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SOPRA IL LIBRO «DEI DELITTI E DELLE PENE» (1768)

Nel documento Opere (pagine 187-197)

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S O P R A IL L I B R O « D E I D E L I T T I E D E L L E P E N E »] 1

Il paragrafo IV non è una quarta conseguenza, ma un corrolario della prima conseguenza accennata nel paragrafo III2.

A l paragrafo V I I3. La misura dei delitti non è il solo danno fatto alla società. Il delitto, secondo me, è una disubbidienza fatta con animo deliberato ad una qualche legge. Tolte tutte le leggi, son tolti tutti i delitti; dunque il delitto non è che la relazione d'una operazione colla legge, lo che tanto è vero, che se l'ente supremo niente avesse rivelato e commandato agl'uomini non vi sarebbero nemmen peccati, perché virtù e vizio, giusto o ingiusto, dovere ecc. son nomi relativi, né mai hanno significato cosa che esista realmente da per sé, mentre, se alcuna di queste fosse tale, lo dovrebbe essere costantemente, né cessare d'esserlo per qualunque variar di circostanze. Ora la malizia, ossia il proposito deliberato, è la seconda parte del delitto, perché la disubbidienza ad una legge fatta involontariamente e senza la menoma colpa viene ad essere uguale ad una operazione machinale, come se fatta fosse da un corpo insensato, epperò non è mai stata punita da alcun governo moderato; i soli tiranni hanno questo diritto. Siccome però le intenzioni difficilmente si conoscono, né altra prova se n'ha che dalle esterne operazioni, così quegli che disubbidisce si suppone che lo abbia fatto con animo deliberato e, se fu casuale la sua disub-bidienza, a lui tocca il provarlo. Le circostanze che accompagnano il

1. Inedito. Il titolo originariamente mancante, venne supplito dal Berta nella sua relazione sui manoscritti sequestrati (cfr. Torino, Archivio di Stato, Carte Vasco, J. b. IX, 7 [F]). Il Vasco ha presente la quinta edizione dell'opera del Beccaria, pub-blicata con l'indicazione di Harlem (ma, Livorno, Coltellini, 1766). Sulla storia delle varie edizioni dell'opera Dei delitti e delle pene, cfr. Carte Beccaria, B. 231 (Milano, Biblioteca Ambrosiana) e F. VENTURI, Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, Napoli, 1958, pp. 23-26.

2. Il paragrafo IV, Interpretazioni delle leggi, inizia: «Quarta conseguenza: ne meno l'autorità d'interpretare le leggi penali può risedere presso i giudici criminali, per la stessa ragione che non sono legislatori ». La prima conseguenza, accennata al paragrafo III (Conseguenze), è la seguente: «Le sole leggi possono decretar le pene su i debtti e quest'autorità non può risedere che presso il legislatore, che rappre-senta tutta la società unita per un contratto sociale».

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delitto possono provare nel delinquente maggiori o minori gradi di malizia, epperò le leggi ben combinate nel proporzionare le pene hanno avuto riguardo: i . A l danno m a g g i o r e o minore che potesse da ciascheduna disubbidienza derivare alla società; 2. A i principali gradi di malizia per i quali viene ad essere il delinquente più o m e n o pernicioso. Altri misurano i delitti ecc. U n a irriverenza all'essere degl'es-seri; secondo i sani principii, n o n dovrebbe mai punirsi dalla società, se non quanto potesse ferire il riguardo politico, che rende necessaria al pubblico bene l'osservanza della religion dominante; i suoi diritti sa difendere da sé l'ente supremo, né ha bisogno del debole nostro aiuto, c o m e benissimo dimostra nel versicolo seguente.

Nella risposta all'accusa 11, nota n. 1 ri Un peccato non si commette ecc.; il dolo malo e la mala intenzione, tradotti in b u o n toscano, n o n significano altro che la malizia, e se alcune leggi cattive infliggono pene al delitto casuale, basta confrontarle con l'altre che assolvono interamente il delinquente a puro caso e si vedrà l'equivoco. Talvolta uno p u ò commettere un delitto senza averne avuta l'intenzione, m a avrà dato l u o g o a quell'accidente con qualche operazione che sarà o un vero delitto, o una reprensibile colpa ; allora e' si castiga, non perché a caso abbia commesso quel delitto, ma perché ha dato con sua colpa l u o g o a quell'accidente; ma la pena sarà sempre m i n o r e ; citata L . 2,

ff. De termino moto2 ; dunque la malizia è una parte essenziale della misura dei dehtti e delle pene. Suppongasi un cacciatore il quale vada a caccia in un sito dalla legge proibito e che, volendo amazzare un cervo, u n capriolo, per puro e mero caso amazzi u n u o m o (già si suppone che sia possibile la prova del puro caso): d o v r à egli punirsi d'omicidio? D o v r à egli solo punirsi di disubbidienza alla proibita caccia? N é l'un, né l'altro; egli ha commesso un omicidio casuale, ma, se egh non avesse dato operam rei illicitae coll'andare a caccia in sito proibito, n o n sarebbe seguito questo caso; dunque la sua pena dev'essere minore dell'omicidio e m a g g i o r e della semplice violata caccia. Suppongasi quest'istesso cacciatore andato a caccia in l u o g o permesso e che per un accidente simile amazzi un u o m o , questo quando avrà provato il caso fortuito, n o n deve subire la m e n o m a pena; eppure il danno alla società è uguale.

1. Il Vasco qui annota la Risposta ad uno scritto che s'intitola Note ed osservazioni

sul libro Dei delitti e delle pene che Pietro ed Alessandro Verri scrissero in risposta alle

Note del Facchinei (Venezia, Zatta, 1765) a Milano nel 1765. Il testo della Risposta

si trova nell'edizione citata del Beccaria che il Vasco ha presente. 2. Cfr. D., XLVII, 21, De termino moto, L. 2.

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Furtum non committitur1 ecc., non dice la legge nihil tamen invenit

Wide furari, dice nihil tamen furatus est, e da qui si ricava che la l e g g e

suppone uno il quale, entrato in una casa con animo di rubare, poscia siasi pentito e n o n abbia rubato; tutte le leggi hanno dato l u o g o al pentimento infinché l'intenzione rea n o n è ridotta all'atto, ossia^ ese-guita, ma che poi l'avere rubato i o meriti maggior castigo che l'aver rubato 5 le buone leggi n o n lo dissero e il bene della società n o n è per ciò interessato per alcun verso, poiché quegli che rubba lo fa per necessità o per vizio, si[a] l'un che l'altro sperano in quel m o m e n t o d'evitare la pena, altrimenti n o n rubberebbero ; lo che posto, attaccare al furto di m a g g i o r s o m m a una m a g g i o r pena non sarà mai che alcun ladro trovando o r o e rame si contenti di questo per timore della maggior pena, siché anche nel suo sistema è uno sproposito questa maggior pena, c o m e è assurda l'equazione d'una grossa s o m m a di danaro colla vita di un u o m o .

Se il solo danno della società è la misura dei delitti e delle pene, l'omicidio fatto da un pazzo è un danno fatto alla società; transeat ch'egli sia u n po' m e n o per le speciose raggioni addotte (il danno principale consiste in privarla d'un m e m b r o talvolta utilissimo), ma sarà sempre un danno, dunque sarà un delitto minore, se vuole, ma sempre un delitto, secondo i suoi principii, il quale per conseguenza si dovrebbe castigare. Dirà l'autore che u n mentecatto furioso si lega, s'incatena, si carcera, acciò che n o n rechi danno alla società e che, siccome questo è il principal fine delle pene, così si possa anco dire che il mentecatto sia castigato, sebbene con pena minore; ma a questo rispondo: in p r i m o l u o g o che tanto s'incatena il mentecatto furioso che ha recato un grave danno, c o m e quello che lo ha recato leggiero o non ne ha recato alcuno; per conseguenza in questo senso c o n v e r -rebbe dire che si castiga u n edificio che minaccia danno quando per evitarlo esso si rovina. In secondo l u o g o , supponiamo un mentecatto il quale abbia ammazzato u n u o m o e che un istante dopo abbia la sorte di riaquistare la salute; ora questo tale, c o m e mentecatto, non si può più rinserrare, perché ha cessato d'esserlo e i mentecatti furiosi si custodiscono n o n per raggion del passato, ma per cautela dell'avve-nire; eppure l'essere risanato non fa che non sia seguito il danno; d o m a n d o : s'avrà egli a castigare? Il solo danno recato alla società sarà sempre l'unica misura dei delitti e delle pene?

1. Il Vasco si riferisce alla nota 2 del Verri, contenuta nella Risposta cit., Accusa

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La colpa non è malizia, adaggio un p o c o ; il dolo è il supremo grado

di malizia ; la colpa lata dolo aequiparatur, ed è la suprema malizia m e n o un grado; la colpa leve è malizia anch'essa alcuni gradi m e n o ; la colpa levissima habetnr prò casu fortuito, e sarà il caso fortuito più un grado di malizia.

A l paragrafo X1 la materia è trattata m o l t o leggermente e, pi-gliando la cosa per i veri suoi principii, temo che il proposto rimedio non sia né sufficiente, né forse il migliore.

A l paragrafo X I V 2. Prender a sorte i giudici fra le persone istrutte

transeat, ma commettere alla sorte la vita e l'onore degl'uomini è

troppo; se la sorte facesse estrarre tutti giudici ignoranti o atrabilari che ne seguirebbe? Se si v o g l i o n o speditivi i giudizi, massimamente criminali, s'hanno eglino a dare in m a n o a gente inesperta, che dee fare o g n i volta il noviziato sulle spalle di quel miserabile? Q u a n d o le leggi sian chiare e buone, n o n fa bisogno di cercare, né giudici tratti a sorte, né i Pari.

A l paragrafo X V I3. Un altro ridicolo motivo è la purgazione

dell'in-famia. Questo è un e q u i v o c o ; n o n hanno mai preteso i giuristi che la

tortura levi e purghi l'infamia in chi l'ha incorsa: intendono purgare la deposizione d'un u o m o infame dal diffetto che gli dà l'infamia del testimonio, e ciò in conseguenza del falso principio che lo slogamento dell'ossa sia il cruciuolo della verità, perloché dicono essi la deposi-zione di quest'uomo p u ò essere ricusata, gli si p u ò oggettare l'infamia del deponente, la quale rende subito debolissima e di poco credito la sua deposizione; or dunque col solito nostro cruccinolo di verità purghiamo questa deposizione da quel diffetto che gli dà l'infamia del deponente.

A l paragrafo X X I4. Perché si infliggon pene? E perché servano altrui d'esempio e trattengano altri dal delinquire, o affinché il reo non commetta altri delitti. Perché è ingiusta la pena di morte? Perché non è necessaria per alcuno de' fini sudetti, dunque ogni qual volta un'altra pena sarà dimostrata c o m e quella inutile, ossia non necessaria,

1. È il paragrafo Dei duelli. Il rimedio proposto dal Beccaria è il seguente: «Il miglior metodo di prevenire questo delitto è di punire l'agressore, cioè chi ha dato occasione al duello, dichiarando innocente chi, senza sua colpa, è stato costretto a difendere ciò che le leggi attuali non assicurano, cioè l'opinione, ed ha dovuto mo-strare a' suoi concittadini ch'egli teme le sole leggi e non gli uomini ».

2. E il paragrafo Indizi e forme di giudizi. 3. E il paragrafo Della tortura.

RIFLESSIONI SOPRA IL LIBRO « DEI DELITTI E DELLE PENE » 189 sarà ingiusta. La maggior sensibilità, innegabile nelle persone che hanno ricevuta una educazione nobile, fa sì che in esse una minor pena è atta a produrre l'istesso effetto che produrrebbe una maggiore in un plebeo, dunque questa pena maggiore non è necessaria per un nobile, dunque è ingiusta.

A l paragrafo X X I I1. Il furto è rarissimamente il delitto della mi-seria e della disperazione, egl'è il delitto degl'oziosi che aborriscono il lavoro, e conseguentemente le loro occupazioni sono giuoco, vino e donne e, non avendo poi delle rendite colle quali suplire alle spese che si richiedono per sodisfare le loro mal nate passioni, in vece d'api-gliarsi al lavoro, s'apigliano al più facile e più lucroso mezzo dei furti. È in mano del governo il prevenire la massima parte di questi delitti per non dir tutti, ma le ottime leggi e i mezzi indiretti, che sono i più facili e i più dolci, aspettano qualche filosofo sul trono per pre-sentarglisi. Una gran prova della necessità del diritto di proprietà è l'esser egli in tutto il mondo stabilito da' tanti secoli, che non s'ha memoria della perfetta communione fuorché ne' disabitati deserti. La necessità di questo diritto si potrebbe anco provare con argomenti filosofici.

A l paragrafo X X I V2. Perché col bando d'un ozioso privarsi d'un membro che si può render utile? Se il suo ozio è un delitto, non gli si fa torto a castigarlo, epperò non sarebbe egli meglio costringerlo al lavoro, proporzionando sempre la pena al grado del delitto, alla qualità e capacità del delinquente?

A l paragrafo X X I X3. M i rincresce che un protettore dell'umanità, uno che vede benissimo che il carcere è una pena, la quale per ciò si dà solo perché ella diviene qualche volta indispensabile per la publica salvezza, si contenti poi di così deboli indizii per la cattura, come la fuga, la stragiudiziale confessione, quella d'un compagno del delitto e li consideri ugualmente forti come la costante inimicizia coll'offeso ed il corpo del delitto. Tutti gl'uomini agiscono per un qualche fine, e questo fine è sempre il proprio vantaggio; intendo per vantaggio non il solo interesse pecuniario, ma la sodisfazione di qualunque desiderio. Qualora un u o m o avesse commesso un delitto senza alcun motivo affatto, io direi che è pazzo in mezzo al cervello e lo metterei nel-l'ospedale piutosto che castigarlo. Il primo dunque di tutti gl'indizu è l'interesse che poteva avere l'accusato di commettere quel tale delitto.

1. È il paragrafo Furti.

2. È il paragrafo Oziosi.

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Quest'indizio diventa più forte, a misura che l'interesse era maggiore, che l'accusato era più inclinato al male o che combinano altri indizii, altre prove a farlo creder reo, c o m e sarebbe il corpo del delitto, mas-simamente nei furti. N e i soli delitti gravi, che rendono il delinquente pernicioso alla società, è giusta la cattura dell'accusato, perché, quando la società non ha che temere d'un delinquente, viene ad essere ingiusta la n o n necessaria pena del carcere. M a per far l u o g o alla cattura ne' delitti gravi si richiede una semipiena prova del delitto, e tale n o n è di certo la f u g a ; e chi è quegli che, sentendosi accusato o in sospetto d'un grave delitto, voglia esporsi innocente ai squallori d'un carcere? al pericolo che due falsi testimoni, così facili a trovarsi, lo facciano comparir reo? che qualche inimico (ogniuno ha i suoi) n o n risvegli l'attrabilare umore d'un giudice e gli faccia veder il delitto nell'inno-cente? Forse che questi casi son nuovi? Saranno forse sempre perfette le leggi, perfetti i giudici? Q u a n t e combinazioni n o n si danno per le quali riesce difficile ad un innocente il provare la sua innocenza? E gli si dovrà ascrivere a delitto l'amor di libertà? La stragiudiziale c o n -fessione è il più equivoco di tutti gl'indizii; il reo procura di celare il suo delitto per evitarne la pena e n o n lo palesa; e poi, e chi n o n sa che i discorsi n o n si ridicono mai tali quali furon detti? E chi n o n sa quanti equivoci si pigliano nel sentire un discorso, i quali nascono dal diffetto organico o di chi parla, o di chi ascolta? La confessione d'un c o m p a g n o del delitto n o n è miglior indizio, poiché, o questi è già provato e convinto reo del delitto, ed allora la sua deposizione è sempre debole, o questi è un accusatore di se stesso e d'un altro, forse per gioire dell'impunità, e allora è tanto m e n o da curarsi la sua deposizione, che anzi, infino a che altre p r o v e n o n vi siano, è egli m e d e -simo reo d'una calunnia.

A l paragrafo X X X1, pag. 143, quel scemarsi il tempo della pre-scrizione perché cresce il tempo dell'esame è un p ò oscuramente espresso : v u o l dire che, siccome l'innocenza è più facile negli atroci delitti, così meno si deve tormentare d'esami il reo (cosa falsa, perché, se, secondo il suo sistema, il danno della società è quello da cui si d e v o n o misurare le cose, nei delitti atroci, il danno essendo maggiore, con più attenzione si dovrebbe cercare quegli che dà luogo alla società di temerlo), e per lo contrario si debba esiggere m a g g i o r tempo alla prescrizione del processo. A l paragrafo X X X I2, pag. 151, che comincia per render gl'uomini

inutili a se stessi per farli utili ad altri ecc., o chi l'intende?

1. E il paragrafo Processi e prescrizione.

RIFLESSIONI SOPRA IL LIBRO « DEI DELITTI E DELLE PENE » 191 A l paragrafo X X X I I1. Il suicidio, secondo me, n o n è delitto, è pazzia, epperò n o n si deve castigare; ma perché la legge che i m p r i g -giona i sudditi nel loro paese è inutile, n o n è vero che lo sia quella del suicidio, perché, se il suicidio fosse un delitto, sarebbe di quelli che si do-vrebbero punire colla m a g g i o r severità, perché egl'è di funesto esempio.

A l paragrafo X X X I V2. L'inumana barbarie delle cattive leggi, e n o n la buona fede dei contratti, o la sicurezza del c o m m e r c i o hanno introdotta l'assicurazione delle persone dei debitori, legge che gl'empii sanno sempre utilmente evitare e che castiga i soli onesti sfortunati, legge p o i ingiustissima nel m o d o , perché autorizza la fredda crudeltà, la barbara e capricciosa vendetta dei privati; che vantaggio ricava il creditore nel far impriggionare un debitore decotto? Nessuno, anzi gli tocca pagare la custodia e i miserabili alimenti; se il debitore è reo di dolo, le leggi punir lo d e v o n o con publica autorità, né ha a toccare ai creditori questo diritto; se n o n è reo, che legge è quella che castiga gl'uomini innocenti sol perché infelici? I R o m a n i davano al creditore la persona del debitore accioché quegli che non habebat in aere lueret in

pelle e così, coll'opere sue, il debitore scontava il debito; la cosa era un

po' dura nel m o d o , m a aveva almeno un principio di giustizia, laddove la legge presente è la più barbara e la più ingiusta di tutte le leggi.

A l paragrafo X X X V I I3. S'esaminino tutti gl'uomini e pochi saran quelli ai quah nel corso della vita n o n sia passato per la mente qualche sproposito; se s'avessero tutti a punire, povera umanità e questa sup-posta importanza di prevenire un attentato può servire di m e z z o alle prepotenze, all'ingiustizie e a mille disordini; infin che l ' u o m o n o n ha commesso il delitto e che p u ò ritirar la mano n o n deve punirsi. U n o che andasse ad insultare, minacciare ecc. un altro, quantunque n o n l'amazzi, n o n gli faccia male alcuno, è punibile sicuramente perché le minaccie, gl'insulti sono delitti, ma quegli che non ha fatto alcuna azione per se stessa proibita, quantunque si provasse all'evidenza che avesse intenzione di dilinquire in apresso, non si p u ò assolutamente castigare, e qualunque pena sarebbe ingiusta, perché dal volerlo al farlo v i è tanta distanza c o m e dall'essere e n o n essere, e ciò perché p u ò pentirsi.

Tutte le l e g g i che autorizzano il tradimento sono: i . U n a evidente prova di debolezza. 2. U n m e z z o di far gl'uomini cattivi, e per con-seguenza fomentare in vece di prevenire i delitti.

1. È il paragrafo Suicidio.

2. È il paragrafo Dei debitori.

192 RIFLESSIONI SOPRA IL LIBRO « DEI DELITTI E DELLE PENE » 192

A l p a r a g r a f o X X X V I I I1. L e i n t e r r o g a z i o n i s u g g e s t i v e s o n q u e l l e c h e s u g g e r i s c o n o al r e o u n a r i s p o s t a c o l l a q u a l e v e n g a e g l i a c o n f e s -sare t a c i t a m e n t e il d e l i t t o o q u a l c h e c i r c o s t a n z a d i e s s o ; p e r e s e m p i o , se, i n t e r r o g a t o u n o se n e l t a l g i o r n o , alla o r a tale, si t r o v a s s e e g l i n e l l a casa A , d o v e s e g u i il d e l i t t o , r i s p o n d e s s e d i n o e c h e il g i u d i c e , c o n -t i n u a n d o a d i n -t e r r o g a r e , g l i d o m a n d a s s e c h e c o s a f a c e v a e g l i i n q u e l g i o r n o n e l l a casa A , q u e s t a si d i r e b b e i n t e r r o g a z i o n e s u g g e s t i v a , p e r c h é s u g g e r i s c e al r e o u n a r i s p o s t a c o l l a q u a l e v e r r e b b e e g l i a c o n f e s s a r e c h e e r a i n q u e l l a casa e a c o n t r a d i r s i n e l l e s u e r i s p o s t e . A l p a r a g r a f o X X X I X2. M e g l i o e r a n o n p a r l a r n e c h e d i m o s t r a r e u n t i m o r e a d a t t a c c a r e u n o b r o b r i o d e l l a r e l i g i o n e e d e l l ' u m a n i t à o r a m a i s b a n d i t o o m o d e r a t o d a t u t t i i p r i n c i p i c a t t o l i c i , o g i à d i m o s t r a t o c o n t r a r i o ai p r i n c i p i i d e l l a e v a n g e l i c a m o r a l e . A l p a r a g r a f o X L I I3, p . 1 9 5 , q u e l regrettarono n o n istà b e n n i e n t e . 1. È il paragrafo Interrogazioni suggestive, deposizioni.

2. È il paragrafo Di un genere particolare di delitti, che suona così: « Chiunque

leggerà questo scritto accorgerassi che io ho omesso un genere di delitti che ha coperto l'Europa di sangue umano e che ha alzate quelle funeste cataste, ove servivano di alimento alle fiamme i vivi corpi umani, quand'era giocondo spettacolo e grata armonia per la cieca moltitudine l'udire i sordi confusi gemiti dei miseri che uscivano dai vortici di nero fumo, fumo di membra umane, fra lo stridere dell'ossa incarbonite e il friggersi delle viscere ancor palpitanti. M a gli uomini ragionevoli vedranno che il luogo, il secolo e la materia non mi permettono di esaminare la natura di un tal delitto. Troppo lungo, e fuori del mio soggetto, sarebbe il provare come debba essere necessaria una perfetta uniformità di pensieri in uno Stato, contro l'esempio di molte nazioni; come opinioni, che distano tra di loro solamente per alcune sotti-lissime ed oscure differenze troppo lontane dalla umana capacità, pure possano scon-volgere il ben pubblico, quando una non sia autorizzata a preferenza delle altre; e come la natura delle opinioni sia composta a segno che mentre alcune col contrasto fermentando e combattendo insieme si rischiarano, e soprannotando le vere, le false si sommergono nell'oblio, altre, mal sicure per la nuda loro costanza, debbano esser vestite di autorità e di forza. Troppo lungo sarebbe il provare come, quantunque odioso sembri l'impero della forza sulle menti umane, del quale le sole conquiste sono la dissimulazione, indi l'avvilimento; quantunque sembri contrario allo spirito di mansuetudine e fraternità comandato dalla ragione e dall'autorità che più vene-riamo, pure sia necessario ed indispensabile. Tutto ciò deve credersi evidentemente

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