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L’inquadramento della lotta alla criminalità organizzata transnazionale nei Pilastri comunitari: l’eterna querelle del diritto penale europeo.

Aspetti salienti della Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale.

2.3 La Convenzione di Palermo e l’Unione Europea.

2.3.1 L’inquadramento della lotta alla criminalità organizzata transnazionale nei Pilastri comunitari: l’eterna querelle del diritto penale europeo.

La posizione di totale adesione dell’Unione Europea alle disposizioni della Convenzione di Palermo, oltre alla presa di consapevolezza di un interesse da sempre avvertito per il contrasto della criminalità organizzata, inducono ad una riflessione su un possibile inquadramento di queste tematiche nelle “maglie” delle politiche comunitarie.

La nostra analisi mostra come la lotta all’organized crime si svolga, in contemporanea, su più livelli, a partire da quello sovranazionale (culminato nella TOC Convention), fino ad arrivare alle reazioni dei singoli Stati all’esigenza di contrastare questo fenomeno.

Rapportando il discorso agli esempi dell’Italia e del Regno Unito, non si può fare a meno di considerare come, al livello sovranazionale, si affianchi anche quello comunitario, in cui questi due Stati si collocano.

La “piramide” immaginaria in cui possiamo inquadrare tali livelli di intervento non é in realtà così rigida come potrebbe apparire: non stiamo infatti in alcun modo profilando un rapporto gerarchico, bensì diversi piani operativi, che spesso sono l’uno conferma dell’altro: l’intento dei “tre livelli” é comune e finalizzato alla prevenzione ed al contrasto della criminalità organizzata ma si é manifestato con strumenti normativi eterogenei e talvolta anche con alcune differenze contenutistiche.

Il piano internazionale e quello comunitario “convivono” ed, in particolare in questo settore, uniscono i propri sforzi per raggiungere le finalità prefissate135. Si é visto come le Nazioni Unite abbiano sentito l’esigenza di contrastare il fenomeno associativo criminale136 ma, rapportando questa finalità ad una dimensione più “vicina” al nostro Stato, si é già sottolineato come l’Unione Europea abbia ancora prima affrontato questo profilo.

Il riferimento storico é all’Azione Comune 98/733/JAI ma l’Unione si é resa conto, nel corso degli anni, di come la propria azione di contrasto debba necessariamente

135 Sarebbe in questa sede impossibile ripercorrere l’iter storico che ha portato, alla luce del dettato

costituzionale, al “primato” del diritto internazionale e comunitario nel nostro Stato, con salvaguardia della sovranità statale in ambito penalistico.

136 NUNZI A., The elaboration of the United Nations Convention against transnational organized

essere adattata alle evoluzioni della criminalità organizzata e ciò ha portato alla Decisone Quadro del 2008.

Il diverso nomen iuris, oltre ad una riferibilità in toto al fenomeno criminale e non alla sola partecipazione, rispecchia gli importanti cambiamenti avvenuti all’interno dell’Unione.

Come evidenzia la dottrina, “il Trattato di Amsterdam, che é succeduto al Trattato di Maastricht, ha introdotto nuovi strumenti più efficaci dell’Azione Comune; la Decisione Quadro costituisce [infatti] lo strumento adeguato per procedere ad un ravvicinamento delle legislazioni penali all’interno dell’Unione in tale settore”137. Fondamentale sembra la lettura congiunta degli artt. 29 e 34 TUE (anche dopo l’intervento di Nizza) per comprendere come “lo scopo finale é quello di creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia mediante il riavvicinamento delle legislazioni e la cooperazione tra le Autorità giudiziarie e di Polizia”.

Premessa l’esclusione di una competenza penale piena da parte delle Istituzioni comunitarie, la lotta versus l’organized crime é basata sulla scia delle acquisite “competenze di coordinamento ed armonizzazione nella strategia di controllo e contrasto su scala transnazionale dei fenomeni di criminalità organizzata”138. Uno degli strumenti principali é quindi ravvisato nella cooperazione giudiziaria139, di cui l’Unione Europea tenta la piena realizzazione già dagli anni sessanta ma che ha ricevuto piena consacrazione negli ultimi decenni, in particolare alla luce, ex art. 29140, della sua ineludibilità per contrastare fenomeni criminali complessi come il terrorismo e la criminalità organizzata.

Si tratta di pericoli per la libertà, sicurezza e giustizia dei cittadini, oltre che in generale per la democrazia dell’Unione Europea: “(…) quando si raggiunge un certo livello di penetrazione sociale i reati di criminalità organizzata non ledono

137 Cfr. LAUDATI, I delitti transnazionali (…), cit., 401.

138 Cfr. MANACORDA, La fattispecie-tipo della “organizzazione criminale” nel diritto

dell’Unione Europea, in AA. VV., Nuove strategie per la lotta la crimine organizzato

transnazionale, a cura di Patalano, Torino, 2003, 302.

139 Per approfondimenti, PISANI, Criminalità organizzata e cooperazione internazionale, RIDPP,

1998, 703; RIONDATO, Il coordinamento giudiziario in Italia e in Europa. Normative e modelli a

confronto, DPP, 3, 2006, 377.

140 Nel quale si puntualizza che “(…) l’obiettivo che l’Unione si prefigge é fornire ai cittadini un

livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia

solo il bene giuridico dell’ordine pubblico, ma anche l’ordine economico e soprattutto l’ordine democratico”141.

La cooperazione giudiziaria142 nasce su base intergovernativa “orizzontale” e, nel corso degli anni, è stata intensificata tramite l’emanazione di numerosi interventi legislativi, inerenti la collaborazione giudiziaria comunitaria, culminati (dal punto di vista operativo) con la Decisione Quadro sul mandato di arresto europeo143, che ha indirettamente sancito il lungo ed ancora non del tutto completato passaggio ad una forma di cooperazione qualificabile come verticale, con l’obiettivo di creare organi sovranazionali che operino in maniera autonoma rispetto ai singoli Stati. Dopo la fase dell’Azione Comune del Trattato di Maastricht e quella delle Decisioni Quadro del Trattato di Amsterdam, si sta aprendo una “terza fase” all’interno della realizzazione del Terzo Pilastro (che) involves the harmonization of substantive criminal law (including the fields of terrorism, organized crime, and racism and xenophobia), mutual recognition (…), the work of EU criminal justice bodies such as Europol and Eurojust, and the development of standards to regulate the proliferation of third pillar mechanism to collect, analyse and exchange personal data144.

Sarebbe in questa sede impossibile ripercorrere le complesse vicende del diritto penale comunitario145, sembra più opportuno focalizzare l’attenzione sull’inquadramento della lotta al crimine organizzato all’interno dei Pilastri comunitari146, al fine di cercare di valutare se ed in che termini l’esperienza che l’Unione Europea ha vissuto per quanto concerne la creazione di una normativa di contrasto a questo fenomeno possa essere presa a modello, quantomeno per l’atteggiamento di totale adesione e condivisione, anche per il contrasto di altri fenomeni criminali su scala comunitaria, fino ad arrivare ad una possibile estensione all’intero comparto del diritto penale sostanziale.

141 LAUDATI, I delitti transnazionali (…), cit., 403.

142 Si ricorda che l’art. 34 TUE prevede, come strumenti di cooperazione giudiziaria e di polizia in

materia penale, l’adozione di: Posizioni comuni, Decisioni Quadro, Decisioni, Convenzioni ed Accordi internazionali.

143 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, recepita in Italia con L. 22 aprile 2005, n, 69.

144 MITSILEGAS, The third wave of third pillar law: which direction for EU criminal justice?,

E.L. REV., Thomson Reuters (Legal) Limited and Contributors, 34, 2009, 523.

145 Per una visione esaustiva del tema si rinvia a SGUBBI, Diritto penale comunitario, Dpen, IV,

1990, 89; DALMAS MARTY, Verso un diritto penale europeo, RIDPP, 1997, 545.

146 Fornisce un approfondimento, MANACORDA, La fattispecie-tipo della “organizzazione

La prima presa di posizione comunitaria (Azione Comune del 1998) si colloca, infatti, all’interno del Terzo Pilastro comunitario, che aveva stabilito di utilizzare questo come strumento di espressione normativa147.

Fu subito chiaro come la difficoltà principale sarebbe stata quella di far convivere realtà giuridiche così differenti come quelle coinvolte ed, ancora di più, portarle ad una reale armonizzazione, da cui sarebbe scaturita una disciplina comune.

Un tentativo di armonizzazione totale, anche e soprattutto con quanto stabilito nel frattempo con la Convenzione di Palermo, fu quello della proposta di Decisione Quadro presentata nel 2005 dalla Commissione148.

La Framework Decision accolta nel 2008 (2008/841/JHA on the fight against organized crime [2008] OJ L300/42) costituisce risposta conforme alla presa di posizione convenzionale ma, rispetto alla proposta iniziale, mantiene la caratteristica di concedere agli Stati membri la possibilità di scelta “of criminalizing either participation in an organized criminal group or conspiracy, and refrained from criminalising the direction of an organized criminal group”149. Come si vedrà, questa alternativa non agevola la realizzazione di una reale armonizzazione ed, ancora di più, non auspica il raggiungimento di uno status di piena certezza legale.

Il collocamento di questi “strumenti” finalizzati al raggiungimento di una armonizzazione del diritto penale a livello comunitario si colloca oggi nel Terzo Pilastro “integrato” da strumenti del Primo, dopo una iniziale collocazione dubbia tra i due, risalente agli anni novanta.

La lunga diatriba sull’inquadramento all’intero dei Pilastri150, sembra infatti avere preso, dopo il Trattato di Amsterdam, una direzione precisa, prevedendo il ricorso all’adozione della Direttiva come strumento per definire gli elementi delle condotte penalmente rilevanti (con incidenza quindi del primo Pilastro), che ricevono poi criminalizzazione dagli strumenti del Terzo Pilastro.

147 Il Trattato di Maastricht aveva a suo tempo incluso la cooperazione intergovernativa per

giustizia ed affari interni in un apposito Pilastro, il Terzo, creato con il Titolo VI, artt. K.1 TUE, nel corso degli anni destinatario di numerose critiche in questa sede non ripercorribili, per i quali si rinvia, ex ceteris, a SICURELLA, Il Titolo VI del Trattato di Maastricht ed il diritto penale, RIDPP, 1997, 1307.

148 Cfr. COM(2005) 6, Proposal for a Framework Decision on the fight against organized crime. 149 Cfr. MITSILEGAS, EU Criminal law, cit., 531.

150 PANEBIANCO, Il riparto della competenza penale tra i “pilastri” dell’Unione Europea, DPP,

Questo almeno secondo l’iter seguito in vari casi recenti di penalizzazione di condotte criminali, a cominciare dal riciclaggio fino ad arrivare ai crimini ambientali151.

Indubbiamente comincia ad avvertirsi la “tensione” generata dal trasferimento di alcune competenze inerenti il diritto penale dal Terzo al Primo Pilastro: é come se lentamente la querelle tra il collocamento del diritto penale comunitario all’interno dei Pilastri stia lasciando spazio ad una diversa diatriba, che vede contrapposti gli Stati membri e l’Unione Europea, per stabilire i “confini” dei diversi ambiti di sovranità in materia penale152.

A questa prima lotta interna si sovrappone altresì un secondo contrasto, che implicitamente riguarda il crimine organizzato, inerente il desiderio di armonizzazione a livello comunitario del diritto penale, cui si contrappone altresì una sottesa rivendicazione della propria identità giuridica: gli Stati avvertono sempre di più l’esigenza, in particolare per contrastare fenomeni transnazionali, di “unire le forze” ma, al dunque, come la lotta all’organized crime sta dimostrando, emergono forti difficoltà in sede di negoziati ed, ancora di più, esplicite rivendicazioni di una propria autonomia in sede penale che generano modalità di recepimento di normative comunitarie e sovranazionali non del tutto uniformi, a volte in grado di “ostacolare” gli sforzi di cooperazione giudiziaria così faticosamente raggiunti e, ancora di più di mettere in serio pericolo la “legal certainty” comunitaria.

Decisiva appare oggi anche la presa di posizione del Trattato di Lisbona, secondo il quale “the Union will have competence to establish minimum rules concerning the definition of criminal offences and sanctions in the areas of particular serious crime with a cross border dimension” (art. 83(1) TFEU), nelle quali rientra la criminalità organizzata.

Questo, come altri profili introdotti a Lisbona, stanno mettendo in dubbio la realizzazione effettiva di una armonizzazione penale comunitaria.

151 Da ultimo, la Direttiva 2008/99 sulla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale, OJ L

328/28.

152 Sul tema, MITSILEGAS, Constitutional principles of the european community and european

In particolare, il punto critico risulta essere la possibilità di ampliamento delle competenze comunitarie (per quanto riguarda le aree di intervento dell’art. 83 (2) TFEU tramite le decisioni unanimi del Consiglio).

L’articolo sembra oggi destinato ad incidere, una volta chiarita a livello interpretativo da parte dell’Unione la sua reale portata, sulle sorti del diritto penale comunitario153.

Diversi profili rimangono a questo punto privi di risposta: da un lato c’é la consapevolezza dell’esigenza, in sede penale, di dover unire le forze per contrastare fenomeni che spesso travalicano i confini nazionali, dall’altro c`e`un certo “timore” nei confronti della “costituzionalizzazione” dell’Unione Europea ed anche di una assunzione del carattere di verticalizzazione delle Istituzioni: come si vedrà nelle prossime pagine, molta strada é stata percorsa a livello di cooperazione giudiziaria ma a questo risultato positivo raggiunto si affianca la consapevolezza che invece non sembra si sia ancora realizzata una reale armonizzazione sostanziale.

Le stesse prese di posizione comunitarie sull’organized crime sembrano presentare un connotato positivo e negativo allo stesso tempo: positivo nell’unione di intenti, negativo nella scarsa certezza del diritto generata dalla ammissibilità di una alternativa di criminalizzazione (almeno per alcuni profili di questo settore) e, quindi, nella implicita negazione di una totale armonizzazione.

Numerose “prese di posizione” sono indubbiamente state assunte in quest’area ma probabilmente manca ancora un quid pluris di “fermezza” comunitaria per poter arrivare ad una reale armonizzazione ineludibile per creare, sempre che ne permanga l’intenzione, un vero e proprio diritto penale comunitario: potrebbe essere l’esempio del contrasto al crimine organizzato transnazionale, una volta eliminate le aperture a possibili differenziazioni su scala nazionale, un modello da seguire anche per altri settori del diritto penale?

153 Come puntualizza MITSILEGAS, EU Criminal law, cit., 108, lo stesso Regno Unito ha

esternato notevoli perplessità sul proseguio della propria adesione ad un progetto di diritto penale comunitario, condizionando larga parte del proprio placet alla interpretazione di questo articolo:

2.3.2 Brevi riflessioni in tema di cooperazione giudiziaria sovrananzionale: il

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