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DELLE LEGGI CIVILI REALI

Nel documento Opere (pagine 111-153)

D E L L E L E G G I C I V I L I R E A L I1

INTRODUZIONE

L'amor di se stesso, quell'istinto (che alcuni inesattamente chiamano passioni) sì fattamente congiunto coll'umana natura che si p u ò dire parte sostanziale della medesima, questo amor di se stesso, dissi, f u sempre l'origine d ' o g n i male e d ' o g n i bene. R e g o l a t o da un intelletto che abbia una giusta idea delle cose, che combini a proposito e deduca quindi giuste conseguenze, produce i maggiori beni; e di fatti quindi nacquero tutte le virtù morali e sociali, nacquero quelle dolci virtù d'amore per i suoi simili, di gratitudine, di beneficenza e di c o m m i -serazione, che in o g g i sotto il generico sentimento d'umanità si sogliono comprendere. R e g o l a t o poi da un intelletto, che o n o n abbia sufficienti idee, o le abbia false e fittizie, o v v e r o per difetto d'interna o r g a -nizzazione n o n sia atto a quelle combinare con giusto ordine, e deduca quindi conseguenze false, è atto a produrre i maggiori mali e i più esecrabili vizii.

Moltiplicatosi sulla terra il numero degli uomini e dispersi questi sulla medesima, crescendo per conseguenza i bisogni prima che molti intelletti si trovassero uniti in un giusto pensiere sovra l'amor di se medesimi, furono necessariamente gli uomini in uno stato di continua guerra, a cui n o n solo i bisogni, m a le passioni ancora gli avevano ridotti. La prima sana riflessione che dovette l'amor di se stessi ben ragionato suggerire ai saggi di que' tempi f u sicuramente quella d'as-sociarsi i deboli per resistere ai più forti; ma, siccome queste associa-zioni dirette a quel solo fine erano nell'interno soggette agl'istessi inconvenienti, perché n o n composte d'uomini perfettamente uguali, così a questi uomini già associati l'amor di se stessi dovette pur quindi suggerire l'istituzione de' governi e della proprietà delle cose, unico rimedio ai gravissimi mali che dalla perfetta comunione n o n potevano a meno di derivare. E d ecco l'origine delle l e g g i scritte, alle quali f u d ' u o p o aggiungere le leggi penali affinché fossero le altre osservate. D a questi principii facilmente si scorge quale abbia d o v u t o e quale debba ancor in o g g i essere il fine delle leggi che chiamiamo civili.

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Io suppongo un g o v e r n o che almeno n o n sia de' più viziosi, mentre per cagion d'esempio in un g o v e r n o meramente dispotico, nel quale la legge è sempre vivente ed insieme instabile, n o n v ' è cosa più inutile che un codice di leggi e n o n si p u ò sperare altr'ordine in u n tale g o v e r n o che quello che si trova in una congerie di disordini, né altra tranquil-lità che quella di cui g o d e uno che g e m e da mortifero letargo oppresso. D u e sono i principali fini delle leggi civili, fondati entrambi sovra quell'istesso principio : uno riguarda le leggi penali, e di questo altri1

prima di m e ne ha sì saggiamente scritto ch'io n o n m'arrischio ad aggiungere cosa alcuna, né credo che qualora m i vi accingessi fossi per dire cose o n o n dette, o più utili di quelle che furon dette; l'altro, che riguarda le leggi che si chiamano in un senso più ristretto civili, e che io chiamerò reali, è di determinare la proprietà delle cose in m o d o che ciascheduno possa sapere ciò che gli appartiene ed assicu-rarne insieme al proprietario la tranquilla possessione. D i queste leggi intendo io qui di trattare. N o n è già m i o pensiero di compilare un codice universale di l e g g i (cosa troppo ardua), ma di esporre alcune generali riflessioni che h o fatto intorno a queste leggi per illuminare quelli a' quali è commesso l'incarico di compilarne e promulgarne i codici.

N e l determinare le proprietà egli è duopo ricordarsi che o g n ' u o m o è nato col diritto di cogliere dalla terra quanto p u ò essergli necessario per il vitto, e però la società, la quale per evitare i gravissimi disordini che derivarono in prima e sempre ne nascerebbero dalla perfetta c o -munione, ha stabilita la divisione delle terre e la proprietà di esse deve provvedere al vitto di tutt'i membri. N o n dico già c o n questo che tutti nascendo abbiano ad avere una qualche proprietà, m a dico che, siccome per cogliere que' frutti era necessaria anche nello stato di perfetta comunione l'opera manuale, così nello stato civile le leggi debbono almeno provedere in m o d o che tutti gli uomini nati sprov-visti di proprietà, medianti le loro opere, possino trovare il v i t t o ; che quelli poi, i quali n o n possono o per la età decrepita, o per la loro infermità, prestare le opere, siano nulladimeno p r o v v e d u t i : lo esige il sentimento d'umanità che è, c o m e dissi, un'altra conseguenza dell'amor di noi stessi ben ragionato. Il m o d o , sia di provvedere a tutti gli u o -mini, sia di determinare la proprietà è in molte cose arbitrario, perché dipende da tante circostanze che variano in o g n i g o v e r n o , il clima, i

i. Si riferisce all'opera di C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, pubblicata ano-nima a Livorno con la sola indicazione dell'anno, presso Marco Coltellini, nel mese di luglio del 1764.

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costumi, le relazioni cogli esteri ecc., e però n o n si p u ò stabilire una certa determinata ed universale regola; tuttavia alcune io ne proporrò che m i sembrano adattabili a qualunque stato.

Acciocché possa ciascheduno sapere cosa sia suo e cosa d'altri, n o n basta che sia ciò dalle leggi fissato; fa di mestieri che la legge sia resa pubblica e con la m a g g i o r possibile pubblicità notificata a tutti, ch'ella sia chiara, scritta nella lingua più usata e più intesa dal popolo, perché, c o m e riflette benissimo un g r a n d ' u o m o \ n o n v ' è cosa più ridicola di pretendere che un idiota debba sapere ed osservare una legge, sovra la quale per ben intenderla studiano i letterati, e sono per lo più di diverso parere fra di loro.

Dissi che lo scopo delle leggi è n o n solo di determinare la proprietà, ma di assicurare, insieme al proprietario, la tranquilla possessione; ora queste due cose sono talmente collegate che tuia dall'altra dipende, e però io penso primariamente che nel determinare le proprietà, o sia i m o d i con i quali possano gli uomini acquistare, ritenere, dismettere le proprietà, si debba sempre avere in mira di prevenire quanto si può que' casi da' quali nascer possa un dubbio capace a turbare la tranquilla possessione. Secondariamente, che n o n potendo l ' u m a n o intelletto giungere alla perfezione delle cose, onde per quanto s'affa-tichi il legislatore la malizia degli uomini farà sempre nascere qualche dubbio e disturbo, si debba poscia stabilire una forma per discutere i dubbii che possano nascere nell'avvenire, colla quale vengano essi quanto più speditamente chiariti e terminate le liti.

PARTE PRIMA

DELLE LEGGI INTORNO ALLE PROPRIETÀ.

C A P O PRIMO.

Si stabiliscono i principii e si accennano le principali materie che danno luogo alle liti.

C e r t o che tutti i legislatori e i giurisprudenti che hanno sin qui compilati i codici delle leggi ebbero le stesse mire, ma con ottime intenzioni presso che tutti, in senso mio, hanno intrapresa una strada

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diametralmente opposta al fine. Hanno eglino per prevenire i dubbii moltiplicato il numero delle leggi, hanno procurato d'immaginare tutti i futuri casi possibili ed a ciascheduno hanno addattata una legge. Da questo metodo ne viene o g g i in conseguenza: primo, che lo studio delle leggi è immenso e non basta la vita d'un u o m o per tutte saperle bene; come le sapranno gl'idioti? Secondo, che le circostanze e le rela-zioni delle cose, cangiando da se medesime tutti i giorni, vi sono in o g g i moltissime leggi affatto inutili, molte improprie, che mal si con-vengono allo stato presente e presso che tutte oscure per noi che non possiamo vedere le cose come le vedevano i legislatori e i loro con-temporanei. Terzo, che per la stessa ragione invece di sminuirsi il nu-mero de' dubbii, cresce egli ogni giorno, perché crescono i casi non previsti e le leggi sovra i casi antichi servono di fomite alle questioni che anche fuor di proposito sovente si suscitano sovra i casi presenti. A due capi si riducono le cause che producono liti e disturbi fra gli uomini: primo, la loro malizia; secondo, la libertà e necessità di soverchiamente moltiplicare le loro operazioni. Qualora un legislatore combinerà le sue leggi in m o d o che vengano corrette queste due cause d'ogni male, si potranno sperare buoni effetti dal di lui codice. Alla malizia degli uomini non si può altrimenti andare all'incontro che con leggi indirette: la prima di queste, e la più esenziale, sarebbe una saggia providenza intorno alla educazione de' figliuoli, ma questa è troppo lontana dal mio assunto; le altre leggi indirette, che hanno connessione colla materia ch'io tratto, le accennerò a suo luogo.

Per andare all'incontro alla seconda causa, io dico che, quanto minori saranno le operagioni che dovranno e potranno far gli uomini per acquistare, dismettere e conservare le proprietà, tanto minori saranno i casi che possano suscitare dubbii e liti: dunque lo studio più utile d'un legislatore sarà di restringere la libertà e la necessità di queste operazioni. Posto questo principio, a otto capi si riducono le princi-pali materie che dan l u o g o alle liti: primo, contratti; secondo, atti d'ultima volontà; terzo, successioni intestate; quarto, servitù; quinto, consuetudùii; sesto, prescrizioni ed usucapioni; settimo, feudi; ottavo, diritti che si chiamano regali. Vediamo adesso se con un altro metodo si potessero stabilire le proprietà in m o d o che fossero meglio prevenuti i dubbii e conseguentemente le liti.

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C A P O SECONDO.

De contratti.

La principal cosa che un legislatore deve aver in mira ne' contratti egli è che siano proibiti, n o n solo quelli che sono direttamente diso-nesti e contrarii alle virtù sociali, m a quelli ancora da' quali indiret-tamente ne p u ò derivare una corruzione di costumi, data la quale, in vano s'affatica il legislatore per immaginare l e g g i saggie ed utili. C o s ì tutt'i contratti che p o n g o n o l ' u o m o in una continua tentazione di desiderare la morte d ' u n altr' u o m o e di goderne, qualora ella succeda, sono in senso mio contrarii ai buoni costumi. Tali sono i censi vita-lizii, i quali sono altresì contrarii ai veri principii di sana politica, perché sono essi u n mezzo troppo facile agli uomini di essere impunemente oziosi; conciossiaché, quantunque n o n si possa evitare che v i siano uomini facoltosi (questo che è un male, ma inevitabile e forse anco necessario), n o n si deve fuor di proposito moltiplicare e per altra parte l ' u o m o facoltoso che ha possessioni, se sarà veramente ozioso, sarà presto punito colla necessaria diminuzione delle sue rendite e, se per evitare questo danno bada a' suoi interessi, n o n è più ozioso. U n ricco patrimonio n o n è sì lieve occupazione per chi ne ha la cura ; che all'op-posto quegli che, mediante un capitale ceduto, s'assicura un annuo vitalizio e pecuniario reddito, c o l quale può vivere secondo il suo stato, o forse anche c o n m a g g i o r lusso, senza occuparsi a cosa veruna, ben di rado s'applicherà alle scienze, alle arti, al c o m m e r c i o ecc. In somma sarà per lo più un u o m o , n o n solo inutile alla società, ma per due capi dannoso; primo, perché v i v e colle fatiche altrui e n o n c o m -pensa colle proprie; secondo, e principalmente, perché, essendo ozioso e c o m o d o , sarà per necessaria conseguenza vizioso a; ed il vizio è una peste che pur troppo facilmente si comunica, perlocché n o n sarà mai troppo circospetto il legislatore nel cercare i mezzi d'allontanarlo. S o n o della stessa natura i contratti, in virtù de' quali l'usufrutto, l'uso, l'abi-tazione di una qualche proprietà sono concessi o riservati ad alcuno, pendente la di lui vita. Affine poi di prevenire le liti, più cose si pos-sono avvertire, che ne' contratti sogliono esserne cagione.

Primo. La distinzione de' giurisconsulti romani tra' contratti di buona fede e contratti di stretto gius; io n o n vedo perché n o n si pos-sano tutti ridurre ad una delle due specie, o sia perché la regola sta-li. Fra i vizii, uno sicuramente non indifferente sarà quello di non più curarsi da questi uomini il matrimonio.

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bilita per l'interpretazione degli uni non si possa stabilire anco per gli altri. Qual delle due più si convenga noi voglio decidere, tanto più che non a tutti i governi sarebbe adattabile la stessa massima.

Secondo. La effrenata licenza dalle romane leggi accordata di potersi sino alla metà del valore ingannare ne' semplici contratti e sino ahi tre quarti nelle transazioni; questa, oltre ch'ella è cosa contraria a' buoni costumi, dà luogo a molte liti, che da quelli i quali o per biso-gno' urgente o per imperizia furono all'avara cupidigia altrui sacrificati si suscitano sovente.

Ne' semplici contratti, prescindendo sempre da quelli ne' quali vi è il prezzo d'affezione o solo o pur congiunto, non saria disutile un maggior freno a queste arpìe, col quale fossero gli uomini quasi neces-sitati a far contratti onesti. Nelle transazioni poi mi sembra più ver-gognoso ancora che negli altri contratti l'inganno; perché la transa-zione suppone una cosa litigiosa, anzi o lite già mossa o che stava per moversi; chi aveva già lite mossa, o stava per moverla, sicuramente aveva qualche giurista che lo consigliava. C i ò posto, io così ragiono: o quelli che consigliavano le due parti erano uomini onesti e dotti, e non può essere succeduta una grave lesione nel contratto, per conse-guenza nessuna delle parti riclamerà, se non ch'avesse guasto il cervello ; oppure uno dei due consultori era un empio o un ignorante ed in questo caso non vedo perché debbano le leggi punire la parte ingan-nata d'aver avuto un simile consultore.

Terzo. La tanta libertà d'immaginare tutto giorno nuove sorti di patti stravaganti per deludere le leggi, di m o d o che de' patti che so-leansi stipulare nel tempo de' romani giureconsulti pressoché nessuno è oggi giorno in uso, quindi è che le leggi ch'erano a' medesimi adat-tate non possono più aver diretta relazione ai patti d'adesso; ed ecco ciò che ha dato in gran parte adito a quel così funesto metodo, intro-dottosi in quasi tutt' i tribunali, d'interpretare arbitrariamente le leggi, dal quale ne è poscia derivata la tanto scandalosa contraddizione di massime nella giurisprudenza pratica e di giudicati nelle liti, a segno che quegli che oggi ha perduta la sua lite in altro tempo l'avrebbe vinta, o la vincerebbe (prescindo adesso dagli altri disordini politici che hanno in molti luoghi renduta soverchiamente parziale la giustizia). Altro è dare un senso giudaico alla legge, altro intenderla nel senso obvio, altro contorcerla col pretesto di meglio indovinare lo spirito della legge; il primo e l'ultimo sono quasi ugualmente dannosi alla società; il secondo è quello che si conviene e che deve servire di norma ai giudici. Molti vi sono indegnamente onorati del titolo di giurecon-sulti, i quali interpretando, come dissi, giudaicamente la legge, si

figu-PARTE PRIMA 115 rano di esporne il senso o b v i o . In questi il difetto nasce dall'ignoranza e da quell'antico disordine per cui molti, nati all'aratro, danno di m a n o alla penna; altri, nati per le scienze, impugnano la spada ecc. Sarebbe meno difficile di quello che sembra il rimediare alla m a g g i o r parte di simili inconvenienti, se la filosofia e la sana politica n o n fosse sì fatta-mente perseguitata da coloro che hanno potuto decorare del n o m e di politica l'arte d'ingannar gli uomini, talché potesse un giorno piantar salde radici nell'animo di quelli che hanno in mano le redini del g o -verno. A l c u n i altri v i sono, che, sotto pretesto d'indovinare l o spirito della legge, ne cangiano quasi interamente la disposizione: in questi ella è o profonda malizia, o pregiudicevole vanità; la malizia è per lo più ne' giudici, ne' magistrati, i quali, secondo l'universal costume, avendo sempre in mira di estendere i confini della loro giurisdizione, cercano con questo m e z z o indiretto d'usurpare al sovrano la podestà legislativa, mentre, introdotto una volta questo abuso, sostituiscono eglino al v e r o senso ed alla ordinazione della legge le inventate inter-pretazioni, e si rende così arbitraria ne' magistrati la giurisprudenza; lo che, prescindendo ancora dalle ingiustizie che a man salva si possono con un tal m e z z o commettere per secondi fmi o per vile guadagno, produce un disordine grandissimo, che è quello di n o n potersi saper dagli uomini cosa sia giusto, cosa sia lecito, anzi cosa uno possa dire essere suo. La vanità si trova ne' privati giureconsulti che attendono al patrocinio delle liti; e questo p u ò succedere in due modi. P r i m o , se il mal contaggioso si è già sparso ne' giudici, ne' magistrati, perché allora sia per esser utili ai loro clienti con secondare il genio di chi gli ha da giudicare, convien che gli avvocati s'ingegnino ad immaginare anch'essi n u o v e e stravaganti interpretazioni, dal che ne viene anco un'altra conseguenza, che la lite la più temeraria n o n si p u ò più dir tale, perché sarà difficile trovare un caso in cui, a favore della parte succombente, non si possa stiracchiare una qualche legge. Secondo, se per far p o m p a di sottile ingegno un qualche avvocato s'affatica ad in-trecciare fallacie speciose colle quali possa sorprendere il giudice, queste ultime n o n faranno gran strage qualora siano e dotti e onesti i giudici e i magistrati; ma perché questi sieno tali fa d u o p o : primo, che essere lo possano, vale a dire che qui altari servit, de altari vivere possit; mal si conviene cogli onori la vergognosa ed abbietta povertà, oltredicché ella serve di quotidiana tentazione, alla quale è somma imprudenza esporre anco il più virtuoso. La verità di questo principio la conoscono alcuni, ma, in vece di ricavarne profitto, se ne servono in m o d o che ne deriva un altro n o n minore inconveniente. N o n v o g l i o n o essi allar-gare la mano verso chi spende il sudore e la vita in pubblico vantaggio

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e, per non vedere cogli onori unita la miseria, ricercano per condi-zione nei candidati o ricchezza o avarizia (che essi chiamano accura-tezza); e, siccome il numero dei ricchi è sempre il minore e che fra questi pochi son quelli che l'amor della patria o la gloria sproni alla virtù, mentre la maggior parte è sedotta da que' piaceri che colle ric-chezze si possono facilmente avere, ben di rado si hanno giudici dotti ed attenti; e perché gli avari non adorano altro nume che l'oro, se questo vizio è condizione necessaria, ardisco affermare che non si avranno mai giudizii onesti. Secondo, che si persuadano li sovrani di questa importantissima verità, non potersi trovare uomo perfetto, posta la quale, nella scelta de' postulanti una qualche carica, si deve princi-palmente ricercare che quegli a cui si vuol conferire sia onesto e che sappia ciò che saper si deve per ben esercitarla; né pensare che un buon ciabbattino debba essere anco buon faligname. Sono rari assai più-che non si crede gl'ingegni universali e, fra questi, rarissimi quelli che ne abbiano fatto buon uso; per l'ordinario chi eccelle in una scienza è debolissimo nell'altre. Se manca una delle due condizioni, fosse egli pure degno di canonizzazione il candidato, sarà sempre un cattivo giudice. Certo che se si può trovare un u o m o che abbia minori difetti è ottima cosa il preferirlo, ma non bisogna così minutamente osservare gli altri difetti che si venga a preferire un ignorante, quantunque onesto e virtuoso, ad un u o m o onesto e dotto, oppure che si costringano i candidati a porre il maggior studio in coprire con ipocrisia i loro difetti, che allora non vi saranno più uomini onesti: chi ha saputo nel bollor degli anni fingere saviezza e reprimere in apparenza l'impeto delle passioni, saprà a maggior uopo fingere ed ingannare il suo sovrano a pubblico pregiudizio. Terzo, che si fidi bensì il sovrano dei detti de' suoi ministri, ma non a segno che sia chiuso ad una giusta doglianza l'orecchio. I ministri, prescindendo anche dalla malizia, possono ingan-nare per essere stati da altri ingannati; se il principe interamente s'ab-bandona a' loro detti, succederanno facilmente gravissimi disordini; oltredicché poi non è impossibile che si trovi un ministro, li di cui vizii non siano noti al principe e che, abusando del favore, commetta ingiustizie e prepotenze; che all'opposto, se il principe non troppo si fida, saranno i ministri più guardinghi. I cortigiani gli tenga lontani da ogni affare, poiché questi, per l'ordinario intenti solo a procurarsi il favore, sono mascherati e, quello che è più, rarissimamente son dotti. Quarto, finalmente che non vi siano mai condizioni materiali, voglio

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