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2 Dalla biopolitica alla polisgenetica: un nuovo paradigma?

Dalla biopolitica alla polisgenetica

Paragrafo 4. 2 Dalla biopolitica alla polisgenetica: un nuovo paradigma?

"…Contemplando Sémele bagnarsi in un fiume, Zeus venne colto da repentina smania d'amore, e, dopo un caleidoscopico amplesso, si formò la vita di Dioniso. Ma l'occhiuta Era stava sempre in guardia; venne da Sémele nelle sembianze di una vecchia pettegola e le suggerì di mettere il dio alla prova, chiedendogli di fare l'amore con lei come lo faceva con Era. L'incauta fanciulla si fece giurare da Zeus che avrebbe compiuto un suo desiderio, quale che fosse, e lo stolido amante, succube della passione, acconsentì per poi immediatamente pentirsi, resosi conto dell'astuzia fraudolenta della sposa. Zeus dovette entrare nel letto di Sémele armato del fulmine: e subito Sémele andò in fiamme. Da sette mesi portava in grembo Dioniso; Zeus lo estrasse dal rogo in cui si era trasformato il corpo di Sémele e inventò per lui un nuovo utero: si tagliò la coscia, vi depose il feto e ricucì la ferita con fibbie d'oro. Nel grembo più inviolabile si completò la gestazione di Dioniso ed il piccolo dio ebbe una seconda nascita per opera di Zeus, il dio

onnipotente al punto di sperimentare la doppia funzione di padre e di madre…"cccxi .

Per Foucault la forma della biopolitica è la forma delle pratiche governamentali dello stato liberale che conducono od obbligano la vita a fare il suo ingresso nella storia. E’

vita pervasa dallo stato, che spesso neutralizza la sua energia spontanea e fa assumere

ai corpi le posture ed i movimenti resi necessari o indispensabili dalle tecniche di sicurezza sociale e di immunizzazione sanitaria.

In senso generale, è possibile affermare che tutti i principi e le pratiche descritti da Foucault si iscrivono nello spazio dell’economia politica, cioè del riconoscimento e della mediazione dei bisogni di una determinata popolazione, oppure di singoli gruppi di individui, tenuto conto di certe risorse e di certe condizioni, non solo economiche in senso stretto, ma insieme sociali e tecniche, che consentono una determinata produzione di beni nel periodo storico di riferimento.

La biopolitica è dunque, fin dalla sua origine, una forma strumentale dell’economia politica, in quanto assume i bisogni, anche indotti, come sua parte costitutiva. Si tratta di bisogni mediati, come detto, dalle agenzie governamentali: legislative, amministrative o, più recentemente, anche da quelle costituite da soggetti riconosciuti ed in grado di deliberare o decidere autonomamente sulle pratiche di salute e malattia che li riguardano.

Nel contesto biopolitico liberale sono così compresi vari approcci che, pur da prospettive diverse, concorrono a disegnare un unico insieme di oggetti, appartenenti all’ordine biologico e fisico naturale, all’ordine sociale e legale, a quello coscienziale e psicoanalitico. Si tratta di oggetti certamente distinti, non solo perché confluenti in ordini con precisi confini, ma anche perché i confini operano nell’ambito di ciascun

ordine: oggetti che hanno, pertanto, bisogno di nessi per garantire il funzionamento delle macchine produttive e governamentali.

Anche il corpo e la coscienza soggettiva sono stati per lungo tempo parte delle categorie delle macchine da scomporre in modo da formare oggetti cui è possibile attribuire una nomenclatura ed organizzare un repertorio secondo lo statuto delle discipline biomediche, rendendo così la vita razionale nella misura e nei modi in cui lo stato biopolitico è razionale. Più recentemente detta capacità razionale è progressivamente demandata dallo stato ai singoli soggetti, o da questi ultimi comunque rivendicata, i quali assumono così, sempre più direttamente, il controllo e la potestà di orientamento della vita. Ciò, peraltro, non modifica di per sé l’ordine concettuale dei modi con cui la razionalità viene posta, ma solo la titolarità ad esercitare il potere biopolitico da parte di soggetti diversi.

Si osserva che la biopolitica non ha propriamente uno statuto, include invece tutto ciò

di cui è possibile discorrere intorno agli oggetti. I limiti del discorsocccxii, da una parte, riguardano la capacità del sistema biopolitico di selezionare fra gli oggetti disponibili, dall’altra, sono rappresentati dai punti di resistenza o confini fisici, biochimici, psicologici, normativi e sociali entro cui il discorso è in grado di curvare e alterare gli oggetti, senza per questo mutare la loro natura in quella di altri oggetti. Ciascuno di questi oggetti è infatti distinguibile e nominabile in sé ed è riproducibile e falsificabile all’interno dell’ordine di appartenenza, proprio perché la sua natura è conservata inalterata: il ferro rimane ferro, anche se assume la forma di ponte o di nave.

I caratteri che formano i linguaggi specifici di ogni gruppo di oggetti sono i nessi, dovuti non solo a pratiche semantiche e fisiche di ogni genere e a report dei beni prodotti, ma costituiti principalmente da attività di selezione di tecniche rivolte a fornire il movimento agli oggetti verso una certa direzione o finalità d’uso. Attività di selezione che divengono a loro volta oggetti ed oggetti sono le loro interpretazioni.

La storia della biopolitica potrebbe essere letta proprio come una storia dei nessi selettivi, normativi e tecnici, che estendono e muovono oggetti diversi, ciascuno con le sua autonoma proprietà ereditata dall’età classica, dove l’ordine biologico è stato sistematizzato e discusso, ma non ontologicamente modificato, anche se la tecnica del discorso ha per non pochi aspetti sostituito il discorso.

Ma, a questo punto, si ripresentano con maggiore forza le domande poste precedentemente: è possibile o meno inscrivere le questioni poste da Habermas lungo la linea biopolitica tracciata da Foucault o siamo oltre? In altri termini: ci si può servire dei poli e dei nessi che collegano gli oggetti della biopolitica per spiegare temi ed oggetti affatto nuovi? In quale nuovo ordine, gnoseologico ed epistemologico, è possibile da adesso in poi trattare il discorso del sociologo tedesco? Ed ancora: in quale polo del quadrante trovano collocazione dette questioni? Oppure, è possibile immaginare un nuovo spazio, come è stato prima supposto, in cui collocare i nuovi oggetti sociali che si stanno determinando anche per derivazione dai precedenti?

Tutto ciò apre l’ulteriore tema che riguarda l’ambito storico della biopolitica e non solo e non tanto con riferimento al momento della sua nascita, quanto piuttosto della sua trasformazione in un altro ordine discorsivo.

Determinare l’ambito storico della biopolitica significa anche definire la capienza

dell’approccio biopolitico di Foucault, il quale appare in grado di costituire la regione concettuale dove includere un sistema composto da più paradigmi, anche estremamente

differenziati dal punto di vista epistemologico, specie nell’ambito delle cure mediche e socio - sanitarie ed in quello socio - criminologico.

Per inquadrare questi temi e problemi, specialmente quelli che riguardano la definizione dei limiti del discorso che è possibile svolgere intorno agli oggetti della biopolitica e l’ambito storico della stessa, ci si rifà, innanzi tutto, alla lezione del filosofo Roberto Esposito, già richiamato precedentemente, la cui riflessione appare particolarmente acuta e feconda.

Esposito include nel concetto di biopolitica fatti assolutamente diversi e lontani nel tempo e nello spazio. Vi fa rientrare, ad esempio, la decisione della Corte di Cassazione francese del novembre 2000 che “riconosce ad un bambino, Nicolas Perrusche, nato con gravissime lesioni genetiche, il diritto di sporgere denuncia contro il medico che non aveva correttamente diagnosticato la malattia di rosolia alla madre incinta, impedendole così di abortire secondo la sua espressa volontà. Quello che, in tale vicenda, appare oggetto di controversia non risolubile sul piano giuridico è l’attribuzione al piccolo Nicolas del diritto di non nascere. Ad essere in discussione non è l’errore, accertato, del laboratorio medico, quanto lo statuto di soggetto di chi lo contesta. Come può, un individuo, domanda Esposito, ricorrere giuridicamente contro la circostanza - quella

della propria nascita - che sola gli fornisce soggettività giuridica? La difficoltà è insieme di ordine logico ed ontologico. Se è già problematico che un essere possa invocare il proprio diritto a non essere, come è appunto chi non sia ancora nato, che reclami il diritto a restare tale, e cioè a non entrare nella sfera dell’essere. Ciò che appare indecidibile, in termini di legge, è la relazione tra realtà biologica e personalità giuridica - tra vita naturale e forma di vita”cccxiii.

Ma, per Esposito, nella nozione di biopolitica, quale “fenomeno a doppia faccia, in cui vita e politica si legano in un vincolo la cui interpretazione richiede un nuovo linguaggio concettuale”cccxiv, rientrano anche i bombardamenti umanitari che hanno coinvolto l’Afghanistan nel novembre 2001, dove, avverte il filosofo, vi è “sovrapposizione […] tra dichiarata difesa della vita ed effettiva produzione di morte”cccxv, nonché la morte di 128 ostaggi a seguito dell’intervento nell’ottobre 2002 della polizia russa nel teatro Dubrovska i Mosca contro un comando ceceno. In quest’ultimo caso, sostiene Esposito, anche se “non si è fatto uso del termine umanitario, la logica di fondo non è diversa: la morte di decine di uomini scaturisce dalla stessa volontà di salvarne quanti più è possibile”cccxvi.

Sempre nella nozione di biopolitica Esposito fa rientrare la diffusione, nel febbraio 2003, della notizia, tenuta rigorosamente segreta dal governo cinese, che nella sola provincia dell’Henan vi sono più di un milione e mezzo di sieropositivi, con percentuali che in alcuni villaggi raggiungono l’ottanta per cento della popolazione. “A differenza che in altri paesi del terzo mondo, il contagio non ha una causa naturale o socioculturale, ma immediatamente economico - politica. Alla sua origine non vi sono rapporti sessuali non protetti e neanche scambio di sangue da siringhe infette, bensì la vendita in massa di tessuto sanguigno, stimolata e gestita direttamente dal governo centrale. Il sangue, estratto a contadini bisognosi di danaro, viene centrifugato in grossi contenitori che separano il plasma dai globuli rossi. Mentre il primo è inviato a ricchi acquirenti, questi ultimi sono di nuovo iniettati ai donatori per evitare l’anemia e spingerli a ripetere l’operazione di continuo. Ma basta che uno solo di essi sia infetto, per contagiare l’intera partita di sangue senza plasma contenuto nei grandi calderoni. In questo modo interi villaggi si sono riempiti di sieropositivi quasi sempre destinati a morte certa per mancanza di medicine”cccxvii.

Esposito cita anche il caso del Ruanda, dell’aprile 2004, dove un rapporto ONU informa che circa diecimila bambini della stessa età costituiscono il frutto biologico degli stupri etnici messi in atto dieci anni fa nel corso del genocidio consumato dagli Hutu nei confronti dei Tutsi, così come è già accaduto in Bosnia e altrove. Tale pratica “modifica in modo inedito il rapporto tra vita e morte conosciuto nelle guerre tradizionali e financo in quelle, cosiddette asimmetriche, contro i terroristi. Mentre in esse la morte viene sempre dalla vita - e addirittura attraverso la vita, come negli attacchi suicidi dei kamikaze - nell’atto dello stupro etnico è anche la vita a venire dalla morte, dalla violenza, dal terrore di donne rese gravide ancora svenute per i colpi ricevuti o immobilizzate con un coltello alla gola. E’ un esempio di eugenetica positiva che non si contrappone a quella, negativa, praticata in Cina o altrove, ma ne costituisce il risultato controfattuale. Mentre i nazisti, e tutti i loro emuli, attuavano il genocidio mediante la distruzione anticipata della nascita, quello attuale si compie mediante la nascita forzata e cioè nella più drastica perversione dell’evento che porta in sé l’essenza, oltre che la promessa, della vita. Contrariamente a coloro che hanno visto nella novità della nascita il presupposto, simbolico e reale, per un’azione politica rinnovata, lo stupro etnico ne ha fatto il punto più acuto di congiunzione tra politica e morte. Ma tutto ciò nel tragico paradosso di una nuova generazione di vita. […]. Non solo: ma che la più estrema pratica immunitaria - quella di affermare la superiorità del proprio sangue fino ad imporlo a chi non lo condivide - è destinata a rovesciarsi contro se stessa producendo esattamente ciò che voleva evitare”cccxviii.

Sostiene, al proposito, Roberto Esposito che “la connessione strutturale tra modernità e immunizzazione ci consente di fare un altro passo avanti anche in merito al tempo della biopolitica. […]. lo stesso Foucault oscilla tra due possibili periodizzazioni - e perciò interpretazioni - del paradigma da lui stesso attivato. Se la biopolitica nasce dalla fine della sovranità - ammesso che questa sia mai davvero finita - vuol dire che la sua storia è prevalentemente moderna e anzi, in un certo senso, addirittura postmoderna. Se invece, come in altri passi Foucault lascia intendere, essa si accompagna al regime sovrano, costituendone una particolare articolazione, o una specifica tonalità, allora essa ha una genesi ben più antica che in ultima analisi coincide con quella della stessa politica, da sempre, in un modo o in un altro, rivolta alla vita”cccxix.

Al centro di questi fatti, ciò che li accomuna, vi è secondo Esposito la nozione di biopolitica. Quindi, “solo a partire da essa eventi sfuggenti ad un’interpretazione più tradizionale, come quelli appena richiamati, ritrovano un senso d’insieme che va al di là della loro semplice manifestazione. E’ vero che essi restituiscono un’immagine estrema, ma certo non infedele, di una dinamica che ormai coinvolge tutti i grandi fenomeni politici del nostro tempo. Dalla guerra del e contro il terrorismo alle migrazioni di massa, dalle politiche sanitarie a quelle demografiche, dalle misure di sicurezza preventiva all’estensione illimitata delle legislazioni di emergenza, non c’è fenomeno di rilievo internazionale estraneo alla doppia tendenza che situa le vicende cui si è fatto riferimento su un’unica linea di significato: da un lato una crescente sovrapposizione tra l’ambito della politica, o del diritto, e quello della vita, dall’altro un’implicazione altrettanto stretta, che sembra derivarne, nei confronti della morte”cccxx.

Non v’è dubbio: Esposito fa propria e riprende la lezione di Michel Foucault che si era interrogato sulle ragioni che spesso trasformano le politiche della vita in opere di morte. Proprio qui si può cogliere il segno distintivo ed il “confine” dell’analisi di Foucault, che sono insiti nella “natura del rapporto che stringe i due termini da cui la categoria di biopolitica è composta”cccxxi. Proprio questo rapporto spinge Esposito a domandarsi che cosa si debba intendere per bios e come vada posta una relazione politica che a bios si riferisca. “A poco serve, in relazione a simili domande,” sostiene Esposito, “il riferimento alla figura classica del bìos politikòs, dal momento che la semantica in questione sembra trarre senso precisamente dal suo ritiro. Volendo restare al lessico greco, e in particolare aristotelico, infatti, più che al termine bios, inteso nel significato di vita qualificata o di forma di vita, la biopolitica rimanda semmai alla dimensione della zoé, vale a dire alla vita nella sua semplice dimensione biologica; o almeno alla linea di congiunzione lungo la quale il bios si affaccia sulla zoé naturalizzandosi anch’esso. Ma proprio in ragione di questo scambio terminologico l’idea di biopolitica appare situarsi in una zona di doppia indiscernibilità. Intanto perché abitata da un termine che non le conviene - e che anzi rischia di distorcerne il tratto più pregnante. E poi perché intenzionata ad un concetto - quello appunto di zoé - esso stesso di problematica definizione: cos’è, se pure è concepibile una vita assolutamente naturale - cioè spogliata di ogni connotato formale? Tanto più oggi, quando il corpo umano appare sempre più sfidato, e anche letteralmente attraversato, dalla tecnica. La politica penetra

direttamente nella vita, ma nel frattempo la vita è diventata altro da sé. E allora, se non esiste una vita naturale che non sia, contemporaneamente, anche tecnica; se il rapporto a due tra bios e zoé deve oramai, o forse da sempre, includere, come terzo termine correlato, la techne, come ipotizzare una relazione esclusiva tra politica e vita? Anche da questo lato il concetto di biopolitica sembra ritrarsi, o svuotarsi di contenuto, nel momento stesso in cui è formulato. […]. Nel momento in cui da un lato crollano le distinzioni moderne tra pubblico e privato, Stato e società, locale e globale, e dall’altro si inaridiscono tutte le altre fonti di legittimazione, la vita stessa si accampa al centro di ogni procedura politica: non è ormai concepibile altra politica che una politica della vita, nel senso oggettivo e soggettivo del termine”cccxxii. Esposito richiama qui la divaricazione interpretativa inerente il governo politico della vita. Che cosa significa esattamente quest’ultima espressione, si tratta di “un governo della o sulla vita” che esprime la biforcazione concettuale tra biopolitica e biopotere - “intendendo con il primo una politica in nome della vita e con il secondo una vita sottomessa al comando della vita”cccxxiii?

Esposito sonda, dunque, in profondità i limiti interni alla biopolitica, estendendo i nessi possibili fra oggetti diversi e richiamando la tecnica come arbitro fra vita e intervento politico.

A ben guardare tali limiti interni hanno come riferimento tutti lo stesso ambito discorsivo che si svolge intorno agli oggetti. Il significato comune è quindi quello di appartenere, come riconosce lo stesso Esposito, anche se con finalità analitiche diverse rispetto a quelle di chi scrive, al medesimo ordine discorsivo che si regge sulla base della “semantica dell’immunità, nella misura in cui inserisce la biopolitica in una griglia storicamente determinata”cccxxiv.

Se ciò è vero, il significato della biopolitica, il suo segno distintivo, è racchiuso fondamentalmente nelle forme storiche, moderne e contemporanee, che hanno dato e danno luogo alle pratiche di immunizzazione, secondo il senso ed i significati che prima sono stati esplicitati trattando del discorso di Foucault.

Questa affermazione consente di poter sostenere che al di fuori di tali pratiche immunitarie non vi è biopolitica, a meno di non intendere, come fa Esposito, la biopolitica in senso generalissimo, identificandola cioè nella penetrazione - fin dai

tempi “in cui il corpo degli schiavi era pienamente disponibile al dominio dei loro padroni”cccxxv - del potere nella vita biologica.

Ma l’acuta e profonda analisi di Esposito rimane dentro il campo degli oggetti e dei nessi che qualificano la biopolitica, seppure estendendone i contenuti e le espressioni. Esposito non scorge ciò che è oltre la biopolitica, proprio perché ritiene implicitamente che la biopolitica riguardi essenzialmente, come è stato osservato in precedenza, il dominio sul movimento del corpo, in base a pratiche e tecniche che tuttavia non toccano la natura del corpo stesso, non ne mutano la forma.

E’ possibile, invece, proprio basandoci sulla semantica dell’immunità posta da Foucault e ripresa da Esposito, intravedere i confini esterni della biopolitica, cioè la linea di separazione fra le pratiche immunitarie ed altre pratiche che concettualmente non possono essere fatte rientrare nelle prime, o, anche, il limite del discorso di Foucault davanti alle questioni poste da Habermas ed inerenti la programmazione genetica degli esseri viventi.

Le pratiche genetiche, infatti, non sono propriamente immunitarie e, anzi, la stessa logica discorsiva intorno al gene non ha carattere immunitario, anche se può apportare benefici immunitari. La logica del gene è generativa e rigenerativa, può ammettere ed includere, ma anche negare, la semantica biopolitica, i suoi oggetti ed i suoi nessi. Con Foucault abbiamo assunto la biopolitica come un complesso di oggetti sociali, scientifici governamentali e produttivi, costruiti a partire dal XVII secolo e abbiamo quindi autonomamente valutato la biopolitica come il discorso che è possibile tenere intorno agli oggetti, cercando di definirne l’estensione, i limiti interni ed i confini esterni.

Abbiamo ancora individuato nel sistema dei nessi, fisici e concettuali, la sintassi biopolitica che lega analiticamente oggetti diversi, pur mantenendo la loro natura sostanzialmente inalterata, e che ha consentito il dominio sulla materia inerte. E’ stato osservato, a tale ultimo proposito, che i soggetti e gli oggetti delle pratiche riferite all’ordine biopolitico sono sempre ontologicamente differenziabili, pur se, si aggiunge, sussistono e persistono evidenti problemi assiologici o di adeguamento dei soggetti, anche considerati individualmente, alle logiche produttive che formano gli oggetti e alle pratiche governamentali che li dispongono nello spazio sociale.

Con Habermas non cambia solo l’ordine discorsivo, la grammatica e la sintassi delle