enfatizzando i tratti folkloristici utilizzati nell’opera
Ragazzaccio ebreo, Roth si allontana da questo schema narrativo, decidendo di ambientare la storia di Lamento di Portnoy nel Newark, con tratti più realistici. Infine, sceglie il protagonista della sua storia e lo fa grazie all’ausilio, involontario, dei suoi studenti durante un corso di scrittura ovvero: «il figlio controllato a vista, col suo sogno sessuale dell’Altro».76
Giungiamo così a misurarci più da vicino con il processo di costituzione e nascita dell’opera stessa, accostando un po’ alla volta i tasselli di questo puzzle, comprendiamo come e quando è nato grazie all’ausilio dello scrittore:
La vera e propria fase di scrittura di Lamento di Portnoy ha avuto inizio con la scoperta della bocca di Portnoy ˗ e, al contempo, dell’orecchio in ascolto del silenzioso dottor Spielvogel. Il monologo psicanalitico ˗ una tecnica narrativa delle cui sfrenate opportunità retoriche mi avvalevo personalmente da molti anni, solo non su carta ˗ mi avrebbe fornito i mezzi con cui tenere insieme in maniera convincente la fantasmagoria del Ragazzaccio ebreo con la documentazione realistica di Ritratto dell’artista e del Bravo ragazzo ebreo.77
76 Ivi, p. 83. 77 Ibidem.
Tale esempio di come è stata creata un’opera, risulta particolarmente significativo per comprendere lo scarto che si viene inevitabilmente a creare tra i saggi presi a riferimento e la scrittura saggistica di Roth, che, in qualche modo racchiude e contempla tutte le infinite sfumature intorno al tema della scrittura e della figura dello scrittore e soprattutto che dimostra quanto un autore desideri o meno spiegare o raccontare qualcosa di sé e dei suoi esiti letterari. Egli fa pur sempre riferimento al suo passato, ma in particolare alle sue opere passate, al suo essere scrittore anche di quei testi che, pur appartenendo a momenti differenti nel tempo, nel suo mestiere, hanno contribuito alla stesura di un romanzo. Naipaul ed Ishiguro, in questo senso, trattano il tema del rapporto con il loro passato autobiografico in maniera molto approfondita e ricca di particolari che aiutano il lettore a procedere, con loro, nel complesso meccanismo di analisi e consapevolezza del come si giunge a scrivere. Manca tuttavia in questo tipo di scrittura, il desiderio di addentrarsi nei dettagli tecnici e concreti, pratici, che hanno contribuito alla stesura vera e propria dei loro romanzi. C’è, difatti, un sottile confine tra questi loro saggi sulla scrittura e l’opera dell’autore ebreo americano, una sfumatura che più avanti verrà presa in considerazione. All’interno del saggio Il mestiere di scrivere di Carver, si ha anche riportata l’introduzione all’antologia American Short Story Masterpieces del 1987 col significativo titolo «Fiction of Occurrence and Consequence», firmata proprio da Carver e Tom Jenks. Entrambi sostengono che fosse necessario allontanarsi dalla narrativa definita come “nuova” al loro tempo: autoreferenziale e lontana da ogni realismo. L’obiettivo della serie di racconti (autori che vanno dal 1953 al 1986) da loro curata, era quello di soffermarsi sul linguaggio, sulle situazioni e intuizioni intense perché vicine alle loro vite o a quelle di altre persone, senza voler a tutti i costi fornire una definizione precisa e categorica di questo tipo di letteratura (fatto che secondo loro caratterizza invece i primi anni Cinquanta), dichiarando che: «vorremmo avanzare l’ipotesi che il talento, il genio, addirittura, sia anche il dono di vedere quello che tutti hanno visto, ma vederlo in modo più chiaro, da ogni lato. Comunque, in entrambi i casi, è un’arte».78 Le scelte e
l’atteggiamento critico di Carver paiono estremamente soppesati, valutati
con un atteggiamento positivo e propositivo verso la scrittura (più che verso la letteratura in generale), considerata come un’arte che non si smette mai di affinare, costantemente in bilico tra l’esistenza in sé e quella interna alla realtà socio-culturale in cui essa si diffonde. Qui coesistono ispirazioni e rare occasioni irrazionalmente illuminanti e impreviste, dove il singolo fa la differenza mediante la propria coscienza, consapevolezza e per mezzo delle proprie capacità. L’apporto esterno, dato da corsi e maestri, sia fondamentale o no, determina l’atteggiamento dell’aspirante scrittore verso se stesso e la propria scrittura.
5.2 “TAPPE” FONDAMENTALI ED UNIVERSALMENTE VISSUTE
Il percorso che ha condotto tutti questi autori alla consapevolezza di voler scrivere e di voler considerare quest’attività come un vero e proprio mestiere, ha attraversato, per tutti, differenti fasi. Il rapporto con la madre patria, complesso e sempre di riferimento per la consapevolezza di quanto alcuni modelli sociali e culturali abbiano influito sulle loro passioni e sulla loro decisione di scrivere, si è successivamente evoluto in maniera significativa nel momento fatale in cui avviene un distacco con la loro terra. Persino in Pahlaniuk e Carver, da sempre cittadini americani, avviene un distacco critico nei confronti della loro America sufficientemente significativo da consentir loro di parlare e argomentare intorno a tematiche e soggetti più esposti a considerazioni profonde e analitiche, poiché simboli di nuovi o vecchi modelli dell’attuale umanità. La lontananza e il recupero memoriale di episodi, fatti, scelte, appartenenti al passato, li ha condotti a ragionare intorno alla loro identità culturale e personale ed alle strategie messe in atto per sopravvivere a dolori e difficoltà di diverso genere. La scrittura qui occupa il suo privilegiato posto, infatti. Essa diviene, progressivamente, uno strumento appositamente scelto per operare una ricerca sulle fonti dalle quali scaturiscono le storie e i racconti di tali autori, sia che esse trovino sostegno nella fantasia e nell’immaginazione come appigli per sfuggire, di tanto in tanto, alla dura realtà, sia che necessitino di approfondimento scrupoloso intorno al perché esse sono scaturite. Non sempre il desiderio di scrivere trova giustificazioni chiare, razionalmente spiegabili: a volte viene generato da istanti epifanici che si possono definire
delle vere e proprie occasioni per i nostri autori, altre volte è la volontà di comprendere la realtà dell’io e come questo si confronta col mondo, a definire la loro scrittura e motivarla. Molto di ciò viene suggerito al lettore grazie alla descrizione delle condizioni necessarie al lavoro sui propri testi; un lavoro costante raggiungibile tramite solitudine e sacrificio, isolamento e revisione dei traguardi raggiunti. In aggiunta anche alcuni modelli letterari o alcune figure-guida conducono ad una più convinta e matura consapevolezza dei propri mezzi e del proprio talento, che comunque, si avvale sempre di una ferrea forza di volontà per riuscire a sopravvivere al tempo. Non sarebbe corretto parlare, allora, di una via unica ed universale per diventare scrittori e nessuno di questi autori desidera in questi saggi dichiarare una qualche verità in materia. Risulta tuttavia evidente che tutti affrontano queste “tappe” e che tutte queste appaiono agli occhi del lettore decisive per le scelte di scrittura praticate, unendoli pur nella diversità e, in questo modo, autorizzandoci a credere che la scelta di dedicarsi alla forma del saggio per illustrare il loro mestiere, assume un tratto ben preciso, come vedremo poi, nel confronto con i tipici manuali di scrittura creativa.