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CAPITOLO 2. La sordità e le lingue dei segni

2.3 La lingua dei segni italiana (LIS)

In questa sezione andremo ad analizzare la LIS nelle sue caratteristiche, descrivendo in particolar modo i suoi cinque parametri formazionali.

Uno dei pochi paesi europei che tuttora non ha riconosciuto la propria lingua dei segni come lingua ufficiale è l’Italia ed è questo uno dei motivi per cui tutt’oggi le persone che non sono a contatto con il mondo dei sordi sanno così poco di questa lingua e della loro comunità.

La LIS è la lingua in uso presso la comunità Sorda italiana e, come abbiamo visto nella sezione precedente, al pari dell'italiano e delle altre lingue vocali, è una lingua storico-naturale, ossia è nata spontaneamente dalle persone che ne facevano uso in interazione tra loro, e in quanto lingua è dotata di una propria struttura fonologica, morfologica e sintattica, cioè di una sua grammatica pienamente articolata, proprio come le lingue vocali. Inoltre, l’acquisizione delle lingue dei segni, come abbiamo già notato nella sezione 1.3, avviene seguendo le stesse tappe che devono attraversare i bambini udenti con la lingua vocale.

Avere la possibilità di vedere riconosciuta la propria lingua è un diritto fondamentale per qualsiasi comunità. Tuttavia, alla comunità Sorda italiana questo diritto viene tutt’ora negato e, nonostante esistano vari studi che dimostrano la validità della LIS come lingua naturale, non si è ancora arrivati al suo riconoscimento ufficiale. Questo perché ci sono ancora molti pregiudizi su questo argomento, in primis da parte delle persone udenti riguardo al mondo dei sordi, ma anche da parte degli stessi sordi riguardo alla propria lingua naturale.

I principali pregiudizi sulle lingue dei segni e sulla LIS sono quattro:

1. “La lingua dei segni è universale.” Il primo pregiudizio su cui ci si imbatte è che esista un’unica lingua dei segni universale. Tuttavia, se così fosse, non sarebbe poi tanto diverso dal caso dell'esperanto, una lingua vocale creata artificialmente per una comunicazione internazionale, che però non ha riscosso seguito, proprio perché, non essendo una lingua nata spontaneamente, non esistono parlanti nativi di quella lingua, che quindi non può evolversi e stabilizzarsi. Al contrario, come le lingue vocali, anche le lingue dei segni rispondono a determinate regole legate alla cultura di un determinato popolo o di un'area geografica piuttosto che di un'altra. Questo accade perché sono tutte lingue storico-naturali, nate e sviluppate all’interno delle comunità, dagli stessi soggetti parlanti o segnanti e variano in base alle differenti culture dei diversi paesi. Per questo motivo le diverse lingue dei segni presentano termini, strutture grammaticali e modi di dire spesso inintelligibili tra loro. Non si può pensare di utilizzare un’unica lingua vocale al mondo, come non si può pensare ad un’unica lingua dei segni. Esiste quindi la lingua dei segni francese (LSF), quella inglese (BSL), quella statunitense (ASL) o cinese (CSL) e, proprio come nelle lingue vocali, troviamo molte variazioni regionali, per cui esiste un segno differente per indicare lo stesso concetto a seconda della regione.

2. “La lingua dei segni è iconica.” Un altro pregiudizio comune è strettamente legato al primo e vede le lingue dei segni come un linguaggio iconico. In LIS, come nelle altre lingue dei segni,

c’è una scala che determina la riconoscibilità dei segni: i segni “trasparenti”, o iconici, sono quelli più riconoscibili, perché la forma di questi segni ricorda l’immagine dei referenti che denotano e alcuni di questi derivano dalla gestualità italiana, come FURBO o BUONO, segni “traslucidi”,

che possono essere riconosciuti dai non segnanti solo dopo una prima spiegazione, come PESCE, MELA, e segni “opachi”, ovvero segni che non mostrano un collegamento immediato tra il significante e il significato, come per esempio NON ANCORA, IMPOSSIBILE. È vero quindi che in alcuni segni si può trovare un riferimento visivo collegato con il referente, ma ogni lingua sceglie arbitrariamente quale caratteristica di quell’oggetto inserire nel proprio segno. Basti pensare al segno per “foglio” in LIS, nella quale ne è sottolineata la leggerezza, mentre in ASL, per indicare lo stesso significato si sottolinea la finezza dell’oggetto. Entrambi i segni sono illustrati in F5.

F5. Segno per PAPER in ASL e FOGLIO in LIS (Volterra, 2004: 57).

Ci sono anche prove neurologiche della differenza tra gesto e segno, in quanto danni all’emisfero cerebrale sinistro in segnanti sordi portano alle stesse afasie del linguaggio riscontrate in persone udenti e provocano l’impossibilità di segnare, mantenendo però intatta la capacità di gesticolare. Questo perché il segno possiede una struttura interna a livello fonologico, morfologico e sintattico, che il gesto non possiede.

3. “Le lingue dei segni derivano dalle lingue vocali.” Anche questa credenza non è supportata da prove scientifiche, poiché, come abbiamo già visto nella sezione 2.2 di questo elaborato, ci sono ritrovamenti archeologici che attestano l’esistenza di una comunicazione gestuale ben prima delle testimonianze che abbiamo delle lingue vocali. Inoltre, abbiamo già visto come il linguaggio, sia nell’evoluzione ontogenetica del bambino sia nell’evoluzione filogenetica dell’essere umano, si sviluppi dapprima attraverso i gesti e solo successivamente attraverso le parole. Un’ulteriore prova dell’indipendenza delle lingue dei segni, in questo caso dell’italiano e della LIS, deriva dalla differenza nell’ordine frasale delle due lingue, l’italiano è una lingua SVO (soggetto, verbo, oggetto, es. “Io mangio la mela”), mentre la LIS è una lingua SOV (soggetto, oggetto, verbo, es.

IO MELA MANGIARE), in cui il verbo normalmente segue il soggetto e l’oggetto, contrariamente a quello che succede in italiano. Analogamente, in italiano la negazione precede il verbo (“Io non mangio”), mentre in LIS lo segue (IO MANGIARE NO). Perciò sarebbe inappropriato affermare che la LIS deriva dall’italiano.

4. “Il gesto uccide la parola.” Un altro antico pregiudizio, non ancora rimosso, è legato alla paura che esponendo i sordi alla lingua dei segni si comprometta lo sviluppo verbale del linguaggio. Questo pregiudizio è lo stesso che ha portato all’abolizione dell’uso dei segni dall’educazione dei sordi al grido “i segni uccidono la parola” (Volterra 2014: 430, cfr. sezione 2.2), durante il “Congresso internazionale per il miglioramento della sorte dei Sordomuti”, tenutosi a Milano nel 1880. La paura nei confronti dei segni viene espressa soprattutto da medici o da educatori che tendono a trasmettere questo atteggiamento alle famiglie con bambini sordi, le quali a loro volta non vogliono l’esclusione sociale per i propri figli e temono che una forma “diversa” di comunicazione possa ostacolare il loro desiderio di normalità e di integrazione. Tuttavia le lingue dei segni in generale e la LIS nel nostro caso non interferiscono in alcun modo sull’acquisizione della lingua vocale e, anzi, in molto casi si osserva che l’uso della LIS stimola e facilita la produzione linguistica, se usata in ambienti bilingui. Infatti, si è dimostrato che i bambini bilingui hanno una maggior abilità nel distinguere tra forma e significato delle parole grazie al possesso di diverse etichette lessicali per esprimere il medesimo concetto (Tsimpli, Peristeri, Andreou, 2016). Ciò significa che viene esercitato un controllo linguistico che seleziona le parole della lingua target evitando intrusioni della lingua non target. Tale pratica può avere effetti di potenziamento dell’attenzione selettiva e del controllo cognitivo generale, portando benefici anche in compiti di natura non verbale. Quindi questa esperienza si riflette in altre attività che richiedono attenzione e controllo esecutivo, migliorando l’abilità di eseguire più compiti cognitivi contemporaneamente o in rapida successione, permettendo maggiore efficienza nella vita quotidiana (Volterra, 2014). Pertanto la motivazione, troppo spesso utilizzata, che la produzione vocale verrebbe danneggiata dall’utilizzo dei segni non trova alcun fondamento scientifico.

In considerazione di quanto detto finora, si può certamente affermare che la LIS è una lingua naturale, dotata di una propria grammatica e una propria complessità, utilizza il canale visivo-gestuale, e che l’esposizione simultanea a più lingue, in ambito familiare e riabilitativo, non costituisce una controindicazione per lo sviluppo delle performance comunicative del bambino, anzi, lo aiuta a sviluppare le proprie abilità cognitive.