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La “lacuna” terminologica del concetto di crimine organizzato nel diritto penale italiano ed inglese: la potenziale utilità di una categorizzazione fallita?

Nelle pagine precedenti si é avuto modo di ripercorrere, almeno nei tratti salienti, l’iter che ha condotto, a fronte della globalizzazione, alla assunzione del carattere transnazionale di un fenomeno, implicitamente inquadrato nei reati associativi, che prende universalmente il nomen di criminalità organizzata.

Sono ormai numerose le riflessioni dottrinarie che utilizzano quest’espressione, tanto che se ne é fatto ricorso, come si vedrà, sia in sede convenzionale che comunitaria85.

L’espressione linguistica comunemente utilizzata nella letteratura giuridica internazionale induce a riflettere ed a riproporre una questione implicita avvertita anche nel nostro Paese sulla portata della dizione <crimine organizzato>, a fronte del fatto che né in sede convenzionale né nei singoli Stati esiste una definizione vera e propria di questo concetto, che ha invece l’importante funzione di “sintetizzare” l’intera realtà criminale associativa.

La Convenzione di Palermo ha, infatti, avuto il merito di chiarire in maniera ufficiale cosa si intenda per reato transnazionale, gruppo criminale organizzato e partecipazione ma, pur richiamandola nello stesso titolo del Testo pattizio, ha lasciato ancora aperta la questione della definizione di crimine organizzato.

In Italia si é ormai da tempo deciso di introdurre una nozione di associazione per delinquere, sovente utilizzata alternativamente con l’espressione criminalità organizzata, ma non si é mai optato, neanche qui, per la esegesi di una definizione ufficiale86.

Ancora più complesso é il discorso se rapportato al diritto inglese.

L’istituto della conspiracy viene infatti da sempre affiancato, soprattutto sulla scia dell’esperienza americana, al concetto di organized crime senza mai soffermarsi a

85 AA. VV., La Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale,

UNICRI, Torino, 2002; BASSIOUNI, International criminal law Conventions and their penal provision, Transnational publishers, Inc. 1997.

86 La querelle terminologica italiana circa la corrispondenza tra l’espressione criminalità

organizzata e associazione per delinquere perde la propria origine nella notte dei tempi, più in termini di certezza dei confini definitori che di inopinabile coincidenza nel linguaggio comune e non sembra in questa sede ripercorribile, dovendo focalizzare l’attenzione più sull’utilità di questa categoria su scala globale che su similitudini con termini giuridici già presenti nei singoli ordinamenti nazionali, incluso il nostro. Si consulti anche INSOLERA, Diritto penale e criminalità

puntualizzare cosa si intenda con l’espressione.

Alcuni studiosi si sono cimentati anche nel Regno Unito, mancando una definizione codicistica tout court, nell’arduo tentativo87.

Uno dei risultati cui si é pervenuti evidenzia che “while the origins of the organized crime moral panic in the United States can be located amongst moral entrepreneurs, the British version is marked by the outpourings of a rightwing media, and the influence of American foreign policy”88, andando quindi a sottolineare come si tratti di un istituto non autoctono, indubbiamente introdotto nel linguaggio giuridico inglese grazie al confronto con le altre realtà sociali e giuridiche, una volta presa consapevolezza del fatto che neanche il proprio territorio era immune da questa manifestazione criminale sia in forma locale che transnazionale.

Individuare una definizione resta però un’impresa ardua89: per organized crime si intende genericamente “widespread criminal activities that are coordinated and controlled through a central syndacate”90.

La chiave di lettura anglosassone dovrebbe probabilmente far riflettere sulla

87 Come emerge dal One Step Ahead: A 21st Century Strategy to Defeat Organized Crime,

presentato al Parlamento dal Segretario di Stato per l’Home Department nel Marzo 2004, 7: For the

purpose of this paper, we have taken the definition of organized criminals used by NCIS: “those involved, normally working with others, in continuing serious criminal activities for substantial profit, whether based in the UK or elsewhere”.

88 Cfr. WOODIWISS, HOBBS, Organized evil and the atlantic alliance. Moral panics and the

rhetoric of organized crime policing in America and Britain, Brit. J. Criminol., 49, 2009, 106.

89 Alcuni Autori (cfr. MANACORDA, La fattispecie-tipo della “organizzazione criminale” nel

diritto dell’Unione Europea, in AA. VV., Nuove strategie per la lotta la crimine organizzato

transnazionale, a cura di Patalano, Torino, 2003, 298) definiscono il concetto di criminalità organizzata quale “vaga etichetta di matrice criminologia”.

90 GARNER, Organized crime, Black’s Law Dictionary, Eighth ed., Thomson West, 2004, 1133.

La “lista” delle possibili definizioni si é andata ampliando negli anni, a partire da Maltz che nel 1976 proposed that “organized crime” was identifiable by means of a list of distinguishing

features, of which four were considered essential characteristics: violence, corruption, continuity, and variety in types of crime engaged in. However, smart people who avoid using violence and trade very competently and profitably in only one product - for example, ecstasy or cannabis production - thus cannot be described as organized criminals, which would doubtless please them if they thereby received less police attention and/or lighter sentences. Neither could professional full- time fraudsters (...) be “organized criminals”. In other words, one could sustain some distinction between people who make affluent livelihoods from crime - professional criminals - and those who do so according to Maltz criteria - organized criminals. But it is far from certain whether this would satisfy what I regard as the true social definition of “organized criminals”: a set of people whom the police and other agencies of the State, regard or wish us to regard as “really dangerous” to its essential integrity. (LEVI, Reflections on Organized Crime, Patterns and Control, Blackwell, Oxford, 335) fino ad arrivare ad (…) organized crime is a continuing enterprise, apart from traditional and legal social structures, within which a number of persons work together under their own hierarchy to gain power and profit for their private gain, through illegal activities.

(GALEOTTI, Global crime today: the changing face of organized crime, Rutledge, London (Taylor

& Francis Group), 2005. Per una raccolta delle definizioni raccolte nei vari Paesi, si consulti il sito www.organized-crime.de/index.html.

portata più socio-criminologica che non normativa di questa espressione, che costituisce una sorta di macrocategoria in grado di sintetizzare e raccogliere, in un unico termine, una intera realtà criminale.

Nel corso degli anni infatti, si é optato quasi in tutte le sedi normative per l’uso di altri concetti per definire il fenomeno criminale ma l’espressione organized crime é stata sempre utilizzata per designare questa realtà, tanto da assumere i caratteri di nomen utilizzabile in una sorta di linguaggio globale, che può essere utilizzato e compreso ovunque.

Quando si parla di categorizzazione fallita andrebbe fatta una precisazione: in modo implicito si é probabilmente rinunciato alla introduzione di una definizione vera e propria di questo concetto ma non si può, allo stesso tempo, negare l’utilità di questa espressione per abbattere le barriere linguistiche e denominare un fenomeno che diventa così comprensibile, nei suoi tratti, in tutti il mondo.

L’uso globale del termine induce a riflettere sulla sua portata, alla luce del fatto che ogni Stato mantiene poi una definizione autonoma e spesso non esattamente corrispondente della realtà criminale associativa.

Anche rapportando il discorso alla Convenzione di Palermo sembra, almeno per certi versi, riduttivo ed arduo sovrapporre la categoria a quella di gruppo criminale organizzato.

A livello comunitario sono emersi vari tentativi di definizione, che indubbiamente fungono da criterio orientatore ma che spesso si scontrano con realtà terminologiche più o meno corrispondenti fortemente radicate in sede nazionale. Preso atto della necessarietà di un’espressione globale, ci si interroga sulla utilità di una definizione ufficiale su scala internazionale, che assuma quindi un valore universale e che risolva il sotteso problema di “legal certainty” che inevitabilmente si pone.

Ogni livello, a partire da quello statale fino ad attivare a quello internazionale, presenta una propria definizione di organized crime, sovente con tratti non del tutto conformi.

Lascia perplessi la scelta della TOC Convention di non assumere una posizione precisa sul punto: poteva essere l’occasione persa per introdurre una definizione mancante?

Probabilmente l’ambivalenza concettuale91 che da sempre accompagna l’espressione ne favorisce un uso, con valenza sociale e non solo giuridica, che “abbatte” le barriere linguistiche.

Le “maglie strette” di una definizione potrebbero, infatti, generare il rischio di non identificazione in un’espressione unica da parte di realtà giuridiche con caratteri diversi: si potrebbe forse vedere la scelta delle Nazioni Unite come un’opzione politico-criminale “ponderata” ed attuata proprio al fine di armonizzare le varie legislazioni, senza generare problemi ulteriori inevitabilmente legati ad una determinatezza e tassatività terminologica che non tutti gli Stati sono abituati ad affrontare.

La denunciata lacuna terminologica andrebbe inquadrata non tanto in un esempio di categorizzazione fallita, con inevitabili ripercussioni a livello di legalità e di certezza del diritto, ma come una precisa scelta di assunzione di un carattere sociale più che giuridico, in attesa che maturino i tempi per introdurre una definizione universale di questo concetto, che per il momento ha l’importante merito di sintetizzare in un espressione genericamente accettata una intera e spesso fortemente eterogenea realtà criminale.

91 Denunciata da MITSILEGAS, From national to global, from empirical to legal: the ambivalent

concept of transnational organized crime, in AA. VV., Critical reflections on transnational organized crime, money laundering and corruption, Beare, University of Toronto Press, 2003, 55.

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