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Aspetti salienti della Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale.

2.6 La definizione di reato transnazionale.

Per ripercorrere quantomeno i tratti salienti della Convenzione delle Nazioni Unite e di evidenziare i suoi profili critici, particolare attenzione va riservata alla scelta di coniare una definizione di reato con carattere transnazionale190.

Dalla lettura dell’art. 3 della TOC Convention, infatti emerge, implicitamente, come nella sua prima parte non si renda necessario nessun chiarimento terminologico ulteriore, visto che tutte le espressioni ed i concetti richiamati sono comprensibili tramite rinvio ad altri punti della Convenzione, mentre sicuramente serve definire quando é possibile parlare di reato transnazionale.

La definizione é in sé strettamente legata alla prima parte dello stesso articolo, perché consente di completare e chiarire le ipotesi applicative della Convenzione stessa, in particolare per quanto concerne la lett. b) ed il richiamo ai reati c.d. gravi “laddove sono di natura transnazionale e vedono coinvolto un gruppo criminale organizzato”.

Solo in questo modo, infatti, é stato possibile restringere l’area applicativa della Convenzione: l’art. 2, lett. b), coordinato con l’art. 3, primo comma, lett. b), nella sua prima parte avrebbe eccessivamente esteso l’operatività del Testo pattizio de quo che, invece, richiede i requisiti ulteriori della transnazionalità e del coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato.

Mentre però é possibile individuare altrove cosa si intenda con il secondo dei requisiti, é sembrato ai Committenti che questo fosse il punto migliore191 per chiarire cosa si intenda con l’aggettivo “transnazionale”.

Si tratta indubbiamente di una delle novità più importanti della Convenzione di Palermo, come si vedrà ripresa anche dalla formulazione letterale dell’art. 3 della L. 146/06.

Dal punto di vista dogmatico, si é trattato, infatti, indubbiamente di una decisione non facile: la determinatezza é sicuramente alla base della certezza stessa del

190 La genesi del termine é relativamente certa e generalmente ricondotta al ruolo delle Nazioni

Unite e in particolare, come “momento storico”, alla Naples Political Declaretion and global

Action Plan against Transnational organized crime (doc. A/49/748), adottata al termine della

Conferenza ministeriale sul crimine organizzato transnazionale, Napoli, 21-23 novembre 1994.

191 Anche se in realtà non é del tutto chiaro perché non esaurire l’insieme delle precisazioni

terminologiche nella disposizione a ciò dedicata: una possibile spiegazione di questa scelta, sicuramente non casuale, sembra possa essere la superiore necessità di affiancare la definizione alla

diritto ma può, allo stesso tempo, costituire anche un vincolo alla sua stessa operatività, quantomeno nell’ipotesi di una definizione particolarmente rigida. Forse proprio per questo motivo, insieme con la necessità di pervenire ad un concetto adattabile alle realtà interne di ordinamenti così eterogenei come quelli coinvolti192, si é optato per una scelta di politica criminale che consenta, al tempo stesso (non senza difficoltà e possibilità di critiche), di individuare i caratteri della transnazionalità ma anche di fungere da contenitore vuoto, adattabile (nei limiti) a seconda delle esigenze, lasciando però agli Stati comunque la possibilità di adattarsi alla Convenzione e di prevedere l’introduzione delle fattispecie de quibus “indipendentemente dalla natura transnazionale o dal coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato”193, chiaramente facendo salvo il solo art. 5194.

Pur non essendo presente nell’articolo 2 della Convenzione, la definizione di reato transnazionale, così come articolata nel corpo dell’articolo 3, dopo una puntualizzazione, conformemente al titolo stesso, dell’ambito di applicazione, é fondamentale. Un reato può definirsi transnazionale qualora:

• sia commesso in più di uno Stato;

• sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avviene in un altro Stato;

192 Fondamentale é, a tal proposito, come precedentemente chiarito, il richiamo all’art. 34: ciascuno

Stato Parte adotta, conformemente ai principi fondamentali della propria legislazione interna, le misure necessarie, incluse quelle legislative ed amministrative, dirette a garantire l’attuazione dei propri obblighi secondo la presente Convenzione.

I reati previsti dagli articoli 5, 6, 8 e 23 della presente Convenzione vengono inseriti nella legislazione interna di ciascuno Stato Parte indipendentemente dalla natura transnazionale o dal coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato, ai sensi dell’articolo 3 paragrafo 1 della presente Convenzione, tranne che nella misura in cui l’articolo 5 della presente Convenzione richiede il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato (…).

193 La stessa Legge di ratifica italiana ha solo parzialmente recepito le indicazioni, come si vedrà

nel paragrafo a ciò dedicato di questo lavoro: BORLINI, Una Convenzione ONU a 360 gradi ma

l’Italia tarda nella ratifica, Gdir, 4, 1 luglio 2006, 18.

194 Sembra in questo punto molto utile il richiamo ai Travaux Preparatoires, che chiariscono che:

“(…) the purpose of this paragraph is, without altering the scope of application of the Convention

as described in article 3, to indicate unequivocally that the transnational element and the involvement of an organized criminal group are not to be considered elements of an organized criminal group are not to be considered elements of those offences for criminalization purposes. The paragraph is intended to indicate to states Parties that, when implementing the Convention, they do not have to include in their criminalization of laundering of criminal proceeds (art. 6), corruption (art. 8) or obstruction of justice (art. 23) the element of transnationality and involvement of an organized criminal group, nor in the criminalization in an organized criminal group (art. 5) the element of transnationality. This provision is furthermore intended to ensure clarity for States Parties in connection with their compliance with the criminalization articles of the Convention and is not intended to have any impact on the interpretation of the cooperation articles of the Convention (artt. 16, 18 and 27)”- A/55/383/Add. 1, note 59.

• sia commesso in uno Stato, ma in esso é implicato un gruppo criminale organizzato impiegato in attività criminali in più di uno Stato;

• sia commesso in uno Stato ma con effetti sostanziali in un altro Stato. E’ necessario chiarire da subito che si tratta di ipotesi disgiuntive e che, in particolare nell’ultimo punto, “c’é una possibilità di interpretazione estensiva praticamente quasi infinita”195.

Si tratta di “una combinazione di criteri alternativi legati solo in parte al necessario coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato”196.

Dalla lettura del disposto normativo emerge, infatti, come rilevano alcuni indici fattuali incentrati per lo più sulla pluralità di territori teatro dell’azione penale, sul luogo/luoghi di realizzazione delle sue conseguenze o, in caso di condotte frazionate in vari posti, sui vari loci commisi delicti individuabili.

E’ possibile distinguere197 una transnazionalità di matrice oggettiva, con significatività massima per l’ambito spaziale dell’illecito e focalizzazione su quello che é il momento perfezionativo del reato.

Occorre chiaramente evidenziare come esistono fattispecie di reato che già nella loro struttura presentano il carattere della transnazionalità e, a partire dal traffico di armi etc., esistono ed assumono una rilevanza penale proprio per la loro natura di multiterritoriale198.

Le ipotesi di transnazionalità c.d. oggettiva spaziano dai casi di iter criminis con uso di strumentazioni virtuali (cybercrime etc.), fino a quelli la cui transnazionalità dipende dall’oggetto stesso del reato (con riferimento, ad esempio, ai reati di falsificazione nummaria aventi ad oggetto monete che travalicano i confini nazionali e che prevedono una circolazione in più Stati).

Chiaramente possono rientrare in questa categoria anche tutti quei casi privi di qualifica in re ipsa ma che assumono il carattere della transnazionalità solo per le modalità di realizzazione dell’illecito in quel caso specifico: un numero corposo di

195 BARBERINI, Entrata in vigore della Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale

e il disegno di legge di ratifica, CP, 11, 2003, 3267.

196 Cfr. DE AMICIS, VILLONI, La ratifica della Convenzione ONU sulla criminalità organizzata

transnazionale ed i suoi protocolli addizionali, GM, 07/08, 2006, 1629.

197 La puntualizzazione é basata sulla distinzione introdotta da ROSI, Il reato transnazionale, in

AA. VV., Criminalità organizzata transnazionale (…), cit., 82.

reati del nostro ordinamento penale possono infatti diventare potenzialmente transnazionali, a partire dai casi più frequenti di alcuni reati contro il patrimonio. L’art. 3 distingue poi il caso di transnazionalità dovuta al verificarsi degli effetti sostanziali del reato in un altro Stato: si tratta di un’ipotesi di frequente verificazione, ma che presenta le difficoltà tipiche della problematica del locus commisi delicti in ambito sovranazionale e che spesso può generare confusione con le differenti ipotesi di transnazionalità c.d. oggettiva.

Va altresì evidenziato come le ipotesi di transnational crimes sono strettamente legate anche alla tematica della individuazione del relativo bene giuridico.

Si discute se il reato così qualificato sia di tipo necessariamente plurilesivo o meno o, allo stesso tempo, se questa categoria di reati sia caratterizzata dalla presenza di un bene giuridico generico che presenti, però, il carattere della transnazionalità. Sembra alla fine prevalere la Teoria che “individua i beni oggetto della tutela dei reati transnazionali in quei beni di portata universale, appartenenti a tutti e ciascuno dei componenti della comunità mondiale, quali, ad esempio, vita, salute, libertà, rispetto, sicurezza e pace; si tratterebbe di quei diritti fondamentali dell’individuo, riconducibili al catalogo contenuto nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo”199.

Nella Convenzione di Palermo si parla invece sicuramente della transnazionalità in maniera disgiunta (tranne nella lett. c) rispetto alla condizione della presenza di un “gruppo criminale organizzato”: la conclusione non é priva di risvolti pratici, potendosi quindi parlare di reato transnazionale anche in ipotesi di agere monosoggettivo e non necessariamente plurisoggettivo.

In altri termini, bisogna considerare come astrattamente verificabile l’ipotesi di ideazione criminale dislocata in un contesto geografico diversi rispetto al luogo di reale concretizzazione dell’iter criminis, anche se questo é posto in essere da un soggetto agente singolo.

Come si vedrà, la legge italiana di ratifica invece, ha preferito richiedere il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato [art. 3: “Ai fini della presente legge si considera reato transnazionale il reato punito (…), qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato (…)”], spostando l’attenzione sulla fase della ideazione (nella massima espressione degli atti preparatori tout court).

Sembra200 che questa previsione della Convenzione (nel senso del riconoscimento di un’importanza alla fase ideativa in luogo diverso da quello di realizzazione dell’illecito stesso come fattore di qualificazione della transnazionalità), si concili sia con “il carattere anticipatorio dell’incriminazione del reato associativo, che con l’idea di conspiracy stessa, senza arrivare ad inutili estremizzazioni afferenti gli atti preparatori (nella loro fase primordiale insomma) contrarie al necessario rispetto del requisito di offensività.

Solo nella lett. c) si richiede il coinvolgimento di un gruppo criminale e si prospetta la configurabilità del reato transnazionale con soggetto agente necessariamente multiplo, anche se é oggetto di dibattito la previsione che la transnazionalità debba attenere la condotta stessa del soggetto agente (plurimo) o sia sufficiente che questa caratteristica venga mantenuta nei soli effetti.

Sembra prevalere la constatazione201 che sia l’incidenza dei luoghi di consumazione dei reati-scopo a rendere transnazionale l’operato di un gruppo criminale e non, come invece accade per l’accertamento del locus commisi delicti in riferimento all’art. 416 c.p., la provenienza multiparte degli appartenenti alla associazione stessa: nella Convenzione, non rileva il pluralismo di “sedi”, bensì quello di realizzazione dell’azione.

Fin da queste prime riflessioni, é possibile evidenziare come il concetto di “reato transnazionale” costituisca uno degli esempi di trasposizione parziale nel diritto interno con modalità e caratteri differenti rispetto alla previsione normativa pattizia.

Volendo poi arrivare a collocare il concetto nel contesto normativo europeo, bisogna altresì ricordare come, al contempo, l’U.E. tenti da sempre di realizzare la propria lotta alla criminalità organizzata da un lato insistendo molto sulla necessaria armonizzazione dei vari sistemi penali, introducendo strumenti che consentono di garantire almeno un livello minimo di uniformità tra le varie definizioni, dall’altro cercando di rendere effettivo ed operativo il profilo applicativo, sia formalmente riconoscendo in maniera reciproca i vari provvedimenti giudiziari, sia realizzando una cooperazione giudiziaria e di polizia.

200 Id., Il reato transnazionale, in AA. VV. Criminalità organizzata transnazionale (…), cit., 90. 201 Ma di diverso avviso ROBERTI, La criminalità organizzata transnazionale ed il tessuto

Ciò ha comportato, come conseguenza, una sorta di doppia lettura della transnazionalità: “non solo come caratteristica del crimine ma soprattutto come esigenza operativa, al fine di rendere efficace la lotta comune contro il crimine grave e/o transnazionale, ed é oggi definibile non solo come modalità della fenomenologia criminale, ma come modalità della reazione comune degli Stati dell’Europa”202.

Quanto statuito dall’art. 3 circa la transnazionalità ed il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato costituisce uno dei numerosi esempi di lavoro di compromesso tra gli Stati-parte che é alla base della Convenzione e che in questo caso ha un peso fondamentale nel profilo applicativo dell’intero Testo pattizio. La posizione dei Paesi occidentali era, infatti, quella di applicazione della Convenzione tra le parti senza tenere conto dei due fattori ivi considerati, andando così a generare obblighi di cooperazione tra gli Stati stessi (in particolare quindi per quanto concerne il profilo giudiziario) che apparivano troppo onerosi e di complessa realizzazione, a contrario, per i Paesi meno sviluppati: é prevalsa alla fine la necessarietà della presenza dei due requisiti, con opportune eccezioni per alcuni profili particolari203.

202 ROSI, Il reato transnazionale, in AA. VV. Criminalità organizzata transnazionale (…), cit.,, 97. 203 Ad esempio l’art. 18 stabilisce che l’assistenza giudiziaria reciproca verrà concessa (…) nel caso

in cui lo Stato Parte richiedente abbia fondati motivi di sospettare che il reato di cui all’articolo 3 paragrafo 1 a) o b), sia di natura transnazionale, comprese le ipotesi in cui le vittime, i testimoni, i proventi, gli strumenti o le prove relativi a tali reati si trovino nello Stato Parte richiesto e che nel reato sia coinvolto un gruppo criminale organizzato (…). L’art. 34, come già precisato, allo stesso modo, afferma che “(…) i reati previsti dagli articoli 5, 6, 8 e 23 della presente Convenzione vengono inseriti nella legislazione interna di ciascuno Stato Parte indipendentemente dalla natura transnazionale o dal coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato, ai sensi dell’articolo 3 paragrafo 1 della presente Convenzione, tranne che nella misura in cui l’articolo 5 della presente Convenzione richiede il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato”.

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