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1 Appello e procedimento in camera di consiglio: strumenti utili per contenere i tempi processuali 2 Limiti cronologici per una ragionevole

3. La nuova legge Pinto.

Col decreto legge 22 giugno 2012 n. 83 convertito con la legge 7 agosto 2012 n. 134, la vecchia legge Pinto è stata sostanzialmente abrogata in quasi tutti i suoi articoli, fatta eccezione per il num. 1, 6, 7; la nuova procedura obbliga il giudice ad indagare sulla parte responsabile dei rinvii del processo e sui soggetti che ne hanno dato causa, dimezzando il risarcimento dei danni, portato al minimo di euro 500,00 per ogni anno di effettivo ritardo dei processi, e grava di maggiori difficoltà l’avvocato nel presentare ricorso, che ora necessita di copie autentiche e tassative di taluni atti del processo presupposto: queste devono essere rilasciate dal Cancelliere, introducendo non indifferenti spese, trasformando l’originario processo in una procedura per decreto ingiuntivo. Questo va notificato al Ministero nello stretto termine di un mese, e può determinare taluni casi in cui al ricorrente non viene liquidato nessun danno. Tra le modifiche in peius della legge Pinto, si ha anche l’obbligo di comunicazione del decreto che accoglie la domanda, oltre che al procuratore generale della Corte dei Conti, anche ai titolari dell’azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento. Tra le novità più rilevanti, il nuovo ricorso per l’equa riparazione non si potrà proporre come prima durante la pendenza del procedimento, ma potrà essere proposto solo dopo che la sentenza sia divenuta definitiva, inoltre l’art. 3stabilisce che

l’erogazione degli indennizzi avvenga nei limiti delle somme disponibili, in violazione delle decisioni della Corte europea dei Diritti dell’ Uomo, la quale ha già condannato l’Italia il 29 marzo 2006 con una sentenza della Grande Camera (Cocchiarella c. Italia), motivando che la mancanza di risorse finanziarie non può costituire pretesto per non pagare i debiti accertati in giudizio.

La nuova legge Pinto ha inteso semplificare il procedimento disponendo all’art. 3 che la domanda di equa riparazione va proposta con ricorso, redatto nelle modalità di cui all’art. 125 c.p.c., al presidente della Corte d’Appello come nella vecchia legge, ma questi o un magistrato da lui designato, non fissa l’udienza in camera di consiglio per la discussione della causa, ma emette entro trenta giorni un decreto esecutivo motivato, ingiungendo, in caso di accoglimento, al Ministero convenuto il pagamento della somma liquida, col rimborso delle spede, a favore del ricorrente a titolo di equa riparazione. Il decreto non va impugnato per cassazione, come nella vecchia legge, ma con opposizione dinanzi alla stessa Corte d’Appello, che va decisa col rito del procedimento in camera di consiglio ai sensi dell’art. 737. In tal modo il procedimento per l’equa riparazione si trasforma da procedimento sommario di ingiunzione a procedimento in camera di consiglio, ove la Corte d’Appello pronuncia entro quattro mesi dal deposito del ricorso un decreto immediatamente esecutivo, impugnabile per cassazione. La riforma ha trasformato l’originario processo di natura contenziosa, che si svolgeva in camera di consiglio, con un procedimento di ingiunzione, in aderenza al principio dell’economia del giudizio, attesa la semplicità del procedimento dell’equa riparazione. Il nuovo art.3 della riforma richiama espressamente i primi due commi dell’art. 640: << Rigetto della domanda. Il giudice, se ritiene insufficientemente giustificata la domanda, dispone che il cancelliere ne da notizia al ricorrente, invitandolo a provvedere alla prova. Se il ricorrente non risponde all’invito o non ritira il ricorso, oppure se la domanda non è ammissibile, il giudice la rigetta con decreto motivato. >>. La natura camerale invece emerge nella seconda fase, come previsto dall’art. 5-ter << contro il decreto che ha deciso sulla domanda di equa riparazione può essere proposta opposizione nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento, ovvero dalla sua notificazione >>. Perciò il procedimento nella sua natura giuridica, dopo l’opposizione al decreto, si trasforma in giudizio camerale a carattere contenzioso, per cui, pur dovendo assicurare la garanzia del diritto di difesa e del rispetto del principio del contraddittorio, esso è caratterizzato da particolare celerità e semplicità di forme. La Corte d’Appello, nel giudizio camerale instaurato a seguito dell’opposizione al decreto, va alla ricerca della responsabilità dello Stato, che si fonda sulla presunzione prevista dall’art. 1218 c.c., in base al quale tale responsabilità è da considerarsi presunta, se non viene

provato da parte dell’Avvocatura dello Stato che la non ragionevole durata del processo è stata determinata da impossibilità per causa non imputabile allo Stato.

Il procedimento rimane un giudizio a contenzioso soggettivo, infatti il titolare dell’azione è la persona fisica o giuridica che ha subito il danno a carattere patrimoniale, non patrimoniale o morale per la durata non ragionevole del processo presupposto e che sia stata parte in detto processo, non potendo esserne legittimato il soggetto che non abbia rivestito la qualità di parte, ancorché ne sia rimasto danneggiato. Tuttavia il risarcimento va disposto a favore di ogni soggetto che abbia preso parte nel processo, come ribadito dalla giurisprudenza della Cassazione sin dalla sentenza 8 maro 2007 n. 5338 << la liquidazione dell’equo indennizzo per la durata irragionevole del processo deve essere effettuata a favore di ogni singolo ricorrente e non può essere determinata in un solo importo globale e complessivo per più ricorrenti [..] il danno consistente nei patemi d’animo e turbamenti psichici causati dall’irragionevole durata del processo va risarcito anche alle persone giuridiche, in quanto le situazioni giuridiche ad essi imputate, per la loro natura meramente di soggetti transitori e strumentali, sono comunque destinati a riferirsi alle persone fisiche che lo compongono>>, e ancora << l’irragionevole protrarsi del processo, in violazione del diritto sancito dall’art. 6 par. 1 della Convenzione Europea è eziologicamente idoneo ad ingenerare nelle persone giuridiche, al pari delle persone fisiche, un danno non patrimoniale inteso quale danno morale correlato a turbamenti di carattere psicologico solitamente riscontrabili nelle persone preposte alla gestione dell’ente e dei suoi membri >>. Inoltre il diritto all’equa riparazione è limitato alla durata temporale delle ansie e delle sofferenze psichiche subite personalmente dalla parte processuale nel processo a causa della sua durata ingiustificata, poiché esse non si estendono all’eventuale periodo di sofferenze sofferte dal dante causa nello stesso processo; in questo caso l’erede succede solo pro quota ereditaria nel diritto del de cuius alla ripartizione dei danni dal medesimo subiti: << in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89, qualora la parte costituita sia deceduta anteriormente al decorso del termine di durata ragionevole del processo presupposto, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo iure proprio dovuto al superamento del predetto termine, soltanto a decorrere dalla sua costituzione; ne consegue che, qualora l’erede agisca sia iure hereditatis che iure proprio, non può assumersi come riferimento temporale di determinazione del danno l’intera durata del procedimento, ma è necessario procedere ad una ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al fin di valutarne separatamente la ragionevole durata, senza tuttavia escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale sofferto dal dante causa e quello personalmente patito dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo, non ravvisandosi incompatibilità tra il

pregiudizio patito iure proprio e quello che lo stesso soggetto può far valere pro quota o iure successionibus, ove già entrato a far parte del patrimonio del proprio dante causa >>21.

L’art. 4 della legge Pinto è stato abrogato, esso così disponeva: <<La domanda di riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il medesimo procedimento è divenuta definitiva >>. Il nuovo art. 4 invece così dispone: << La domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva >>. La nuova legge sull’equa riparazione con l’art. 2-bis ha fissato inderogabilmente il limite temporale di durata dei processi, stabilendo che il termine ragionevole di cui all’art. 6 CEDU è di tre anni in primo grado, di due anni in appello e di un anno in cassazione; superando questi termini il processo entra nella fase non ragionevole, precisando che si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in sei anni. Questo significa che, per esempio, non è considerato di durata non ragionevole un processo definito in sei anni attraverso tre gradi di giudizio anche se in qualcuno di essi si sia verificato lo sforamento del termine stabilito: la riforma pertanto ha notevolmente limitato al soggetto danneggiato la possibilità giuridica di potere agire per la tutela del suo diritto.