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Definizioni e misure di produttività morfologica

Chapter 2. Productivity  Generality

2.2 Produttività: dalla morfologia alla sintassi.

2.2.1 Definizioni e misure di produttività morfologica

Lo studio della produttività, di stampo usage-based, nasce in morfologia e riguarda l’analisi dei processi di formazione e derivazione delle parole. In tale ambito, la produttività consiste nella possibilità per qualsiasi procedimento morfologico di poter essere utilizzato per la costituzione di nuove formazioni.

È stato notato come determinati processi morfologici siano più comuni di altri (sono rappresentati da più tokens all’interno dei dati provenienti dai corpora), abbiano una più ampia varietà di forme (numero di types) o una maggiore possibilità di dare adito a nuove formazioni.

Fra le numerose definizioni che sono state date alla produttività in morfologia ne riporto alcune fra le più importanti e accettate.

i. La probabilità che un modello di formazione delle parole sia utilizzato come modello per la creazione di nuove parole. (Aronoff, 1983: 163)

ii. La probabilità che un modello sia applicato nella creazione di nuove forme. (Bybee, 1995: 430)

iii. L’interazione fra la potenzialità di un processo morfologico a generare forme ripetitive e non creative, e la misura in cui esso è utilizzato, invece, per creare nuovi elementi lessicali. (Bauer, 2001:211)

Tutte riconoscono nella produttività, il concetto di estendibilità, ovvero la possibilità che un determinato processo possa essere esteso a nuove parole e il collegamento fra tale possibilità e l’esperienza linguistica del parlante.

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sottolineano la natura scalare: i diversi procedimenti morfologici possono essere considerati produttivi in misure diverse. Proprio per questo motivo, i dibattiti, più che trovare una definizione tecnica al concetto, si sono incentrati sulla ricerca di un modo per quantificare e misurare tale nozione.

Uno dei paradigmi più influenti, in tale ambito, risale al lavoro di Bayeen e colleghi (Bayeen e Lieber, 1991; Bayeen 1992, 2001, 2009) i quali hanno sviluppato una serie metodi per misurare la produttività basati sull’analisi statistica di corpora linguistici. La produttività è analizzata come la probabilità che un determinato procedimento morfologico dia luogo a una nuova formazione all’interno del lessico di una lingua. I vari metodi elaborati da Bayeen si basano prevalentemente su tre elementi: la frequenza

token di una determinata categoria (denotata N(C)), ovvero il numero totale di

ricorrenze di un determinato pattern all’interno di un corpus o di un testo, la frequenza

type (denotata V), che indica il vocabolario di un verbo, ovvero il numero dei diversi

elementi lessicali che sono istanza di uno slot argomentale, e gli eventi rari, in particolare gli hapax legomena, parole che compaiono solo una volta all’interno del corpus e che hanno, pertanto, la massima probabilità di essere neoformazioni.

Il metodo consiste nel calcolare la probabilità che l’insieme di tutte le forme costituite da un determinato procedimento morfologico possa essere espanso a nuovi tipi (types), generando neoformazioni. Questo indice di produttività è stato chiamato da Bayeen “category-conditioned degree of productivity” ed è ottenuto calcolando il rapporto fra il numero di hapax e il numero di tutti i tokens all’interno del corpus; esso predice che maggiore è la proporzione di hapax nel campione di tokens considerato, tanto più produttivo sarà il procedimento morfologico che li ha generati. Se invece il procedimento ha dato vita a molti types o a molte istanze, ma a poche neoformazioni, si tratterà di un procedimento scarsamente produttivo.

La formula per calcolare tale indice di produttività è:

P = V1/N(C)

Tale misurazione si basa sull’assunto euristico che un neologismo avrà occorrenza limitata all’interno di un corpus; è bene sottolineare come questa idea non rifletta sempre la reale distribuzione delle parole: spesso i parlanti coniano nuove parole per determinati bisogni comunicativi e le utilizzano in successione, in altri casi avviene che determinate espressioni compaiano in un corpus un’unica volta per caso, nonostante siano forme lessicalizzate e familiari alla maggior parte dei parlanti.

in grado di quantificare il potenziale d’innovazione di un determinato processo linguistico, fornendo informazioni circa la probabilità che esso sia esteso a nuovi membri, e al suo livello di saturazione, a partire dalla ricorrenza e dalla distribuzione delle istanze già attestate.

Altre misure sono state proposte, come il semplice calcolo della frequenza type. Tali metodi riflettono aspetti differenti della produttività e di come essa possa essere realizzata nei testi, nei dizionari e in corpora più ampi, ed è importante sottolineare come, secondo lo studioso, i vari metodi andrebbero utilizzati in parallelo poiché ognuno di essi mette in evidenza un aspetto particolare della produttività.

Sebbene i procedimenti illustrati da Bayeen siano stati ampiamente accettati, grazie anche alla loro applicabilità pratica, non tutti gli studiosi concordano sulla natura probabilistica della produttività morfologica.

Numerosi studi hanno poi cercato di individuare una correlazione fra le cause della produttività dei procedimenti morfologici e il modo in cui l’input viene rappresentato nella mente dei parlanti. Tali studi partono comunque dall’osservazione, portata avanti da Bayeen, che esiste una stretta correlazione fra frequenza e produttività.

Bybee (2010), adottando una prospettiva di stampo usage-based, ha analizzato il contributo della frequenza type. Quest’ultima è definita come il numero delle diverse forme di parola che sono istanze di uno schema particolare. Alla base della produttività è postulato un meccanismo di estensione analogica a partire da istanze specifiche; una costruzione caratterizzata da un’elevata frequenza type, avrà una probabilità maggiore di essere utilizzata per creare nuove formazioni, per il fatto che ha un maggior numero di candidati su cui basare l’analogia.

L’effetto della frequenza type può essere vincolato da determinati fattori. Per esempio le istanze di uno schema che hanno una frequenza token molto elevata contribuiscono alla produttività in misura minore poiché sono caratterizzate da una maggiore autonomia e dalla perdita di analizzabilità.

Questo avviene perché, se una forma morfologicamente complessa è molto frequente, la sua rappresentazione come unità si rafforza nel lessico mentale. Di conseguenza, il percorso di accesso diretto a quella forma diventa predominante durante l’elaborazione linguistica, senza il bisogno di scomporla in morfemi. Questo favorisce un’opacizzazione della forma complessa sia dal punto di vista morfofonologico che da quello morfo-semantico. Al contrario, una forma poco frequente, difficilmente ha una rappresentazione autonoma nel lessico mentale, per cui l’accesso avviene tramite

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composizione morfologica. In questo modo sono i morfemi che la compongono ad essere attivati e dunque rafforzati nella mente del parlante, il che contribuisce alla loro produttività. A tale riguardo, Bybee (2010) cita il caso dei verbi irregolari inglesi. All’interno di tale categoria possiamo notare come i verbi a bassa frequenza mostrino una maggiore predisposizione a subire un processo di livellamento analogico e regolarizzazione sulla base del modello offerto dalle forme regolari: si pensi a verbi come weep, creep, leap, per i quali, la maggior parte dei vocabolari inglesi riporta sia la forma irregolare (wept, crept, leapt) che quella regolare (weeped, creeped, leaped). Al contrario, verbi a elevata frequenza come keep e sleep, che sono più radicate nella mente dei parlanti, mostrano una maggiore resistenza alla regolarizzazione e una predisposizione maggiore a mantenere la propria irregolarità nella flessione al passato (kept, slept).

This conservative behaviour of high frequency forms is related to the faster lexical access of high frequency forms: the more a form is used, the more its representation is strengthened, making it easier to access the next time. Words that are strong in memory and easy to access are not likely to be replaced by new forms created with the regular pattern. (Bybee e Thompson, 1997:380)

Un altro fattore importante nel determinare la produttività di uno schema è rappresentato dalla coerenza semantica e fonologica interna allo schema stesso. Ciò significa che deve esserci sufficiente somiglianza tra i types che contribuiscono al radicamento dello schema, affinché questo possa effettivamente formarsi.

Le importanti intuizioni di Bybee sono state riprese e applicate successivamente in ambito sintattico per analizzare il fenomeno della produttività di pattern più estesi.