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Come evidenziato al paragrafo precedente la legge 979/82, come modificata dal D.Lgt. 6 Novembre 2007, n.202 recante Attuazione della direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni, pone specifici divieti e sanzioni in ordine alla immissione nell’ambiente marino di sostanze inquinanti.

In particolare, l’art. 21 della Legge 979/1982 pone a carico del comandante e del proprietario o armatore della nave, l’obbligo di rifondere allo Stato, in regime di solidarietà passiva, le spese sostenute per la pulizia delle acque e degli arenili, nonché quello di risarcire i danni arrecati alle risorse marine. Tale obbligo è fondato sul riconoscimento di una responsabilità oggettiva che include tutte le

68 Come evidenziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con Circolare prot. PNM-2011-0008861 del 21.04.2011 le modalità di intervento

nell’emergenza consistono nella rimozione meccanica e/o nell’abbattimento fisico dell’inquinamento anche con previsione, solo in caso di estrema ratio e previa puntuale e attenta valutazione della situazione in situ, di aggressione chimica, previa specifica autorizzazione rilasciata, di volta in volta, dalla Direzione Generale per la Protezione della Natura e del Mare.

fattispecie di inquinamento ancorché determinate da cause di forza maggiore69.

La materia del danno all’ambiente marino si presta ad una analisi delle possibili varianti determinate, oltre che da una intrinseca e potenziale rilevanza transfrontaliera degli eventi inquinanti, dall’interrelazione di una pluralità di fattori quali l’origine della fonte inquinante, l’ambito spaziale entro il quale si determina l’inquinamento, il regime delle responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, la quantificazione del danno sotto il profilo risarcitorio e la titolarità delle discendenti attribuzioni.

Il principio del “chi inquina paga” 70 o del c.d. P.P.P. (polluter pays priciple), inteso come principio di portata generale, viene affermato nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972, all’art. 22 e nella Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 (principio n. 13) ed è riconosciuto, a livello internazionale, dalla Convenzione di Montego Bay del 1982 che, all’ art. 235 prevede il ricorso da parte degli Stati, in conformità al proprio ordinamento giuridico, a strumenti idonei volti ad ottenere un indennizzo rapido e adeguato ovvero altre forme di reintegrazione in relazione ai danni causati da inquinamento dell’ambiente marino originato da persone fisiche o giuridiche sottoposte alla giurisdizione

69 L’art. 21 comma 2 della L. 979/1982 prevede in particolare la sussistenza dell’obbligo sancito dal comma 1 della medesima norma in tutte le ipotesi in cui: “si sia

dovuta effettuare la discarica in mare di sostanze vietate, per la sicurezza della propria nave, o l’immissione delle sostanze vietate nelle acque del mare sia stata causata da una avaria o da una perdita inevitabile ed ogni ragionevole precauzione sia stata adottata dopo l’avaria o la scoperta della perdita per impedire o ridurre il versamento delle sostanze stesse in mare”.

70 Cfr. Cons. Stato, V, 16.6.2009 n. 3885: “il principio chi inquina paga consiste, in definitiva, nell'imputazione dei costi ambientali (c.d. esternalità ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell’impresa) al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita (poiché esiste una compromissione ecologica lecita data dall'attività di trasformazione industriale dell’ambiente che non supera gli standards legali). Ciò, sia in una logica risarcitoria ex post factum, che in una logica preventiva dei fatti dannosi, poiché il principio esprime anche il tentativo di internalizzare detti costi sociali e di incentivare - per effetto del calcolo dei rischi di impresa - la loro generalizzata incorporazione nei prezzi delle merci, e, quindi, nelle dinamiche di mercato dei costi di alterazione dell'ambiente (con conseguente minor prezzo delle merci prodotte senza incorrere nei predetti costi sociali attribuibili alle imprese e conseguente indiretta incentivazione per le imprese a non danneggiare l'ambiente)”.

dello Stato danneggiato71. Sul piano del diritto internazionale pattizio rilevano ad esempio le convenzioni internazionali relative al regime delle responsabilità e dei risarcimenti per danni relativi all’inquinamento provocato a seguito della immissione in mare di idrocarburi o di altre sostanze nocive (Convenzioni sulla Civil Liability quali la CLC-FUND, Bunker Convention, HNS )72.

Il principio del “PPP” viene inoltre esplicitamente previsto, a livello comunitario, dall’art. 191 ( ex art. 174 del TCE) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, nel Libro Bianco sulla responsabilità per danni all’ambiente ( COM 2000 del 9 febbraio 2000) nonché dalla Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21.04.2004 in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. In base all’art. 4 della Direttiva 2004/35/CE il regime delle responsabilità ivi previsto73 non si applica tuttavia a tutte quelle fattispecie nelle quali il danno o la minaccia all’ambiente sia determinato da incidenti per i quali le relative responsabilità e forme di indennizzo siano disciplinate delle Convenzioni internazionali indicate all’allegato IV della medesima direttiva e tra le quali rientrano, in particolare:

a) la Convenzione internazionale del 27 novembre 1992 sulla responsabilità civile per i danni derivanti da inquinamento da idrocarburi;

b) la Convenzione internazionale del 27 novembre 1992 istitutiva di un Fondo internazionale per l'indennizzo dei danni derivanti da inquinamento da idrocarburi;

71 In particolare la Convenzione di Montego Bay prevede all’art. 235 comma 1 che : “Gli Stati sono responsabili dell’adempimento dei propri obblighi internazionali in

materia di protezione e preservazione dell’ambiente marino e ne rispondono conformemente al diritto internazionale”; il comma 3 del medesimo articolo specifica infine che : “ Al fine di assicurare l’indennizzo rapido e adeguato per qualunque danno derivato dall’inquinamento dell’ambiente marino, gli Stati collaborano per assicurare l’applicazione del diritto internazionale esistente e l’ulteriore sviluppo del diritto internazionale relativamente all’accertamento e all’indennizzo dei danni e alla soluzione delle relative controversie nonché, quando è opportuno, all’elaborazione di criteri e procedure per il pagamento di adeguati indennizzi quali assicurazioni obbligatorie o fondi di indennizzo”.

72 Per l’esame della disciplina internazionale in materia di responsabilità in materia di inquinamento prodotto dalle navi si rinvia al successivo Capitolo 4.

c) la Convenzione internazionale del 23 marzo 2001 sulla responsabilità civile per i danni derivanti dall'inquinamento determinato dal carburante delle navi;

d) Convenzione internazionale del 3 maggio 1996 sulla responsabilità e l'indennizzo per i danni causati dal trasporto via mare di sostanze nocive e potenzialmente pericolose;

e) Convenzione di Bruxelles del 17 dicembre 1971 relativa alla responsabilità civile derivante dal trasporto marittimo di sostanze nucleari.

Tale regime di esclusione è stato recepito all’art. 303 comma 1 lettere b) e d) del D.Lgt. 152/06 con il conseguente riconoscimento della prevalenza degli istituti previsti dal diritto internazionale pattizio e, in particolare, delle convenzioni sopra richiamate; ex adverso la parte VI del D.Lgt. 152/2006 mantiene il suo regime applicativo con riferimento a tutte quelle fattispecie nelle quali il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno siano provocati da incidenti in relazione ai quali il regime delle responsabilità o dell’indennizzo non sia disciplinato dalle citate fonti di diritto internazionale pattizio, con la conseguente applicabilità, in tali fattispecie, delle disposizioni procedurali del Codice dell’Ambiente in materia di:

a) adozione delle pertinenti misure di prevenzione e messa in sicurezza (quando il danno ambientale non si è verificato ma esiste una minaccia imminente che si verifichi);

b) di ripristino ambientale (quando si è verificato il danno ambientale)

c) applicazione delle procedure di cui al Titolo II e al successivo Titolo III del D.Lgt. 152/06 (procedure relative rispettivamente alla prevenzione e al ripristino ambientale e al risarcimento del danno ambientale).

La disciplina generale dettata dall’ordinamento italiano in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente è contenuta nella parte VI

(artt. 299-318) del D.lgt. 3 aprile 2006, n. 152 ( di recepimento della direttiva 2004/35/CE e recante norme in materia ambientale)74. In particolare il Codice dell’Ambiente ha operato una sostituzione dell’intera disciplina del danno ambientale contenuta nell’art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (abrogato dall’art. 318 del D.Lgt. 152/06, fatta eccezione per il comma 5, relativo alle facoltà processuali delle associazioni ambientaliste) assicurando, a differenza della pregressa disciplina, una definizione del danno ambientale consistente, secondo l’art. 300, comma 1, in “qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”, con l’espressa limitazione, in conformità alla direttiva, al danno determinato a carico delle specie e habitat protetti, delle aree protette, delle acque interne, delle acque costiere e territoriali e del terreno. Con particolare riferimento alle acque costiere e territoriali l’art. 300 del Codice dell’Ambiente precisa che costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni di origine, provocato da azioni che incidono in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque ancorché tali azioni si siano svolte in acque internazionali.

La normativa nazionale in materia di danno ambientale enucleata nel Codice dell’Ambiente del 2006 rappresenta l’esito di un processo evolutivo determinato dalla dottrina, dalla giurisprudenza e dalla legislazione con riferimento sia alle posizioni giuridiche sottese alle fattispecie di danno in esame e alla relativa azionabilità, che alla quantificazione patrimonialistica dello stesso; tale evoluzione trova il suo “epicentro” nelle pronunce nn. 210 e 641 del 1987 della Corte Costituzionale che, nella vigenza del citato art. 18 della L. 349/1986, ha affermato i seguenti principi:

74Secondo la dottrina il D.Lgt. 152/2006 ( adottato sulla base della delega di cui alla L. 308/2004) può essere definito “Codice” e non “Testo Unico”, cfr. A. GERMANÒ, E. ROOK BASILE, F. BRUNO, M. BENOZZO, Commento al Codice dell’Ambiente, Torino, 2008, pag. 31.

- l’ambiente deve essere considerato “un bene immateriale unitario, sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela, ma tutte, nell’insieme, sono riconducibili ad unità”;

- il danno ambientale deve essere definito come il “pregiudizio arrecato, da qualsiasi attività volontaria o colposa, alla persona, agli animali, alle piante ed alle risorse naturali (acqua, aria, suolo, mare), che costituisce offesa al diritto che vanta ogni cittadino individualmente e collettivamente”;

- l’ambiente costituisce un “elemento determinativo della qualità della vita” e rappresenta un valore “primario ed assoluto” costituzionalmente riconosciuto dagli artt. 9 e 32;

- la responsabilità per la lesione del bene ambiente, tutelato dalla L. 349/1986, è riconducibile allo schema della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.;

- il danno all’ambiente “è certamente patrimoniale, sebbene sia svincolato da una concezione aritmico-contabile ”, è suscettibile di valutazione economica misurabile attraverso i costi di gestione, di preservazione, di recupero e di danneggiamento, “indipendentemente sia dal costo della rimissione in pristino (…) che dalla diminuzione delle risorse finanziarie dello Stato e degli enti minori”;

- ferma restando la tutela del cittadino che ha subito nocumento dal danno ambientale, la legittimazione dello Stato e degli enti minori trova il suo fondamento nella funzione svolta dagli stessi “a tutela della collettività e delle comunità”.

Dall’affermazione dei suddetti principi discende in particolare il riconoscimento della tutela dell’ambiente come diritto dell’individuo e della collettività, titolari, in misura differenziata e concorrente, delle

pertinenti azioni risarcitorie75; l’assunto trova infatti conferma nel disposto di cui all’ultimo periodo del comma 7 dell’art. 313 del Codice dell’Ambiente nel quale viene sancita l’autonomia dell’azione dei soggetti danneggiati, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, dal fatto produttivo del danno ambientale nei confronti del soggetto responsabile del danno de quo 76. Il riferimento enucleato nella sopra richiamata definizione normativa di cui all’art. 300 del D.Lgt. 152/2006 alla misurabilità e alla significatività del danno pone tuttavia una limitazione alla riconoscibilità del danno ambientale che, nel previgente sistema di cui all’art. 18 della L. 349/198677, era supportato

75 La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 440 del 1989, nell’affermare la unitarietà del bene giuridico “ambiente”, ha inoltre evidenziato che la sua lesione può accompagnarsi con la menomazione di altri beni o interessi collegati ai profili in cui quella entità unitaria può essere scomposta quali: l’ assetto del territorio, la ricchezza delle risorse naturali, il paesaggio ( inteso nel suo valore estetico e culturale), e la salute dell’uomo direttamente connessa alla salubrità dell’ambiente.

76 La Cassazione Penale, con Sentenza n. 15496 del 23.04.2012 ha affermato che: “ il danno subito dal privato quale conseguenza delle violazioni in materia di disciplina dei rifiuti (nel caso di specie, per la presunta integrazione del reato di cui all’art. art. 256 TUA, in tema di gestione di rifiuti non autorizzata) è risarcibile secondo gli ordinari criteri ed i principi generali in materia di danni (art. 2043 c.c. e 185 c.p.), a nulla rilevando la declaratoria di improcedibilità dell’azione penale”.

77 Per opportuna evidenza si riporta il testo dell’art. 18 della L. 249/1986 successivamente abrogato (tranne che nel comma 5, dal D.Lgt. 152/06: ” 1.

Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l'ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato. 2. Per la materia di cui al precedente comma 1 la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, ferma quella della Corte dei conti, di cui all'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3. 3. L'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo. 4. Le associazioni di cui al precedente articolo 13 e i cittadini, al fine di sollecitare l'esercizio dell'azione da parte dei soggetti legittimati, possono denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza. 5. Le associazioni individuate in base all'articolo 13 della presente legge possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi.6. Il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l'ammontare in via equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino, e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali. 7. Nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità individuale. 8. Il giudice, nella sentenza di condanna, dispone, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile. 9. Per la riscossione dei crediti in favore dello Stato risultanti dalle sentenze di condanna si applicano le norme di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639. 9-bis Le somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato per il risarcimento del danno di cui al comma 1, ivi comprese quelle derivanti dall'escussione di fidejussioni a favore dello Stato, assunte a garanzia del

dall’espresso riconoscimento del potere del giudice di determinare l’ammontare del danno “in via equitativa” considerando sia la colpa del soggetto responsabile che il costo del ripristino e il profitto conseguito dal trasgressore78. La materia della tutela risarcitoria connessa al danno all’ambiente oggetto della modifica legislativa apportata agli artt. 303 e 311 del Codice dell’Ambiente dall’art. 5 bis del D.L. 135/2009 (convertito, con modificazioni, dalla L. 166/2009)79, è incentrata su due istituti80:

risarcimento medesimo, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate, con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ad un fondo di rotazione da istituire nell'ambito di apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente, al fine di finanziare, anche in via di anticipazione: a) interventi urgenti di perimetrazione, caratterizzazione e messa in sicurezza dei siti inquinati, con priorità per le aree per le quali ha avuto luogo il risarcimento del danno ambientale; b) interventi di disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale delle aree per le quali abbia avuto luogo il risarcimento del danno ambientale; c) interventi di bonifica e ripristino ambientale previsti nel programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 426. 9-ter Con decreto del Ministro dell'ambiente, adottato di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono disciplinate le modalità di funzionamento e di accesso al predetto fondo di rotazione, ivi comprese le procedure per il recupero delle somme concesse a titolo di anticipazione”.

78 La Corte di Cassazione, Sez. I, 1 Settembre 1995, n. 9211 ha posto in evidenza un dato scientificamente rilevabile in forza del quale i danni all’ambiente sono riscontrabili solo nel tempo e non certo coevamente e contestestualmente all’atto illecito posto in essere dall’agente.

79 Il D.L. 135/2009 è stato adottato come misura necessaria ad assicurare l’adempimento di obblighi comunitari tra i quali, in materia ambientale e per quanto rileva al fine della presente analisi, gli obblighi connessi alla procedura di infrazione n. 2007/4679. La novella introdotta dalla Legge di conversione L. 166/2009 ha introdotto, con l’art 5 bis, delle modifiche sostanziali alla Parte VI del D.Lgt. 152/06 specificando che il ripristino ambientale, seguente ad un accertato danno per le matrici considerate, deve essere effettivo e a spese del danneggiante e che, prima del risarcimento per equivalente, l’operatore ( definito ex art. 302 del D.Lgt. 152/06 come qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un'attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell'autorizzazione a svolgere detta attività) deve provvedere ad adottare, entro un termine congruo ( non inferiore a due mesi e non superiore a due anni), specifiche misure di riparazione complementare e compensativa.

80 Si riporta di seguito il testo dell’art. 311 del D.Lgt. 152/06 come modificato dal D.L. 135/09 (convertito con modifiche dalla L. 166/2009) e dal D.Lgt. 128/2010: “1. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare agisce, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto. 2. Chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attivita' o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, e' obbligato all'effettivo ripristino a sue spese della precedente situazione e, in mancanza, all'adozione di misure di riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004,

a) il risarcimento in forma specifica81;

b) il risarcimento per equivalente patrimoniale.

In particolare, nel vigente assetto normativo, il risarcimento per equivalente patrimoniale costituisce l’ultima ratio, perseguibile in tutte le ipotesi in cui l’effettivo ripristino o l’adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell’art. 2058 c.c. o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quanto

secondo le modalita' prescritte dall'Allegato II alla medesima direttiva, da effettuare entro il termine congruo di cui all'articolo 314, comma 2, del presente decreto. Quando l'effettivo ripristino o l'adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell'articolo 2058 del codice civile o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante e' obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato, determinato conformemente al comma 3 del presente articolo, per finanziare gli interventi di cui all'articolo 317, comma 5. 3. Alla quantificazione del danno il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvede in applicazione dei criteri enunciati negli Allegati 3 e 4 della parte sesta del presente decreto. All'accertamento delle responsabilita' risarcitorie ed alla riscossione delle somme dovute per equivalente patrimoniale il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvede con le procedure di cui al titolo III della parte sesta del presente decreto. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono definiti, in conformita' a quanto previsto dal punto 1.2.3 dell'Allegato II alla direttiva 2004/35/CE, i criteri di determinazione del risarcimento per equivalente e dell'eccessiva onerosita', avendo riguardo anche al valore monetario stimato delle risorse naturali e dei servizi perduti e ai parametri utilizzati in casi simili o materie analoghe per la liquidazione del risarcimento per equivalente del danno ambientale in sentenze passate in giudicato pronunciate in ambito nazionale e comunitario. Nei casi di concorso nello stesso evento di danno,