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Declaratoria in appello e funzione nomofilattica del ricorso per cassazione.

1 Appello e procedimento in camera di consiglio: strumenti utili per contenere i tempi processuali 2 Limiti cronologici per una ragionevole

4. Declaratoria in appello e funzione nomofilattica del ricorso per cassazione.

Ugualmente concreta un risparmio in tempi processuali la disciplina della declaratoria in appello delle nullità verificatesi nel primo grado di giudizio, preordinata a ridurre il più possibile le ipotesi di rinvio degli atti al giudice di primo grado, sia stabilendo la regola che la nullità inficiante una parte della sentenza non si comunica ai capi da questa dipendenti , sia potenziando la funzione di supplenza e sostituzione del giudice d’appello con il conferirgli poteri integrativi della decisione impugnata, l’art. 604 c.p.p. infatti dispone che nel caso di condanna per un reato concorrente o per un fatto nuovo, il giudice di appello, dichiarata la nullità del relativo capo, elimina la pena corrispondente e da la notizia del provvedimento al pubblico ministero per le sue determinazione, mentre nell’ipotesi di condanna per un’aggravante non contestata la regola è quella della rideterminazione della pena ad opera del giudice di appello, temperata dalla previsione del rinvio al primo giudice per l’omessa contestazione di circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di una circostanza aggravante a effetto speciale.

Basta dare uno sguardo ai seguenti dati rilevati dalla Corte Suprema di Cassazione nel secondo semestre 2013, per rendersi conto della mole di procedimenti pendenti in Italia, e di quanto quindi si possa avvertire con urgenza la necessità di interventi incisivi per migliorare l’amministrazione della giustizia nel nostro Paese.

La vera novità in materia, è rappresentata dalla funzione nomofilattica del ricorso per cassazione: l’autonomia conferita alla sanzione dell’inutilizzabilità, all’omessa assunzione di controprova decisiva e soprattutto al vizio di motivazione, determinano una delimitazione dell’area di sindacabilità, infatti la cognizione della corte è incanalata dal presupposto della mancata o manifesta illogicità ma anche circoscritta all’esigenza che il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato. L’art. 611 c.p.p. riguardo il procedimento per la declaratoria del vizio in cassazione, consente la previa instaurazione di un contraddittorio scritto, il che costituisce un risparmio di tempo rispetto al rimedio della discussione in pubblica udienza instaurabile su istanza del difensore.

Il canone della durata ragionevole del processo viene in rilievo sul piano della generale organizzazione della giustizia, nella misura in cui un razionale impiego delle risorse permette un più rapido smaltimento del carico giudiziario, e se in questa prospettiva può cercare di giustificarsi la scelta di prevedere l’unificazione dei giudizi civile e penale concernenti uno stesso fatto, non si può dimenticare il conseguente sorgere della necessità di garantire tempi ragionevoli su un doppio fronte: va rammentato come la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia ritenuto che violi il diritto di accesso al giudice non provvedere in sede penale sulla domanda di risarcimento del danno avanzata dalla parte civile a causa dell’intervenuta prescrizione del reato dovuta ai ritardi

dell’autorità giudiziaria nella trattazione del procedimento. Per accelerare l’amministrazione della giustizia penale, si è tradizionalmente operato a livello di una ripartizione delle competenze tra differenti organi giurisdizionali, riservando ad esempio i reati di minor entità alla cognizione di giudici monocratici che operano con forme più snelle di quelli collegiali, nonché sul piano dell’individuazione di distinti itinerari processuali in considerazione soprattutto della maggiore o minore difficoltà nelle acquisizioni probatorie. L’originalità del codice di procedura penale del 1988 nell’ambito dei procedimenti che allora vengono denominati speciali è stata però quella di intervenire incisivamente sulle modalità di esplicazione del contraddittorio attraverso i nuovi modelli del giudizio abbreviato e del patteggiamento. Con essi viene disciplinata la possibilità di ridurre i tempi processuali eliminando la più garantistica fase dibattimentale, ma si subordina la loro instaurazione al consenso dell’imputato, invogliando a prestarlo specialmente dalla prospettiva di uno sconto della pena ( certa, ma anticipatamente definita, nel caso di patteggiamento; addirittura solo eventuale nell’ipotesi di giudizio abbreviato ).

5. Nullità assolute.

Una questione che spesso emerge quando si parla di come accelerare i tempi processuali, è quella relativa ai tentativi di depotenziare le nullità assolute, sviluppati non tanto nel senso di una riduzione delle già limitate ipotesi contemplate dall’art. 179 comma 1 c.p.p., bensì nella prospettiva di restringere la deducibilità di alcune di esse, qualora sia dimostrato che il vizio era già conosciuto e poteva essere eccepito in tempo, oppure di sancire che esse non possano essere rilevate né eccepite quando la violazione sia inoffensiva e cioè non abbia comportato la lesione dell’interesse alla cui tutela la sanzione processuale è preordinata. Queste proposte tuttavia per un verso si scontrano con la disciplina delle nullità assolute, mutandone la natura che ne postula l’insanabilità fino al formarsi del giudicato ; per altro affermare che la nullità di un atto imperfetto sarebbe sanata per soddisfazione dell’interesse tutelato senza specificare normativamente l’evento cui ricollegare tale effetto, rischia di risolversi in una tautologia, mentre verrebbe integrata l’ipotesi contraddittoria di un atto imperfetto e ciononostante efficace qualora ci si riducesse a sostenere che dalla violazione di una norma che debba essere osservata a pena di nullità non deriverebbe un pregiudizio giuridicamente rilevante. Inoltre nell’ottica del giusto processo, comporta l’aumento del rischio di condanne dell’Italia da parte della Corte europea dei

diritti dell’uomo, la trasformazione, in nullità sanabili, dei requisiti attinenti alla presenza dell’imputato e del suo difensore al processo oppure a indefettibili caratteri della giurisdizione ( cui potrebbero ricondursi anche le nullità concernenti l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale, che nel nostro ordinamento coinvolgerebbero quasi inevitabilmente la trasgressione del canone ne procedat iudex ex officio e quindi il mancato rispetto dei principi di imparzialità e terzietà del giudice ).

Il regime delle nullità, tralasciando quelle assolute e insanabili che sono di tale gravità da giustificare la rilevabilità in ogni stato e grado, tutte le altre fattispecie sono strutturate in modo da favorire, anziché evitare, la regressione del giudizio nella fase antecedente e dunque l’allungamento dei tempi processuali. In caso di nullità a regime intermedio, che devono essere dedotte prima della deliberazione della sentenza di primo grado ( se verificatesi nella fase degli atti preliminari al dibattimento ) o in appello ( se verificatesi nel corso del giudizio ), l’ordinamento consente di portare comunque a compimento la discussione della causa, pur in presenza di una causa di nullità, col rischio di vedere vanificata l’intera istruttoria dibattimentale. Si pensi anche alla nullità di un atto per incertezza assoluta sulle persone intervenute alla redazione dello stesso, e alle questioni di competenza che comportano spesso notevoli allungamenti dei tempi processuali perché ( sollevate nei limiti dei tempi ) convertite in motivi di appello o ricorso in cassazione, con l’effetto di far regredire il processo alle battute iniziali.

6. Cause di estinzione.

Va ricordata la giurisprudenza che ha escluso la rilevabilità delle cause di estinzione del reato in presenza di qualsiasi causa di inammissibilità delle impugnazioni17; dopo un lungo travaglio infatti la Corte di cassazione è riuscita a modificare la propria giurisprudenza, per cercare di arginare una diffusa strumentalizzazione del sistema delle impugnazioni, sempre più destinate a guadagnare la prescrizione del reato piuttosto che a ottenere un controllo sulle decisioni impugnate. Alla base di questa svolta vi sono due principi: il principio che è inammissibile, perché priva di censure specifiche, l’impugnazione proposta unicamente al fine di far valere la prescrizione del reato intervenuta nel periodo intercorrente fra deposito della sentenza e la scadenza del termine per

17

impugnare18, infatti perché vi sia un’impugnazione è necessario che venga dedotto un errore della sentenza impugnata, mentre chi fa valere solo la prescrizione sopravvenuta alla decisione apparentemente impugnata ne presuppone in realtà la correttezza; il principio che, se l’inapplicabilità dell’art. 129 c.p.p. dipende dall’inammissibilità e quindi dall’invalidità dell’impugnazione, piuttosto che dall’irrevocabilità della decisione, rimane del tutto ingiustificata la distinzione fra cause di inammissibilità originarie e sopravvenute in un sistema che non distingue più tra presentazione dell’impugnazione e deposito dei motivi, salvo quanto previsto dall’art. 589 per la rinuncia all’impugnazione19 . Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito che la sola peculiarità del caso in cui la prescrizione non sia sopravvenuta alla decisione impugnata è nella possibilità che l’omessa dichiarazione dell’estinzione del reato sia dedotta come motivo d’impugnazione; ciò non esclude però che, di fronte a un’impugnazione inammissibile, neppure la prescrizione preesistente alla decisione impugnata possa essere rilevata d’ufficio, in mancanza di uno specifico motivo di censura20. Risulta così evidente come non sia tanto la sanzione dell’inammissibilità in sé a giocare un ruolo determinante, quanto l’affermazione della conseguente preclusione della possibilità di rilevare l’estinzione del reato: la svolta giurisprudenziale è nell’utilizzazione di questa invalidità come strumento di prevenzione contro l’abuso delle impugnazioni.

18

Cass, ( Sez. Un. ), 27 giugno 2001, n. 219531

19 Cass, ( Sez. Un. ), 18 dicembre 2001, n. 221389 20

CAPITOLO 4

1. La funzionalità di un filtro per diminuire la mole dei ricorsi pendenti. 2.