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LA SCRITTURA CREATIVA E L’ASSENZA DI CONFIN

3ª PARTE: LA SCRITTURA CREATIVA TRA REGOLE E RICERCA

3. LA SCRITTURA CREATIVA E L’ASSENZA DI CONFIN

Risulta inappropriato e poco utile individuare, definire e marcare il confine tra i manuali di scrittura creativa e i vissuti autoriali degli scrittori, innanzitutto per l’essenza stessa di questi testi e quindi per gli obiettivi che essi si prefiggono. Nel primo caso, si è potuto notare che, escludendo alcune regole di carattere basilare e strutturale sulla formulazione di dialoghi, scene e storie, tutto il resto appare estremamente personale e indefinibile in senso assoluto. È impossibile stabilire dove inizino quegli influssi che vengono considerati determinanti per le scelte di scrittura e dove questi abbiano termine nell’istante in cui sorge l’esigenza di scrivere, come bisogno primario e come tentativo di dare forma all’interiorità. Identica appare la situazione per i saggi dei nostri autori: essi stessi stupiti ed increduli di fronte alle occasioni più o meno rivelatorie nella loro esistenza prima di diventare definitivamente scrittori a tutto tondo. Persino il ruolo della volontà qui non sempre risulta determinante per il loro futuro, soprattutto all’inizio della loro carriera; alcune loro decisioni di diventare scrittori, sembrano esser state guidate da fattori e da persone che hanno giocato un ruolo imprevedibile nelle loro vite, e nonostante ciò li hanno segnati o li hanno guidati verso una meta sempre più definita, precisa e, appunto, vicina a quella che inizialmente si era rivelata solo come una possibilità tra le altre.

Non per questo si deve credere che diventare scrittori significhi solamente lasciarsi guidare dal caso, poiché come molti di loro hanno evidenziato, specialmente Naipaul e Ishiguro, la scrittura è stata innanzitutto l’esigenza di comunicare un pensiero anche critico nei confronti di realtà vissute in prima persona o di realtà in divenire di cui loro stessi facevano parte e che non sempre erano state oggetto di approfondite considerazioni. In tale modo, essi hanno dimostrato tramite la loro capacità di svolgere in maniera narrativa alcuni temi salienti, di poter dare significatività scritta anche a sfumature della realtà con osservazioni pregnanti eticamente, costruendo mondi basati sul loro differente modo di guardare a se stessi e al resto. In quest’ottica, la creatività, scaturita da una naturale predisposizione, si è messa al servizio di una forma che ha le sue leggi e le sue regole, non considerate dagli autori come un limite alla loro attività, ma altresì un punto di forza che valorizza le idee, le opinioni, gli sguardi e la loro fantasia. Quasi come fosse un processo all’incontrario, pare infatti che l’energia creativa di ognuno di loro abbia richiesto con forza un percorso di attenzione, cura e dedizione verso ogni singola parola, attraverso regole, norme, strutture e tecniche che altro non sono che la manifestazione di un pensiero che in tale modo si fa ricerca, ordine, precisione e adeguatezza. Alimentando nuovamente se stesso, questo modo di pensare ha suggerito al lettore di questi saggi sulla scrittura e sul senso della figura dello scrittore, una via per interpretarli, per rendere in qualche modo il loro mondo più vicino a quello di chi aspira a diventare scrittore, ma anche di chi, appassionato dei loro romanzi e racconti, è disposto ad andare oltre le loro biografie e la loro fervida immaginazione, il loro modo di trasformare il mondo.

All’interno della raccolta intitolata Sulla letteratura di Umberto Eco, troviamo anche un saggio sul percorso compiuto dallo scrittore prima di approdare al suo romanzo Il nome della rosa e nel paragrafo intitolato «Da dove si parte?» si parla di scrittura come di una progressione per fasi, ed Eco asserisce che

Di solito gli intervistatori ingenui oscillano tra due persuasioni, che si contraddicono tra loro: una, che un testo detto creativo si sviluppi quasi istantaneamente nella fiammata mistica di un raptus d’ispirazione; l’altra, che lo

scrittore abbia seguito una ricetta, una sorta di regola segreta, che si vorrebbe svelata.161

Più avanti l’autore prosegue sottolineando la mancanza di una regola immobile, universale, sostenendo invece l’esistenza di molte altre variegate regole” e considera inesistente la cosiddetta “ispirazione”. Ecco che allora che le opere di natura saggistica prese qui in considerazione offrono una sorta di naturale percorso verso il vasto mondo della letteratura, non delineandola secondo tratti e caratteri a priori universali; il loro è un percorso ancora in atto, sembra più un tumulto interiore, un’ inesauribile ricerca di idee e della forma che queste idee assumono nel corso del tempo. Tuttavia, se questi scrittori si fossero accontentati di assecondare questi loro pensieri, facendoli fluire senza dar loro un’impronta, una scossa, una direzione, si ha la sensazione che non sarebbero giunti al mestiere di scrivere. Da qui l’occasione di comprendere il potere o in alcuni casi l’assenza di potere dei libri, della scrittura e della lettura; il mistero che la letteratura possiede, leggendo questi saggi di Carver, Naipaul, Ishiguro, Murakami e Palahniuk, offre la possibilità di imparare ad accettare che non ci sono risposte definitive e assolute. Restano moltissime domande, una fra tutte è quella inerente il ruolo, la funzione della letteratura. Leggendo Umberto Eco e il discorso tenuto a Mantova nel 2000 al Festival degli scrittori, ritroviamo molto di quanto analizzato nei saggi dei suddetti autori. Riscontriamo che è la lingua innanzitutto a muoversi in direzioni inaspettate ed imprevedibili e a dimostrarsi sensibile a ciò che la letteratura offre; quest’ultima quindi partecipa della formazione linguistica che ci appartiene, delineando la nostra identità e il senso di appartenenza ad una comunità. Lo hanno dimostrato nelle loro opere Carver e Palahniuk: il primo tentando di creare una comunità di studenti o aspiranti scrittori che sentono il bisogno di dedicare il proprio tempo alla cura della lingua e al loro desiderio di narrare, il secondo misurandosi con una realtà americana che si rivela in continuo contrasto con se stessa e volta ad una paradossale ricerca di libertà, dove la scrittura è sia tentativo di fuga che sfida personale dal carattere radicale. Molto di ciò lo leggiamo in Eco quando afferma:

Certi personaggi sono diventati in qualche modo collettivamente veri perché la comunità ha fatto su di essi, nel corso dei secoli o degli anni, degli investimenti passionali individuali su tante fantasie che possiamo elaborare a occhi aperti o nel dormiveglia.162

Considerando queste figure, questi personaggi come elementi culturali e sociali che ritroviamo nella nostra vita con una certa continuità, Eco si sofferma a sottolineare quanto tale dimensione stia cambiando. Lo aveva colto Ishiguro quando nel suo Discorso per il Nobel aveva insistito sul bisogno di eliminare barriere ed ostacoli che separano e dividono i mondi e sulla possibilità di poterlo fare tramite la letteratura. Ugualmente anche Naipaul ha dimostrato che la scrittura e la lettura sono prima di tutto ricerca, analisi, non concetti dai quali iniziare a riflettere, ma destinazioni in continuo movimento. Di fronte agli innumerevoli corsi di scrittura, all’utilizzo crescente degli ipertesti e alla contaminazione tra le arti che oggi sembra essere il nuovo orizzonte esplorativo di molti, si rimane colpiti e ci si sente a tratti disarmati. Eco afferma che «grazie all’ipertesto è nata la pratica di una scrittura inventiva libera»163 in grado di dare una dimensione

collettiva a questa attività; di nuovo si torna ad una sorta di solitudine condivisa, la stessa che si riscontra in Murakami e Roth e che in quest’ultimo autore viene descritta come « fantasia morale, preziosa sia per l’individuo che per la società»164. Nuovamente si torna al punto d’inizio,

dove le idee, il senso della bellezza e le implicazioni etiche trovano profonde radici ma appaiono in misura ed in forma diversa a seconda di chi scrive, di chi legge e di chi si occupa di letteratura. Come afferma però Eco considerando i mutamenti applicati alla scrittura negli ultimi vent’anni, «questi giochi non sostituiscono la vera funzione educativa della letteratura»165. Gli scrittori considerati in questo lavoro conducono infatti a

prendere coscienza che bisogna imparare ad accettare che

La funzione dei racconti “immodificabili” è proprio questa: contro ogni nostro desiderio di cambiare il destino, ci fanno toccar con mano l’impossibilità di cambiarlo. E così facendo, qualsiasi vicenda raccontino, raccontano anche la nostra, e per questo li leggiamo e li amiamo. Della loro severa lezione “repressiva”

162Ivi, p. 17. 163 Ivi, p. 19.

164 PHILIP ROTH, Perché scrivere?, cit., p. 55. 165 U. ECO, Sulla letteratura, cit., p. 20.

abbiamo bisogno. La narrativa ipertestuale ci può educare alla libertà e alla creatività. È bene, ma non è tutto. I racconti “già fatti” ci insegnano anche a morire.166