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DEFINIZIONI AUTONOME E INTERPRETAZIONE EVOLUTIVA/EFFETTIVA NEL SISTEMA CEDU

TEMPO E DEFINIZIONI

NELLA GIURISPRUDENZA DI STRASBURGO

Daria Sartori

SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. I metodi e principi interpretativi utilizzati

dalla Corte di Strasburgo. 3. Le nozioni autonome di “diritti di carattere civi- le” (art. 6 CEDU), “legalità penale” (art. 7 CEDU), “vita privata e familia- re” (art. 8 CEDU). 3.1. Segue: Il principio dell’interpretazione autonoma. 3.2. La nozione autonoma di “diritti di carattere civile” (art. 6 CEDU). 3.3. Se-

gue: La nozione autonoma di “legalità penale” (art. 7 CEDU). 3.4. Segue: La

nozione autonoma di “vita privata e familiare” (art. 8 CEDU). 4. L’in- terpretazione evolutiva ed effettiva delle definizioni autonome di “diritti di carattere civile” (art. 6 CEDU), “legalità penale” (art. 7 CEDU), “vita priva- ta e familiare” (art. 8 CEDU). 4.1. Segue: L’interpretazione evolutiva e l’in- terpretazione effettiva. 4.2. La progressiva estensione della nozione di “diritti e doveri di carattere civile” (art. 6 CEDU) agli interessi della collettività e alle controversie del pubblico impiego. 4.3. Segue: L’inclusione della retroat- tività della lex mitior nella nozione di “legalità penale” (art. 7 CEDU). 4.4. Segue: L’inclusione dei diritti della transessualità e del diritto all’ambien- te nella nozione di “vita privata e familiare” (art. 8 CEDU). 5. Conclusioni. Il fattore tempo nell’interpretazione della Convenzione.

1. Introduzione

A poco più di sessant’anni dalla sua adozione, la Convenzione Eu- ropea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) è a buon diritto considerata il più effettivo tra gli strumenti di tutela internazionale dei diritti umani. Le ragioni di una tale effettività risiedono nel meccanismo di enforcement, che, come noto, si fonda sul controllo operato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CtEDU) su tutte le questioni concernenti l’interpre-

tazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli, sotto- poste alla sua attenzione mediante ricorso individuale o interstatale.

Nel corso degli anni, la Corte ha prodotto un’interessante e vasta giurisprudenza, ispirata da ragioni di effettività di tutela, ed innegabil- mente sostenuta da un notevole attivismo giudiziale. In essa hanno tro- vato affermazione i c.d. “nuovi diritti”, non espressamente riconosciuti dal testo della Convenzione.

Questo risultato è stato possibile grazie all’applicazione di peculiari principi interpretativi, che consentono un costante adeguamento della CEDU alla mutevole realtà giuridica e sociale degli Stati Contraenti. Il presente contributo intende analizzare alcuni esempi di adeguamento, al fine di meglio comprendere come il tempo incida sulla definizione dei diritti tutelati dal sistema CEDU.

La prima parte del contributo è dedicata alla metodologia interpreta- tiva utilizzata dalla Corte di Strasburgo, di cui si tracciano le linee ge- nerali. La seconda parte si focalizza su specifici principi interpretativi e fornisce una panoramica giurisprudenziale sul loro utilizzo nell’inter- pretazione di alcune rilevanti disposizioni CEDU: l’articolo 6 comma 1 (equo processo), l’articolo 7 comma 1 (legalità), e l’articolo 8 comma 1 (diritto al rispetto della vita privata e familiare). Queste disposizioni sono state selezionate perché la giurisprudenza ad esse connessa ben esemplifica l’attitudine della Corte nei confronti delle definizioni e del fattore tempo. In chiusura del contributo, saranno elaborate riflessioni circa l’incidenza del fattore tempo sulla definizione dei diritti nel siste- ma CEDU, toccando altresì il tema del difficile rapporto tra evoluzione della Convenzione e rispetto della sovranità statuale.

2. I metodi e principi interpretativi utilizzati dalla Corte di Strasburgo

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha il compito di interpretare le disposizioni contenute nella Convenzione e nei suoi Protocolli1. Tut- tavia, nessuna indicazione è reperibile nella Convenzione circa gli

1 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU)

strumenti con cui adempiere a tale compito. La loro individuazione, pertanto, è da attribuire all’attività della Corte, che ha prodotto una va- sta giurisprudenza sul tema.

Al fine di meglio comprendere gli strumenti interpretativi da que- st’ultima elaborati ed utilizzati, appare proficua la posizione dottrinale che distingue tra principi e metodi interpretativi, riconducendo ai primi le tecniche che fanno uso di argomenti sostanziali per giustificare un certo risultato, ed ai secondi gli obiettivi che indirizzano l’interprete nell’operare una scelta tra i diversi risultati che possono emergere dal- l’applicazione di un metodo interpretativo2.

Sin dalle sue origini, la giurisprudenza di Strasburgo ha affermato, quantomeno formalmente, l’applicabilità alla CEDU dei principi e me- todi interpretativi contenuti nella Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati (Vienna Convention on the Law of Treaties, o VCLT)3, i quali enuncerebbero “principi generali di diritto internazionale universalmen- te riconosciuti”4. In particolare, troverebbero applicazione gli articoli 31, 32 e 33 della Convenzione di Vienna, che individuano la “regola generale” di interpretazione dei trattati, nonché i “mezzi supplementari” cui l’interprete può ricorrere in caso di dubbio.

L’articolo 31 VCLT stabilisce che «un trattato deve essere interpre- tato in buona fede ed in conformità con il significato ordinario dei ter- mini nel loro contesto ed alla luce dell’oggetto e scopo del trattato». La disposizione annovera tre metodi interpretativi: l’interpretazione testua- le o letterale, fondata sul significato ordinario dei termini, l’interpreta- zione contestuale o sistematica, fondata sul contesto in cui detti termini sono inseriti, e l’interpretazione finalistica, fondata su oggetto e scopo del trattato.

L’Articolo 32 VCLT individua nella volontà delle parti contraenti un principio interpretativo (c.d. interpretazione storica) in grado di dis-

2 H.S

ENDEN, Interpretation of Fundamental Rights in a Multilevel Legal System.

An analysis of the European Court of Human Rights and The Court of Justice of the European Union, Cambridge, 2011.

3 Vienna Convention on the Law of Treaties (adopted 23 May 1969, entered into

force 27 January 1980) 1155 UNTS 331 (VCLT).

sipare dubbi circa l’interpretazione condotta sulla base dei metodi in- terpretativi letterale, contestuale e finalistico.

L’Articolo 33 VCLT fornisce indicazioni circa l’interpretazione da dare ai trattati autenticati in due o più lingue (come la stessa CEDU, autenticata in inglese e francese). La norma stabilisce come regola ge- nerale il principio interpretativo della presunzione di pari significato dei termini e, come regola accessoria applicabile in caso di dubbio, il prin- cipio di prevalenza dell’interpretazione che, «tenuto conto dell’oggetto e dello scopo del trattato, concili nel migliore dei modi i testi in que- stione».

Riferimenti, impliciti od espliciti, a queste norme sono presenti con una certa frequenza nelle pronunce di Strasburgo5. Tuttavia, è stato cor- rettamente sottolineato che tali riferimenti hanno spesso un valore me- ramente stilistico, non rappresentando una reale attitudine della Corte a fondare la propria interpretazione della CEDU sulla metodologia tipica dei trattati internazionali6.

D’altronde, i metodi e i principi interpretativi recepiti dalla Conven- zione di Vienna sono ispirati all’interpretazione dei contratti, e danno primario rilievo al significato oggettivo del testo ed alla volontà storica delle parti contraenti7. Tuttavia, il metodo letterale è raramente in grado di dissipare i dubbi interpretativi generati dalla vaghezza delle norme CEDU8, potendo anzi condurre a risultati irragionevoli9, mentre il prin- cipio dell’interpretazione storica àncora la tutela dei diritti umani ad una realtà socio-culturale del tutto diversa da quella contemporanea, così limitando la portata delle disposizioni convenzionali. Inoltre, la

5 P.M

AHONEY, The creativity of the European Court of Human Rights, in Human

Rights Law Review 5, 2005, 59. Per esempi di riferimenti espressi, si vedano leading cases come: Golder v UK (1975) Series A no 18, para 34; The Sunday Times v UK (no

1) (1979) Series A no 30; James and others v UK (1986) Series A no 98.

6 I.S

INCLAIR, The Vienna Convention on the Law of Treaties, Manchester, 1984, 140.

7 L.G.L

OUCAIDES, The Rules, in ID., The European Convention on Human Rights.

Collected essays, Leiden, 2007, 10.

8 Vedi ad esempio i problemi derivanti dalla necessità di dare un significato alla no-

zione di “tempo ragionevole” in Wemhoff v Germany (1968) Series A no 7, o alla no- zione di “trattamenti degradanti” in Tyrer v UK (1978) Series A no 26.

Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è un trattato sui generis, che non crea obbligazioni reciproche tra Stati, ma obbligazioni degli Stati nei confronti degli individui10. Come affermato nel 1960 dalla Commissione per i Diritti Umani,

L’obiettivo perseguito dalle parti contraenti nell’aderire alla Conven- zione non era quello di riconoscere reciproci diritti e doveri nel perse- guimento di un interesse nazionale, ma quello di realizzare gli obiettivi e gli ideali del Consiglio d’Europa11.

Per questo motivo, la Convenzione EDU non può (e in un certo sen- so non deve) essere interpretata con i tradizionali strumenti del diritto internazionale. Ed infatti, la Corte di Strasburgo utilizza la Convenzio- ne di Vienna solo come punto di partenza, sulla cui base ha elaborato una teoria interpretativa autonoma, che pone in secondo piano proprio quei metodi e principi ai quali la Convenzione di Vienna attribuisce maggior rilievo, ovvero il metodo testuale ed il principio dell’interpre- tazione storica12.

La Corte EDU, infatti, fa un uso prevalente del metodo finalistico, ritenendo di vitale importanza che l’interpretazione sia condotta avendo riguardo all’oggetto e allo scopo della Convenzione. L’uso di questo metodo è sovente accompagnato da riferimenti alla necessità di inter- pretare la Convenzione ed i Protocolli in modo unitario (interpretazione sistematica), poiché l’interconnessione tra le disposizioni consente di chiarire oggetto e scopo della CEDU13. Infine, poiché per definizione un metodo interpretativo non implica scelte di principio, l’interpreta- zione finalistica e sistematica della CEDU si accompagna all’applica-

10 Es.: Wemhoff v Germany (1968) Series A no 7.

11 ECommHR, case of Austria v. Italy, 4, YB ECHR (1961), 140. 12 F.O

ST, The Original Canons of Interpretation of the European Court of Human

Rights, in M.DELMAS-MARTY (Ed.), The European Convention For The Protection Of

Human Rights: International Protection Versus National Restrictions, Dordrecht, 1992,

290.

13 Belgian Linguistic, para 1; Leander v Sweden (1987) Series A no 116; Schalk and

zione di principi che determinano quale oggetto e scopo vadano perse- guiti14.

I principi interpretativi elaborati dalla Corte di Strasburgo e mag- giormente utilizzati nella sua giurisprudenza sono il principio dell’inter- pretazione autonoma, il principio dell’interpretazione evolutiva, ed il principio dell’interpretazione effettiva. Essi saranno di seguito analizza- ti nella loro applicazione giurisprudenziale.

3. Le nozioni autonome di “diritti di carattere civile” (art. 6 CEDU), “legalità penale” (art. 7 CEDU), “vita privata e familiare” (art. 8 CEDU)

3.1. Segue: Il principio dell’interpretazione autonoma

In virtù del principio dell’interpretazione autonoma (o delle nozioni autonome), la Corte assegna ai termini della Convenzione EDU un si- gnificato proprio, indipendente da quello invalso nel diritto degli Stati Contraenti15. L’uso di questo principio interpretativo ha lo scopo di evi- tare che gli Stati possano, a loro discrezione, determinare l’applicabilità della tutela convenzionale16. Così, la Corte ha elaborato definizioni (es.: “legalità”, “vita privata e familiare”, “domicilio”, ecc.) che le consento- no di stabilire autonomamente i confini di applicabilità delle norme CEDU.

In questa prospettiva, il principio di interpretazione autonoma per- segue lo scopo di evitare una “frode della Convenzione”17. Tuttavia, la creazione di nozioni autonome serve anche ad operare una ridefinizione linguistica, che consenta di rappresentare in maniera uniforme i precetti applicati dalla Corte in 47 distinti ordinamenti, di civil law, di common

14 J.G.M

ERRILLS,The Development of International Law by the European Court of

Human Rights, Manchester, 1993, 76-77.

15 Marckx v Belgium (1979) Series A no 31, para 31.

16 Engel And Others v The Netherlands (1976) Series A no 22, para 81. Sul tema

delle nozioni autonome, vedi: G.LETSAS, The Truth in Autonomous Concepts: how to

interpret the ECHR, in European Journal of International Law, 15, 2004, 279.

17 F.O

law e misti18. In questa prospettiva, essa ha lo scopo di garantire uni- formità di applicazione delle norme convenzionali.

3.2. La nozione autonoma di “diritti di carattere civile” (art. 6 CEDU)

L’articolo 6 CEDU tutela il diritto ad un processo equo, applicando- si sia al processo civile che al processo penale. Il primo comma deter- mina l’ambito di applicazione delle garanzie relative al giusto processo, ovvero le «controversie sui diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale».

Le nozioni di “controversia”, di “diritti e doveri di carattere civile” e di “accusa penale” sono interpretate autonomamente dalla Corte. Per ciò che concerne il versante “civilistico” della disposizione, ciò che interessa in questa sede è la nozione (autonoma) di quel “carattere civi- le” che deve sussistere in relazione a diritti e doveri oggetto di una con- troversia, affinché si attivi la tutela di cui all’articolo 6 CEDU.

In applicazione del principio di interpretazione autonoma, la giuri- sprudenza di Strasburgo è ferma nel ritenere che «il concetto di diritti e doveri di carattere civile non deve essere interpretato con riferimento alla normativa nazionale dello Stato»19. Al contrario, si prescinderà «dallo status delle parti, dalla natura della legislazione applicabile alla controversia e dall’autorità che vi ha giurisdizione»20 per considerare «il contenuto sostanziale e gli effetti del diritto» oggetto di controver- sia21.

Pertanto, la Corte ha ritenuto applicabile l’articolo 6 a procedimenti disciplinari svolti in seno agli ordini professionali di appartenenza, poi- ché ciò che veniva messo in discussione era il diritto all’esercizio di una professione, strettamente attinente al diritto a svolgere un’attività lavorativa22. Parimenti, sono state considerate come “controversie di

18 G.U

BERTIS, L’autonomia linguistica della Corte di Strasburgo, Archivio Penale 2012, 1, 2.

19 Georgiadis v Greece (1997) Reports 1997-III, para 34. 20 Ibidem.

21 Konig v Germany (1978) Series A no 27, para 89.

22 Le Compte, van Leuven and De Meyere v Belgium (1981) Series A no 43; Philis v

natura civile” quelle riguardanti la concessione di licenze o di permessi da parte della pubblica autorità, le quali (pur se qualificate dalla legisla- zione domestica come controversie di diritto amministrativo) avevano ricadute sui diritti patrimoniali del ricorrente23.

È importante sottolineare che la valutazione di conformità ai para- metri della nozione autonoma di “diritti e doveri di carattere civile” è operata dalla Corte secondo un approccio casistico: così, ad esempio, la controversia insorta in merito ad una procedura di aggiudicazione di appalto potrà avere “carattere civile”24, o meno25, a seconda che essa comporti (o non comporti) interferenze con diritti di natura “civile”.

È quindi difficile individuare, all’interno della giurisprudenza di Strasburgo, regole precise circa l’applicazione della nozione di cui si afferma l’autonomia. Sicuramente, essa comprende tutte le controversie che si instaurano tra parti private26. Per ciò che concerne, invece, le controversie che riguardando i rapporti tra individui e pubbliche autori- tà, la Corte tende a considerarle come “di natura civile” ogni qualvolta esse abbiano conseguenze decisive per i diritti o i doveri di natura pri- vata del soggetto27. In aggiunta ai diritti di natura patrimoniale, la Corte riconosce altresì il carattere “civile” delle controversie su diritti di natu- ra strettamente personale, quali il diritto alla reputazione, il diritto di associazione, il diritto all’educazione, il diritto alla libertà individuale28.

3.3. Segue: La nozione autonoma di “legalità penale” (art. 7 CEDU)

L’articolo 7 CEDU tutela il principio di legalità penale, espresso nei termini seguenti:

23 Ringeisen v Austria (1971) Series A no 13; Konig v Germany (1978) Series A no

27; Benthem v Netherlands (1985) Series A no 97.

24 Tinnelly v UK (1998) Reports 1998-IV. 25 ITC LTD v Malta (dec) 2007.

26 König v Germany (1978) Serie A no 27.

27 Principio affermato nel 1971 con Ringeisen v Austria e successivamente con-

fermato: vedasi, inter alia Konig v Germany (1978) Series A no 27; Benthem v Nether-

lands (1985) Series A no 97, Sporrong and others v Sweden (1982) Series A no 52.

28 Vedasi, rispettivamente: Helmers v Sweden (1991) Serie A n 212-A;

Sakellaropoulos v Greece (2002) App. no 46806/99, ECHR:2002; Oršuš And Others v. Croatia [GC], Reports 2010; Laidin v. France (No. 2) App. no 39282/98, ECHR 2003.

Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.

Da un punto di vista letterale, la disposizione si limita a sancire il principio di irretroattività del precetto e della sanzione penale. Tuttavia, la Corte ha sempre interpretato la disposizione in modo più ampio, rite- nendo che:

L’articolo 7 par 1 della Convenzione non si limita a proibire l’applica- zione retroattiva del diritto penale contra reum. Più ampiamente, essa afferma il principio per cui solo la legge può definire il reato e stabilire una sanzione (nullum crimen, nulla poena sine lege) e il principio per cui la legge penale non può essere interpretata estensivamente a svan- taggio dell’accusato, per esempio in via analogica; da ciò deriva che il reato deve essere chiaramente definito dalla legge29.

A prima vista, l’interpretazione data dalla Corte di Strasburgo sem- brerebbe ricondurre al principio di legalità le garanzie che normalmente vi associa la tradizione di civil law, ovvero la riserva di legge, il divieto di interpretazione analogica, ed il principio di precisione della norma penale. Tuttavia, la Corte EDU dà alla nozione di “legge penale” un significato autonomo, indipendente dalla tradizione giuridica degli Stati membri, il quale determina in modo del tutto peculiare il significato ed il campo di applicazione delle garanzie di cui all’articolo 7 CEDU.

In primo luogo, è opportuno sottolineare che la nozione autonoma di “legge penale” andrebbe più propriamente tradotta in italiano come “di- ritto penale”, poiché ad essa la Corte EDU riconduce qualunque norma, scritta o non scritta, in vigore in un dato ordinamento, indifferentemen- te dall’organismo preposto alla sua produzione30. È, pertanto, una no- zione sostanziale, non dipendente da criteri formali legati alle origini

29 Kokkinakis v Grece (1993) Series A no 260-A, para 52.

30 Ex plurimis, vedasi: Kafkaris v Cyprus App. no 21906/04 (ECtHR [GC] 12 Feb-

istituzionali della norma, pensata per applicarsi a tutti gli ordinamenti europei31.

In secondo luogo, la nozione autonoma di “diritto penale” dipende dall’applicazione dei c.d. “Engel criteria”, elaborati dalla Corte EDU per determinare la nozione di “accusa penale” di cui all’articolo 6 CE- DU32, ed estesi in seguito anche all’articolo 733. In virtù di questi criteri, la Corte di Strasburgo ritiene che la qualificazione data dallo Stato ad una certa norma (es.: norma di diritto amministrativo) abbia «un valore meramente formale e relativo», e costituisca «non più di un punto di partenza». Ciò che deve essere preso in considerazione, piuttosto, è “la natura dell’offesa” ed il “grado di severità della pena cui la persona coinvolta rischia di essere assoggettata”. In base a questi criteri, la Cor- te ha considerato applicabili le garanzie del processo penale anche a procedimenti relativi a sanzioni che nell’ordinamento dello Stato con- traente erano considerate come aventi natura disciplinare, amministrati- va, civile34.

In virtù della nozione autonoma di diritto penale adottata dalla Corte di Strasburgo, anche la nozione di legalità assume connotati particolari,

31 G.L

AUTENBACH, The Rule of Law Concept in the Case Law of the European

Court of Human Rights, Oxford, 2013, 112. Kafkaris v Cyprus App. no 21906/04 (EC-

tHR [GC] 12 February 2008) para 139; Huvig v France (1990) Series A no 176-B, para 28.

32 Engel and Others v the Netherlands (1976) Series A no 22.

33 La giurisprudenza sul punto è vasta. Vedasi, tra gli altri: Welch v UK (1995) Se-

ries A no 307-A; Sud Fondi Srl et Autres c Italie Appl no 75909/01 (ECtHR, 20 Janu- ary 2009); Jamil v France (1995) Series A no 317-B; Van Droogenbroeck v Belgium (1982) Series A no 50; M v Germany App. no 19359/04 (ECtHR, 17 December 2009);

Mautes v Germany App. no 2008/07 (ECtHR, 13 January 2011); Kallweit v Germany,

App. no 17792/07 (ECtHR, 13 January 2011); Schmitz v Germany App. no 30493/04 (ECtHR, 9 June 2011); OH v Germany App. no 464/08 (ECtHR, 24 November 2011);

Maszni v Romania App. no 59892/00 (ECtHR, 21 September 2006); Mihai Toma v Romania App. no 1051/06 (ECtHR, 24 January 2012); Gurguchiani c Espagne, Appl

no 16012/06 (ECtHR, 15 December 2009).

34 V ad esempio per sanzioni di natura disciplinare: Engel and Others v the Nether-

lands (1976) Series A no 22. Per sanzioni di natura amministrativa, vedi ad esempio: Lutz v Germany (1987) Series A no 123; Schmautzer v Austria (1995) Series A no 328-

A. Per sanzioni di natura civile, vedi ad esempio sanzioni relative al mancato pagamen- to di dazi doganali: Salabiaku v France (1988) Series A 181-A.

rendendo l’articolo 7 una delle disposizioni più discusse dai commenta- tori35. Infatti, in assenza di qualsivoglia requisito formale circa le fonti di produzione del precetto, i principi di irretroattività e precisione “sfumano” in un requisito di natura qualitativa, che attiene alla prevedi- bilità della norma: al fine di poter assurgere al rango di diritto penale, essa deve essere «adeguatamente accessibile» e «formulata con preci- sione sufficiente a consentire al cittadino di regolare la propria condot- ta»36. Questa condizione è soddisfatta «quando l’individuo può cono- scere, sulla base del testo della previsione e, se necessario, con l’assi- stenza dell’interpretazione che le corti ne danno, quali atti ed omissioni determinano la sua responsabilità penale»37.

3.4. Segue: La nozione autonoma di “vita privata e familiare” (art. 8 CEDU)

L’articolo 8 CEDU tutela il «diritto al rispetto della propria vita pri- vata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza», consentendo ingerenze da parte delle autorità solo nei casi previsti dalla legge, e per il perseguimento di uno degli obiettivi tassativamente indi- viduati dal comma 2 della previsione.

La Corte EDU interpreta autonomamente ciascuna delle quattro sfe- re dell’autonomia personale cui fa rifermento l’articolo 8: vita privata, vita familiare, domicilio, corrispondenza. Tra di esse, sono le nozioni di