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Definizioni e origini della pragmatica

LA PRAGMATICA, LE SUE NORME E LE DISCIPLINE DA ESSA DERIVATE

1. Definizioni e origini della pragmatica

Il termine ‹pragmatica› deriva dal greco ‹prâgma› (fatto o azione). E’ lo studio del significato inteso dal parlante e di come si interpreta ciò che si intende dire anche quando non lo si dice esplicitamente. La pragmatica (anche chiamata pragmatica linguistica o pragmalinguistica poiché è una disciplina della linguistica che si occupa dell’uso della lingua in un contesto reale) si distingue dai termini ‹pragmatism› e ‹pragmaticismo›, ad essa accomunati, perché mentre la prima fa parte delle scienze del linguaggio, gli altri invece dell’ambito filosofico (De Marco, 2010: p. 17).

Il termine pragmatica è stato introdotto da Charles Morris24 in Foundation of a Theory of Sign (1938)

per indicare

“Quella parte della semiotica che studia i segni in relazione ai loro utenti, e quindi al contesto e al comportamento segnico e linguistico attraverso cui si realizza il processo di significazione. Complementare alla semantica e alla sintattica, le altre due branche in cui Morris aveva suddiviso la semiotica, la pragmatica nasce all’interno di un approccio comportamentistico al problema del significato, ma successivamente si sviluppa come autonomo settore di indagine entro la filosofia del linguaggio, caratterizzandosi come quell’insieme di ricerche che cercano di definire il significato in rapporto alle convenzioni culturali e sociali che regolano la comunicazione linguistica, o, anche, alle intenzioni e alle credenze dei parlanti. Esempi di questo tipo di ricerche possono essere considerate la filosofia del secondo Wittgenstein e la cosiddetta filosofia del linguaggio ordinario”25.

Morris, dunque, suddivide il sistema dei segni del linguaggio in tre diramazioni, riportate qui da Bettoni (Bettoni, 2006: p. 74):

 Sintattica, che studia le relazioni tra i segni fra di loro;  Semantica, che studia le relazioni tra i segni e gli oggetti;  Pragmatica, che studia le relazioni tra i segni e i parlanti.

24 Charles William Morris (Denver, 23 maggio 1901 – Gainesville, 15 gennaio 1979) è stato un semiologo e filosofo

statunitense.

36 La pragmatica, per Morris, non è solo quella parte della disciplina della semiotica26 che si occupa di

esaminare il rapporto che esiste tra i segni e i loro interpreti ma analizza anche tutti gli aspetti psicologici, biologici e sociologici che fanno parte del sistema segnico.

Secondo la filosofia dell’autore, le lingue rendono esplicite le abitudini comportamentali del parlante e cioè dell’uso di dati segni in specifiche circostanze, attraverso le norme delle tre dimensioni della lingua integrate: la pragmatica insieme alla semantica e dalla sintattica.

Morris sviluppa il suo pensiero rifacendosi dalla teoria dei segni27 di Charles Peirce28 (le sue teorie

sono state raccolte e pubblicate in “Collected papers of Ch. S. Peirce” dal 1931), fondatore del pragmatismo americano e alla filosofia di Carnap29, esponente del positivismo logico (De Marco,

2010: p.18).

Da Morris, poi, molti sono gli autori che si sono occupati dello studio della pragmatica, da cui è possibile ricavare delle definizioni di tale fenomeno per chiarire meglio il suo significato.

“Syntax studies sentences; semantics studies propositions; pragmatics is the study of linguistic act’s and the contexts in which they are performed” (R. Stalnaker, 1972: p. 383)30.

Il filosofo americano Stalnaker (1972) definisce la pragmatica chiarendo quale sia il suo ruolo, cioè quello di studiare gli atti linguistici nel contesto in cui vengono realizzati, rispetto alla sintassi che si occupa delle frasi e la semantica che studia le proposizioni (Huang, 2007: p. 2).

“Pragmatics can be usefully defined as the study of how utterances have meaning in situation” (G. Leech, 1983: X)31.

Anche il linguista inglese Leech (1983), specifica il ruolo della pragmatica in correlazione alla semantica e alla sintattica, riprendendo la definizione di Stalnaker (1972): le frasi sono oggetto della sintassi; gli enunciati della pragmatica; i significati di una frase senza considerare il contesto in cui si sviluppano fanno parte della semantica, se lo si include, invece, rientrano nella sfera della pragmatica.

“Pragmatics studies the factors that govern our choise of language in a social interaction and the effects of our choise on the others” (D. Crystal, 1987: p. 120)

Qui Crystal (1987), linguista, accademico e autore inglese, mette in evidenza il ruolo primario dei parlanti come unici responsabili del contesto in cui agiscono.

26 “La semiotica Scienza generale dei segni, della loro produzione, trasmissione e interpretazione, o dei modi in cui si

comunica e si significa qualcosa, o si produce un oggetto comunque simbolico”. In http://www.treccani.it/enciclopedia/semiotica/. [Ultima consultazione 12/5/2017].

27 Secondo Peirce la teoria semiotica si basa su tre segni: le icone, che mettono in relazione le cose con la loro somiglianza

fisica; gli indici che mettono in relazione le cose che partecipano all’evento che denotano; i simboli che mettono in relazione le cose in base a ciò che la comunità dei parlanti stabilisce.

28 Charles Sanders Peirce (Cambridge, 10 settembre 1839 – Milford, 19 aprile 1914) è stato un matematico, filosofo,

semiologo, logico, scienziato e accademico statunitense.

29 Carnap, al contrario di Morris, non riteneva che le tre dimensione della lingua dovessero essere considerate sullo

stesso piano. La pragmatica non era, infatti, per il primo autore, alla pari della sintassi e della semantica.

30 “La sintassi studia le frasi; la semantica studia le preposizioni; la pragmatica è lo studio degli atti linguistici e i contesti

in cui sono eseguiti”.

31 “La pragmatica può essere utilmente definita come lo studio di come gli enunciato hanno significato in relazione alle

37 “Pragmatics is the study of how more gets communicated that is said” (G. Yule, 1996: p. 3) 32.

Il linguista inglese Yule (1996), definisce la pragmatica come lo studio dei significati che vanno oltre ciò che viene detto letteralmente, rifacendosi a Grice (le cui teorie saranno osservate più avanti in questo lavoro) (De Marco, 2010: pp. 58-59).

“In the theorist’s reconstruction of the phenomenon, we start with the most abstract layer (syntax) and enrich it progressively, moving from syntax to semantics and from semantics to pragmatics. Syntax provides the input to semantics, which provides the input to pragmatics” (Recanati, 2004b: pp. 3-4)33.

Qui, ancora una volta, è ripresa la tricotomia di pragmatica, sintattica e semantica che però vengono distinte secondo il loro grado di astrattezza (Huang, 2007: p. 2).

La pragmatica, comunque, tratta di fenomeni molto disparati, ragion per cui prima degli anni Settanta/Ottanta del Novecento, quando ancora non era studiata come disciplina che si distingueva da sintassi e semantica, era considerata una mera pattumiera della linguistica, in cui erano relegati tutti quei fenomeni che non si riuscivano a spiegare. Ciò che ha reso la pragmatica un campo interdisciplinare che coinvolge filosofia, sociolinguistica, antropologia e così via sono alcune tematiche interessanti: l’ambiguità, gli atti linguistici, il principio di cooperazione, le massime conversazionali, l’inferenza e la presupposizione e ancora il principio di cortesia e la deissi

Dalla sintesi teorica esposta in questo paragrafo si evince la complessità del concetto di pragmatica. In tal senso si può delinearla, a grandi linee, come la prospettiva che pone al centro della sua analisi il processo della produzione linguistica e i parlanti invece del prodotto finale, cioè analizza gli enunciati e li interpreta nel contesto della loro enunciazione. Ancorare la lingua alla realtà in cui viene proferita, da una parte aiuta a capire ciò che viene detto, indicando cioè, l’influenza del mondo sulle parole e dall’altra parte stabilisce il tipo di atto linguistico realizzato, definendo l’influenza delle parole sul mondo (Bettoni, 2006: pp. 74-75).