Francesco Campodonico
SOMMARIO: 1. Introduzione e premessa. 2. Il decreto “principe”: lo stato
d’assedio. 3. L’indefinitezza della necessità. 4. L’indefinitezza come “pratica di governo”. 5. Il concetto di “crisi”, i decreti-legge e la giurisprudenza della Corte costituzionale in epoca repubblicana. 6. Conclusioni.
1. Introduzione e premessa
Nel 1937, Luigi Rossi, a proposito dell’espressione «pieni poteri», scriveva1:
Ci troviamo subito di fronte, come spesso accade, a una delle maggiori difficoltà che offre il diritto pubblico: alla imprecisione dei termini. Poiché a differenza del diritto privato, nel diritto pubblico, per diverse e complesse ragioni ben note, è difficile non solo penetrare l’essenza e fissare limpidamente le linee di vari istituti, ma perfino dare un signifi- cato preciso e non equivoco alla denominazione di questi.
Se definire gli istituti costituzionali, in generale, è «difficile», dare un significato al termine «necessità», che è solo il presupposto di un istituto pubblicistico, rasenta l’impossibilità.
La dottrina ottocentesca (e, in parte, quella primo-novecentesca) ha provato ad offrire svariate definizioni, senza mai trovare la chiave per ricondurre a razionalità il quadro complessivo e riuscire ad inserire l’istituto delle ordinanze d’urgenza (o d’emergenza) nel grande mosai- co delle fonti del diritto pubblico.
1 L. R
A contare dall’entrata in vigore dello Statuto, il primo regio decre- to(-legge), firmato dal re Carlo Alberto di Savoia, reca la data del 27 maggio 1848 e riguarda l’abolizione del dazio doganale tra il Ducato di Parma e il Regno di Sardegna2. Lo Statuto albertino aveva, allora, poco più di due mesi di vita (era stato promulgato il 4 marzo 1848) e quel testo nulla diceva a riguardo del potere dell’Esecutivo e del suo capo (il re) di emanare atti aventi forza di legge. Gli articoli 3 e 6 della Carta stabilivano, infatti, che la potestà legislativa appartenesse al re e alle Camere congiuntamente (art. 3) e che al sovrano fosse precluso il pote- re di sospendere o dispensare dall’osservanza delle leggi (art. 6)3. D’al- tro canto, però, agli art. 82 e 83, era stata prevista una disciplina transi- toria4 che consentiva l’esercizio di un potere legislativo (per quanto temporalmente limitato) tramite decreto reale.
Sulla corretta interpretazione del testo, com’era inevitabile, si accese subito una querelle tra i principali esponenti della dottrina del tempo.
Parte degli autori5 sosteneva che con la formulazione dell’articolo 6 dello Statuto, redatto sulla falsariga dall’art. 13 della Costituzione fran-
2 Si tratta del r.d. 27 maggio 1848, n. 738, come riferisce G. F
ERRARI,Formula e
natura dell’attuale decretazione con valore legislativo, Milano, 1948, 17, nota 2.
3 Sulle divergenze dottrinali in merito all’articolo 6 dello Statuto si vedano S. R
O- MANO, Sui decreti-legge e lo stato di assedio in occasione del terremoto di Messina e
Reggio-Calabria, in Rivista di Diritto Pubblico, 1909, parte I, oggi anche in ID., Scritti
minori, Milano, 1990, 365-366, nt. 19; più recentemente anche L.PALADIN, art. 77, in G.BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1979, 44 e M. BENVENUTI, Alle origini dei decreti-legge. Saggio sulla decretazione governativa di
urgenza e sulla sua genealogia nell’ordinamento giuridico dell’Italia prefascista, in Nomos, 2, 2012, 1.
4 Disciplina che sarebbe rimasta in vigore fino al «giorno della prima riunione delle
due Camere, la quale avrà luogo appena compiute le elezioni». Nell’intermezzo tempo- rale, infatti, «sarà provveduto al pubblico servizio d’urgenza con Sovrane disposizioni secondo i modi e le forme fino a qui seguite (…)».
5 Tra cui P. C
ANEPA VACCARO,Sulle ordinanze d’urgenza: a proposito di sentenze
recenti, in Archivio di diritto pubblico, 1895, 336-347; A. CODACCI PISANELLI, Nota a
Cass. Roma, sent. 17.11.1888, 1890, rist. Sulle ordinanze d’urgenza, in ID., Scritti di
diritto pubblico, Città di Castello, 1900, 96 e L. MEUCCI, Istituzioni di diritto
amministrativo, Torino, 1909, 54.
Secondo l’opinione di un allievo di Oreste Ranelletti, F. ROVELLI,l’art. 6 riguarda- va solo la “competenza propria e normale” dell’Esecutivo, lasciando quindi non risolta
cese del 1830 ma con la sola esclusione dell’avverbio “giammai” (ja-
mais), i compilatori dello Statuto avessero inteso fare riserva al re della
potestà di adottare decreti aventi il valore6 di legge ordinaria7.
Viceversa, la maggioranza8 si mostrava concorde nel ritenere esclu- sa dal sistema costituzionale-statutario la possibilità, per l’Esecutivo, di adottare tali provvedimenti.
Le analisi svolte dalla dottrina del periodo sono molteplici e non po- trebbero – neppure volendo – trovare un adeguato spazio in queste pa- gine, che – come suggerito dal titolo – si concentreranno solo su un piccolo segmento di quella ben più vasta discussione, per la quale si rinvia a scritti classici9 e a ricostruzioni più recenti10.
la questione della “competenza in via straordinaria” (Sulla legittimità dei decreti legge, in Foro italiano, 1992, I, 562).
6 Sulle (ben più recenti) divergenze interpretative tra atti con “forza di legge” e
“valore di legge” si veda L. PALADIN,Art. 77, cit., 44-47.
7 Sulla non correttezza di questa tesi, smentita anche dalle risultanze dei lavori del
Consiglio generale di conferenza, si vedano F.RACIOPPI,I.BRUNELLI, Commento allo
Statuto del Regno, Torino, 1909, I, 354 e, più di recente, il richiamo di M. BENVENUTI,
op. cit., 19-20. Per una ricostruzione completa della vicenda legata alla scomparsa del-
l’avverbio jamais dall’articolo 6 dello Statuto albertino, v. A. TRAVERSA,Lo stato di
necessità nel diritto pubblico interno, Napoli, 1916.
8 Come confermano O. R
ANELLETTI,Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1932, 361 e R. CERCIELLO,L’ammissibilità dei decreti legge nel diritto positivo postbellico, in
Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione in Italia, 13, 1921, 459-
460.
9 Fondamentali gli scritti di S.R
OMANO, Sui decreti-legge, cit.; L. ROSSI, Il decreto-
legge sui provvedimenti politici davanti al diritto e al potere giudiziario, in Temi vene- ta, 1899; F. CAMMEO,Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del
diritto amministrativo, in V.E.ORLANDO (a cura di), Primo trattato completo di diritto
amministrativo italiano, Milano, 1901, III, 193; O. RANELLETTI,La polizia di sicurezza, in V.E. ORLANDO (a cura di), Primo Trattato completo di Diritto Amministrativo italia-
no, 1901, IV, parte I, 1154; V.E. ORLANDO, Ancora sui decreti-legge per fatto
personale, in Rivista di diritto pubblico, 1925, 1, 212-219; G.D’AMARIO, L’ordinanza
d’urgenza per lo stato di diritto, Torino, 1907; E. PRESUTTI,La questione dei decreti-
legge, in Rivista di politica economica, 1922; M. SIOTTO-PINTOR,Nota alla sentenza
delle Sezioni Unite della Cassazione del 16 novembre del 1922, in Foro italiano, 1923,
parte 1-I, XLVIII, 3-30; U. GALEOTTI, Facoltà legislativa del Governo, in Legge, XXX, 1890, I e T. PERASSI, Necessità e stato di necessità nella teoria dommatica della
I profili di cui ci si occuperà, invece, sono legati tanto alla nostra storia costituzionale quanto all’attualità, perché ruotano attorno ad una persistente (forse inesauribile) questione definitoria che, travalicando l’ambito statutario – prima – e costituzionale – poi –, ha avuto e conti- nua ad avere importanti ricadute sull’equilibrio dell’intera forma di go- verno del nostro Paese.
2. Il decreto “principe”: lo stato d’assedio
Prima di parlare della necessità «politica», com’è stata definita11, sembra opportuno delineare l’istituto (rectius, gli istituti) di cui costi- tuiva il “solo” presupposto, almeno durante la vigenza dello Statuto albertino.
La dizione “decreti-legge” – com’è noto – è stata usata, ufficialmen- te, solo a partire dal 191512 (ma, in dottrina, l’espressione è più risalen- te)13 e, prima di allora, nei documenti formali, si era soliti riferirsi agli atti normativi “d’urgenza” dell’Esecutivo con espressioni varie, come «ordinanze emergenziali», «ordinanze d’urgenza», «atti con forza di legge», ma, principalmente, «ordinanze sullo stato d’assedio».
10 In epoca repubblicana, ex mutiis, si v. A. C
ELOTTO,L’abuso del decreto-legge, Padova, 1997; M. BENVENUTI,op. cit.;N.LUPO, I decreti-legge nel primo dopoguerra,
nelle letture dei giudici e dei giuristi, in Osservatorio sulle fonti, 2, 2014;C.LATINI,
Governare l’emergenza. Delega legislativa e pieni poteri in Italia tra Otto e Novecento,
Milano, 2005; M.MECCARELLI, La questione dei decreti-legge tra dimensione fattuale
e teorica: la sentenza della Corte di cassazione di Roma del 20 febbraio 1900 riguardo al r.d. 22 giugno 1899 n. 227, in Historia Constitucional, 6, 2005;F.ROSELLI, Giudici e
limiti al potere del legislatore, vigente lo statuto albertino, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1986, 531 e F. COLAO,Decreti-legge nell’esperienza dello
Stato liberale, in Democrazia e Diritto, 5, 1981, 136-150.
11 Così A. T
RAVERSA,op. cit., 65; l’autore la distingue così dalla necessità finanzia-
ria. Le due “figure” della necessità si riferiscono solo ad alcuni dei casi che possono
verificarsi, non li esauriscono.
12 Cfr. M. B
ENVENUTI,op. cit., 1, nt. 2.
13 Come testimonia G. D’A
Effettivamente, lo stato d’assedio non era che uno dei tre possibili «ambiti di intervento» della decretazione governativa d’urgenza14, tutta- via, per la sua importanza sistemica, è stato definito la «punta di (…) ice- berg»15 del fenomeno, essendo il tema forse più dibattuto dalla giuspub- blicistica del tempo. Vediamone, quindi, le principali caratteristiche.
Anzitutto, la sua riconducibilità al “genere” dei decreti-legge è stata messa in dubbio da una parte della dottrina16. Com’è noto, infatti, la proclamazione dello stato d’assedio aveva per effetto l’equiparazione «in tempo di pace, di porzioni più o meno grandi del territorio dello Stato a zone di operazioni militari in presenza del nemico in tempo di guerra»17. Per questo motivo, si riteneva che in considerazione dei gravi effetti che avrebbe prodotto e della sua applicazione in zone spesso fuo- ri dal controllo delle autorità civili, esso fosse un provvedimento “di natura solo militare”, completamente estraneo al sistema ordinario delle fonti.
I due celebri commentatori dello Statuto albertino18 avevano già os- servato che, con la proclamazione dello stato d’assedio tramite decreto, si producevano diverse e significative conseguenze:
a) lo spostamento di tutti i poteri legali nell’autorità militare indicata nel decreto di proclamazione;
b) l’insediamento dei tribunali di guerra, «per giudicare le persone non militari che si rendessero colpevoli di certi reati tassativamente indi- cati nel codice penale militare»;
14 Così M. B
ENVENUTI,op. cit., 5. Le altre due aree di intervento della decretazione d’urgenza sono la «legislazione generale» (cfr. F. CAMMEO, op. cit., 193) e la «materia tributaria».
15 P.C
OLOMBO, Il re d’Italia, Milano, 1999, 295 (citato da M. BENVENUTI,op. cit., 5).
16 L.R
OSSI, Il decreto-legge, cit, 526, nt. 6. La giurisprudenza, tuttavia, l’aveva ammessa in quanto non espressamente vietata dallo Statuto. Così, infatti, si esprimeva la Cass. pen., sez. I, sent. 22 agosto 1898, Chiesi e al., in Giur. It.,1898, II, 279, «se non vi è una disposizione nei codici che stabilisca essere applicabile alla insurrezione e alla guerra civile le regole del codice penale militare del tempo di guerra, non vi è nello statuto fondamentale del regno, né in altre leggi alcun disposto che lo vieti».
17 R. M
ARTUCCI,Storia costituzionale italiana Dallo Statuto Albertino alla Repub-
blica (1848-2001), Roma, 2002, 150, nt. 54.
18 F.R
c) la concessione della potestà in capo all’autorità militare ad emettere «bandi e ordini aventi forza di legge nella periferia del proprio co- mando».
Aldilà dell’analisi delle conseguenze, però, il punto fondamentale – come si può capire – rimaneva quello di identificare l’organo cui spet- tasse «il potere di valutazione della necessità di difesa delle istituzioni dai pericoli»19.
Per logica, un tale potere avrebbe dovuto essere «devoluto all’orga- no medesimo destinato poi ad agire in via repressiva»20.
Tramite detto «potere di valutazione della necessità» – che implica- va, necessariamente, anche il conferimento del potere di definire la ne- cessità stessa – si poteva accedere allo «stato di eccezione», così ben analizzato, anche da un punto di vista filosofico, da Giorgio Agamben in un suo libro famoso21. Come suggerito da questo Autore, se è vero – per dirla con Schmitt – che è sovrano chi «decide sullo stato di eccezio- ne» dev’essere altrettanto vero che è sovrano colui che decide la neces-
sità22.
Una volta definito il contenuto del (grande) potere da conferirsi (cioè il potere di “dire” la necessità), occorreva identificare un organo che fosse “adatto” a decidere, perché la valutazione e l’attività repressi- va (o preventiva)23 fossero «azioni rapide»24.
Mentre l’istituzione parlamentare appariva inidonea, ab origine, a svolgere un’attività deliberativa rapida ed efficiente25, l’Esecutivo, al contrario, risultava un organo «stabile e permanente e perciò capace di
19 G.M
OTZO, Assedio (stato di), in Enciclopedia del diritto, Milano, 1958, III, 252.
20 Ibidem. 21 G. A
GAMBEN, Stato di eccezione, Torino, 2003.
22 «Non soltanto la legittimità di tale teoria (la teoria dello stato di eccezione, nda)
viene negata da quegli autori che (…) affermano che lo stato di necessità su cui l’ecce- zione si fonda, non può avere forma giuridica, ma la sua definizione è resa difficile dal suo situarsi al limite fra la politica e il diritto» (Ivi, 9).
23 Come avvenne in alcuni celebri casi, ad es. con il c.d. “decreto Rattazzi” (r.d. 17
agosto 1862, n. 764) e con il r.d. 20 agosto 1862, n. 775.
24 Cfr. C.M
ORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, II, 702.
25 Il Parlamento, secondo Mortati, infatti, è «organo intermittente, complesso, tardi-
rapida azione»26: non a caso era stato proprio quest’organo ad essere chiamato ad intervenire anche in caso di guerra27; di conseguenza, non poteva che essere il Governo “a decidere sulla necessità” e, di conse- guenza, sulla proclamazione dello «stato d’assedio».
Quale spazio, dunque, rimaneva al Parlamento per intervenire? Nes- suno, almeno in questi casi. Un controllo, a posteriori, su questa “attivi- tà” dell’Esecutivo, infatti, continuerà a mancare per tutta la seconda metà dell’Ottocento28: i vari regi decreti di proclamazione dello stato d’assedio – a differenza degli altri – non venivano neppure presentati (per la conversione) alle Camere.
Così tratteggiate le caratteristiche strutturali (e le ragioni delle scelte ad esse sottese) con riferimento a quella particolare tipologia di decreti- legge sul c.d. stato d’assedio, sembra opportuno, adesso, concentrare l’attenzione sul suo presupposto “di merito” e indagare le varie posi- zioni dottrinali sul concetto giuridico di “necessità”.
26 C.M
ORTATI, Istituzioni, cit., 702.
27 Sulla tendenza all’equiparazione del decreto di proclamazione dello “stato d’as-
sedio” e quello di proclamazione dello “stato di guerra” esiste una differente imposta- zione dottrinale di cui occorre dar conto. Si metteranno qui a confronto quanto sostenu- to, da un lato, da S. Romano e, dall’altro, da F. Racioppi (ID.,Lo stato d’assedio e i
tribunali di guerra, in Giornale degli economisti, 1898, XVII, 138-158).
Il primo affermavache «(…) sarebbe (stato) alquanto paradossale negare le evidenti somiglianze» (S. ROMANO,Sui decreti-legge, cit., 353) tra stato d’assedio e stato di guerra, anche perché, richiamandosi al precedente dello stato d’assedio dichiarato per il terremoto di Messina e Reggio del 1908, vi potevano essere situazioni per «certi versi identiche e per altri più gravi» di quelle che si verificavano «nei territori in stato di guerra».
L’altro autore, invece, rilevava come restasse indimostrata l’«evidente traduzione» della figura dello stato d’assedio in quella di stato di guerra e, ricordando la definizione legale di «stato di guerra», riteneva che essa potesse riservarsi ai soli casi di «guerra nel senso stretto della parola», condotta tra Stati sovrani con «eserciti belligeranti». Nono- stante le censure mosse dal Racioppi a questa sostanziale identità tra concetti diversi, artatamente creata dall’Esecutivo con la complicità delle maggioranze parlamentari e della magistratura, il Romano sosteneva che la tesi dell’identità tra i due concetti fosse «precisamente quella che (era) stata adottata dalla pratica italiana in parecchie dichiara- zioni dello stato d’assedio».
28 Fino alla legge 17 luglio 1898, n. 2977. Per un elenco dei decreti di proclamazio-
3. L’indefinitezza della necessità
La necessità di cui ci occupiamo deve concepirsi come una condizione di cose che, almeno di regola e in modo compiuto e praticamente effi- cace, non può essere disciplinata da norme precedentemente stabilite.
È con queste parole che Santi Romano29 tentava di dare significato al “concetto” di necessità, sostanzialmente negando – al contempo – l’esistenza di una sua definizione. La necessità, infatti – almeno per come la intendeva il Romano –, è una «condizione di cose», a priori indefinibile perché una norma che la volesse contemplare non potrebbe materialmente «scriversi»30, in quanto la necessità non potrà mai “pre- dirsi”: si sa che c’è (o potrà esserci) ma la si potrà definire solo una vol- ta che si sia già verificata.
Completando logicamente il sillogismo31, Romano sosteneva che, se la necessità produce norme giuridiche ma non è regolata da altre fonti dell’ordinamento, allora essa stessa deve essere «fonte del diritto»32.
Sebbene possa apparire connotata da un alto grado di genericità (in- sita, logicamente, nella stessa disponibilità del potere “creativo di dirit- to”, che riposa nelle mani dell’organo chiamato a decidere sulla neces- sità), la tesi del Romano si rivela più specifica, almeno nei suoi riferi- menti. Sono, infatti, «rivolte» e «terremoti» quelle condizioni “di ne- cessità” cui questo autore pensava, nell’elaborare la sua teoria della necessità come fonte del diritto.
Egli, infatti, non poteva certo immaginare (secondo un criterio di ri- gore istituzionale che non può essere, oggi, revocato in dubbio) che la
29 S. R
OMANO,Sui decreti-legge, cit., 362.
30 Sul punto, però, si veda la critica di U. G
ALEOTTI, op. cit., 174, per il quale un conto è la “previsione specifica di una determinata circostanza straordinaria” (come un terremoto, un’epidemia, ecc.), un altro è la “previsione generica di una qualsiasi circo- stanza straordinaria”.
31 Che potremmo formulare in questi termini «Tutte le fonti dell’ordinamento pro-
ducono norme giuridiche» e «la necessità produce norme giuridiche» allora «la necessi- tà è una fonte dell’ordinamento».
32 «Ma se essa non ha legge, fa legge (…) il che vuole dire che costituisce essa me-
desima una vera e propria fonte del diritto» così S.ROMANO, Sui decreti-legge, cit., 362.
sua teoria si sarebbe prestata così bene – come vedremo – ad una com- pleta strumentalizzazione da parte dell’Esecutivo.
Tuttavia, prima di affrontare la deriva novecentesca della necessità come “pratica di governo”, occorre terminare l’analisi degli altri tenta- tivi definitori di questa entità, da Romano ritenuta “indefinibile”.
Un altro autore, Antonio Traversa, descriveva la necessità come «uno stato di cose, in cui le ordinarie disposizioni legislative si manife- stino inadeguate e insufficienti»33.
Benché Traversa ritenesse, al pari del Romano, impossibile procede- re ad enumerare tutti i casi in cui tale «stato di cose» si sarebbe potuto verificare “in concreto”, egli teorizzava l’esistenza di un elemento co- stante, che – a suo giudizio – avrebbe comportato, in ogni singolo caso, il ricorso agli strumenti emergenziali (e quindi alla dichiarazione go- vernativa della «necessità»): l’«inadeguatezza o insufficienza» delle «disposizioni legislative ordinarie»34.
Neppure la tesi di Traversa, però, risultava del tutto convincente. Essa, infatti, si limitava a spostare il problema: chi avrebbe giudicato sull’adeguatezza e sulla sufficienza delle «disposizioni legislative ordi- narie»?
Dall’altro lato, anche abbandonando ogni pretesa di offrire una defi- nizione generale di necessità, i tentativi fatti di ridurre la necessità “al fatto” (ad un preciso fatto – guerre, epidemie, rivolte, terremoti, ecc. – oppure ad alcune “tipologie” di fatti – come aveva proposto U. Galeot- ti –)35 si dimostravano tutti fallimentari.
Come faceva osservare, con riferimento alla proclamazione dello stato d’assedio, Francesco Racioppi: «il concentramento dei poteri (…) non nasce spontaneo dai fatti, ma solo potrebbe sorgere dalle delibera- zioni del Governo, e in quella misura che al Governo sembrasse neces- saria»36. In altri termini, la qualificazione di quei fatti da cui sarebbe sorta la necessità, essendo rimessa comunque alla discrezionalità del Governo, non avrebbe potuto offrire alcuna garanzia circa la correttezza dell’uso dei poteri emergenziali.
33 A. T
RAVERSA,op. cit., 65.
34 Ibidem.
35 V. supra, nota 30. 36 F. R
Infine, secondo la tesi di Luigi Rossi, siccome il riconoscimento di tali poteri in capo all’autorità governativa non si sarebbe potuto negare in alcun caso, la “necessità” avrebbe dovuto qualificarsi come “regola indispensabile” per la preservazione dell’ordinamento civile.
Se, infatti, «ragion di Stato» o «diritto di necessità»37 equivalevano alla potestà governativa di opporre «a estremi mali estremi rimedii»38, allora, tale «diritto» sarebbe esistito per ogni Governo, per la semplice ragione che «non p(oteva) non esistere»39.
Le argomentazioni di Rossi, che saranno riprese e sviluppate, in se- guito, anche da altri autori40, attenevano principalmente allo svolgimen- to della funzione di «conservazione sociale» o di «conservazione dello Stato»41; compito demandato, per costituzione (volutamente con la “c” minuscola), a tutti i poteri dello Stato, a tutte le istituzioni e a tutti gli organi dell’apparato pubblico e, specialmente, al Governo. Quest’ulti- mo diveniva, così, l’organo titolato a provvedere sulla necessità o per-
37 Ivi, 141. 38 Cfr. L. R
OSSI, Lo stato d’assedio, in Archivio di diritto pubblico, 1894, 93, per il quale «Lo Statuto è una legge di libertà che può riuscire dannosa in tempi eccezionali, quando il diritto e il dovere supremo dello Stato impongano a questo di adoperare mezzi straordinari contro mali straordinari».
39 Cfr. V.E. O
RLANDO,Ancora sui decreti-legge, cit., 215.