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Dalla biopolitica alla polisgenetica

Paragrafo 3. 2 Il mercato del corpo e i biocrimini.

Il 13 luglio 2007 il Comitato Nazionale per la Bioetica (da ora in avanti CNB), in seduta plenaria, ha approvato la mozione sulla compravendita di ovociti.

La cessione di ovociti a fini procreativi e di ricerca scientifica, denuncia il CNB, è un fenomeno in continua espansione in numerosi Paesi che rende necessarie le seguenti considerazioni:

1) deve essere ricordato il principio della non commerciabilità del corpo umano, nella sua integralità come anche nelle sue singole parti, che costituisce un principio etico e giuridico fondamentale, ribadito in modo inequivocabile nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000)ccxxx, nella Convenzione di Oviedo sulla biomedicina (1997)ccxxxi e nella Dichiarazione universale dell’UNESCO sul genoma umano e i diritti dell’uomo (1997)ccxxxii, ove, in particolare, il genoma umano è qualificato in senso simbolico, patrimonio dell’umanità.

2) La cessione degli ovociti umani a scopo di profitto risulta lesiva della dignità della donna, pregiudicandone anche l’integrità psico - fisica, tende inevitabilmente a ridurne l’effettivo esercizio della libertà di scelta, altera i delicati equilibri dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente e costituisce una grave forma di abuso dello stato di necessità in cui si trovano i soggetti più deboli, per motivi economici o per età.

3) E’ convinzione del CNB che debba essere costantemente ribadito il divieto di ogni commercializzazione del corpo umano e di ogni sua parte, sia in forma diretta, attraverso atti di compravendita, che in forma indiretta attraverso indennità o rimborsi non giustificati.

4) Il CNB auspica che le autorità sanitarie competenti attivino strumenti di informazione e di formazione dell’opinione pubblica, per renderla consapevole dell’esistenza di un incremento del traffico di ovociti a scopo di profitto, e dei rischi collegati e conseguenti per la salute della donna.

Nel 2005 il Parlamento Europeo aveva emanato una Risoluzione sul commercio di ovociti umaniccxxxiii. Il testo che aveva promosso la Risoluzione trovava origine da

alcune notizie di cronaca sul commercio di ovociti dalla clinica Global Arts in

Romania verso cliniche britanniche. Nel testo inizialeccxxxiv si rammenta che la Carta

dei diritti fondamentali dell'Unione "sancisce il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro". In tale contesto, "va rivolta una particolare attenzione alle persone vulnerabili a rischio di divenire vittime del traffico di organi, in particolare le donne". Inoltre, sottolineando che la direttiva 2004/23/CE prescrive che gli Stati membri si adoperino per garantire donazioni volontarie e gratuite di tessuti e cellule, i deputati condannano qualsiasi traffico del corpo umano e di sue parti, e i deputati chiedono alla Commissione di fare piena luce sulle informazioni riportate dai media a tale proposito.

Si considera, infatti, che la promessa di incentivi finanziari potrebbe indurre una donna, specie se si trova in condizioni di ristrettezze economiche, a considerare la possibilità di vendere i propri ovociti, sebbene così facendo potrebbe mettere seriamente a repentaglio la propria vita e la propria salute e quella della destinataria, dal momento che donatrice potrebbe non render noti la sua anamnesi o eventuali rischi medici che renderebbero sconsigliabile la donazione.

La Risoluzione sottolinea, ancora, che qualsiasi donna costretta a vedere parti del proprio corpo, comprese le cellule riproduttive, diventa la preda di reti criminali

organizzate dedite al traffico di persone e organi.

La Risoluzione fa anche un esplicito riferimento alla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Uniteccxxxv che richiama la necessità di impedire lo sfruttamento delle donne, e chiede alla Commissione, in accordo con tale risoluzione, di escludere qualsiasi sostegno o finanziamento alla clonazione umana nel quadro di programmi dell’UE.

Sono evidenti le preoccupazioni degli organismi internazionali e nazionali, ai loro massimi livelli, per un fenomeno emergente, reso possibile dai rapidi progressi delle bioscienze, che consente la messa a disposizione sul mercato globale di “prodotti” ricavati dal corpo umano impossibili da reperire se tali progressi non si fossero verificati.

Sul versante della brevettabilità del vivente, come è stato già osservato, sono stati posti limiti, seppure generalissimi, che funzionano come condizioni di ammissibilità e di liceità con la previsione di attività di controllo pubblico.

La direttiva 98/44/CE prevede, infatti, il divieto di clonazione e il divieto di utilizzo per fini industriali o commerciali degli embrioni), delegando al legislatore nazionale l’emanazione della normativa relativa. Su questo tema, due sono le posizioni che si sono confrontate: da una parte coloro che chiedono un intervento dello Stato volto a definire i protocolli e le regole tecniche che assicurino la sicurezza delle tecnologie applicate alla vita, in modo da evitare rischi per la salute e l’integrità della persona; dall’altra coloro che si richiamano a valori etici e intendono trasferirle sul piano giuridico.

Il più volte citato Alberto Pizzoferrato, che si pone fra i più autorevoli autori nel campo giuridico del brevetto per invenzione e biotecnologie, osserva come “il mercato delle biotecnologie non possa essere lasciato unicamente alle ragioni soggettive del profitto e debba avere dei contemperamenti pubblicistici legati ad interessi generali della collettività, quali lo sviluppo della scienza e della tecnologia, la sicurezza dell’integrità ed incolumità personale, la conservazione delle specie viventi e della biodiversità, la competizione ad armi pari sul mercato con divieto di rendite di posizioni monopolistiche. Un controllo quindi sull’applicazione delle privative concesse in questo campo non può in nessun caso mancare, così come non può mancare uno screening preventivo ed un’obbligatoria sperimentazione prima della commercializzazione sugli effetti nocivi a breve e lungo termine del prodotto biotecnologico. In tal senso un ruolo importante può giocare la politica dei finanziamenti pubblici alla ricerca condotta a livello comunitario e nazionale attraverso i piani di sviluppo e programmazione pluriennali che dovrebbero imporre il rispetto di autorevoli protocolli di bioetica per ogni attività di ingegneria genetica patrocinata, e dovrebbero indicare aree off - limits per la sperimentazione clinica, non meritevoli di alcun sovvenzionamento e supporto in quanto contrarie al sentimento etico collettivo. […]. L’utilizzo del meccanismo delle clausole generali ed aperte di ordine pubblico e buon costume da parte del legislatore comunitario ed interno risulta dunque estremamente funzionale allo scopo di garantire un automatico upgrade delle norme giuridiche e delle loro direttrici di incidenza precettiva sulle dinamiche sociali ed etiche in movimento nella società, per evitare scollamenti fra il dover essere giuridico cristallizzato nella disposizione e il dover essere

sentito e interiorizzato dalla comunità e circolante presso l’opinione pubblica” ccxxxvi. Tali limiti e raccomandazioni, d’altra parte, non sembrano veramente efficaci. Anzi, proprio tali limiti e raccomandazioni all’etica senza che la stessa sia dotata di quella forza governamentale e coercitiva del diritto, segnalano il mutamento di comportamenti, atteggiamenti, percezioni e aspettative soggettive che investono settori sempre più ampi della società. Non è possibile, per esempio, non considerare che di fatto già oggi, come rivela la rivista Scienze, in ogni singola cellula appartenente al corpo umano è presente un gene, che svolge un ruolo cruciale nei primi stadi di sviluppo del midollo spinale, appartenente alla Harvard University; mentre un altro gene che produce la proteina utilizzata dal virus dell’epatite A per legarsi alla membrana cellulare è stato brevettato dal U. S. Departement of Health and Human Service. Non solo: circa la metà dei geni che sono coinvolti nell’insorgere di patologie tumorali sono coperte da brevetto. L’autorevole rivista segnala ancora che a metà del 2006 l’Ufficio Brevetti degli Stati Uniti aveva rilasciato brevetti a società, università e agenzie governative per circa il 20 % del genoma umanoccxxxvii.

Si tratta di situazioni che formano una realtà giuridica, sociale e mercantile che sempre più le bioscienze contribuiscono, con i loro successi, a rappresentare e costruire, anche se una parte fondamentale nell’edificazione, cognitiva ed emozionale, di tali situazioni, che interagiscono direttamente con l’immaginario soggettivo e sociale, è costituita dal sistema dell’informazione, specializzata e non, che sta con intensità crescente offrendo notizie e riproduzioni, vere o verosimili, scientificamente fondate oppure solo al momento ipotizzate, ma poste e dibattute, che stanno oggettivamente alimentando nuove attese individuali e sociali in grado di generare propensioni e comportamenti verso “oggetti di consumo” non conosciuti solo fino a pochi anni fa.

Propensioni e comportamenti che possono assumere, in ragione della velocità con cui si succedono le scoperte delle bioscienze e la frequenza con cui sono immessi sul mercato i prodotti biotecnologici (indipendentemente dalla loro vera o presunta efficacia), anche caratteri di effervescenza anomica (come vedremo più avanti), fino alla consumazione di atti gravemente delittuosi di cui la stessa cronaca e le inchieste giudiziarie che si stanno aprendo iniziano a dare conto.

La cronaca giornalistica, in particolare, svolge un ruolo indubbiamente fondamentale nel definire e nell’orientare, assieme alle scelte etiche, anche le politiche sociali e penali

nei confronti dei biocrimini emergenti, ruolo che non deve essere sottovalutato: proprio la cronaca, infatti, ha sollecitato l’emanazione nel 2005 della Risoluzione del Parlamento Europeo prima richiamata sul commercio di ovociti umani, come esplicitamente indicato dalla stessa Risoluzione.

Il sistema dell’informazione è dunque uno strumento in grado di rilevare, ma anche di costruire nuovi atteggiamenti sociali (si pensi al fenomeno dei reality con in palio organi umaniccxxxviii) che, come detto, fanno seguito ai progressi delle bioscienze oppure li anticipano, che rendono evidenti situazioni diverse, comprensive di crimini certi e di fatti che, anche per l’insufficiente coordinamento legislativo, nazionale ed internazionale, o addirittura per mancanza di un sistema efficace di norme, sono da considerarsi collocati in una zona di confine fra il lecito e l’illecito.

Oltre al business delle cellule staminali che, se ne riferirà più avanti, hanno portato anche la consumazione di reati gravissimi, come l’omicidio per procurarsi materiale biologico da rivendere, o il deliberato inganno di pazienti affetti, allo stato della scienza, da malattie incurabili, la cronaca ha registrato fenomeni come il traffico clandestino di embrioniccxxxix; il business (non adeguatamente regolamentato) da parte delle banche delle staminali adulteccxl; la selezione programmata del sesso e la diagnosi sugli embrioni per individuare le malattie genetiche prima di trasferirli in utero (da parte dei designer babies), nonché forme diverse di eugenetica (come l’aborto selettivo)ccxli; casi di sottoposizione a trattamenti per la clonazioneccxlii; situazioni che segnalano contraddizioni normative, come, ad esempio, i bio - medicinali ricavati dalla ricerca sulle staminali ritenuti legali in alcuni Paesi (dove la ricerca biogenetica è più sviluppata) ed altri Paesi con legislazioni maggiormente restrittive che vietano la distruzione degli embrioni per usi scientificiccxliii; la creazione illecita (in alcuni Paesi) di embrioni chimera (ibridi frutto dell’unione di ovociti animali con DNA umano)ccxliv; le disuguaglianze di cui soffrono i Paesi poveri riguardo all’accesso alle biotecnologieccxlv; il business delle banche per la conservazione del cordone ombelicaleccxlvi; il rifiuto da parte di numerose coppie dell'impianto di tutti gli embrioni ottenuticcxlvii; la vendita illecita di ovociti da parte di donatriciccxlviii; il business degli uteri in affittoccxlix; il business degli ovociti congelaticcl; l’esecuzione di test genetici sugli immigraticcli; oppure l’alimentazione dell’immaginario sociale con la prospettiva che la riproduzione artificiale della vita sarà presto possibilecclii.

La conferma ufficiale che il complesso fenomeno dei biocrimini si sta positivizzando anche come realtà giudiziaria viene dalla prima indagine penale avviata in Italia da quando è in vigore la legge n. 40/2004, legge che pone rigorosi limiti nel campo dell’inseminazione artificiale. L’inchiesta, partita da Napoli, e di cui fornisce un resoconto il quotidiano il Mattino del 10 novembre 2007, ha portato a provvedimenti di perquisizione nei confronti di due biologi e di un medico per congelamento di embrioni in vista del loro commercio. Le ipotesi di reato è che siano stati venduti a coppie sterili embrioni prodotti da altre coppie, con trattamento illecito di ovociti, diagnosi di preimpianto, e forme di stimolazione illegali. Non v’è dubbio che, al di là di come l’inchiesta si concluderà, il fenomeno dei biocrimini stia acquisendo anche nel nostro Paese una precisa fisionomia: è ritenuto quanto meno possibile, dopo anni di non considerazione oppure di scarsa valutazione.

Il corpo umano, dunque, è sempre più l’oggetto di interessi plurimi, in quanto materia prima e centro di risorse biologiche da cui attingere, mentre sta perdendo il valore in sé per acquisire piuttosto un valore d’uso e di scambio.

Il corpo è, in questa accezione, ridotto a materiale biologico che, certo, se saputo trattare, permette di curare molte malattie, ma tuttavia lo espone a pratiche finalizzate al suo sfruttamento commerciale.

Il corpo sta cominciando a far parte del mercato, anzi, del biomercato.

Prima di prendere in considerazione alcune fattispecie di rilevanza penale riferite al “mercato del corpo”, è necessario interrogarsi sui diritti di proprietà e sulle potestà che concernono il corpo inteso come base fisica (di organi, tessuti, cellule, ecc.) e come un insieme di segni dai significati plurali diversamente rappresentabili che compongono oggetti distinti e distinte forme di regolazione sociale e normativa. Innanzi tutto, chi è il proprietario del corpo?

Stefano Rodotà, al proposito, si domanda: “Di chi è il corpo? Della persona interessata, della sua cerchia familiare, di un Dio che l’ha donato, di una natura che lo vuole inviolabile, di un potere sociale che in mille modi se ne impadronisce, di un medico o di un magistrato che ne stabiliscono il destino? E di quale corpo stiamo parlando?” ccliii. D’altra parte, sottolinea sempre Rodotà, “il possesso di sé e il controllo degli altri sono sempre stati tutto meno che un fatto naturale. Conformato dalla natura, il corpo era subito consegnato alla disciplina umana, nella quale diritto e norme hanno sempre

giocato un ruolo determinante. Habeas corpus, l’antica promessa della Magna Carta nel 1215, è un’affermazione essenziale per comprendere l’organizzarsi dei rapporti di potere già ai lontani albori di uno Stato che vuol essere moderno e di una civiltà che vuol dirsi giuridica. Ed è proprio la materialità del corpo al centro del negoziato. Vero è che la modernità giuridica allontana da sé la corporeità, e si costruisce intorno a una trama di concetti astratti, che definiscono il soggetto facendo appunto astrazione da tutte le condizioni materiali della sua esistenza”ccliv. Il corpo, dunque, è simile ad una norma e quando diviene altro o plurimo moltiplica le norme.

Per Borgna, che riprende implicitamente il pensiero di Foucault, questi sono i temi cui ci si riferisce quando si chiama in causa il biodiritto (o bioius), il quale è chiamato ad identificare e dirimere le questioni che ruotano intorno al corpo umano e alla nozione di

proprietà del medesimocclv.

In realtà su questo argomento “il diritto si confronta almeno dalla fine del Settecento interrogandosi sull'alienabilità della persona nel lavoro (l'oggetto del contratto di lavoro è il lavoro o la promessa del lavoro?), il quesito relativo a chi possa disporre del corpo è stato riproposto con forza dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche che consentono il prelievo, la modifica, il trasferimento e l'uso, anche a vantaggio di altri, di singole parti del corpo umano”cclvi.

Ci si può, dunque, domandare in quali casi il corpo, le sue parti e i suoi prodotti siano da considerarsi oggetto di atti di disposizione, e da parte di quale soggetto, oppure di veri e propri negozi giuridici. Il tema principale delle transazioni commerciali connesse con i prodotti che il corpo è in grado di fornire, infatti, è costituito dalla legittimità dei comportamenti di un soggetto che rende disponibili al prelievo dei propri tessuti oppure delle proprie cellule affinché siano trattate biologicamente per essere quindi impiantate in altri pazienti.

Gli ordinamenti giuridici normalmente considerano il corpo e le sue parti come cose non commerciabili (res extra commercium), salvo che per le parti e/o prodotti del corpo rinnovabili, come, per esempio, i capelli. Deve, peraltro, essere osservato che la non commerciabilità è cosa diversa dall’indisponibilità. Il codice civile italiano individua all’articolo 5cclvii una norma specifica sugli atti di disposizione del corpo, sancendone la non disponibilità quando questa diminuisca in maniera permanente l’integrità fisica dell’individuo.

Pure nei limiti disegnati dalla norma, si pone il problema del valore di un negozio giuridico dove i due contraenti sono rappresentati, per esempio, da una coppia che commissiona ad una donna di portare avanti la gravidanza per conto della coppia stessa, oppure il problema, più generale, di come può essere esercitato il potere di disporre del proprio corpo (a titolo gratuito o deve essere riconosciuta la relativa libertà contrattuale?).

Si tratta, in fondo, di domandarsi se il corpo è parificabile a qualsiasi altro bene e, di conseguenza, possa divenire oggetto di un contratto con contenuto patrimoniale; oppure se la parificazione è consentita solo quando non sia prevista alcuna controprestazione; o, viceversa, stabilendo la non parificazione del corpo ad un oggetto.

Diritto, corpo come materia e corpo come rappresentazione sociale si intersecano strettamente. Borgna in merito afferma: “Chiamato a farlo da comportamenti e rappresentazioni sociali e culturali emergenti, e dal loro conflitto con quelle tradizionali, il diritto, lungi dal funzionare da semplice recettore di conoscenze e di modelli determinati altrove, svolge un ruolo di primo piano nella costruzione sociale del corpo e nella diffusione delle relative rappresentazioni”cclviii. La stessa Autrice individua due situazioni giuridiche connesse alla nozione di proprietà del corpo.

La prima è costituita dal “principio del silenzio - assenso previsto dalla normativa italiana in materia di prelievi e di trapianti di organi e tessuti - uno dei due schemi adottati di consueto nei paesi che vietano la commercializzazione per i prelievi da cadavere - è significativamente definito dai suoi oppositori un esproprio (l'altro, lo schema del consenso esplicitamente manifestato i vita dalla persona con possibilità di sostituire a questo il consenso dei familiari, è attualmente in vigore in via transitoria nel nostro Paese)”cclix.

La seconda si determina “quando viene stabilito che un diritto di proprietà rispetto ai materiali biologici non è configurabile, com'è accaduto in relazione al quesito concernente la proprietà di cellule prelevate ad un paziente, modificate e utilizzate per altri soggetti”cclx. In tal caso, si interroga Borgna, “come può essere decretata la brevettabilità dei medesimi materiali? La brevettabilità dell'umano non presuppone, come la commerciabilità, la nozione di proprietà?”cclxi. Borgna ritiene che il contrasto tra non commerciabilità e brevettabilità sia in realtà solo apparente. Non commerciabilità e brevettabilità costituiscono, piuttosto, “i versanti di un medesimo e

preciso inquadramento sul quale si costruisce giuridicamente l'inesistenza di diritti di proprietà sul corpo. La non commerciabilità riguarda infatti solo gli individui, e non ciò che, acquisito dalla scienza e dall'industria, viene poi trasformato. Ad essere brevettabile non è il corpo o sue parti, bensì l'opera dell'ingegno sul corpo: l'appropriabilità intellettuale del corpo cui si riferisce l'evocativo neologismo bodyright. Per questa via il diritto partecipa alla dematerializzazione del corpo in termini di informazione”cclxii.

Anche per Borgna, dunque, vale la tesi secondo la quale “il mercato di parti separate

del corpo rappresenta una novità resa possibile dallo sviluppo scientifico e

tecnologico dell'ultimo trentennio”cclxiii. Non nuova, la logica dell'uso del corpo

umano come merce attraversa in forme diverse gran parte della storia. Ad essa, ricorda

Borgna, “sono state ricondotte, ad esempio, schiavitù e adozioni a pagamento (forme di mercato del corpo umano in toto), lavoro salariato e prostituzione (forme di vendita d'uso, basate sullo scambio tra moneta e funzioni corporee). Le conseguenze della "frammentazione commerciale dell'essere umano" e dal connesso biomercato (mercato di sequenze di DNA; di gameti, di embrioni, di uteri; di sangue; di reni, di cuori, di polmoni, di fegati, di cornee, ecc.) sulle rappresentazioni culturali del corpo costituiscono uno dei temi emergenti della odierna riflessione bioetica. Nel mostrare che l'alternativa tra concezione del corpo come merce e quella del corpo come valore percorre tutta la storia, tale riflessione sottolinea la tendenza invasiva del mercato e si interroga sugli effetti del crescente impatto di quest'ultimo sui rapporti tra la scienza e la vita materiale, sui principi, sugli atteggiamenti, sulle leggi”cclxiv.

Rodotà svolge considerazioni simili: “Il corpo, di per sé, è un oggetto sociale, e la