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Sotto il profilo giuridico gli spazi marittimi traggono la loro disciplina in base alla posizione assunta dagli stessi rispetto alla costa, dalla caratterizzazione geologica del fondale e in relazione alla funzioni assolte in relazione a specifici interessi statuali o della Comunità Internazionale. Nella Convenzione di Montego Bay del 1982 sul diritto del mare207, ratificata dall’Italia con Legge 2 dicembre 1994, n.689, il

207 N. CARNIMEO –T. AEBISCHER, Le frontiere d’acqua, in Limes, 2006, 4, 98 ss.: ”Nella

Convenzione di Montego Bay il mare è stato sezionato in diverse fasce nelle quali man mano che ci si allontana da terra i diritti degli Stati affievoliscono; in linea generale sino a dodici miglia marine abbiamo il mare territoriale, nel quale viene esercitata la piena sovranità dello Stato costiero; poi, sino a ventiquattro miglia marine, vi è la zona contigua e quindi, sino a duecento miglia, la Zona economica esclusiva che può comprendere anche la piattaforma continentale. Dopo quest’ultimo limite si entra nell’alto mare dove, come afferma la Convenzione di Montego Bay,«vige la piena libertà da parte di altri Stati». Si intendono libertà di navigazione, sorvolo, posa di cavi, gasdotti e oleodotti sottomarini, installazioni di pesca, di ricerca scientifica eccetera . Per misurare l’estensione delle zone di mare sotto la sovranità o esclusività dello Stato costiero si deve definire fin dove si estende la terraferma e dove inizia il mare. In generale questo limite è chiamato «linea di base» poiché può non coincidere con la costa fisica”. Secondo la Convenzione UNCLOS la linea di base

normale, dalla quale si misura la larghezza del mare territoriale è, salvo diversa disposizione della Convenzione, la linea di bassa marea lungo la costa (come indicata sulle carte nautiche a grande scala ufficialmente riconosciute dallo Stato costiero) mentre, nelle località dove la linea di costa è profondamente incavata e frastagliata, o vi è una frangia di isole lungo la costa nelle sue immediate vicinanze, si può impiegare il metodo delle linee di base diritte che collegano punti appropriati, per tracciare la linea di base dalla quale si misura la larghezza del mare territoriale. I commi da 2 a 6 dell’art. 7 specificano altresì che:” Laddove, per la presenza di un delta o di altre

caratteristiche naturali, la linea di costa e` altamente instabile, i punti appropriati possono essere scelti lungo la linea di bassa marea più avanzata e, anche in caso di ulteriori arretramenti della linea di bassa marea, le linee di base diritte rimangono in vigore fino a quando non vengono modificate dallo Stato costiero conformemente alla presente convenzione. Il tracciato delle linee di base diritte non deve discostarsi in misura sensibile dalla direzione generale della costa e le zone marine che giacciono all’interno delle linee debbono essere collegate in modo sufficientemente stretto al dominio terrestre per poter essere assoggettate al regime di acque interne. Le linee di base diritte non debbono essere tracciate verso o da bassifondi emergenti a bassa marea, a meno che non vi siano stati costruiti fari o installazioni similari che siano in permanenza emergenti, o il tracciato di linee di base diritte verso o da tali bassifondi abbia ottenuto il generale riconoscimento internazionale. Nei casi in cui il metodo delle linee di base diritte è applicabile in virtù del numero 1, si può tener conto, per la determinazione di particolari linee di base, degli interessi economici propri della regione considerata, la cui esistenza e importanza siano manifestamente dimostrate da lungo uso. Il metodo delle linee di base diritte non può essere impiegato da uno Stato in modo tale da separare il mare territoriale di un altro Stato dall’alto mare o da una zona economica esclusiva”. Nel caso invece di isole situate su atolli o di isole

bordate da scogliere affioranti, la linea di base dalla quale si misura la larghezza del mare territoriale deve identificarsi, secondo l’art. 6 della Convenzione di Montego Bay, con la linea di bassa marea della scogliera, dal lato del mare aperto, come indicato con simboli appropriati sulle carte nautiche ufficialmente riconosciute dallo Stato costiero. Cfr. F. CAFFIO, Glossario di diritto del mare, supplemento alla Rivista Marittima, n. 5/2001, p. 57: ”L’Italia con D.P.R. 816/1977 ha adottato un sistema di

mare viene diviso in: acque interne, mare territoriale; acque arcipelagiche, zona contigua; piattaforma continentale, zona economica esclusiva; alto mare e fondi marini internazionali.

Fig. 14: fonte Gli imperi del mare, Limes, 2006, 4, p. 12.

Sotto il profilo della funzionalizzazione degli interessi marittimi statuali occorre inoltre richiamare le zone di protezione ecologica, le zone archeologiche, le zone di pesca esclusiva e le aree speciali.

Ai fini del presente studio, focalizzato sulla tutela dell’ambiente marino, la delimitazione delle acque marittime come sopra indicata deve essere messa in relazione con le variabili determinate dalla ripartizione delle competenze tra lo Stato costiero, lo Stato del porto di approdo e lo Stato della bandiera nonché con i pertinenti regimi prescrittivi e applicativi configurabili in relazione alle vigenti disposizioni internazionali, regionali, comunitarie e nazionali.

La necessità di addivenire a forme efficaci di tutela internazionale dell’ambiente marino è stata rafforzata anche sulla spinta dell’opinione pubblica a seguito di catastrofici incidenti marittimi come quello della linee base (articolato lungo la penisola in 21 segmenti e attorno alla Sicilia e alla Sardegna, rispettivamente in 10 segmenti) che ha prodotto una notevole semplificazione del margine esterno del mare territoriale, passato in questo modo ad uno sviluppo lineare di meno di cinquemila chilometri rispetto ai 7.551 della penisola italiana (3702 km. di coste continentali) e delle isole (3.849 km. di coste insulari di cui 1.500 della Sicilia e 1.850 della Sardegna) ”.

Torrey Canyon , avvenuto nel 1967 in Cornovaglia e che ha causato il versamento in mare di 120.000 tonnellate di greggio, e dell’Amoco Cadiz verificatosi nel 1978 sulle coste della Bretagna con il versamento di 210.000 tonnellate di greggio; l’accresciuta consapevolezza della esigenza di messa in opera di strategie volte a prevenire l’inquinamento marino ha dato impulso alla formazione di norme di diritto internazionale uniforme, strutturate in relazione a specifiche forme di inquinamento causate da determinati prodotti oggetto di trasporto marittimo, e ad una pluralità di Convenzioni internazionali a carattere Regionale; tali norme costituiscono l’espressione di un interesse generale della Comunità internazionale alla protezione dell’ambiente marino contro l’inquinamento.

Il principio della protezione e della preservazione dell’ambiente marino trova esplicito riconoscimento nella Convenzione di Montego Bay nella quale viene sancito l’obbligo da parte degli Stati di proteggere e tutelare l’ambiente marino, unitariamente inteso, attraverso l’adozione di pertinenti leggi e regolamenti e viene riconosciuto il potere di intervento in alto mare208.

208 Art. 211 della Convenzione di Montego Bay: “1. Gli Stati, agendo tramite le

competenti organizzazioni internazionali o una conferenza diplomatica generale, stabiliscono regole e norme internazionali atte a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento dell’ambiente marino causato da navi, e favoriscono l’adozione, attraverso gli stessi canali e ogni qualvolta sia opportuno, di sistemi di canalizzazione del traffico intesi a ridurre al minimo il rischio di incidenti che possano provocare l’inquinamento dell’ambiente marino, incluse le coste, e danni conseguenti agli interessi connessi degli Stati costieri. Tali regole e norme sono ugualmente riesaminate nel tempo, secondo necessità. 2. Gli Stati adottano leggi e regolamenti atti a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento dell’ambiente marino causato da navi che battono la loro bandiera o da essi immatricolate. Tali leggi e regolamenti debbono avere efficacia non inferiore rispetto alle regole e norme internazionali generalmente accettate, emanate attraverso la competente organizzazione internazionale o conferenza diplomatica generale. 3. Gli Stati che, al fine di prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento dell’ambiente marino, impongono alle navi straniere disposizioni particolari per l’entrata nei loro porti o acque interne, o per l’utilizzo delle loro installazioni per l’ormeggio al largo della costa, debbono dare ad esse la debita diffusione e comunicarle alla competente organizzazione internazionale. Ogni qualvolta tali condizioni sono emanate in forma identica da due o più Stati costieri al fine di uniformare le rispettive politiche, la comunicazione deve precisare quali sono gli Stati che partecipano a tali accordi di collaborazione. Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera o è immatricolata nel suo registro, durante la navigazione nel mare territoriale di uno Stato che partecipa a tali accordi di collaborazione, fornisca, a richiesta dello Stato in questione, informazioni circa la propria eventuale destinazione verso uno Stato della stessa regione che partecipa a tali accordi di collaborazione e, in caso affermativo, comunichi se la nave risponde alle condizioni d’entrata nei porti di quello Stato. Questo articolo non pregiudica l’esercizio continuato del diritto di

Il principio generale di diritto internazionale consuetudinario209 che identifica la nave come parte del territorio (territoire flottant) e che sottopone la nave al potere esclusivo dello Stato della bandiera, deve in particolare essere posto in relazione, nei casi di inquinamento marino, con le specifiche competenze definite sia in relazione allo spazio marittimo in cui si trova la nave che all’area in cui è avvenuto l’incidente e/o la violazione che ha determinato l’inquinamento, nonchè alle aree interessate dall’inquinamento.

passaggio inoffensivo ne´ l’applicazione dell’articolo 25, paragrafo 2. 4. Gli Stati costieri, nell’esercizio della propria sovranità nel proprio mare territoriale, possono adottare leggi e regolamenti per prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento marino da parte di navi straniere, incluse le navi che esercitano il diritto di passaggio inoffensivo. Tali leggi e regolamenti non debbono ostacolare il passaggio inoffensivo delle navi straniere, ai sensi della parte II, sezione 3. 5. Gli Stati costieri, ai fini dell’applicazione prevista nella sezione 6, possono adottare nella propria zona economica esclusiva leggi e regolamenti atti a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento provocato da navi, che si conformino e diano applicazione alle regole e norme internazionali generalmente accettate, stabilite attraverso la competente organizzazione internazionale o conferenza diplomatica generale. 6. a) Quando le norme e regole internazionali di cui al numero 1 non consentono di far fronte in modo adeguato a circostanze particolari e uno Stato costiero ha fondati motivi per ritenere che in un’area particolare e chiaramente definita della propria zona economica esclusiva si richieda l’adozione di particolari misure ingiuntive al fine di prevenire l’inquinamento provocato da navi, rese necessarie da evidenti ragioni tecniche correlate alle caratteristiche ecologiche e oceanografiche della zona come pure alla sua utilizzazione, alla protezione delle sue risorse e al carattere peculiare del traffico locale, lo Stato costiero può, dopo le opportune consultazioni con gli altri Stati interessati attraverso la competente organizzazione internazionale, inviare a quest’ultima una comunicazione relativa a quell’area fornendo documentazione illustrativa e prove scientifiche e tecniche a sostegno della necessità di strutture di ricezione. Entro dodici mesi dalla ricezione della comunicazione, l’organizzazione decide se le caratteristiche dell’area corrispondono alle condizioni su descritte. In caso affermativo lo Stato costiero può adottare in quell’area leggi e regolamenti atti a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento provocato da navi, attuando le regole, pratiche di navigazione e norme internazionali rese applicabili tramite l’organizzazione per le aree speciali. Tali leggi e regolamenti non sono applicabili alle navi straniere prima di quindici mesi dalla data della comunicazione all’organizzazione. b) Lo Stato costiero pubblica i limiti di tali aree particolari e chiaramente definite. c) Nell’inviare la comunicazione di cui sopra, lo Stato costiero contemporaneamente informa l’organizzazione competente della propria intenzione di emanare ulteriori leggi e regolamenti per tale area, al fine di prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento provocato da navi. Tali ulteriori leggi e regolamenti possono riguardare gli scarichi o le pratiche di navigazione ma non obbligano le navi straniere a osservare norme di progettazione, costruzione e armamento diverse da quelle internazionali generalmente accettate, ed entrano in vigore, per le navi straniere, quindici mesi dopo la data di comunicazione all’organizzazione, a condizione che quest’ultima le approvi entro dodici mesi da tale data. 7. Le regole e norme internazionali previste dal presente articolo dovrebbero includere, tra l’altro, l’obbligo dinotifica tempestiva agli Stati costieri la cui costa e relativi interessi possano essere compromessi da qualsiasi tipo di incidente in mare che provochi o possa provocare scarichi in mare”.

L’esame della giurisdizione prescrittiva e applicativa connessa a fenomeni di inquinamento, attuali o potenziali, non può pertanto prescindere da una analisi di dettaglio finalizzata a riconoscere le pertinenti soluzioni ordinamentali poste con riferimento agli ambiti marittimi entro i quali devono essere attuate le prescritte forme di tutela. Le acque interne sono costituite dagli spazi marini compresi tra la costa e la linea di base del mare territoriale ( art. 8 della Convenzione UNCLOS 1982) 210.

Nell’ambito delle acque interne lo Stato costiero esercita la sua sovranità nella stessa misura in cui la stessa si esplica sulla terraferma. Nelle acque interne non è infatti previsto il regime del transito inoffensivo (previsto in relazione alle acque territoriali)211 e lo Stato costiero, fatte salve le fattispecie connesse a situazioni di forza maggiore o stato di necessità, può porre specifiche condizioni per la navigazione, il transito e la sosta delle navi e può adottare, legittimamente, forme di trattamento differenziato tra le bandiere o per determinate tipologie di traffico.

210 Fanno eccezione le diverse delimitazioni previste per le acque arcipelagiche (artt. 46-54 della Convenzione UNCLOS 1982). Con riferimento alla navigazione negli stretti si richiama la Parte III della UNCLOS 1982 nella quale viene precisato che il regime del passaggio attraverso gli stretti usati per la navigazione internazionale non modifica lo status giuridico di tali acque né l’esercizio della sovranità e della giurisdizione da parte dello Stato rivierasco che tuttavia devono essere esercitate in conformità alle prescrizioni poste dalla Convenzione in materia di utilizzazione degli stretti per la navigazione internazionale. La Parte III della UNCLOS 1982 relativa agli stretti per la navigazione internazionale non si applica tuttavia, a norma dell’art. 35.2, alle acque interne che fanno parte di uno stretto a meno che tali acque non fossero considerate, prima della definizione delle linee di base dritte, acque non interne. 211 L’art. 8.2 della Convenzione UNCLOS prevede tuttavia che quando una linea di base diritta determina l’assoggettamento al regime delle acque interne di aree che in precedenza non erano considerate tali, il diritto di passaggio inoffensivo si estende a tali aree.

Hanno inoltre un regime particolare i porti 212, le rade213 e le baie214.

Nell’ambito delle acque interne e dei porti l’attività normativa dello Stato costiero relativa alla tutela dell’ambiente marino, fermi restando i vincoli derivanti dal rispetto dei limiti minimi previsti dal diritto internazionale pattizio, non dovrebbe in alcun modo essere limitata né sul versante del suo oggetto né su quello del livello di protezione

212 Art. 11 della Convenzione UNCLOS 1982: “Ai fini della delimitazione del mare

territoriale, le opere portuali permanenti più esterne che formano parte integrante del sistema portuale, sono considerate come facenti parte della costa. Le installazioni situate al largo della costa e le isole artificiali non sono considerate opere portuali permanenti”. U. LEANZA, Diritto degli spazi internazionali, Torino,1999, p. 63: ”Le

principali norme di diritto internazionale marittimo che disciplinano il regime dei porti in generale sono attualmente di due specie: le norme consuetudinarie generali formatesi in base agli usi costanti ed uniformi seguiti dagli Stati marittimi in materia di porti; e le norme convenzionali collettive, contenute nella Convenzione e nel relativo Statuto sul regime internazionale dei porti marittimi adottato a Ginevra nel 1923, al termine della seconda Conferenza generale delle comunicazioni e del transito. Il rapporto intercorrente tra le due categorie di norme sopra ricordate è il seguente: le prime, in quanto generali e comuni, obbligano tutti gli stati marittimi; le seconde, in quanto particolari e speciali, obbligano unicamente gli Stati contraenti e derogano alle norme consuetudinarie nei rapporti tra questi ultimi. A tale riguardo, va detto preliminarmente che le norme dello Statuto di Ginevra impongono agli Stati sovrani dei porti degli obblighi di gran lunga più stringenti di quelli ad essi imposti dalle corrispondenti norme consuetudinarie. L’applicazione delle consuetudini generali disciplinanti il regime dei porti è infatti fortemente diminuita in seguito all’entrata in vigore dello Statuto di Ginevra sul regime internazionale dei porti, che è stato ratificato, od al quale hanno aderito i più importanti Stati marittimi. Nei rapporti tra questi Stati, le norme dello Statuto di Ginevra hanno, quindi, sostituito le consuetudini preesistenti, nei limiti della loro sfera di applicazione oggettiva (…). Per il diritto internazionale i porti marittimi si distinguono, ai fini del loro regime giuridico, in tre grandi categorie: i porti militari, i porti commerciali in senso lato e i porti rifugio”. I porti fanno parte delle acque interne

dello Stato e sono pertanto sottoposti alla relativa sovranità. Lo Stato del porto può inoltre adottare misure discriminatorie nella definizione dei criteri di priorità all’accesso alle banchine ovvero mediante l’imposizione di tasse, tributi e tariffe portuali . In base alla Convenzione di Ginevra del 9 dicembre del 1923 e del relativo Statuto sul regime dei porti marittimi, vengano tuttavia osservati, sotto condizione di reciprocità, i principi di libertà di accesso ai porti aperti al commercio internazionale e di eguaglianza di trattamento all’interno di questi tra gli Stati contraenti della citata Convenzione di Ginevra del 1923. Nei porti aperti al commercio internazionale e tra le sole Parti contraenti si applica pertanto il regime convenzionale con il conseguente obbligo, in condizione di reciprocità tra gli Stati, di assicurarne l’apertura e la parità di trattamento; tale regime di apertura può tuttavia essere derogato, per limitati periodi di tempo, in relazione a fatti di natura eccezionale connessi alla sicurezza dello Stato e agli interessi vitali della Nazione entro i quali devono essere ascritti fatti come gravi epidemie, disastri naturali e gravi incidenti. L’esercizio della giurisdizione penale dello Stato del porto si estende a tutti i fatti interni alla nave e idonei ad arrecare disturbo morale e materiale, anche solo potenziale, alla vita della comunità territoriale. Cfr. U. LEANZA, Il diritto degli spazi internazionali, Torino,1999, p. 69: “ il problema della condizione giuridica delle navi straniere nelle acque interne e nei porti è affidato esclusivamente alle norme di diritto internazionale marittimo ed è, quindi, particolarmente influenzato dal principio della sottoposizione della comunità viaggiante alla potestà di governo dello Stato di bandiera. In particolare, per quanto riguarda le

esperibile215. Tale assunto viene rafforzato dal disposto di cui all’art. 211 della Convenzione di Montego Bay, in base al quale gli Stati che impongono disposizioni particolari alle navi straniere per l’entrata nei porti e nelle acque interne sono tenuti a darne comunicazione all’IMO e debita diffusione, nonchè dall’art. 25 della medesima Convenzione che prevede la possibilità per lo Stato costiero di adottare, nei confronti delle navi dirette verso le acque interne o allo scalo presso installazioni portuali situate al di fuori delle acque interne, le misure necessarie per prevenire ogni violazione delle condizioni alle quali è subordinata

navi private esse sono sottoposte al potere alternativo sia dello Stato di bandiera che dello Stato del porto. Normalmente ciascuna delle due potestà funziona come limite dell’altra e, solo in caso di concorrenza, l’esercizio della potestà territoriale condiziona quello della potestà dello Stato della bandiera. In linea di principio, infatti, le navi straniere nei porti sono sottoposte alla potestà di governo dello Stato della bandiera per tutte quelle attività che non sono sufficientemente collegate alla vita della comunità territoriale [...]. Pertanto è universalmente ammesso in numerosi casi il controllo dello Stato del porto per i fini più vari , quali l’esercizio dei poteri di polizia portuale ed il regolamento dell’uso delle risorse del porto, nonché il normale esercizio della giurisdizione civile e penale”.

213 Art. 12 della Convenzione UNCLOS 1982: “Le rade che vengono normalmente

usate per carico, scarico e ancoraggio delle navi, e che sarebbero altrimenti situate per intero o in parte al di fuori del limite esterno del mare territoriale, sono considerate