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PARTE II: applicazione delle teorie di finanza comportamentale all’allocazione del risparmio previdenziale

Capitolo 6: anomalie nella scelta del tipo di erogazione

6.1 Capitale o rendita?

6.1.2 Dati empirici

Nonostante a livello teorico la scelta della rendita si dimostri la più conveniente, nella realtà solo una minima parte di tutti i lavoratori aderenti ad una forma di previdenza complementare, una volta

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raggiunta l’età pensionabile, richiede l’erogazione della prestazione utilizzando questa modalità (Benartzi, S., Previtero, A., Thaler, R.H.; 2011). Molteplici sono gli studi empirici in grado di supportare la precedente affermazione. Tra questi, quelli di Benartzi, Previtero e Thaler forniscono una prima prova di come gli individui non percepiscano il corretto vantaggio della rendita e, di conseguenza, optino molto spesso per l’erogazione in capitale. Inizialmente, analizzando le decisioni dei lavoratori pensionati over 65, tra il 2000 e il 2008, di una stessa azienda, emerse che solo il 61% di loro aveva preferito la rendita, totale o anche solo parziale. Successivamente, furono esaminate le decisioni di lavoratori pensionati, tra il 2002 e il 2008, provenienti però da differenti aziende: in questo caso il tasso di richiesta della rendita si ridusse al 49%, quindi decisamente inferiore al livello raggiungibile agendo in linea con quanto previsto dalla teoria classica. Si ritiene importante precisare che in questo secondo esperimento i lavoratori selezionati erano tutti di età compresa tra i 50 e i 75 anni, avevano lavorato per almeno 5 anni e il saldo della loro posizione era almeno pari a 5000 $. Il motivo di questa selezione è da individuarsi nel rischio che, per gli individui giovani con una minor quantità di risparmi a disposizione, la scelta si riduca alla decisione tra la spesa immediata del denaro appena ottenuto o il trasferimento ad un altro fondo, piuttosto che alla vera e propria alternativa tra rendita e capitale. Per quanto riguarda i fattori responsabili di queste tipologie di decisioni, gli autori suggeriscono la responsabilità di elementi istituzionali, relativamente all’effettiva disponibilità dell’opzione di rendita nei piani40, ma soprattutto comportamentali (Benartzi, S., Previtero, A., Thaler, R.H.; 2011).

Con le medesime finalità, altri autori confrontarono la diffusione della rendita tra piani pensione con caratteristiche differenti. Il primo era un piano tradizionale che consentiva la scelta tra la percezione di una rendita o di una somma in capitale solo ai lavoratori con età superiore ai 55 anni e almeno 10 anni lavorativi, oppure a chi di età superiore ai 65, senza limiti negli anni lavorativi. Diversamente, i partecipati non in possesso delle caratteristiche sopra elencate erano obbligati a percepire i loro risparmi sottoforma di rendita: appare chiaro che per questo motivo i suddetti soggetti non sono stati inclusi nelle analisi. Il secondo piano oggetto di studio era un piano bilanciato che consentiva a tutti gli aderenti la scelta tra prestazione in capitale o rendita. Nonostante questo, vennero inclusi nelle analisi solo i lavoratori di età superiore ai 55 anni: da un lato, l’obbiettivo era quello di avere a disposizione dei dati comparabili con quelli percepiti dal piano tradizionale, dall’altro così facendo fu possibile studiare il comportamento dei lavoratori prossimi al pensionamento. Inoltre, nessuno dei due piani offriva la possibilità di ottenere parte della prestazione in rendita e parte in capitale. Dai risultati emersero i seguenti dati: nel piano tradizionale, il 73% dei partecipanti scelse la prestazione

40Si ricorda che in America i piani 401(k) che comprendono l’alternativa della rendita sono un numero esiguo (Benartzi, S.,

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in capitale, contro solo il 27% che optò per la rendita. Nel caso del piano bilanciato i risultati contrastarono in misura ancora più elevata con le prescrizioni teoriche: solo il 17% degli iscritti richiese la rendita. Inoltre, ci fu evidenza che, generalmente, ad optare per la rendita sono gli individui con maggiori disponibilità economiche, di sesso femminile e single. Sorprendentemente, la prestazione in capitale fu richiesta dai lavoratori con maggiori competenze finanziarie. Sebbene raggiunga livelli indiscutibilmente bassi, i valori del tasso percentuale di rendite richieste risulta essere correlato positivamente con l’età dei lavoratori; in particolare, nel piano tradizionale, è pari al 18% tra gli individui di età compresa tra i 55 e i 60 anni, ma sale al 46% considerando solo quelli di età superiore ai 70 (Mottola, G.R., Utkus, S.P.;2007).

In Italia la situazione non si rivela molto diversa. Dalla relazione annuale del presidente della COVIP emerge infatti che nel corso del 2017 sono state erogate prestazioni previdenziali sottoforma di rendita per 700 milioni di euro, contro i 2,6 miliardi destinati alle prestazioni in forma di capitale. Simile la situazione nel 2018, con una spesa pari a 700 milioni di euro per le rendite e 3,4 miliardi per il capitale. I dati riportati mostrano chiaramente la preferenza dei lavoratori per l’incasso del denaro in un'unica soluzione: ancora una volta il comportamento degli agenti economici si rivela contrastante con quanto previsto dalla teoria razionale41.

Anche in Svizzera, le decisioni relative le modalità di erogazione della pensione rispettano, in media, quanto visto fin ora. Prima di analizzare i dati, è opportuno soffermarsi sulle principali caratteristiche del sistema pensionistico svizzero. Al pari di quello italiano, si compone di due pilastri. Il primo è finalizzato alla raccolta di un reddito basilare, tramite un’imposta applicata sul salario proporzionalmente alle proprie entrate complessive. In questo caso, il reddito da pensione percepito è connesso alla media tra l’inflazione e la crescita del salario nominale e viene erogato sottoforma di rendita annuale. Diversamente, il secondo pilastro è la rappresentazione di uno schema pensionistico obbligatorio, fondato sul datore di lavoro ed interamente finanziato: la finalità principale diventa quindi quella di assicurare uno standard di vita almeno pari a quello che ha caratterizzato il periodo trascorso in qualità di lavoratore42. Il carattere obbligatorio del secondo pilastro emerge in relazione alle soglie massime di reddito che le aziende sono costrette a garantire; inoltre, questa è la parte sottoposta ad una normativa più rigorosa. Una minore regolamentazione è prevista invece in merito ai limiti minimi di reddito garantiti dalle aziende. I contributi versati nel rispetto del secondo pilastro sono, diversamente dai primi, proporzionali al reddito che la compagnia si è impegnata a riconoscere una volta conclusosi il periodo lavorativo. Il suddetto reddito può essere erogato mediante il

41https://www.covip.it/wp-content/files_mf/1528371889RelazionedelPresidente2017.pdf; https://www.covip.it/wp-

content/uploads/Considerazioni-del-Presidente-20190612.pdf .

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pagamento di un'unica somma di denaro (erogazione sottoforma di capitale) o tramite pagamenti ricorrenti per gli anni di vita residua (erogazione sottoforma di rendita); alternativamente, alcuni fondi offrono la possibilità di percepire parte delle somme accumulate in rendita e parte in capitale43. Il calcolo dell’importo percepito annualmente nel caso di erogazione in rendita viene effettuato utilizzando un apposito fattore di conversione, connesso esclusivamente all’età (Butler, M., Teppa, F.; 2007).

Sulla base di questi aspetti normativi, Butler e Teppa hanno analizzato le decisioni degli individui relative alle modalità di erogazione della prestazione pensionistica. Dal loro studio è emerso che la tipologia di erogazione prescelta è connessa alla ricchezza accumulata; in particolare, un incremento di quest’ultima di 100,000 è in grado di aumentare dell’1% il tasso di annualizzazione. Tenendo in considerazione anche l’avversione al rischio, e distinguendo i risultati in base al sesso dei risparmiatori, gli autori hanno concluso che con un coefficiente di avversione al rischio pari a 2, l’aumento della ricchezza accumulata del 1% produce, per le donne, un incremento del tasso di annualizzazione dell’1,5%; per gli uomini, invece, si tratta solo dello 0,5%, a parità delle altre condizioni. Inoltre, la massima probabilità che il lavoratore opti per la rendita si registra quando il risparmio pensionistico accumulato è pari a 650,00. Diversamente, per importi relativamente ridotti di ricchezza accumulata, gli agenti economici si sono dimostrati maggiormente propensi alla formula che prevede la totale erogazione in capitale. Una possibile causa di questa scelta, contraria a quanto previsto dalla teoria, sono le diverse preferenze temporali degli individui. Infatti, un elevato sconto del futuro può essere l’origine sia di esigue somme accumulate, sia della mancata selezione della rendita. D’altra parte, anche la possibilità di richiedere benefici supplementari, in seguito all’esaurimento di quanto percepito in capitale, può essere considerato un disincentivo alla selezione della rendita. In conclusione, confrontando lo stato coniugale, è stato emerso che la probabilità di selezione della rendita è più elevata quando si tratta di donne spostate rispetto a quando queste sono single (Butler, M., Teppa, F.; 2007).