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In questa sezione presenteremo i dati anagrafici e descriveremo la storia del soggetto coinvolto nel caso di studio, inserendo alcune informazioni sui centri frequentati, sull’età della diagnosi e sui vari tentativi di intervento. Queste informazioni sono il riassunto di un’intervista semi- strutturata che è stata somministrata ai genitori di A. e che il lettore può trovare nella versione integrale nell’appendice I, collocata alla fine della tesi. L’intervista sopra descritta è stata molto utile ai fini di avere una visione completa del background socio-educativo e del contesto comunicativo del soggetto preso in analisi, in quanto è costituita da varie domande raggruppate in 6 blocchi di argomenti: generalità e diagnosi, comunicazione, segni, ambiente educativo e sociale, competenze, interessi (cfr. Appendice I).

A. è una ragazza nata il 6 luglio 1997 e al momento della ricerca ha un’età di 23 anni. Abita con i suoi genitori ed è affetta da una malattia genetica rara chiamata “acidemia metilmalonica”, la quale causa un eccesso di acido lattico che brucia la muscolatura (per approfondimenti cfr. 4.2).

Come conseguenza, nel periodo di gestazione questa malattia ha danneggiato parte del cervello della ragazza e le ha prodotto problemi muscolari e di movimento, per cui non riesce a parlare né a controllare i movimenti. All’epoca era una malattia rara e non c’erano medicine che potessero rallentare o fermare la produzione di questo acido lattico, col tempo invece si sono trovati dei farmaci sperimentali per bloccare la progressione di questa patologia. Il suo è un caso particolare, perché di solito questa malattia porta anche a cecità o sordità, invece A. ci vede e sente perfettamente.

All’inizio i genitori pensavano fosse semplicemente un ritardo nello sviluppo, ma si sono presto accorti che non riusciva a tenere dritta la testa, il viso era sorridente ma era molto lassa nei movimenti. Era stato loro detto di aspettare, ma più passava il tempo e più A. peggiorava. Successivamente il soggetto è stato visitato a San Daniele, in provincia di Udine, dove è stata loro consigliata una visita specialistica urgente. Tuttavia, solo verso i 6/7 anni, grazie a un professore di Reggio Emilia che stava già studiando questa patologia, i genitori sono riusciti a trovare la causa di tutte quelle problematiche e ad A. è stata diagnosticata la malattia genetica (cfr. 4.2).

A causa di questa sua patologia, la comunicazione è sempre stata problematica. Da piccola comunicava con il pianto per i bisogni primari, poi però crescendo il fatto di non riuscire a parlare con lei cominciava ad essere un problema.

I genitori hanno quindi chiesto nel centro di riabilitazione che frequentava se ci fosse un metodo efficace per comunicare con lei. Alla fine una dottoressa dell’UMEE (Unità Multidisciplinare Età Evolutiva) li ha indirizzati verso la CAA (cfr. 3.2.1) e da lì hanno cominciato a fare degli esercizi. Sono stati fatti vari tentativi anche usando il metodo ETRAN, un disco di plastica che presenta delle lettere stampate e si incrocia con i movimenti degli occhi della persona. Purtroppo però, non riuscendo a tenere dritta la testa, gli occhi si muovevano troppo in fretta e non riusciva a puntare con precisione le lettere. Successivamente, è stato provato il metodo delle risposte a scansione: con un computer le venivano cioè poste delle domande preimpostate, a cui lei doveva rispondere scegliendo una tra le quattro opzioni disponibili sullo schermo, rappresentate da immagini. Tuttavia, avendo sia domande che risposte prestabilite era un metodo molto limitativo di cui A. si stufava facilmente, dando la prima risposta che le capitava pur di andare avanti, perciò non si trattava di una comunicazione reale. Di queste prove la tabella dei PCS (cfr. 4.3.1) è stata l’unica che ha portato a un risultato molto buono. Questa tabella è stata mano a mano integrata con nuovi termini a seconda delle esigenze crescenti di A., che in questo modo riusciva ad esprimere i suoi desideri e i suoi bisogni. All’UMEE si deve anche l’input per il sistema di homesign (cfr. 4.3.3 e 4.3.4), in quanto da lì deriva il gesto convenzionale per il SÌ, per cui la ragazza si tocca il polso destro, e quello per il NO, per cui si tocca il polso sinistro. Grazie a questo input, A. ha poi aggiunto vari gesti che nel suo vissuto riusciva a collegare ad una certa situazione, i quali sono prettamente personali e comprensibili solo ai genitori e alle persone che la conoscono e che passano molto tempo con lei. Con loro utilizza questo sistema di homesign perché è più veloce e immediato, mentre usa una tabella dei PCS con le persone che non la conoscono o che non riescono a capire il suo sistema segnico.

A. ha seguito il percorso scolastico fino alla terza media, dopodiché ha iniziato a frequentare un centro diurno. Essendo una ragazza molto socievole, a scuola interagiva bene, i bambini fino alla quinta elementare erano molto affettuosi con lei e si adeguavano ai suoi gesti e alle sue modalità, comunicava

volentieri ed era molto contenta di andare a scuola. Anche nel centro diurno che ha iniziato a frequentare dopo la scuola secondaria di primo grado interagisce allo stesso modo: se non la capiscono usa la tabella, mentre con le persone che stanno di più con lei usa i suoi homesigns. Non vengono quindi segnalate difficoltà nell’ambito della socializzazione, la ragazza è sempre riuscita ad inserirsi nei vari gruppi e gioca sempre con tutti. È energica, spesso richiede molte attenzioni e le piace essere protagonista in varie situazioni. Le piacciono gli animali, in particolari i cani: attualmente possiede due pastori tedeschi da lavoro, ma fin da piccola la madre ha coltivato questa passione addestrando i cani per ubbidire ed aiutare A. Come attività extra svolge equitazione per sostenere ed aiutare la postura e la schiena, e appunto i cavalli, insieme ai cani, sono la sua grande passione. Gli homesigns (cfr. 4.3.3 e 4.3.4) sono partiti spontaneamente da lei, e i genitori l’hanno scoperto osservando come riconducesse sempre lo stesso gesto a un referente particolare. È stata lei stessa a insegnare i segni ai suoi genitori, facendo più volte un determinato gesto e poi indicando il referente o la situazione, e lo stesso metodo è stato utilizzato con gli altri segni che sono arrivati successivamente. Sono tutti vissuti che A. ha raccolto e fatto suoi creando un gesto dall’esperienza. Inoltre, i genitori avevano provato a insegnarle una specie di dattilologia, producendo delle lettere in sequenza, ma, essendo dei movimenti faticosi, faceva solo la prima lettera e lasciava agli interlocutori il compito di riuscire a intuire a cosa si stesse riferendo. Se si insiste, tuttavia, riesce a produrre anche le altre lettere completando la parola, con il vecchio alfabeto muto, cosa che testimonia il fatto che lei sappia anche scriverle. Infatti, utilizzando una tastiera particolare collegata con un computer o con un tablet riesce a leggere quello che c’è scritto sullo schermo e a digitare le risposte alle domande (cfr. 4.3.2). Questi esercizi di solito li svolge con un’operatrice che si reca a casa loro due volte alla settimana. Tuttavia per lei è molto impegnativo, perché un semplice esercizio richiede il doppio del tempo che richiederebbe a un ragazzo normodotato, quindi è un esercizio utile per tenere attiva la mente e la memoria, ma di fatto le parole che conosce sono dovute più dalla sua memoria fotografica piuttosto che dalla sequenzialità astratta delle lettere. Per questo motivo, sulla tabella sono stati tolti alcuni simboli: A. si ricorda la parola corrispondente e riconosce i simboli anche senza leggere perché si ricorda la loro collocazione. Effettivamente, la tabella ha un suo ordine: prima i nomi, poi i verbi, infine gli oggetti; il cibo da una parte e le sensazioni da un’altra (cfr. 4.3.1).

Uno dei suoi problemi è anche lo span attentivo, in quanto la sua attenzione dura circa 15/20 minuti al massimo, per questo le piacciono di più i cartoni animati e i giochi che implicano una memoria visiva, che in lei è molto spiccata, come il “memory”.

Ama stare in compagnia, insieme agli amici e ai suoi compagni, durante la settimana andare al centro diurno di riabilitazione, il villaggio delle Ginestre, e la domenica alle attività organizzate da un’associazione di volontariato, il Raul Follerau. Le piace guardare i cartoni animati e fare attività

manuali semplici come colorare, fare lavoretti con la pasta di sale e con la carta. Adora anche ballare, ma solo per poco tempo, a causa del limite della carrozzina, e allo stesso modo anche l’uso della Wii è limitato dai suoi movimenti.